Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 3 Marzo 2024

L’assoluzione di Napoletano

L’ex direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, è stato di fatto assolto definitivamente nel processo che riguardava una complessa e grossa storia di inganni sulla diffusione e sui conti del giornale, che aveva raggiunto il suo momento culminante nel 2017 con la sua autosospensione da direttore. Napoletano era stato condannato in primo grado e poi assolto in appello, e ora sono scaduti i termini perché procura e parte civile ricorressero contro l’assoluzione.

“L’accusa sosteneva che avesse contribuito a diffondere dati falsi sulle vendite e sulla diffusione del Sole 24 Ore, per veicolare un messaggio positivo sull’andamento economico del quotidiano in modo da influenzare il prezzo di vendita degli spazi pubblicitari. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione del processo d’appello i giudici hanno invece stabilito che fosse «anche formalmente del tutto estraneo alla complessa e stratificata macchina amministrativa e alla concreta catena di comando che reggevano la gestione aziendale» e che quindi non avrebbe potuto imporre la propria volontà a «un’intera schiera di dirigenti e tecnici» nella decisione di comunicare dati falsi sulle vendite. Napoletano, che oggi dirige il Quotidiano del Sud, si era sempre dichiarato innocente”.

Nel suo articolo sulla notizia lo stesso Sole 24 Ore – con la cui redazione Napoletano ebbe grosse tensioni – ha definito una “scelta anomala della procura generale di Milano e della parte civile Consob” quella di non presentare ricorso.


domenica 3 Marzo 2024

Contro Google

Un gruppo di editori di diversi paesi europei ha fatto causa a Google chiedendo 2,1 miliardi di euro per il suo abuso di posizione nella gestione della pubblicità online.

“Per mostrare la pubblicità sui loro siti, gli editori utilizzano una o più piattaforme che fanno da intermediarie. Queste si occupano di gestire tecnicamente e commercialmente la pubblicità sui loro siti insieme ad altri soggetti. Un annuncio sul sito di un editore viene pagato da chi ha deciso di farsi pubblicità, ma l’editore riceve solo una parte del denaro perché la piattaforma trattiene per sé una percentuale per il servizio offerto. Con le piattaforme più grandi come Google e Meta è pressoché impossibile contrattare quella percentuale e molte altre politiche commerciali adottate per gestire gli annunci pubblicitari.
Le piattaforme si difendono sostenendo di poter offrire in questo modo l’accesso a molti più inserzionisti, favorendo quindi una maggiore disponibilità di annunci da mostrare sui siti.
Con la loro causa, gli editori europei sostengono di avere avuto un danno provocato da un «mercato poco competitivo, che è il risultato diretto della cattiva condotta di Google». Dicono inoltre che se Google non avesse una posizione dominante, gli editori «avrebbero ottenuto ricavi significativamente più alti dalla pubblicità e avrebbero pagato commissioni più basse» per i servizi di gestione degli annunci pubblicitari. I maggiori ricavi sarebbero potuti servire per fare nuovi investimenti «tesi a rinforzare il panorama editoriale europeo»”.


domenica 3 Marzo 2024

Cerno al Tempo

Il quotidiano romano Il Tempo ha un nuovo direttore, Tommaso Cerno, 49 anni. Cerno ha avuto negli anni passati vari momenti di visibilità pubblica, prima diventando direttore del settimanale L’Espresso, poi brevemente condirettore di Repubblica e poi venendo candidato al Senato dal PD – per proposta del suo allora segretario Matteo Renzi – e diventando senatore dal 2018 al 2022. Ma il suo percorso politico è stato sempre piuttosto instabile: da giovane si era candidato alle elezioni della sua città, Udine, per Alleanza Nazionale, il partito poi divenuto Fratelli d’Italia, al Senato aveva lasciato il gruppo del PD e poi ci era tornato, e adesso è stato scelto per dirigere il minore del gruppo dei quotidiani vicini alla destra di governo (gli altri sono Libero Giornale) posseduto dal senatore leghista Antonio Angelucci. Da un anno e mezzo Cerno era direttore di un suo piccolo e nuovo quotidiano, L’Identità.
Il Tempo è un quotidiano locale romano che compie nel 2024 ottant’anni e che ebbe nel Novecento ruoli e importanze nazionali soprattutto per la sua copertura e le sue relazioni con la politica (la sua sede è tuttora di fronte a Palazzo Chigi): fino agli anni Novanta vendeva ancora circa centomila copie, ma ebbe poi un declino che gli fece perdere la competizione locale con il Messaggero e oggi comunica una diffusione complessiva di circa 7mila copie: erano 8mila un anno fa.


domenica 3 Marzo 2024

Comunicazione integrata

Intanto la società SAE, creata a suo tempo per acquistare da GEDI i quotidiani locali Tirreno Nuova FerraraGazzetta di Reggio Gazzetta di Modena (e poi anche la Nuova Sardegna), ha annunciato un investimento importante su un progetto collaterale ma “integrato”: l’acquisto dell’azienda di comunicazione milanese Different (nata nel 2020 dalla fusione di altre agenzie), per “realizzare un grande polo indipendente della comunicazione integrata a capitale italiano”. Polo che quindi si immagina inteso come integratore della comunicazione giornalistica dei quotidiani in questione e di quella pubblicitaria di Different.


domenica 3 Marzo 2024

In Abruzzo, prima delle elezioni

Il Centro è il più diffuso quotidiano abruzzese (seguito dal Messaggero) e ha sede a Pescara. Esiste dal 1986 e oggi ha una diffusione di poco più di settemila copie, in calo assai più sensibile della media dei quotidiani: tra il 14% e il 17% in meno anno su anno. Per quasi tutta la sua storia è stato di proprietà del gruppo Espresso, ma è poi stato tra i primi quotidiani locali a essere ceduto all’inizio della grande campagna di dismissioni degli ultimi anni. Fu comprato da un gruppo di imprenditori locali guidati da Alberto Leonardis, che poi ne uscì e creò una nuova società con cui ha successivamente acquistato altri quotidiani locali da GEDI (il nuovo nome del gruppo Espresso), e da Luigi Pierangeli, imprenditore della sanità privata in Abruzzo e proprietario della tv locale Rete8.
Il primo direttore del nuovo corso si era dimesso dopo appena un anno, (ed era stato poi eletto senatore con il M5S). Lo aveva rimpiazzato Piero Anchino, che adesso è stato sfiduciato dalla redazione ed è oggetto di una vivace protesta da parte dei giornalisti, con uno sciopero martedì scorso e un comunicato che allude a varie ragioni di insoddisfazione verso la proprietà.

