Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 18 Febbraio 2024

Estinzione

Il settimanale New Yorker ha aggiunto un ottimo articolo di riassunto alla ricca bibliografia di queste settimane dedicata all’accelerazione della crisi dei giornali americani. È apocalittico e speranzoso al tempo stesso.

“Journalism requires a peculiar mix of skepticism and earnestness; as journalists, after all, we consider ourselves integral to the functioning of civic society, even if much of society doesn’t particularly like us. This breeds a funny mix of pugilism and sanctimony that can be, frankly, a little unlikable. Speaking recently on the “Print Is Dead. (Long Live Print!)” podcast, Tina Brown, a former editor of The New Yorker and Vanity Fair, compared members of the U.K. press with their American counterparts. “They see it as a job,” she said, of her fellow-Brits. “They don’t see it as a sacred calling, and I think there’s something to be said for that.”

The business models that will sustain journalism in the future won’t be perfect. They’ll leave people out who need good-quality news the most. They will probably cater to older, wealthier men who (for now) make up the demographic most likely to pay for news. There will be idiocy and the enablement of rich idiots. But there will also be new generations of journalists willing to leap into an unsteady industry because they think explaining the world around them is worthwhile, if not particularly remunerative. The sanctimony that Brown sniffs at certainly exists, but a little bit of the holy spirit is probably necessary to report on contemporary America. Even if past experience has taught journalists that change is often a destructive force, the crisis is here, and it needs solutions if we’re going to keep recommending, in good conscience, that promising young talent join the media’s ranks”.


domenica 18 Febbraio 2024

Charlie, guardare fuori

I destini dei quotidiani locali, nei tempi di crisi dei media che sono intenso oggetto di questa newsletter, sono spesso trascurati dal dibattito. Gli americani ne parlano molto, perché da loro quasi tutti i quotidiani sono considerati locali, mentre da noi c’è poco confronto e discussione sulle loro difficoltà peculiari e sulle loro eventuali opportunità: il Post ne aveva scritto un po’ qui, ormai tre anni fa. Questa povertà di riflessione concorre a una limitata spinta verso l’innovazione e la sperimentazione e verso la ricerca di soluzioni, a cui spesso si aggiungono anche le minori risorse di “contemporaneità” e competenza digitale delle province. A lungo si è detto che il rapporto con “il territorio” e le comunità locali avrebbe potuto essere il capitale più prezioso, ma d’altra parte l’accesso alla comunicazione globale in qualunque angolo di mondo ha anche indebolito il valore di quel rapporto. Proprio per questo può essere interessante mettere nel dibattito e nelle riflessioni uno spunto che arriva dalla scelta di un piccolo quotidiano americano, di occuparsi di più della politica e delle cose nazionali. Proprio perché il rapporto con i quotidiani nazionali si sta esaurendo, i quotidiani locali potrebbero provare a occupare lo spazio di messaggeri di riferimento di un’offerta che superi i confini locali: immaginando che ai loro lettori possa a volte interessare di più trovare in prima pagina cosa succede nella campagna elettorale delle Europee o nel dibattito sulla violenza contro le donne, piuttosto che la grande foto di un incidente stradale o l’annuncio di nuove assunzioni dell’azienda degli autobus. E investendo sulla qualità del proprio giornalismo di maggior respiro, senza nulla togliere all’utilità dell’informazione locale. È solo un’idea, visto che non ne girano tante.

Fine di questo prologo.


domenica 11 Febbraio 2024

In tutti i laghi

Sabato prossimo alle 11 la rassegna stampa I giornali spiegati bene – che racconta le cose di cui parliamo qui – sarà a Verbania: sempre con Luca Sofri e Francesco Costa, direttore e vicedirettore del Post, peraltro.


domenica 11 Febbraio 2024

Beghe

Il Fatto ha raccontato sabato che l’editore GEDI avrebbe rinunciato a pubblicare una biografia del fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, dopo il rifiuto del suo autore di cancellare alcuni passaggi che citavano il giornalista Giovanni Valentini – a lungo a Repubblica, oggi al Fatto con opinioni molto critiche contro Repubblica – e altri non meglio precisati di cui avrebbe chiesto la rimozione il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.

Il Fatto ha quasi quotidianamente articoli contro Repubblica, che è uno dei soggetti attaccando i quali ha costruito nel tempo gran parte dei propri consensi (insieme al PD, o a Silvio Berlusconi, o a Matteo Renzi, per citare i principali): lo stesso giorno accusava Repubblica anche di non avere dato spazio adeguato alla notizia che il suo editore – John Elkann – fosse indagato per una complicata vicenda di eredità di famiglia. Repubblica aveva in effetti raccontato giovedì la notizia – non in prima pagina – con una formula di garanzia che nel frattempo il direttore del Foglio Claudio Cerasa aveva commentato come piuttosto inusuale, rispetto agli abituali titoli su indagati e indagini.

Le pagine dell’Economia di Repubblica avevano intanto offerto una mezza pagina agli impegni e alle dichiarazioni dell’editore di Repubblica sia martedì che mercoledì.


domenica 11 Febbraio 2024

Attenzioni

Il Corriere della Sera ha dedicato martedì un breve articolo nelle pagine dell’Economia a uno spot pubblicitario di Esselunga, che era stato promosso lunedì sul Corriere della Sera da un’inserzione a pagamento di Esselunga.
Sempre nelle pagine di Economia il Corriere della Sera ha dato spazio a risultati e autocelebrazioni della banca Intesa Sanpaolo con articoli mercoledìgiovedì venerdì: venerdì la stessa banca aveva acquistato due pagine pubblicitarie sul giornale, ed è uno dei più frequenti inserzionisti sui maggiori quotidiani (oltre a essere creditrice di alcune delle aziende che li pubblicano).


domenica 11 Febbraio 2024

L’Atlantic e Yascha Mounk

L’ Atlantic ha comunicato di avere interrotto la collaborazione di Yascha Mounk con il sito e il giornale, dopo avere ricevuto e vagliato – in un tempo non immediato – le accuse di stupro contro di lui da parte di una giornalista.
L’ Atlantic è uno storico e illustre mensile statunitense progressista, e oggi soprattutto un sito web di news e opinioni, acquisito nel 2017 da una società di proprieta di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, e che in questi anni è stato protagonista di un raro e apprezzato successo di sostenibilità e rinnovamento.
Yascha Mounk è un suo frequente collaboratore e commentatore politico che negli scorsi anni ha acquisito una notevole notorietà anche internazionale (in Italia due suoi libri sono stati tradotti da Feltrinelli, e diversi suoi articoli sono stati pubblicati dai quotidiani Domani Repubblica: lo scorso giugno era stato ospite del podcast del Post che si chiama Globo): le sue opinioni più note e visibili in questi anni sono state di attacco ai populismi e di critica verso i rischi della cancel culture, cosiddetta, e di certe posizioni ” woke ” a sinistra.

Ad accusare Mounk è una scrittrice e giornalista, Celeste Marcus, che aveva raccontato un mese fa di una violenza subita nel 2021, in un post sul magazine online Liberties di cui è direttrice. Questa settimana Marcus ha pubblicato in un tweet la mail che aveva scritto contemporaneamente al direttore dell’ Atlantic rivelandogli che a violentarla sarebbe stato Mounk: nel tweet Marcus diceva di non avere osservato conseguenze della sua segnalazione. Poco dopo l’ Atlantic ha annunciato di “non avere pubblicato più niente del collaboratore dopo essere stati informati dell’accusa”.
Mounk ha definito l’accusa “categoricamente falsa”: la comunicazione dell’ Atlantic aggiunge che il giornale “seguirà eventuali sviluppi”, ma Marcus non ha presentato denunce, e la sospensione di Mounk è stata decisa in conseguenza delle sue accuse e richieste al giornale stesso.


domenica 11 Febbraio 2024

Ma come?

Per la seconda volta in pochi mesi la direzione del Giornale ha pubblicato un commento critico e risentito nei confronti di membri del governo che hanno querelato il quotidiano: fino a qui niente di anomalo, un politico querela un giornale e quel giornale protesta. Ma in questo caso – distinzione esplicitata dallo stesso articolo – la protesta non contesta una limitazione della libertà di espressione o un’intimidazione censoria, ma usa come argomento polemico il fatto che il Giornale abbia invece abitualmente posizioni vicine o a sostegno del governo, e che quindi le querele mostrino un’irriconoscenza.

“Non ci spaventiamo, non denunciamo ridicoli e inesistenti bavagli, non mettiamo in dubbio la loro libertà di fare ciò che credono e capiamo pure che l’idea maturata nella loro testa di arrotondare con qualche decina di migliaia di euro (nell’improbabile caso di una vittoria in tribunale) i non faraonici stipendi pubblici possa stuzzicare, del resto ognuno tiene famiglia e magari pure casa da ristrutturare. Che un governo di destra, attraverso due suoi rappresentanti, provi a estorcere soldi a giornali che per loro, e direi nonostante loro, hanno combattuto e combattono gratis battaglie epocali contro chi li voleva e li vorrebbe morti, è il segno di quanto il potere possa dare alla testa e fare perdere lucidità”.


domenica 11 Febbraio 2024

How does it feel?