“Sono tante e tali le criticità e le problematiche, segnalate sempre in maniera costruttiva e con spirito di collaborazione, che urgono risposte in tempi brevi, indispensabili per far sì che il Centro ed ilCentro.it restino leader in Abruzzo. I giornalisti da tempo fanno sfoggio di professionalità anche di fronte a disposizioni a dir poco discutibili che arrivano dalla direzione, con cui si è ormai spezzato il rapporto di fiducia. Nel tempo il rapporto redazione-direttore si è logorato, la frattura è diventata insanabile e irrecuperabile a tal punto da compromettere irrimediabilmente anche i principi della compatibilità ambientale. Il documento di sfiducia al direttore è stato votato all’unanimità il primo febbraio scorso”.


domenica 3 Marzo 2024

Il percorso inverso delle notizie

Ci sono nuove agitazioni al New York Times nella categoria “i panni sporchi si lavano in famiglia”: negli anni scorsi diversi confronti e polemiche interne al giornale avevano fatto molto notizia e attirato attenzioni, ma la nuova direzione sembra avere imposto con maggior successo una linea di maggiore discrezione nel dare pubblicità ai conflitti interni . Un mese fa però il sito The Intercept aveva raccontato di una puntata del seguitissimo podcast del New York Times che si chiama “The Daily” che non sarebbe stata pubblicata per dubbi sulla credibilità di alcune fonti, a proposito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre: come molti altri quotidiani e siti di news internazionali il New York Times sta ricevendo da mesi critiche e pressioni sulla sua copertura di quello che è successo in Israele e a Gaza.
Adesso un articolo di Vanity Fair sostiene che la diffusione pubblica delle discussioni su quel podcast abbia molto irritato la direzione del giornale, che starebbe conducendo conversazioni e indagini interne per capire chi l’abbia raccontata a The Intercept.


domenica 3 Marzo 2024

Algido nell’eloquio

Un lungo articolo del Foglio ha raccontato domenica Enrico Marchi, l’imprenditore veneto che guida il gruppo che ha acquistato dall’editore GEDI sei quotidiani locali del Nordest.


domenica 3 Marzo 2024

Demoliremo

Su Charlie raccontiamo spesso le evidenti ingerenze di alcuni inserzionisti nei contenuti giornalistici di alcuni quotidiani, e in particolare di quelli che sono più essenziali – con i loro grossi investimenti pubblicitari – alla sopravvivenza economica dei giornali stessi. Uno dei più presenti e preziosi è l’azienda ENI, che ottiene quindi grandi indulgenze e frequenti spazi per le sue comunicazioni da alcune testate. ENI sovvenziona indirettamente il sistema dell’informazione italiana da sempre (il suo fondatore Enrico Mattei creò il quotidiano il Giorno , e l’azienda ha una sua influente agenzia di stampa, AGI) e questa settimana il giornalista del quotidiano Domani Ferdinando Cotugno – spesso critico delle iniziative di greenwashing di ENI – ha raccontato su Twitter di come le indulgenze suddette si siano manifestate in un programma Rai.

“Infine, arriva il comunicato preventivo di Eni, il giorno della messa in onda, che sostanzialmente dice: avremmo volentieri partecipato, ma il dibattito è inaccettabile, le accuse sono pregiudiziali, non serve parlarne, tanto le “demoliremo” (bel wording) in altre sedi. E infatti Petrolio non ha parlato della causa di Greenpeace e Recommon. Alla fine, ogni pezzo della puntata che poteva mettere in difficoltà Eni è stato smantellato. Il paradosso è che chi ha visto Petrolio ne esce con la consapevolezza delle responsabilità di Exxon ma non può avere accesso a quelle, altrettanto provate, di Eni”.


domenica 3 Marzo 2024

Deeply read

C’è da alcuni anni un frequente dibattito sulla necessità di misurare meglio la qualità delle visite e delle letture su internet, senza limitarsi ai clic che spesso non hanno a che fare con la qualità dei contenuti né con il loro gradimento (e quindi neanche con il loro valore di promozione degli spazi pubblicitari). Ne abbiamo parlato ancora la settimana scorsa, di come per molte testate rimangano il criterio principale di valutazione dei risultati, anche per la difficoltà di costruirne di diversi: che però sarebbero molto più utili per aiutare i modelli di business basati sugli abbonamenti e sulla soddisfazione e coinvolgimento dei lettori piuttosto che quelli legati alle visualizzazioni della pubblicità.
Adesso ci prova il Guardian, che ha introdotto una classifica dei suoi articoli non “più letti” ma “letti in modo più approfondito”: rendendo pubblica una misurazione che confronta il tempo passato su un articolo con la sua lunghezza.


domenica 3 Marzo 2024

“Sciopero a oltranza” in Condé Nast Italia

Condé Nast è uno dei più importanti gruppi editoriali del mondo: ha più di un secolo e pubblica molte testate americane illustri (New YorkerVogueVanity FairWired, tra le molte altre) ed edizioni nazionali in tanti paesi dove ha delle filiali molto robuste. Negli ultimi anni di difficoltà economiche l’autonomia dei vari paesi si è ridotta: i dipendenti sono diminuiti, i ruoli sono stati accentrati, il controllo è stato affidato spesso alla “casa madre”.
In Italia Condé Nast ha sempre avuto – da sessant’anni – una grossa struttura con sede a Milano, che si è a sua volta assottigliata e che pubblica le edizioni italiane di VogueVanity FairGQWiredADTraveller, e la Cucina italiana. Le redazioni hanno avuto grosse riduzioni di organico e le testate hanno perso molta autonomia rispetto alle direzioni internazionali: adesso hanno deciso uno sciopero a oltranza da lunedì 4 per protestare contro ulteriori riduzioni.

“L’azienda ha comunicato nuovi esuberi , senza che sia stato dichiarato alcuno stato di crisi e senza che sia stato condiviso alcun piano industriale e/o editoriale, inquadrando piuttosto i tagli all’interno di un’operazione di efficientamento richiesta dagli Stati Uniti. Dove stiamo andando?
Dal 2021 è in atto una vasta riorganizzazione internazionale che è costata un altissimo numero di uscite tra giornalisti e grafici editoriali. Ad oggi in Condé Nast i giornalisti sono solo 44 distribuiti su 6 testate mentre il corpo dei grafici editoriali è stato ridotto costantemente e pesantemente. L’azienda richiede qualità e autorevolezza dei contenuti, e dice di supportare il «grande giornalismo», ma nel contempo pensa di poter fare a meno di altri professionisti .

CdR ed RSU ricordano i pesanti carichi lavorativi e si teme ancora una volta che gli “esuberi” anticipati come soppressione di specifici ruoli vengano poi nei fatti rimpiazzati da figure esterne con altro tipo di contratto, come è ormai prassi consolidata del Gruppo.
I giornalisti, riuniti in Assemblea (alla presenza anche di una rappresentanza solidale dell’RSU), difendono la loro professionalità e non accettano ulteriori tagli che impoveriscano e mettano a repentaglio la qualità del lavoro editoriale.
Dopo aver votato, i giornalisti proclamano lo stato di agitazione immediato e uno sciopero a oltranza a partire da lunedì 4 marzo, qualora l’azienda non torni sui propri passi ritirando la dichiarazione di esuberi e non faccia chiarezza sui piani per il futuro di Condé Nast Italia”.


domenica 3 Marzo 2024

Paris Match va a LVMH, forse davvero

Lo storico settimanale di attualità e celebrità francese Paris Match potrebbe essere comprato dal grande gruppo multinazionale della moda e del lusso LVMH: progetto di cui si parla da anni e pareva accantonato, e invece ora sembra quasi deciso (per circa 100 milioni di euro, secondo Le Point), in conseguenza di variazioni e agitazioni societarie tra grandi gruppi francesi. In questi anni Paris Match è stato di fatto controllato da Vincent Bolloré (attraverso l’ingresso nella società Lagardère News), il ricco imprenditore proprietario del gruppo Vivendi, con frequenti proteste da parte della redazione per le ingerenze sul proprio lavoro. Le sovrapposizioni di interessi economici e informazione giornalistica sono state molto discusse in Francia nell’ultimo decennio, in conseguenza di diversi cambi di proprietà delle maggiori testate, sempre più spesso governate da imprenditori miliardari e  grandi gruppi non editoriali. LVMH possiede già la società che pubblica i quotidiani Le Parisien Les Echos. Vivendi aveva già venduto l’anno scorso il settimanale “femminile” Gala al gruppo del quotidiano Le Figaro proprio per potere acquisire il gruppo Lagardère News secondo le leggi antitrust europee.
Malgrado abbia ancora una diffusione di 450mila copie, Paris Match ha chiuso in leggera perdita il 2023.


domenica 3 Marzo 2024

Contributi diretti

Il dipartimento per l’informazione e l’editoria del governo italiano ha pubblicato l’elenco dei giornali a cui è stato confermato per l’anno 2022 il diritto al “contributo pubblico diretto”, cioè il finanziamento pubblico che la legge prevede per i giornali che si dichiarino pubblicati da cooperative di giornalisti o da società senza fini di lucro, o che siano espressione di minoranze linguistiche. Maggiori spiegazioni sono nell’articolo del Post.

Queste sono le prime quindici testate per contributo totale assegnato:

Dolomiten 6.176.996,03 euro
Famiglia cristiana 6.000.000 euro
Avvenire 5.755.037,42 euro
Italia oggi 4.062.533,95 euro
Libero quotidiano 3.378.217,01 euro
Il manifesto 3.277.900,39 euro
Corriere Romagna 2.218.356,97 euro
Cronacaqui.it (Torino Cronaca) 2.207.300,07 euro
Il Foglio 2.079.514,37 euro
Primorski dnevnik 1.666.668,08 euro
Il Cittadino 1.424.098,80 euro
Quotidiano di Sicilia 1.330.270,90 euro
Cronache di (Libra editrice) 1.259.956,77 euro
Die Neue Südtiroler Tageszeitung 1.086.996,14 euro
Secolo d’Italia 1.034.341,35 euro


domenica 3 Marzo 2024

Deprecated news

Meta ha annunciato un ulteriore disinvestimento nella promozione delle news su Facebook negli Stati Uniti e in Australia. La sezione Facebook News sarà “deprecated”, come era già stato fatto in Germania, Francia e Regno Unito.