Questa newsletter ormai esiste da abbastanza tempo per dare notizia delle dimissioni di direttori di importanti testate di cui aveva raccontato già il debutto: questa volta è il caso di Noah Shachtman, che lascia Rolling Stone – l’edizione originale americana – dopo meno di tre anni per faticosi rapporti con il CEO Gus Wenner, figlio del leggendario (e faticosissimo) fondatore.


domenica 11 Febbraio 2024

Sfacciati

Il New York Times ha di nuovo diffuso dei dati sui suoi risultati e successi, che ormai non fanno più notizia e generano soprattutto desolazione e invidia nei concorrenti, detto che il New York Times non ha davvero concorrenti.
Le cose più rilevanti sono:
– 10,36 milioni di abbonati, di cui 9,7 milioni sono abbonati ai prodotti digitali; 300mila nuovi abbonati nell’ultimo trimestre del 2023, meglio dei precedenti;
– i ricavi dagli abbonamenti digitali (che sono mediamente più economici) costituiscono quindi più del doppio di quelli dalle vendite e dagli abbonamenti all’edizione cartacea;
– stanno andando bene i “bundle”, ovvero gli abbonamenti che includono assieme al giornale la sezione sportiva The Athletic, o i giochi, o la sezione di cucina, o quella di prodotti e acquisti Wirecutter. E stanno andando benino le conversioni di abbonamenti scontati e promozionali in abbonamenti a prezzi maggiori, con un valore mensile per abbonato di 9,24 dollari, cresciuto del 3,5% rispetto a un anno prima (ma era stato di 9,28 dollari nel trimestre precedente).
– The Athletic è ancora in perdita, ma le perdite sono diminuite. Il New York Times aveva comprato il sito nel 2022 per 550 milioni di dollari facendolo diventare la sua sezione sportiva nel 2023.
– i ricavi pubblicitari invece sono diminuiti del 16,2% per la carta e del 3,7% per il digitale. Nel complesso una perdita dell’8,4% che l’azienda si aspetta che si ripeta nel 2024 intorno a cifre simili.


domenica 11 Febbraio 2024

What Will be Will be

Sempre sul Postun punto su cosa è già cambiato e come sta andando Will, progetto divulgativo di news nato su Instagram e con un pubblico prevalentemente molto giovane.

“In queste settimane Will scrive, in fondo alle didascalie dei suoi post su Instagram, alcune frasi mirate a far conoscere l’esistenza della membership. Zaffarano aggiunge che: «purtroppo paghiamo il fatto di non pubblicare su una piattaforma proprietaria che ci darebbe maggiore controllo sull’efficacia dei messaggi e sulla targettizzazione, ma dall’altro lato abbiamo una capillarità maggiore nel raggiungere gli utenti». Anche questa è una questione che riguarda e preoccupa molti progetti di informazione in questi ultimi anni: la dipendenza dalle piattaforme sta creando molti problemi ai giornali online di tutto il mondo sia rispetto alla promozione dei propri contenuti (Facebook ha per esempio ridotto molto le sue priorità sulla diffusione delle news e dei contenuti giornalistici) che all’autonomia commerciale ed economica (altri esempi: Google sta introducendo dei cambiamenti assai rilevanti nella profilazione pubblicitaria degli utenti, preziosa per i giornali online; Apple governa gran parte delle possibilità di abbonarsi o pagare attraverso le app sui suoi dispositivi)”.


domenica 11 Febbraio 2024

Más limpio y compacto

Lo spostamento di attenzioni e priorità sulle edizioni online dei quotidiani ha avuto tra le altre ricadute, in questi anni, una minor frequenza di “redesign” dei quotidiani cartacei, anche perché le edizioni di carta non sono più “il giornale” e il modo prevalente con cui ciascuna testata si mostra al mondo. E sul web la diffusione dei contenuti dei giornali avviene soprattutto per percorsi “atomizzati” (Google, social network, condivisioni) che rendono meno rilevante l’identità grafica dei contenitori, e delle homepage. Ma aggiornare la forma dei quotidiani – cartacea o digitale – rimane utile ad adeguarli a impostazioni nuove, a sensibilità cambiate, o anche soltanto a dare una sensazione di contemporaneità e rinnovamento.
Questa settimana ha presentato un suo nuovo design El País, il quotidiano generalista a maggiore diffusione in Spagna (lo supera Marca, quotidiano sportivo). Il giornale di carta ha un formato più piccolo e stilisticamente è più simile alla grafica del sito: le pagine, più ordinate e meno affollate, spesso ospitano un solo articolo.

“Più elegante e pulito, introduce un carattere pensato per migliorare la leggibilità dei testi e un ordine delle sezioni con dei piccoli cambiamenti: sono raggruppate da una parte l’attualità internazionale, politica ed economica, e dall’altra quella sociale, sportiva, culturale e di stili di vita”.


domenica 11 Febbraio 2024

I quotidiani a dicembre 2023

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di dicembre 2023. Se, come facciamo ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” totale, i risultati sono quelli che seguono: che non tengono conto delle copie distribuite gratuitamente, di quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa).

Corriere della Sera 168.216 (-5%)
Repubblica 94.454 (-14%)
Stampa 67.933 (-13%)

Sole 24 Ore 56.101 (-6%)
Resto del Carlino 52.563 (-12%)
Messaggero 45.870 (-8%)
Fatto 40.375 (-4%)

Gazzettino 34.516 (-5%)
Nazione 34.315 (-12%)
Dolomiten 29.336 (-5%)
Giornale 27.262 (-7%)
Messaggero Veneto 25.005 (-8%)
Eco di Bergamo 22.671 (-8%)

Verità 22.523 (-18%)
Unione Sarda 22.346 (-6%)
Secolo XIX 21.248 (-11%)

Altri giornali nazionali:
Libero 19.076 (-13%)
Avvenire 14.857 (-6%)
Manifesto 12.763 (+5%)
ItaliaOggi 6.641 (-27%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Rispetto al calo grossomodo medio del 10% anno su anno delle copie effettivamente “vendute”, cartacee e digitali (queste ultime in abbonamento), a cui siamo abituati, questo mese sono andati meglio il Corriere della Sera, ancora (che salvo occasionali eccezioni finora si tiene sempre intorno a un -5%), e il Fatto. Mentre continuano ad avere declini assai maggiori i quotidiani del gruppo GEDI: RepubblicaStampa e anche il Secolo XIX. E anche Nazione Resto del Carlino del gruppo Monrif (il terzo quotidiano del gruppo, il Giorno, perde a sua volta il 12%).
Dopo i travasi dei mesi scorsi, per il secondo mese vanno male tutti i quotidiani di destra: il Giornale, ma soprattutto Libero Verità. Restano invece ammirevolmente in piccola crescita i numeri del Manifesto.

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 48mila, il Sole 24 Ore più di 33mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 43.267 (+34)
Repubblica 23.831 (+718)
Sole 24 Ore 22.923 (+50)
Fatto 19.693 (-30)
Stampa 8.602 (-165)
Manifesto 6.402 (-108)
Gazzettino 6.258 (+69)

Rimane molto esigua la quota di abbonamenti alle edizioni digitali per alcune testate nazionali (soprattutto quelle con un pubblico più anziano) in un tempo in cui quella è la direzione più promettente per la sostenibilità di molti giornali: 1.800 abbonamenti digitali (pagati almeno il 30%) per Avvenire , 1.520 per Libero , 1.466 per il Giornale, 1.071 per la Verità, 2.174 per la Gazzetta dello Sport (che però ne ha più di 11mila venduti a meno del 30% del prezzo). I tre quotidiani Monrif (GiornoResto del CarlinoNazione) ne dichiarano complessivamente 1.639.

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora soprattutto del Tirreno (-20%: il Tirreno ha perduto un terzo delle copie in due anni); e poi di nuovo del Giornale di Vicenza (-15%) e dell’ Arena (-14%), entrambi del gruppo Athesis, e del Centro di Pescara (-15%).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà una cifra complessiva di valore un po’ grossolano, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui (ma anche Prima Comunicazione ha intanto parzialmente adeguato i suoi dati dando priorità alle sole vendite individuali). Un esempio delle differenze con i dati che abbiamo raccontato qui sopra è il risultato positivo di Repubblica , che cresce del 4,2% rispetto all’anno scorso grazie all’aggiunta di una grande quota di copie promozionali e omaggio da gennaio di quest’anno.

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)


domenica 11 Febbraio 2024

Le carte su Lady Diana

Tre anni fa ci fu un grande scandalo “postumo” intorno a BBC, la rete televisiva pubblica britannica, quando fu rivelato che una famosa intervista del 1995 con Lady Diana Spencer era stata ottenuta grazie a informazioni false fornite alla stessa intervistata. La storia fu rivelata da un’indagine interna della stessa BBC.
Da allora un giornalista freelance inglese, Andy Webb, sta conducendo un confronto legale con BBC per ottenere accesso alla grande quantità di documenti ed email relativi a quell’intervista e all’indagine, sostenendo che possano contenere informazioni importanti per conoscere di più di quel passaggio storico che fu la separazione e il divorzio tra Diana Spencer e il principe Carlo, che sarebbe poi diventato re. Webb ha ottenuto già una grande quota di documenti, ma che sono stati estesamente censurati con grandi quantità di cancellature.
La contesa legale è un altro interessante esempio di come nel Regno Unito – e in altri paesi democratici – il diritto all’informazione sia ampiamente regolato e di frequente affidato alla decisione di tribunali e sentenze , per mantenere un equilibrio tra quello stesso diritto e opposte ragioni di privacy, o comunque di segretezza di determinate notizie.


domenica 11 Febbraio 2024

Parallelamente

Il Post ha raccontato il progetto di acquisizioni e investimenti in siti “verticali” da parte di GEDI Digital, e cosa fa GEDI Digital.

“Tra le molte difficoltà che sta attraversando il business dei giornali in Italia, una storia che continua a essere protagonista dei cambiamenti, con sviluppi frequenti, è quella che riguarda il gruppo editoriale GEDI, le cui proprietà più note – i quotidiani Repubblica e Stampa – hanno subito grosse trasformazioni, e che in questi anni hanno avuto declini di copie maggiori di quelli dei concorrenti (tutte le testate quotidiane perdono copie ogni anno da almeno vent’anni).
All’interno delle redazioni è stata spesso criticata in questi anni una mancanza di visione e prospettive dell’azienda rispetto a ruoli e destini dei due giornali, ma nel frattempo l’azienda stessa ha invece messo attenzioni e investimenti su presenze nuove sul web e sul digitale in genere. Se da una parte il gruppo è sembrato trascurare lo sviluppo digitale e l’innovazione nei suoi brand più famosi, dall’altra sta costruendo loro intorno un patrimonio di proprietà digitali in un’area assai varia tra il giornalismo e l’intrattenimento”.


domenica 11 Febbraio 2024

Il governo diviso sui bandi e i quotidiani

Un aggiornamento sulle regole per la pubblicazione dei bandi pubblici sui quotidiani, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa: una consuetudine nata – e diffusa in molti paesi – per dare conoscenza più larga possibile, e opportunità eque, a iniziative di interesse pubblico, ma diventata discussa e anacronistica in tempi in cui i quotidiani non sono più lo strumento più efficace in questo senso: sia per la loro diminuita diffusione che per la maggiore permanenza delle comunicazioni online. Ma quelle regole sono tuttora vissute dagli editori dei giornali – che lo dicono piuttosto trasparentemente – anche come una forma di finanziamento pubblico a un settore in difficoltà, a prescindere dalla validità corrente del loro fondamento.

Ora quelle regole stanno scadendo e il governo non sembra intenzionato a rinnovarle, perché ci sono richieste dell’Unione Europea e del PNRR – oltre che costi pubblici minori – per un aggiornamento degli strumenti di pubblicità dei bandi attraverso delle piattaforme online. Gli editori dei quotidiani più beneficiati da quei contributi diretti stanno quindi facendo molte pressioni per un ripensamento attraverso qualche tipo di emendamento al decreto “Milleproroghe“. Questa settimana i quotidiani maggiori hanno ospitato anche delle inserzioni della federazione degli editori, e hanno mobilitato appoggi all’interno della maggioranza: il quotidiano Repubblica ha anche dato uno spazio e un’autorevolezza inconsueti al senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che propone un rinvio della questione e una conservazione delle regole e del contributo.


domenica 11 Febbraio 2024

Meno paywall per tutti

Ma niente rimane mai stabile a lungo in questi anni, e anche l’altra maggiore fonte di ricavo – gli abbonamenti – che è diventata la priorità per quasi tutti negli ultimi cinque-sei anni, ha già cominciato da un po’ a dare segni di una possibile saturazione e di un rallentamento. Quindi, sostiene il sito americano Axios, alcuni grossi siti internazionali stanno iniziando a ripensare la rigidità dei loro paywall per tornare ad avvicinare nuovi potenziali abbonati alle proprie offerte (e per non limitare troppo il traffico e i suoi ricavi pubblicitari), e a sperimentare offerte più diversificate.


domenica 11 Febbraio 2024

A che punto siamo con i cookie

Sbrigativo riassunto semplificato: i giornali hanno sempre avuto e hanno tuttora due maggiori fonti di ricavo. Adesso una di quelle è piuttosto in declino, quella della pubblicità, ma continua a essere prevalente e indispensabile per la maggior parte delle imprese giornalistiche. L’altra, i lettori paganti, è cresciuta negli anni scorsi per chi le ha dato priorità, ma ha rallentato nell’ultimo anno.
C’è persino chi dice che ormai per la maggioranza dei giornali quei modelli non saranno più sufficienti.
Per i prodotti giornalistici digitali il declino della pubblicità ha avuto un fattore specifico che sta diventando sempre più concreto: le scelte e le regole che – per proteggere la privacy degli utenti – stanno venendo introdotte contro i “cookie di terze parti”: ovvero, sempre detto sbrigativamente, la possibilità dei siti di ottenere e raccogliere informazioni sugli utenti e sui loro comportamenti e navigazioni anche fuori dai singoli siti. Con conseguente perdita di valore degli spazi pubblicitari, per minore capacità di profilazione. La scelta più importante in questa direzione è stata quella di Google e del suo browser Chrome, che dopo averla annunciata da tempo inizierà a metterla in pratica quest’anno, con grande allarme del mondo della pubblicità digitale e degli editori.

Invece, raccontata con molta più completezza e dall’inizio, qui:

“Google ritiene invece che i tempi siano maturi per compiere il passaggio, anche perché il suo progetto per farlo è in ritardo di più di un anno rispetto alle tempistiche comunicate qualche anno fa quando la società aveva iniziato a lavorare ai sistemi di tracciamento per la pubblicità online. Il sistema ormai in via di attivazione ha però fatto sollevare altre perplessità, con accuse rivolte a Google di voler avvantaggiare il proprio browser rispetto a quelli della concorrenza e di voler tutelare il proprio sistema per la pubblicità a scapito sempre dei concorrenti. La faccenda è complicata, ma ci riguarda tutti e parte da un “biscottino””.


domenica 11 Febbraio 2024

Charlie, le notizie prima che accadano

In mezzo a tutti i cambiamenti che riguardano i giornali ce n’è uno che sembra piccolo ma ha un grosso valore simbolico ed esemplare: i quotidiani non escono più la mattina (o il pomeriggio), come hanno fatto per secoli. Le edizioni digitali dei quotidiani – ovvero il “giornale”, quello completato e concluso, con quel numero di pagine e articoli – escono quasi tutte pochi minuti dopo la mezzanotte, e alcune anche prima. Quotidiani che “chiudono” presto – il Foglio o Domani, per esempio – portano la data di giovedì ma sono già leggibili il mercoledì. Altri sono leggibili e letti poco dopo la mezzanotte, in un tempo che le vite di molti collocano ancora sul giorno prima. Oltre a quello che implicano nel ruolo del “giornale” e della sua lettura all’interno delle vite e delle abitudini (con antichi nostalgici precedenti per gli abitanti delle grandi città e gli strilloni della mezzanotte ai semafori stradali), questi nuovi tempi di lettura generano occasionali piccole contraddizioni. Potete leggere, prima di andare a dormire, notizie che vi sembrano vecchie l’indomani – quando molti ne parleranno -, o articoli che annunciano eventi “nella giornata di oggi”, che però è domani. Fino al paradosso da Ritorno al futuro per cui venerdì sera, a mezzanotte e qualche minuto, su alcuni quotidiani si poteva leggere che Amadeus aveva letto un comunicato degli agricoltori sul palco di Sanremo prima ancora che Amadeus leggesse davvero il comunicato degli agricoltori sul palco di Sanremo.

Fine di questo prologo.


domenica 4 Febbraio 2024

I prossimi dieci anni

Il giornalista e scrittore Michele Serra ha pubblicato sul Post un bilancio del primo anno della sua newsletter Ok Boomer!.