“Come azienda dobbiamo dedicare il nostro tempo e le nostre risorse alle cose che le persone ci dicono di voler vedere di più, compresi brevi video. La quota di persone che usano Facebook News in Australia e negli Stati Uniti è diminuita di più dell’80% lo scorso anno. Sappiamo che gli utenti non vengono su Facebook per le news e per i contenuti politici: vengono per collegarsi ad altre persone e scoprire nuove opportunità, passioni e interessi. Come già dicemmo nel 2023, le news costituiscono meno del 3% di quello che le persone in tutto il mondo vedono nel loro feed di Facebook, e sono una piccola parte dell’esperienza per la grande maggioranza di loro”.


domenica 3 Marzo 2024

Charlie, molto più informati

Il New York Times ha pubblicato un ritratto di uno dei più precoci esperti di cambiamento digitale del giornalismo al mondo: Roger Fidler lavorò già negli anni Ottanta a progetti di lettura dei giornali su supporti digitali e apparecchi precursori dei tablet, facendo esperimenti e studi per conto della grande azienda giornalistica Knight Ridder (che pubblicava 32 quotidiani negli Stati Uniti e che ora non esiste più). La storia è affascinante, ed è affascinante la sua sintesi di come la visione di Fidler e la lungimiranza della sua azienda non seppero prevedere un elemento rivoluzionario che rese insufficienti le loro visione e lungimiranza: internet.
Ma l’autore dell’articolo David Streitfeld dice anche una cosa interessante e rassicurante, da ricordare a chi di noi pensi che le cose siano peggiorate, mentre sono 
cambiate , e in quel cambiamento c’è di tutto.

“In molti posti non c’è più o è raro un giornalismo locale affidabile. Ma c’è invece una varietà di notizie estere, nazionali e culturali accessibili online assai più estesa di quella che le generazioni precedenti potevano trovare stampata su carta. Pur con tutta la celebrazione dei vecchi tempi, se vivevi in una città con un quotidiano mediocre – e ce n’erano – l’accesso al giornalismo di qualità era difficile.
«Fondamentalmente ci si è aperto il mondo. C’è tantissimo buon giornalismo in giro», dice David Mindich, professore di giornalismo alla Temple University: «se vent’anni fa mi aveste detto “arriverà una generazione che ascolterà lunghi contenuti audio”, avrei risposto “la soglia di attenzione sta diminuendo, non credo sia possibile”. E invece è successo».

Certo, qualcuno può pensare fosse meglio quando sapevamo meno cose. E qualcuno invece no.

Fine di questo prologo.


domenica 25 Febbraio 2024

Cremona

La rassegna stampa del Post “I giornali spiegati bene”, con Luca Sofri e Francesco Costa, sarà a Cremona domenica prossima 3 marzo.


domenica 25 Febbraio 2024

Pazienze

Charlie è una newsletter destinata a chi è interessato a capire le scelte dei giornali e gli accadimenti che li riguardano, scelte e accadimenti da cui poi dipendono la nostra conoscenza della realtà e le opinioni che ce ne facciamo. Quindi, pur avendo una considerevole e lusinghiera quota di iscritti tra gli “addetti ai lavori”, la gran parte dei lettori di Charlie è interessata ad avere queste informazioni “spiegate bene”, a costo di ricevere informazioni che magari alcuni hanno già letto in precedenti edizioni della newsletter ma che cerchiamo di non dare per scontate. Grazie quindi della pazienza per alcune ripetizioni, ma grazie anche della pazienza per alcune informazioni invece eventualmente incomplete. Facciamo del nostro meglio.


domenica 25 Febbraio 2024

A large and dynamic beat

Abbiamo parlato in passato dell’inesistenza di fatto nelle redazioni italiane di ruoli giornalistici dedicati specificamente al racconto dei media e del giornalismo stesso, a differenza di quanto avviene nei giornali americani: è utile in questo senso leggere la profondità e articolazione dell’annuncio con cui Bloomberg News cerca un “media reporter” per la propria sede di New York.
(” beat ” è il termine con cui in inglese si definiscono i settori più specializzati del lavoro giornalistico).


domenica 25 Febbraio 2024

Una storia di presunta diffamazione

Lunedì scorso il quotidiano online Il Fatto Alimentare – che avevamo già citato su Charlie e che non ha legami con il Fatto Quotidiano – ha pubblicato un articolo in cui spiega che l’azienda San Benedetto, che produce acqua e bibite, ha intentato contro il giornale una causa civile di 1,5 milioni. Il Fatto Alimentare si occupa di temi intorno al cibo e ha un fatturato annuo di circa 150 mila euro. I motivi della causa sono i due articoli che il Fatto Alimentare ha pubblicato nell’ agosto e nell’ ottobre 2022: entrambi parlano di una campagna pubblicitaria dell’azienda San Benedetto che aveva come protagonista Elisabetta Canalis.

Semplificando: nel primo articolo di agosto il giornale raccontava di come la campagna pubblicitaria fosse stata criticata da Aestetica Sovietica, una pagina Instagram con 145 mila follower, perché da quanto mostrato in due spot poteva sembrare che la Canalis invitasse a saltare la colazione: è un messaggio che, secondo la critica, poteva creare problemi in persone che hanno disturbi alimentari. Altri giornali in quei giorni, oltre al Fatto Alimentare , avevano riportato il post della pagina Instagram e la richiesta che intervenissero le istituzioni come l’ Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e lo IAP ( Istituto di autodisciplina pubblicitaria , un’associazione che si occupa di autoregolamentare la comunicazione commerciale): OpenCorriere del Venetoil Mattinoil Fatto QuotidianoAffari ItalianiRepubblicaToday.