“Ero abbastanza preoccupato, all’inizio. Curioso e preoccupato. Il Post non è un giornale qualunque. È un giornale, da molti punti di vista, antagonista rispetto al giornalismo nel quale io sono cresciuto e ho avuto fortuna. È un giornale che cerca davvero, nella sua prassi quotidiana, nelle parole che sceglie, nella titolazione, di essere “oggettivo”: rispettoso della realtà, attento alle fonti, diffidente delle semplificazioni. Il suo linguaggio giornalistico è di ammirevole “freddezza”, e questa qualità è tanto più evidente quanto più il linguaggio dei media tradizionali, nella disperata ricerca di sopravvivenza, diventa sempre più emotivo e sopra le righe – e si scava la fossa senza accorgersene. E sebbene la forma della newsletter autorizzi e anzi incentivi una scrittura più personale, più confidenziale, qualche timore di essere dissonante, nel nuovo posto dove cominciavo a scrivere, ce l’avevo”.


domenica 4 Febbraio 2024

Molto Amato

Il quotidiano Repubblica ha costruito negli scorsi mesi una particolare assiduità nell’intervistare l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato a proposito dei fatti correnti o del più e del meno, dando alle interviste – condotte sempre dalla giornalista Simonetta Fiori – spazi che arrivano alle due pagine e creandone un inedito format mensile che ha chiamato “Conversazioni con Giuliano Amato”. Con puntate l’8 giugno, il primo luglio, il 31 luglio, il 2 settembre, il primo ottobre, il 4 novembre, il 30 novembre, il 2 gennaio, il 31 gennaio.
Amato ha 85 anni e fino a settembre 2022 era stato presidente della Corte Costituzionale.


domenica 4 Febbraio 2024

Parentesi

Concita De Gregorio ha lasciato la direzione dell’edizione italiana dello Hollywood Reporter dopo meno di un anno dalla sua uscita.

“Considero il mio lavoro di avviamento terminato. La nave non solo è varata, ma ha preso il largo. Sono certa della solidità e della forza di questa redazione, di cui Roberto Brunelli è motore. Ho creduto e credo che il cinema, le serie tv, la musica e la moda siano i linguaggi attraverso i quali si formano oggi il sentimento di realtà, la cittadinanza, i desideri e le consapevolezze. Tutto è politica, fare al meglio il proprio lavoro senz’altro lo è. Torno dunque ai miei antichi compiti di scrittura e, prossimamente, sempre più al teatro: che non ho mai abbandonato e che considero oggi più di sempre luogo sacro di democrazia e di bellezza”.

Lo Hollywood Reporter è una testata americana importante e autorevole nello show business, con una storia quasi centenaria: è stata a lungo un quotidiano del settore, poi una dozzina d’anni fa è passata a una frequenza settimanale – e un sito web – con ambizioni di un pubblico più “largo” di appassionati alle notizie dello spettacolo. È pubblicato da una joint venture di società di cui fa parte il grande gruppo editoriale Penske, che possiede anche Variety Rolling Stone, tra le altre. L’edizione italiana è una partnership tra l’editore americano e la società italiana Brainstore Media. Il nuovo direttore Boris Sollazzo si è presentato con un editoriale sabato.


domenica 4 Febbraio 2024

Il metodo Belpietro

Martedì il settimanale Panorama ha annunciato l’apertura delle iscrizioni di un master in giornalismo chiamato Panorama Journalism Academy, cioè «una scuola che insegni il “metodo Belpietro”, in cui il culto del dubbio e la contro narrazione sono da sempre i tratti distintivi». Da quando è stato venduto dal suo storico editore Mondadori Panorama fa parte del gruppo editoriale SEI, lo stesso del quotidiano La Verità, creato dal giornalista Maurizio Belpietro che dirige entrambe le testate.
È un master di primo livello (e richiede quindi una laurea triennale) In collaborazione con l’università telematica eCampus, dura un anno, vale 60 crediti formativi e sarà diretto da Massimo de’ Manzoni, che è anche condirettore della Verità, e che spiega: «Abbiamo dei corsi standard sul giornalismo (di storia, di diritto, di deontologia) e poi abbiamo dei corsi specifici tecnici (per la carta, il web, la tv, la radio) ma con un taglio particolare e identitario anche grazie ai nostri docenti: Mario Giordano per esempio insegnerà giornalismo televisivo con il suo giornalismo non convenzionale; un altro docente sarà Francesco Borgonovo che insegnerà “Storia del pensiero unico”, Martino Cervo si occuperà del linguaggio dell’Intelligenza Artificiale, Franco Battaglia si occuperà del rapporto tra informazione e scienza, saper leggere i dati e non farsi infinocchiare è fondamentale dopo quello che è successo con il Covid e ora con il cambiamento climatico».

«Immagino il corso anche come un serbatoio dove poi i migliori ce li teniamo vicini e troviamo il modo di farli collaborare e eventualmente inserirli in corso d’opera. Il corso si completa con prove pratiche e faremo un giornale apposito, Panorama News, di carta e web: me ne occuperò personalmente e faremo tutto quello che fa una redazione. Al momento il master non è una scuola di giornalismo riconosciuta dall’Ordine dei giornalisti, ma essendo un master di primo livello e avendo prove pratiche sul campo abbiamo iniziato un’interlocuzione con l’Ordine per vedere se c’è la possibilità per un praticantato parziale: ma sicuramente non per quest’anno». Da diversi anni molti giornali stanno investendo sulla creazione di scuole e corsi di formazione anche per trovare nuovi modelli di sostenibilità economica, e questo è anche il caso del master di Panorama: «non è il principale ma esiste l’aspetto economico, cioè il master è anche una forma di business, sarebbe sciocco negarlo. Abbiamo degli sponsor che ci sostengono ma 15 iscritti sono il tetto minimo perché altrimenti il corso non si regge in piedi. Il tetto massimo è di 30 persone; vogliamo seguirle bene e al momento non abbiamo la struttura per seguirne di più. Il costo del master è di 7.500 euro».
L’annuncio del master era stato pubblicato martedì sui siti di Panorama Verità ma ha dovuto essere temporaneamente rimosso da entrambi per un’incomprensione sull’uso nella sua promozione del logo del Ministero dell’Università e della Ricerca.


domenica 4 Febbraio 2024

“Si riserva”

A proposito di regole e strumenti e volontà per farle rispettare: il Garante per la privacy ha criticato con severità – non che il suo giudizio implichi fin qui qualche conseguenza – alcune testate giornalistiche per le loro violazioni nel diffondere alcune immagini su un fatto di cronaca della settimana passata.

“Venerdì 26 gennaio un bambino di circa sei mesi è stato lasciato da una donna al pronto soccorso dell’ospedale di Aprilia, in provincia di Latina. Nelle ultime ore il Tg1 e poi altri telegiornali e giornali online hanno trasmesso il video delle telecamere di sicurezza che mostrano la scena e il volto della donna. Il Garante della privacy, così come il coordinamento per le pari opportunità dell’Ordine nazionale dei giornalisti, hanno preso posizione contro la pubblicazione delle immagini”.


domenica 4 Febbraio 2024

Cambiare il corso della storia

Il Post ha raccontato una delicata questione di etica giornalistica che è stata affrontata dal quotidiano statunitense Boston Globe, che si inserisce dentro una lunga storia di complicati coinvolgimenti dei giornalisti nelle storie che raccontano, e che mostra la vivacità del dibattito e delle attenzioni – nelle più autorevoli redazioni americane – rispetto a tutta una serie di principi.

“L’articolo riguarda il suicidio assistito di una donna del Connecticut, Lynda Bluestein, che a causa dei divieti in vigore nel suo stato ha dovuto trasferirsi nel Vermont, dove la pratica è consentita. La storia è particolare e rappresentativa, ma l’articolo è stato discusso anche perché l’autore, il giornalista Kevin Cullen, ha attivamente aiutato Bluestein a ricorrere al suicidio assistito firmando un documento per facilitare la pratica, intervenendo quindi in modo attivo e diretto sulla storia che stava raccontando, influenzandone lo svolgimento e diventando, di fatto, parte della storia che stava scrivendo”.


domenica 4 Febbraio 2024

Dettagli

Nelle scorse settimane c’è stata una polemica tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il quotidiano Repubblica, che ha avuto qualche riverbero anche sugli altri quotidiani. In estrema sintesi Meloni ha reagito alle critiche di Repubblica sui progetti di privatizzazioni di aziende pubbliche da parte del governo ricordando a Repubblica che la maggiore società del suo editore – Stellantis, produttrice di automobili – ha scelto spesso in questi anni dismissioni e cessioni di sue attività italiane. Repubblica ha ritenuto questo commento un attacco al lavoro dei suoi giornalisti e alla propria libertà, e ne ha fatto una campagna che sta ancora durando, mescolandola a quella contro le ipotesi che il governo cambi una norma sulla pubblicazione di determinate ordinanze.

Nel quadro molto polarizzato dei maggiori quotidiani italiani la questione è stata ripresa anche da altre testate, per associarsi alle proteste di Repubblica soprattutto per prendere le parti di Meloni. Quindi a sua volta Repubblica ha citato con irritazione e sprezzo alcune di queste ultime testate, compreso il Foglio, che di Meloni è raramente difensore ma ha un’antica attenzione critica per le scelte di Repubblica, e ha in più di un’occasione preso in giro quest’ultima campagna.

Tutto questo per mettere nel contesto un articolo del Foglio di giovedì che, a prescindere dal contesto stesso, ha raccontato un errore sostanziale in un articolo di Repubblica del giorno prima, che ne annullava il senso e la tesi. Errore poi corretto con una scelta originale: ovvero di mantenere l’articolo inalterato, titolazione smentita compresa, salvo indicare in testa all’articolo che i dati citati sono “frutto di un errore”.


domenica 4 Febbraio 2024

Shoot the Messenger

Ma il caso più commentato di fallimento nel business statunitense dei giornali questa settimana è stato quello del sito di news The Messenger. Quasi tutti gli articoli sulla sua spettacolare chiusura – dopo avere speso 38 milioni di dollari in otto mesi – hanno insistito sul distinguerlo da tutte le altre notizie di crisi nei giornali delle ultime settimane, e descriverlo come una catastrofe a sé, prevedibile e prevista.
La startup giornalistica, che si occupava prevalentemente di news generaliste e politica, era stata lanciata appena il 15 maggio dell’anno scorso e i principali dirigenti avevano fatto grandi proclami per i piani futuri dell’azienda: il giornale era partito con 200 dipendenti (di cui due terzi giornalisti) e nella sua crescita prevedeva di arrivare a 500 assunzioni. The Messenger aveva raccolto circa 50 milioni di dollari prima del lancio con l’obiettivo di raggiungere un fatturato di 100 milioni di dollari nel 2024. Il fondatore era l’imprenditore Jimmy Finkelstein (ricco ex editore del sito americano The Hill ) mentre il presidente della società editoriale era Richard Beckman (che aveva una lunga esperienza nei media, soprattutto nel gruppo Condé Nast).

Molti osservatori avevano criticato da subito la sventatezza del progetto, sia per la sua dimensione e i suoi costi che per il suo anacronismo: un’idea di giornale tradizionale e novecentesca negli approcci editoriali e superata come modello di business basato su numeri di traffico enormi e ricavi pubblicitari. Il prodotto aveva mostrato subito questi limiti, con grande debolezza di contenuti e quantità enormi di pagine di grande povertà. Il creatore ed editore ha sempre manifestato simpatie conservatrici, e vicini alla destra erano i milionari che avevano finanziato il progetto: quindi è facile leggere non solo molti “io l’avevo detto” ma anche qualche infierire, negli articoli delle testate liberal sulla sua teatrale chiusura (tutti i suoi contenuti sono stati messi offline, sul sito non c’è più niente). Qui un suo giornalista racconta la penosa fine e il modo in cui è stata comunicata.

(in italiano ne ha scritto il Foglio).


domenica 4 Febbraio 2024

Salvare il salvabile

Il repertorio di articoli sul momento drammatico delle aziende giornalistiche americane si è arricchito questa settimana del contributo sull’ Atlantic di Paul Farhi, fino a poco fa “media reporter” del Washington Post. Il quale ha fatto di nuovo un riassunto dei sintomi di crisi per sostenere che non sarà il mercato a salvare la situazione e l’importanza del giornalismo per le democrazie, ma devono essere le democrazie stesse a proteggerlo: ovvero, dice Farhi, anche il parlamento statunitense dovrebbe imporre a Google e Facebook delle compensazioni per i giornali, come si è deciso di fare in Australia e Canada.

Intanto alle molte testate americane che hanno deciso riduzioni dei dipendenti e dei giornalisti nelle ultime settimane, si è aggiunto anche il Wall Street Journal: cosa che ha fatto molto notizia, data la forza di quel giornale e della società che lo possiede.


domenica 4 Febbraio 2024

Meno bandi per tutti

In Italia una serie di norme ha sempre imposto alle amministrazioni pubbliche di pubblicare determinate comunicazioni sui giornali, con l’obiettivo di consentire massima pubblicità e trasparenza all’oggetto di quelle comunicazioni. Si tratta di solito di bandi pubblici, e ne avevamo scritto su Charlie la prima volta tre anni fa.

“quelle più frequenti e familiari a chi sfoglia i quotidiani sono i bandi di gara pubblici, poi ci sono avvisi diversi che si ritiene corretto abbiano estesa pubblicità tra i cittadini e gli interessati e non restino confinati ai documenti amministrativi; e anche la pubblicazione delle sentenze processuali, che ha altre regolamentazioni ma che si riferiscono in molti casi sempre alla carta stampata.
Sono casi spesso diversi tra loro, ma in prevalenza sono imposti o da leggi specifiche sulla comunicazione pubblica di alcuni atti, o da leggi specifiche sulla quota di investimenti che le amministrazioni devono destinare alla pubblicità (e ci sono state sanzioni in passato per quelle che non l’hanno rispettata).

Per farla breve: lo Stato ritiene che i giornali siano un servizio pubblico utile alla comunicazione “ufficiale” e li ha inclusi formalmente tra i propri canali di informazione, al tempo stesso creando una fonte di ricavo pubblicitario garantito per i giornali stessi (stimato negli anni scorsi come il 10% circa dei ricavi pubblicitari)”.

Queste norme sono state messe in discussione negli ultimi anni, e per questo ne avevamo già scritto allora (tornandoci poi quando discussioni simili erano avvenute nel Regno Unito negli Stati Uniti).

“il problema è che l’utilità di queste comunicazioni pubbliche – così come sono concepite – è diventata anacronistica: in quanto continua a considerare soltanto l’informazione su carta e non quella online, laddove la seconda sarebbe oggi molto più efficace per questo tipo di comunicazioni. Perché le persone ormai si informano molto di più online, perché i contenuti online hanno una permanenza molto maggiore ed efficace, perché sarebbe un risparmio prezioso per gli enti pubblici. Lo aveva segnalato a un certo punto il governo Renzi in maniera sommaria (ovvero suggerendo di limitarsi a usare i siti istituzionali, poco visibili e visitati, che sarebbe un ripiego inadeguato), ma si è persa a causa di resistenze e campagne delle grandi testate; e anche della bassa priorità, in termini di consenso, di una scelta la cui utilità i cittadini percepiscono poco”.

Da diversi anni le norme in questione, in assenza di una revisione più ampia, vengono reinserite ogni anno “temporaneamente” in quello che si chiama “decreto milleproroghe“: in sostanza, come si fa per altre questioni, il governo dice “per quest’anno facciamo così, poi vedremo”, e si prosegue così per anni. Quindi adesso siamo di nuovo all’eventuale rinnovo della consuetudine, fortemente sostenuto dagli editori di giornali, perché costituisce una secondaria ma preziosa fonte di sostegno economico pubblico alle testate coinvolte (nei fatti quasi tutte cartacee). Ma oltre alle ragioni di anacronismo di questa pratica, quest’anno ci sono all’interno della maggioranza di governo altre resistenze: che hanno a che fare con gli interventi in generale per ridurre i costi pubblici, ma anche con le richieste del PNRR di modernizzare questo tipo di comunicazioni pubbliche e gestirle attraverso strumenti digitali. Quindi gli editori di giornali cartacei – che abitualmente ottengono ascolti e attenzioni da parte di governi e parlamenti, in ragione della loro capacità di pressione – sono più preoccupati del solito di perdere questo beneficio.


domenica 4 Febbraio 2024

Libertà e regole

Nei paesi occidentali con cui l’Italia spesso si confronta è frequente che le norme e le leggi relative alla stampa creino dei conflitti tra tribunali e giornali: è molto più frequente che in Italia perché in diversi paesi è molto più regolato che da noi quello che sia lecito e non lecito fare da parte dei giornali, e che quindi un giornale avanzi delle richieste presso i tribunali oppure che un tribunale imponga dei comportamenti a un giornale. Sono modelli che andrebbero conosciuti e studiati di più da noi, dove questo non avviene mai perché le scelte sono molto meno regolate e quasi sempre affidate solo all’etica supposta di chi dirige i giornali stessi.

Due casi esemplari recenti riguardano il Regno Unito e gli Stati Uniti. Nel primo una giudice ha autorizzato la pubblicazione dei nomi dei responsabili dell’omicidio di Brianna Ghey, una ragazza transgender di sedici anni, malgrado i suoi assassini abbiano anche loro ancora sedici anni, e la legge britannica preveda che in questi casi i nomi dei coinvolti non possano essere pubblicati fino alla maggiore età (la legge prevede tutele e rispetto dei diritti dei giudicati colpevoli, considerati cittadini come gli altri, piuttosto impensabili da noi). La giudice ha ritenuto che rispetto al percorso di recupero e reinserimento dei condannati (a 20 e 22 anni), e alla loro salute in carcere, sia più nociva la rivelazione dei loro nomi tra due anni che non adesso. Altre considerazioni riguardano l’eccezionalità del crimine, compiuto con una violenza e un odio che hanno generato grandi attenzioni e indignazioni, e che merita secondo alcuni una conoscenza e una comprensione completa da parte del pubblico: e la giudice ha ritenuto che questo sia un raro caso in cui la legge prevede possibili eccezioni alla norma generale. Un tribunale ha insomma deciso che possa sussistere la condizione eccezionale in cui l’interesse pubblico a essere informati prevalga sui diritti degli imputati (ma solo una volta che sono stati condannati).