Il 4 ottobre 2022 il Fatto Alimentare aveva pubblicato un articolo intitolato “Elisabetta Canalis: stop allo spot dell’acqua minerale San Benedetto censurato dallo Iap” e scritto che, citando fonti proprie, il «Comitato di Controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria ha segnalato le criticità dello spot» e che San Benedetto «ha sottoscritto l’impegno a “elaborare una nuova comunicazione che possa superare gli aspetti critici rilevati”». La pubblicità in questione in effetti sembra essere cambiata: lo spot originale di 30 secondi non pare essere più presente sui canali ufficiali di San Benedetto, e la pubblicità è stata accorciata di 15 secondi, eliminando le parti criticate. Una breve nota di San Benedetto del 5 ottobre 2022 ha smentito però che le pubblicità siano state «oggetto di censura o sospensione a seguito di decisione del Giurì della Pubblicità». Il Fatto Alimentare ha poi rettificato l’articolo cambiando il titolo, togliendo le parole “censurato dallo Iap”, mantenendo inalterato il testo ma aggiungendo la nota dell’azienda.

Qualche mese dopo la pubblicazione del secondo articolo, San Benedetto ha querelato il Fatto Alimentare chiedendo la rimozione dei due articoli: il giudice ha bocciato questa prima richiesta e anche il ricorso dell’azienda. Sempre sul finire del 2023 San Benedetto ha avviato una causa civile contro il giornale chiedendo, tra le altre cose, un risarcimento di 1,5 milioni per diffamazione. Il Fatto Alimentare , oltre a difendersi, ha anche chiesto al giudice di essere risarcito per 150 mila euro, cioè il 10% di quanto richiesto da San Benedetto, perché secondo gli avvocati che difendono il giornale si tratterebbe di una lite temeraria , cioè una causa che non ha l’obiettivo di vincere ma di intimidire la persona accusata scoraggiandola dal fare il suo lavoro, togliendogli tempo, energia e soldi.

Charlie ha contattato l’ufficio stampa di San Benedetto oltre a Roberto La Pira, direttore del Fatto Alimentare e autore degli articoli contestati, per conoscere meglio la situazione e le richieste del processo. L’ufficio stampa di San Benedetto ha risposto che: «in merito alla causa civile per danni da diffamazione avviata contro il Fatto Alimentare , il Gruppo San Benedetto non rilascia nessuna documentazione o dichiarazione nell’attesa che l’azione giudiziaria concluda il suo iter».

Roberto La Pira ha detto che «confermo l’idea di proseguire nell’iter processuale convinto di ottenere dal giudice il riconoscimento della lite temeraria. Il collegio di difesa del giornale vede anche la presenza dell’avvocato Andrea Di Pietro dell’associazione Ossigeno per l’informazione che segue le cause di diffamazione di molti giornalisti».


domenica 25 Febbraio 2024

Senza notizie

Anche in Italia a diverse persone è capitato di accorgersi degli esperimenti che Google sta facendo di rimozione delle sezioni “Notizie” dai risultati delle ricerche. La questione ha ovviamente generato ulteriori allarmi nelle aziende giornalistiche, già assai danneggiate dal disinvestimento delle grandi piattaforme digitali sui contenuti di news. Un portavoce di Google ha detto che gli esperimenti sarebbero finiti e non sarebbe in programma di rimuovere quei risultati.


domenica 25 Febbraio 2024

Assange

Il Post ha riassunto la storia delle accuse contro Julian Assange e delle sentenze in ballo che lo riguardano.

“Wikileaks divenne nota in tutto il mondo a partire dal 2010, quando pubblicò Collateral Murder, un video segreto dell’esercito americano mai visto prima di allora che mostrava un attacco con elicottero compiuto dagli Stati Uniti nel 2007 a Baghdad, durante la guerra in Iraq. Nel video si vede come l’elicottero apra il fuoco contro due giornalisti iracheni di Reuters, scambiati per guerriglieri, e poi di nuovo contro un gruppo di civili disarmati che era accorso a soccorrerli. Il video colpì particolarmente l’opinione pubblica, sia per la sua crudezza (è girato dal punto di vista dell’elicottero) sia per il compiacimento con cui i soldati statunitensi commentano l’uccisione degli obiettivi, come se si fosse trattato di un videogioco.
Collateral Murder fu accolto con estremo favore da un’opinione pubblica mondiale già molto contraria alla guerra americana in Iraq, e trasformò Assange e Wikileaks in celebrità internazionali”.


domenica 25 Febbraio 2024

Michiko Kakutani

Questa settimana è uscito negli Stati Uniti un nuovo libro di Michiko Kakutani, sparita dalla scena giornalistica dopo essere stata – sul New York Times – la più temuta e leggendaria critica letteraria del mondo all’inizio di questo secolo, con notorietà che arrivarono anche da noi. Slate la racconta e si chiede chi gliel’abbia fatto fare di cambiare vita, stroncando il libro.


domenica 25 Febbraio 2024

Consigli per

Il sito Professione Reporter ha riassunto e aggiornato la questione degli accordi del quotidiano sassarese Nuova Sardegna con alcune amministrazioni comunali per promuovere le loro attività, accordi accusati di mancanza di trasparenza nei confronti dei lettori, oltre che di conflitto di interessi.

“il Direttore Giacomo Bedeschi ha assicurato che per i prossimi inserti sarà trovata una soluzione per avvisare i lettori. Una dicitura come “Comunicazioni istituzionali””.


domenica 25 Febbraio 2024

Elkann in tutte le pagine

La presenza della famiglia Elkann sui quotidiani italiani è diventata piuttosto convulsa nelle passate settimane. Al consueto conflitto di interessi sulle pagine di Repubblica Stampa generato dal fatto che l’editore delle due testate è anche proprietario dell’azienda Stellantis, le cui attività fanno spesso notizia e vengono segnalate di continuo, si sono aggiunte prima la polemica dell’azienda con il governo, raccontata su tutti i giornali, e poi la storia delle liti familiari su questioni di eredità.