Un confronto legale altrettanto impensabile in Italia sta avvenendo in Oregon, dove al maggiore quotidiano dello stato è stato ordinato da un giudice di non pubblicare e di distruggere dei documenti giudiziari consegnati per errore alla redazione da un’avvocata all’interno di un dossier su un’inchiesta per discriminazione che riguarda l’azienda Nike. Il giornale si è rifiutato e ha fatto ricorso, ed è in corso una contesa giudiziaria, tutta intorno a un sistema di regole, di diritti e di doveri, e di violazioni eventualmente perseguibili. Senza che nessuno, in questi casi, definisca “bavagli” i limiti condivisi e stabiliti nei confronti del diritto di informazione: affrontando le questioni nei tribunali e mettendo in conto sentenze che vietino e limitino pubblicazioni, o che puniscano le eventuali violazioni.


domenica 4 Febbraio 2024

Charlie, “i giornali”

Nel suo editoriale sul penultimo numero di Internazionale , il direttore Giovanni De Mauro ha celebrato un progetto giornalistico tedescoCorrectiv, e le sue preziose inchieste recenti.

“Nel 2023 Correctiv ha rivelato che la banca tedesca per lo sviluppo ha finanziato progetti di deforestazione in Paraguay; ha dimostrato che la privatizzazione dell’acqua in Germania si sta allargando; ha contribuito ad avviare una causa contro Benedetto XVI per lo scandalo degli abusi sessuali nella chiesa tedesca; ha reso pubblici i progetti di un’azienda privata per costruire un enorme impianto solare e un centro commerciale in una foresta a 80 chilometri da Berlino. E ha condotto altre decine di inchieste, sempre con particolare attenzione alla Germania. Quando qualcuno si chiede a che servono i giornali, Correctiv è una delle migliori risposte”.

Ed è vero che le inchieste di Correctiv sono un esempio ammirevole del buono e utile che fanno i giornali, ma sono appunto, ” un esempio ammirevole del buono e utile che fanno i giornali”. L’esempio non spiega “a cosa servono i giornali”, ma a cosa serve Correctiv. E De Mauro sicuramente voleva parlare di quello, ma il suo commento è utile a ricordare la fallacia delle generalizzazioni, e anche di quella assai diffusa e frequente sui “giornali”, che genera sovente universali e superficiali accuse contro “i giornali”, oppure universali e superficiali difese “dei giornali”. I giornali sono tante cose diverse: alcuni servono, altri non servono ma sono innocui, altri fanno veri e propri danni. Anzi, a volte anche dentro uno stesso giornale si possono trovare questi diversi casi. Le generalizzazioni spesso aiutano e sono inevitabili, ma in questi tempi di critiche ignoranti contro “i giornali” e difese corporative “dei giornali”, meglio criticare le pessime cose che fanno alcuni giornali e difendere le buone cose che fanno altri giornali (a volte persino gli stessi).

Fine di questo prologo.


domenica 28 Gennaio 2024

La proprietà

Il Fatto ha pubblicato mercoledì una pagina di riassunto (e giudizi) di alcuni dei più visibili casi di sovrapposizioni di interessi tra i maggiori quotidiani nazionali e i loro editori. Sullo stesso argomento ha scritto lo stesso giorno anche il quotidiano ItaliaOggi.


domenica 28 Gennaio 2024

Attenzioni

Venerdì la presentazione di un progetto di investimenti della società Snam ha ottenuto l’articolo di apertura delle pagine di Economia del Corriere della Sera: Snam aveva comprato un’inserzione pubblicitaria pubblicata appena due pagine dopo. Anche Repubblica ha scritto dello stesso piano di Snam: in questo caso la mezza pagina a pagamento è uscita il giorno precedente e il giorno successivo.


domenica 28 Gennaio 2024

Mancano i soldi allo HuffPost britannico

Dopo essere stato tra i protagonisti di un promettente successo dei nuovi progetti di informazione online nel primo decennio di questo secolo, il sito americano che si chiama HuffPost (da quando è stato condensato il nome originale di Huffington Post, legato alla fondatrice Arianna Huffington) è stato anche tra le vittime del declino di molti di quei progetti. Il più famoso di quelli, BuzzFeed, anch’esso in difficoltà, aveva acquistato lo HuffPost nel 2020, e chiuso diverse delle sue edizioni non americane, che erano state create nel periodo della massima espansione (quella italiana, pubblicata in partnership, era stata invece ceduta del tutto al gruppo GEDI nel 2021). Ma anche le sei rimaste hanno perso ruolo e visibilità nei rispettivi paesi, e per esempio quella britannica avrebbe problemi di cassa: lo ha raccontato il sito Press Gazette, indicando che HuffPost UK avrebbe allungato a sessanta giorni la scadenza dei pagamenti ai giornalisti freelance, e che questo stesso limite sarebbe però molto poco rispettato (la lunghezza delle attese per i propri compensi è una questione che riguarda, tra altre precarietà, anche i rapporti dei freelance con diverse testate italiane).


domenica 28 Gennaio 2024

I settimanali a novembre

Questi sono i dati di diffusione comunicati per il mese di novembre 2023 dai settimanali italiani iscritti al sistema di certificazione ADS. Nella seconda colonna ci sono gli stessi dati relativi a giugno (quelli più coerenti con cui fare un confronto a distanza), e nella terza la variazione percentuale in questi cinque mesi. Sono dati di diffusione “grossolana” che comprendono anche le copie promozionali e omaggio (53mila per Sportweek, 30mila e 8mila per Donna Moderna Panorama del gruppo editoriale del quotidiano La Verità: quasi tutte copie digitali), quelle a prezzi scontatissimi (50mila ciascuno per Sette IoDonna ) o quelle vendute in quantità “multiple” ad aziende o istituzioni. Naturalmente alcuni settimanali beneficiano rispetto ad altri dell’essere venduti allegati a un quotidiano.
(l’immagine si ingrandisce cliccandoci sopra)


domenica 28 Gennaio 2024

Le inserzioni truffaldine su Instagram e Facebook

Il mese scorso il sito della Radio Svizzera di lingua italiana ha pubblicato una lunga indagine su cosa ci sia “dietro” alle inserzioni pubblicitarie che compaiono su social network e siti web e che promuovono notizie false attribuendole a testate note, compresa RSI.

“Roger Federer denunciato perché ha divulgato un trucco per arricchirsi senza sforzo; la conduttrice italiana Bianca Berlinguer che si trova in un contenzioso con la BNS per lo stesso motivo e il Consiglio federale che ha sviluppato una “speciale piattaforma” per “permettere ai residenti di saldare i propri debiti in un mese”. Notizie strampalate che circolano sui social e che hanno alcuni aspetti in comune: parlano di soldi e sembrano pubblicate dai profili social e dal sito della RSI. Ma attenzione: sono tutte false.
Ne abbiamo già parlato: si tratta di post su Instagram e Facebook che copiano la nostra identità grafica e che, se cliccati, portano a un sito, anche questo farlocco, che sembra essere il nostro.
Per fortuna la grande maggioranza degli utenti capisce subito che si tratta di riproduzioni. Ma c’è anche chi ci chiede se siamo noi a divulgare queste informazioni. Lo ribadiamo: no. Ma truffe e i raggiri online corrono sempre più veloci: per questo, per fare chiarezza, abbiamo deciso di tentare di riavvolgere il filo di questi contenuti “fake””.


domenica 28 Gennaio 2024

Un altro direttore all’Espresso

Non passa mai tanto tempo senza una notizia che riguardi il settimanale L’Espresso, che non è mai un buon segno: dopo i successivi passaggi di proprietà si è dimesso il direttore Alessandro Mauro Rossi, dopo appena un anno. Il nuovo direttore è Enrico Bellavia, 58 anni, che era vicedirettore finora.
L’Espresso era stato ceduto una prima volta a primavera del 2022 dall’editore GEDI, nell’ambito delle molte dismissioni del gruppo che un tempo si chiamava proprio “gruppo Espresso” per via di una delle sue testate più importanti, e che è stato acquistato dalla famiglia Agnelli Elkann nel 2019. Il sito Professione Reporter ipotizza che le copie vendute dal settimanale siano oggi circa 10mila: fino a settembre, quando era venduto in edicola insieme a Repubblica, l’istituto ADS certificava circa 110mila copie.


domenica 28 Gennaio 2024

115 licenziati

La crisi del Los Angeles Times, il più importante quotidiano “locale” degli Stati Uniti, ha avuto uno sviluppo drasticosaranno licenziate almeno 115 persone nella redazione, ovvero più di un quinto del totale. Il giornale perde tra i 30 e i 40 milioni di dollari l’anno, ha detto il suo proprietario, che è in conflitto col sindacato dei giornalisti che la settimana scorsa aveva organizzato un giorno di sciopero (scelta piuttosto rara nei giornali americani).


domenica 28 Gennaio 2024

Un altro direttore al Tirreno

Il Tirreno è lo storico quotidiano di Livorno e della costa toscana: riadottò il suo nome negli anni Settanta del secolo scorso, dopo fusioni e alternanze con quello del Telegrafo. Nello stesso periodo fu acquisito dal gruppo Espresso e per quarant’anni ha fatto parte della ricca offerta di quotidiani locali di quell’editore: con il cambio di proprietà del gruppo è stata una delle prime cessioni della nuova azienda GEDI ed è stato comprato nel 2019 da una società costruita apposta intorno a un imprenditore, Alberto Leonardis, che aveva già avuto una breve esperienza da editore col quotidiano pescarese Il Centro.
Questi quattro anni sono stati abbastanza tormentati: con insoddisfazioni della redazione, progetti poco chiari o poco convinti, e una perdita di copie superiore alla media dei quotidiani locali (nei dati più recenti, -22% rispetto a un anno prima). Adesso c’è un nuovo cambio di direzione: il nuovo direttore è Cristiano Marcacci, 53 anni, già vicedirettore e con una lunga carriera all’interno del giornale, che sostituisce Luciano Tancredi, nominato dalla proprietà due anni fa e che ora sarà “direttore editoriale” di tutto il gruppo (che possiede anche tre quotidiani emiliani e uno sassarese).


domenica 28 Gennaio 2024

La confusione è grande under the sky

Intanto che si aspettano sviluppi concreti sui suoi cambi di proprietà (ma si annunciano altri rinvii), il Daily Telegraph sta provando a rinnovare il suo ruolo di giornale di riferimento del partito Conservatore britannico, secondo un articolo del Guardian (il suo concorrente progressista): approfittando del momento di grave crisi del partito stesso, e della imprevedibilità delle sue prospettive. Secondo l’articolo il Telegraph considera inevitabile il fallimento dell’attuale Primo ministro Sunak nel guidare il partito verso le elezioni di quest’anno, e avrebbe quindi deciso di sostenere i suoi oppositori e farsi “king maker” della fase successiva. Questa settimana il Telegraph ha pubblicato un discusso articolo di un ex ministro conservatore che chiedeva di fatto le dimissioni di Sunak, e ha molto promosso i risultati di un sondaggio contro di lui. Si tratterebbe, conclude l’articolo del Guardian , di un tentativo da parte del quotidiano di reimpadronirsi del suo ruolo messo in crisi dall’uso dei social network e dalla tv di destra GB News, nata sul modello dell’americana Fox News.


domenica 28 Gennaio 2024

Una settimana più tosta ancora per i giornali americani

Sembra che non si sia mai interrotto, da quando esiste Charlie, il periodo di “crisi dei giornali americani”, che è un tema ricorrente di queste cronache e che rischia ripetizioni, ma dà anche occasioni di raccontare casi diversi e notevoli, storie di giornali importanti, questioni particolari di quello che sta succedendo al giornalismo in tutto il mondo.
Questi ultimi giorni però hanno effettivamente ospitato una concentrazione eccezionale di nuove complicazioni e sintomi di difficoltà: grosse quote di licenziamenti hanno riguardato testate le più diverse per storia e natura, il Los Angeles TimesSports IllustratedForbesTime; le crisi stanno generando frequenze di scioperi mai viste nelle redazioni statunitensi; altre testate locali o online vengono chiuse. Tanto che, insieme ai quotidiani report su questi singoli sviluppi, nei giorni scorsi sono stati pubblicati allarmati bilanci generali su due testate importanti come il New York Times il New York Magazine.

“The recent bad news is, in some ways, a continuation from last year. In 2023, Business Insider, The Los Angeles Times and NPR cut at least 10 percent of their staffs; the news division of BuzzFeed was shut down; News Corp cut 1,250 people; National Geographic laid off its remaining staff writers; Vox Media went through two rounds of layoffs; Vice Media filed for bankruptcy; Popular Science shut its online magazine; and ESPN, Condé Nast and Yahoo News all cut jobs”.

Intanto Ben Smith, il fondatore del sito Semafor e probabilmente il più noto giornalista che si occupa di giornali nel mondo, ha intervistato il nuovo CEO del Washington Post – Will Lewis, che abbiamo già citato nel prologo – il quale propone un nuovo ordine di idee di maggiori sperimentazioni per raccogliere il contributo economico dei lettori, perché secondo lui il modello delle “subscriptions” così com’è non è già più sufficiente.


domenica 28 Gennaio 2024

Gli errori pesano

Dopo che l’invasione russa dell’Ucraina era stata raccontata come “la prima guerra sui social network” per il ruolo iniziale che avevano avuto video e informazioni diffuse online non solo dai giornali, quello che da tre mesi sta avvenendo a Gaza è stato a lungo analizzato e commentato per l’impegno enorme di propaganda che sia Hamas che Israele stanno dedicando a ottenere preziose attenzioni e indulgenze per le loro azioni: e molti articoli sono stati già scritti sulla diffusione di notizie false e sulla difficoltà di verificarle, con fallimenti che hanno riguardato anche le maggiori testate giornalistiche.
Questa settimana il sito della rivista americana Atlantic ha spiegato invece alcuni esempi in cui alle falsificazioni ha concorso un misto di sbadatezze giornalistiche e inadeguatezze nell’affrontare delle lingue poco conosciute dai media occidentali come quelle usate in Israele e a Gaza. Alcuni virgolettati errati o non compresi, attribuiti a membri del governo israeliano, sono arrivati ad avere conseguenze nel dibattito politico internazionale e nello stesso procedimento che riguarda l’accusa di genocidio contro Israele.

“Queste omissioni e cattive interpretazioni non sono solo formali: hanno ingannato lettori, giudici e politici. Non doveva succedere. La buona notizia è che in futuro possono essere evitate assicurandosi di controllare le traduzioni alla fonte; chiedendo ai giornalisti di linkare le fonti originali quando è possibile; e mettendo nel contesto i riferimenti alle scritture religiose di ciascuna fede.
[…] Principi neutrali come questi non risolveranno le profonde questioni morali e politiche poste dalla guerra tra Hamas e Israele. Non basteranno a dire ai lettori cosa pensare di questa devastazione. Ma garantiranno che qualunque conclusione a cui i lettori arrivino sia basata sui fatti, non su invenzioni: che è, in fondo, l’obiettivo del giornalismo”.


domenica 28 Gennaio 2024

Charlie, Trump non basterà

È una importante storia sui media americani, che sono spesso modello di sviluppi che riguarderanno anche gli altri paesi del mondo, ma racconta anche un’antica apparente contraddizione nel rapporto tra testate giornalistiche e politica. La contraddizione è questa: più popolari e più inaccettabili diventano le posizioni dei leader politici che un giornale si sceglie come “avversari”, più quel giornale vede opportunità favorevoli e si impegna per sfruttarle commercialmente. Gli esempi anche italiani sono molti, pure nell’attualità di questi giorni, ma uno dei più noti è la lunga convivenza – di reciproche soddisfazioni – del successo politico di Silvio Berlusconi e del successo commerciale dei giornali che più lo contestavano (il mercato dei giornali non ha bisogno di maggioranze, come la politica: una cospicua e sconfitta minoranza è già un bacino sufficiente per un successo).

Ma la storia americana attuale è questa, deludente e teatrale al tempo stesso: le maggiori testate americane hanno conosciuto un periodo di “rinascita” negli anni della presidenza Trump, grazie alle eccitazioni e agitazioni quotidiane che Trump immetteva sulla scena pubblica, e ai bellicosi confronti che generava. Soprattutto le testate che hanno scelto di criticare di più la sua amministrazione, e di farne una “linea” (entrando in irrisolti tormenti su quanto spazio dare alle sue boutade e alle sue falsificazioni, incapaci di sottrarsene). Quel periodo di attenzione – a cui ha concorso anche la maggiore richiesta di informazione nel primo periodo della pandemia – è stato sfruttato dalle aziende giornalistiche spingendo i nuovi modelli di abbonamento, con confortanti crescite per diverse di loro.

Quel periodo si è però interrotto, o ha molto rallentato, negli scorsi due anni: c’entrano anche molto una “stanchezza” dei lettori di cui si è molto parlato, e una parziale saturazione del bacino di lettori disposti a pagare per informarsi. Ma il cambio di scenario politico non ha aiutato: tre anni di amministrazione Biden (e anche di allontanamento di Trump da Twitter) hanno “calmato” molto il dibattito politico e pubblico, e disarmato i giornali e le tv. Che quindi – anche quelli più anti trumpiani – investivano e investono molto in questo 2024 di campagna presidenziale col ritorno di Trump e tutto quello che implica. Il problema è che questo 2024 – di fatto senza competizione dal lato delle primarie Democratiche – sembra già avere sgonfiato le curiosità e le attese sul lato Repubblicano: e rimandato le “speranze” a dopo l’estate e le convention, ma senza che il confronto con Biden si annunci già eccezionalmente vivace.