Su quest’ultima i quotidiani del gruppo GEDI (l’azienda editoriale della famiglia) hanno sostenuto di più la tesi degli eredi e proprietari, mentre i quotidiani più spesso polemici con Repubblica (il Fatto su tutti) hanno molto infierito sulle ipotesi di illeciti e sulle beghe di famiglia. Che però hanno avuto molto spazio, seppur con toni più trattenuti, anche sul Corriere della Sera , quotidiano rivale ma di una rivalità di solito pubblicamente rispettosa. E che ebbe l’azienda degli Elkann (allora FCA) come maggiore azionista fino a otto anni fa. Tanto che, stando a un sarcastico articolo del Foglio sabato, lo stesso John Elkann sarebbe andato a protestare dal direttore del Corriere stesso.


domenica 25 Febbraio 2024

Con Api si vola

La federazione degli editori italiani ha annunciato un accordo per mettere dei distributori automatici di quotidiani cartacei nelle stazioni di servizio Api.


domenica 25 Febbraio 2024

Soldi pubblici ai giornali americani

La possibilità di finanziamenti pubblici al settore dei giornali è molto discussa persino negli Stati Uniti, paese culturalmente non abituato a considerare sussidi pubblici all’impresa privata.
George Will, anziano e illustre giornalista e commentatore del Washington Post, ha criticato ogni ipotesi del genere sostenendo che limiterebbe l’indipendenza dei giornali sovvenzionati.

Invece in Canada sta per concludersi un programma nazionale di sovvenzioni ai giornali che ha distribuito circa 35 milioni di euro in cinque anni per l’assunzione di giornalisti dedicati all’informazione nelle comunità locali meno servite dai mezzi di informazione.


domenica 25 Febbraio 2024

Scopri di più

Il Corriere della Sera ha offerto agli inserzionisti un formato pubblicitario nuovo e attraente sulla versione digitale del giornale: la pagina finale con una pubblicità di Gucci, sempre venerdì, aveva un link a una sezione promozionale esterna (per diverse ore quel link ha portato però a una sezione promozionale di Dolce e Gabbana, poi rimpiazzata con quella giusta). L’indomani l’esperimento è stato ripetuto appunto con Dolce e Gabbana, arricchendolo di un più visibile ed esplicito richiamo al link da cliccare.

Lo sfruttamento delle opportunità di tablet e smartphone per le versioni digitali dei giornali è un antico tema: sono stati fatti molti esperimenti di inserire link e contenuti accessori ma non hanno quasi mai raccolto l’interesse dei lettori, che preferiscono usare anche le versioni digitali alla vecchia maniera, limitandosi a sfogliare le pagine in sequenza. Lo stesso Corriere aveva introdotto delle invenzioni in passato, poi accantonate: ora riprova con la pubblicità.


domenica 25 Febbraio 2024

Attenzioni

Sono di nuovo giorni di sfilate, a Milano, e quindi le pagine dei due maggiori quotidiani sono felicemente affollate di pubblicità di brand della moda, con frequenti coincidenze tra pubblicità pagate e articoli, soprattutto sul maggiore quotidiano milanese. Per esempio, venerdì: un articolo su un nuovo progetto del brand Max Mara poche pagine dopo una pubblicità del brand Max Mara (e dallo spazio pubblicitario comprato ogni giorno si possono intuire quali sfilate avranno maggiore copertura l’indomani).

Nel frattempo continua una relazione promozionale particolare tra il Corriere della Sera e la Fondazione Guido Carli, che ottiene sempre un articolo sui suoi eventi dopo averli promossi con una mezza pagina a pagamento.


domenica 25 Febbraio 2024

Less paper

La diffusione dei 25 maggiori quotidiani americani diminuisce del 14% anno su anno, dicono i dati mostrati dal sito britannico PressGazette. Lo stesso New York Times, celebrato in questi anni come un grande successo per l’investimento su nuove prospettive e progetti digitali, perde il 13% delle copie cartacee (lo suggerivano gli stessi bilanci pubblicitari del New York Times).


domenica 25 Febbraio 2024

Bando ai bandi

La questione dei finanziamenti pubblici ai giornali generati dalle norme sulla pubblicazione di bandi e comunicazioni si è chiusa: il rinnovo di quelle norme non è stato accettato dal governo, malgrado le insistenze degli editori. Il Post ha raccontato le puntate precedenti e cosa può succedere ora.

“La quantità di micro-riforme sul tema testimonia come la pubblicità legale sia stata nel tempo un luogo di confronto tra bisogni e necessità del mondo editoriale, in crescente carenza di ricavi, e maggioranze parlamentari che hanno usato questo strumento come forma indiretta di contribuzione al mondo dell’informazione. Concedere o meno la pubblicità legale ai giornali è stato nei fatti uno strumento di scambio tra politica e informazione, o almeno la parte di essa costituita dai quotidiani nazionali e locali. Le stesse comunicazioni delle scorse settimane da parte di giornali ed editori hanno spesso insistito esplicitamente non solo sulla funzione originaria delle norme in questione ma proprio sulla necessità di mantenere quei contributi pubblici nei confronti delle aziende giornalistiche”.


domenica 25 Febbraio 2024

E per soprammercato

Peggio ancora va a Vice, dove sono stati annunciati ulteriori licenziamenti e la fine delle attività sul sito.

“La prossima settimana Vice Media, la società che pubblica la rivista Vice, licenzierà centinaia dei suoi 900 dipendenti, tra cui tutti quelli che si occupano della divisione editoriale: il sito Vice.com, che è stato da sempre l’attività centrale e più riconoscibile dell’azienda, smetterà di essere aggiornato. La decisione è stata comunicata ai dipendenti da Bruce Dixon, l’amministratore delegato di Vice Media, in una lettera che diversi giornali statunitensi hanno potuto leggere, e di cui hanno pubblicato alcune parti. Non è ancora chiaro quanti dipendenti di preciso saranno licenziati”.