” Non era un segreto che l’ascesa di Trump, pur con i suoi attacchi contro i giornali e le accuse dei giornali per le sue minacce alla democrazia, avesse salvato i loro abbonamenti e affari pubblicitari. Come disse il presidente di CBS Les Moonves agli investitori nel febbraio 2016, «Non farà bene all’America, ma farà benissimo a CBS».
I dirigenti dei media stanno cominciando a fare i conti con il fatto che la campagna del 2024 non porterà un “Trump bump” che salvi i bilanci pubblicitari o recuperi lettori, ascoltatori e spettatori. In un incontro pubblico a Davos la settimana scorsa, il nuovo CEO del Washington Post Will Lewis ha spiegato che il quotidiano, che ebbe un boom durante la prima era Trump, dovrà cercare altrove i suoi abbonati”.

Fine di questo prologo.


domenica 21 Gennaio 2024

«Posso mai aver detto questo?»

Ancora una volta l’autore e disegnatore di fumetti Zerocalcare ha contestato il virgolettato usato per titolare una sua intervista su Repubblica (con un cui articolo c’era stata una recente polemica): ancora una volta provando a mettere in discussione una consuetudine di virgolettati inventati che sui quotidiani è quotidiana.


domenica 21 Gennaio 2024

Le democrazie delle tv

C’è stata una polemica intorno all’annuncio dei risultati delle primarie Repubblicane in Iowa, la cui vittoria è stata attribuita dalle televisioni a Donald Trump quando ancora in alcuni caucus le persone stavano aspettando di votare. Tutto perché la società incaricata degli “entrance poll” – ovvero i sondaggi all’ingresso dei seggi sulla base dei quali sono state fatte le stime ed elaborazioni del voto fornite alle televisioni – ha ritenuto di avere dei dati certi quando appunto non si erano ancora concluse le scelte in ogni seggio, e di darne informazione alle tv. Le quali a quel punto hanno comunicato i risultati, anche per non essere superate da nessuna delle concorrenti. L’effetto è stato di togliere spettacolarmente valore al voto di molti elettori che erano ancora in attesa di votare: la società di sondaggi si è difesa dalle accuse (provenienti soprattutto dai dirigenti del partito Repubblicano) sostenendo che, se si fosse comportata diversamente, avrebbe potuto invece essere accusata di nascondere delle informazioni al pubblico.


domenica 21 Gennaio 2024

Come va coi miliardari editori

Un articolo del New York Times ha elencato le difficoltà di tre grandi e illustri testate statunitensi che a un certo punto erano sembrate avere delle prospettive migliori grazie ai grandi investimenti ricevuti dai loro nuovi proprietari, miliardari con ricchezze acquisite in altri settori: il Washington Post, il Los Angeles Times Time. L’articolo, e il suo titolo, ne concludono che questa condizione non sia sufficiente a ricostruire una sostenibilità delle aziende giornalistiche, ma nella seconda parte è costretto a ricordare che ci sono invece anche casi positivi: quello dell’ Atlantic acquistato da Laurene Powell (vedova di Steve Jobs) e quello del Boston Globe acquistato dal businessman John W. Henry, proprietario della squadra di baseball dei Red Sox e di quella di calcio del Liverpool.


domenica 21 Gennaio 2024

Contro Dolce e Gabbana

Charlie aveva segnalato due mesi fa la nuova sezione settimanale del Fatto dedicata alla moda, alludendo alle possibili opportunità di ricavi pubblicitari per i giornali che si occupano di quel settore. Come raccontano spesso gli esempi citati da Charlie, è una copertura che sui quotidiani maggiori ha una modesta quota di giornalismo convenzionale al servizio di chi legge e una grande quota di attività promozionale a favore dei brand, proprio in ragione delle dipendenze dalle loro inserzioni a pagamento. Il Fatto invece si sta muovendo per ora con apparente indipendenza, e sabato si è spinto a criticare una contraddizione nella comunicazione nientemeno che del brand Dolce e Gabbana, che è uno dei più grossi investitori pubblicitari del settore e che ha dato spesso in passato esempi di insofferenza nei confronti delle critiche.

(Aggiungiamo qui: sabato lo youtuber Alessandro Masala, autore del progetto di informazione Breaking Italy, aveva messo online la puntata del suo “talk show” in un teatro di Milano che aveva avuto come protagonista il direttore del Fatto Marco Travaglio).


domenica 21 Gennaio 2024

Pubblicità mascherate

Mercoledì un articolo nelle pagine di economia su Repubblica ha presentato con le parole e le comunicazioni dell’azienda la nuova banca “Mediobanca Premier”: giovedì il giornale ha ospitato un’inserzione pagata da “Mediobanca Premier”. Sia Repubblica che il Corriere della Sera hanno promosso con articoli l’apertura di un negozio “Rolex e Rocca” a Milano: la stessa apertura era stata pubblicizzata con pagine a pagamento su entrambi i quotidiani nei giorni precedenti.


domenica 21 Gennaio 2024

Le app che aggregano news non ce la fanno

Questa settimana ha chiuso Artifact, un’app ” aggregatore ” di news: uno dei molti progetti nati negli anni passati per offrire agli utenti una selezione di articoli provenienti da varie testate, immaginando che la ricchezza e invadenza dell’offerta contemporanea di news creino un desiderio e una domanda di selezione personalizzata. Ma come ha scritto la newsletter The Rebooting di Brian Morrissey (ex direttore del sito di media e pubblicità Digiday), nessuno di questi progetti finora è riuscito a creare una sostenibilità economica: secondo Morrissey è un’utile lezione per capire che non necessariamente l’esistenza di una domanda implica l’esistenza di una disponibilità a pagare, per soddisfare quella domanda, quanto serve a tenere in vita l’operazione.


domenica 21 Gennaio 2024

“Siamo noi, i giornalisti”

Le critiche più frequenti che vengono fatte ai giornali italiani dai lettori (o anche dai non lettori) implicano quasi sempre una responsabilità di tutti i giornalisti che lavorano nelle redazioni di quei giornali. In realtà molte di quelle critiche sono condivise da molti degli stessi giornalisti: alcuni di loro sono semplicemente irresponsabili delle scelte di chi ha i ruoli di potere nelle redazioni, mentre altri si adeguano a quelle scelte o ai canoni del giornalismo italiano tenendo per le conversazioni private il loro dissenso. Ogni tanto vengono invece pubblicate rare eccezioni di espressioni di critica rispetto agli approcci consueti: di solito questa critica è indiretta, e leggiamo su un giornale un articolo di commento contro scelte che di fatto sono quelle compiute in tutte le pagine circostanti, con effetti spiazzanti. Ma le allusioni sono altre volte più palesi, e venerdì Ernesto Assante – storico giornalista di Repubblica che si occupa soprattutto di musica – ha scritto sul suo giornale una critica che contesta di fatto tutto un quotidiano modo di trattare quello che avviene “sul web” da parte del suo e di altri giornali (con una scelta di titolazione piuttosto fuorviante).

“Di che parliamo, dunque, quando citiamo con estrema, troppa, leggerezza “il popolo del web”, o “la protesta social”, o il “bullismo digitale”? Di qualche decina di migliaia di persone, quando il ‘caso’ diventa davvero social. Spesso molti di meno. Ma anche se si trattasse di un milione di utenti singoli e attivi di Facebook su 29 milioni, tanto per fare un esempio, sarebbe un ventinovesimo degli utenti del social network. Una cifra che, sempre in termini giornalistici, andrebbe definita come ‘largamente minoritaria’. A dargli rilevanza con frasi del genere “il web in rivolta”, o “la protesta social” siamo noi, i giornalisti, che invece di derubricare molte di queste ‘rivolte’ o ‘proteste’ come ‘non notizie’, siamo i primi a dargli spazio, visibilità, amplificazione. Il ‘popolo del web’ esiste solo nelle redazioni dei giornali, delle radio, delle televisioni, che danno peso alle idiozie di gruppi di esaltati, fanatici, repressi, che usano i social network per aggredire, insultare, attaccare gli altri. Una pallida minoranza, estremamente fastidiosa, molto rumorosa, certamente molto pericolosa, ma che come tale andrebbe trattata. Così come gli ultras allo stadio non rappresentano i milioni di persone che seguono pacificamente e allegramente il calcio, allo stesso modo chi utilizza le tastiere dei propri personal media come strumento per insultare gli altri non rappresenta alcun “popolo del web”, non è la maggioranza. La maggioranza, la stragrande maggioranza, quella che usa i social come strumento di comunicazione, come forma di contatto con amici, parenti, colleghi, o anche semplicemente con persone sconosciute con le quali condivide passioni o manie, sfortunatamente non conta, non fa notizia, non è “il popolo del web” per i giornali o il mondo dell’informazione”.


domenica 21 Gennaio 2024

E il Telegraph?

Non abbiamo più aggiornato sulle tormentate vicende del Daily Telegraph, uno dei più importanti quotidiani britannici, solo perché non ci sono stati sviluppi. Si è ancora in attesa delle valutazioni del governo e delle istituzioni interessate sull’ipotesi di acquisto da parte di un fondo arabo, che in molti – compresa la redazione – considerano pericolosa per la libertà di informazione e per l’ingerenza possibile nel dibattito pubblico del paese. Il sito PressGazette ha un lungo riepilogo di tutto quello che è successo finora.