Vice era una rivista fondata negli anni Novanta in Canada, rivolta a un pubblico giovanile con un misto di contenuti giornalistici aggressivi e poco convenzionali e di temi di consumi e mode contemporanee. Nei decenni successivi ha avuto un enorme successo diventando una società digitale e di produzione video, ma con diverse traversie ed alti e bassi, legati anche alle personalità dei suoi fondatori.


domenica 25 Febbraio 2024

Ancora peggio a BuzzFeed

BuzzFeed è stato il sito che a un certo punto – quindici anni fa – è sembrato rappresentare di più il travolgente successo dei nuovi e sovversivi prodotti di informazione online: prima con un approccio scientifico e vincente alla diffusione di contenuti “virali” e poi con la creazione di una sezione più tradizionalmente e autorevolmente giornalistica, BuzzFeed News. Nel bel libro di Jill Abramson – ex direttrice del New York Times – che spesso citiamo su Charlie, BuzzFeed Vice sono raccontati come i due nuovi avversari che erano sembrati demolire grandi testati storiche come il New York Times e il Washington Post.
Poi le cose si sono rovesciate di nuovo, e tutta quella famiglia di “giovani turchi” digitali – Vice Buzzfeed Huffington Post (oggi HuffPost) – è entrata in una grossa e diffusa crisiBuzzfeed News è stato chiuso un anno fa.
Mercoledì BuzzFeed ha annunciato il licenziamento di 160 persone e la vendita del sito Complex, che permetterà all’azienda di pagare una parte dei suoi creditori.

Intanto nel Regno Unito la società del quotidiano Independent starebbe trattando per prendere in gestione le edizioni britanniche di Buzzfeed e dello HuffPost (acquisito da Buzzfeed nel 2020), secondo un articolo del Financial Times. Le edizioni non statunitensi dello HuffPost sono state quasi tutte cedute o chiuse negli anni passati (quella italiana è stata completamente rilevata dal gruppo GEDI): quella britannica ha rivelato particolari difficoltà di recente. Il Financial Times non può fare a meno di notare anche qui l’inversione di tendenza:“The multiyear strategic partnership is a symbolic moment for the sector, with the almost 40-year-old British media group taking charge of the local operations of a start-up once seen as the future of the industry and known for its combination of easily shared listicles and candy-coloured emojis”.


domenica 25 Febbraio 2024

Ancora Sulzberger

Tra le altre cose interessanti nella stessa lunga intervista all’editore Sulzberger, queste due. Una sui rischi per i giornali della dipendenza dai lettori, e dalla tentazione di accontentarli nelle loro opinioni: rischi che rendono pericoloso rivolgersi a “un segmento” di persone simili.

“Penso sia molto pericoloso, per una testata generalista e indipendente, inseguire uno specifico segmento di pubblico. È un ordine di idee che porta a distorcere il racconto dei fatti, soprattutto in questa fase molto polarizzata. Conquistare un gruppo spesso significa obbedire alle narrazioni scelte da quel gruppo, e per un giornale indipendente è la cosa più dannosa che ci sia”.

L’altra, sulla inconsistenza di certe frasi fatte, e sull’impressione che in particolare le notizie su Israele e su Gaza generino attacchi e critiche partigiane e speculari nei confronti delle testate che invece le raccontano in maniera accurata e indipendente. E sulla differenza tra un giornalismo “attivista” e un giornalismo che fa del buon giornalismo il proprio attivismo.

“Non credo al vecchio modo di dire per cui “se fai arrabbiare entrambe le parti vuol dire che stai facendo la cosa giusta”. È troppo semplicistico e superficiale. Ma credo che in un conflitto come questo qualunque copertura che sia indipendente e corretta finirà inevitabilmente per fare arrabbiare entrambe le parti, e dobbiamo cercare di farcene influenzare il meno possibile, e invece lavorare ogni giorno per raccontare la storia con la maggiore completezza e accuratezza possibili.
Qualcuno a volte sostiene che il giornalismo indipendente sia meno benintenzionato perché non adotta una buona causa facendo di tutto per promuoverla. Ma io credo non ci sia niente di più benintenzionato per la nostra professione che dare al pubblico le informazioni che servono per risolvere i problemi.
Non credo nessuno ritenga che questo conflitto si risolverà da solo senza qualche sviluppo verso la comprensione reciproca, e non credo che questo sia possibile senza che ci siano organizzazioni giornalistiche che cercano di aiutare tutti a comprendersi reciprocamente. È quello che cerchiamo di fare”.


domenica 25 Febbraio 2024

Nel contesto

La segnalazione della settimana scorsa sui dati insoddisfacenti del Guardian (e sulle prospettive di licenziamenti) è stata interpretata e commentata da alcuni lettori di Charlie come un annuncio di guai e di crisi del Guardian stesso, che in questi anni aveva dato l’impressione di essere tra le grandi testate internazionali più fortunate dal punto di vista della sostenibilità economica.
Impressioni che ci suggeriscono una spiegazione: abbiamo tutti imparato la continua volatilità di andamenti, risultati, tendenze, nel business dell’informazione. Cambia tutto continuamente, e i cambiamenti di oggi potranno essere ribaltati già dopodomani: le cose vanno giudicate un po’ più da lontano. Il Guardian è un giornale di straordinario successo, protagonista dell’informazione mondiale e con milioni di lettori. Quanto siano da tenere nella giusta misura notizie come questa lo ha ben spiegato l’editore del New York Times in una bella intervista col Reuters Institute, a proposito delle difficoltà dell’ultimo anno del Washington Post:

“Credo che la gente a volte sopravvaluti le avversità correnti del Washington Post. Se dieci anni fa avessi detto a quel giornale che avrebbero avuto una redazione con centinaia di giornalisti in più e forse due milioni di abbonati in più, ci avrebbero messo la firma, anche a costo di qualche passaggio doloroso lungo il cammino.
Quindi penso che il 
Washington Post , che continua a fare un lavoro eccezionale, sia una storia di successo assieme al Wall Street Journal e al New York Times. Nessuno di noi ha mai avuto tanti abbonati”.


domenica 25 Febbraio 2024

Charlie, like it’s 2014

Per i maggiori siti di news italiani siamo di nuovo nel 2014, quando con un po’ di ritardo si stavano scoprendo i meccanismi del SEO – un po’ inafferrabili e un po’ afferrabili – o la potenza delle condivisioni sui social network. La condizione è particolare perché, come Charlie ha raccontato spesso, il mondo dei media online sta andando da un’altra parte: sta spostando le priorità verso approcci e contenuti che incentivino l’apprezzamento e la fiducia dei lettori e li portino a credere nel valore e nella qualità (a volte equivocandoli, ma comunque a crederci) di questo o quel giornale e a disporsi a pagare per ottenere o sostenere quel valore. Togliendo invece risorse e impegni dall’affannosa ricerca di ricavi pubblicitari in declino, dalla costruzione di enormi quantità di pagine viste qualsivoglia, dalla “ricerca dei clic” a scapito del valore percepito del giornale.

Invece queste ultime cose sono di nuovo, più che mai, le ambizioni maggiori delle testate online più importanti, in particolare quelle dei giornali tradizionali. Che non riescono ad affrontare quella transizione con una visione sul lungo periodo e restano quotidianamente dipendenti dai ricavi pubblicitari.
Solo che oggi, più che mai, quelle grandi quantità di traffico necessarie ad attenuare la perdita di quei ricavi non sono controllabili e governabili dai siti stessi: dipendono in gran parte da dinamiche di condivisione o promozione legate ad algoritmi e piattaforme. Se Google Discover dà visibilità a un articolo, sposta centinaia di migliaia di visualizzazioni. Un articolo sul sito del 
Corriere della Sera opportunamente titolato che all’inizio di quella settimana ipotizzava – con grande vaghezza – l’orario a cui sarebbe stato annunciato il vincitore di Sanremo ha avuto una circolazione enorme ed è stato imitato nei giorni successivi praticamente da tutti (in molti casi tradendo del tutto le promesse del titolo).

E, come spieghiamo ogni volta che mostriamo i dati di traffico, a fare la differenza nelle classifiche relative sono spesso variabili incontrollabili o scelte che non hanno a che fare con una stabile competitività giornalistica di una testata. E da variabili incontrollabili o fattori non di qualità giornalistica dipendono quindi gli investimenti pubblicitari ancora così prioritari per la maggior parte dei siti di news. Dovrebbe essere un’ulteriore ragione per cominciare a darsene altre, di priorità: ma è anche vero che tutto è così in cambiamento continuo per cui ogni apparenza può ingannare. Sarà interessante rileggere queste considerazioni tra un anno.

Fine di questo prologo.


domenica 18 Febbraio 2024

“Rage-bait”

All’interno di un articolo sul sito americano NiemanLab , a proposito del quotidiano del Mississippi citato nel prologo di questa newsletter, un giornalista intervistato usa un’espressione per definire una tendenza assai diffusa anche nei mezzi di informazione italiani (senza che da noi possieda un nome): quella di pubblicare articoli o titoli con l’obiettivo di aizzare indignazione e rabbia tra i lettori, e ottenere un conseguente coinvolgimento e interesse nel giornale che adotta queste pratiche. “Rage-bait” – esca per la rabbia – è una declinazione dell’espressione “click bait” (che ormai è comunemente usata anche qui per indicare gli articoli e i titoli costruiti per ottenere dei clic).


domenica 18 Febbraio 2024

Cioè

Giulia Siviero ha raccontato sul Post la storia e l’epica di un periodico per ragazze di grande successo negli anni Ottanta e Novanta, tuttora esistente, Cioè .

“Il giornalino, con il suo formato tascabile, parlava in modo scanzonato, confidenziale e con lo stesso linguaggio usato dalle adolescenti di musica, cinema, moda, televisione e cronaca rosa. E lo faceva quando non era così semplice seguire vita e imprese dei personaggi famosi in tempo reale e quando era obbligatorio attendere il nuovo numero in edicola per scoprire se Leonardo DiCaprio si fosse fidanzato. Ma parlava anche di sentimenti, amore e sessualità a un pubblico quasi interamente femminile che andava dai quindici ai diciott’anni circa. Divenne ben presto, dice Iafrate, una specie «di amico e confidente» e divenne, soprattutto per la sua funzione pedagogica sul sesso, un giornale «trasgressivo»: parlava in modo strutturato di cose di cui nessuno parlava, dando risposte a domande che né a scuola né a casa le ragazze osavano fare”.


domenica 18 Febbraio 2024

Si è dimesso Matteo Renzi

Il quotidiano Il Riformista fu creato nel 2002 sotto la direzione di Antonio Polito (oggi collaboratore del Corriere della Sera) con l’idea di rappresentare un pensiero e una corrente omonima intorno alla sinistra e al partito che allora si chiamava Democratici di Sinistra e che poi sarebbe diventato Partito Democratico: fu allora considerato il progetto di una sorta di Foglio di sinistra, un piccolo quotidiano di opinione e idee, ostile ai radicalismi di sinistra e di destra. Che prevalsero, assieme alle difficoltà economiche del giornale, che chiuse dieci anni dopo.
Nel 2019 la testata fu riaperta dopo essere stata acquistata da un discusso imprenditore con precedenti interessi nei giornali, Alfredo Romeo: con un’ispirazione più concentrata sul garantismo giudiziario e la contestazione delle pratiche di una parte della magistratura (e del giornalismo più indulgente con la magistratura), ispirazione spesso accusata di coincidere con gli interessi dell’editore, oggetto in passato di indagini giudiziarie.
La scorsa primavera la direzione del Riformista era stata affidata all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che questa settimana l’ha lasciata ad Alessandro Barbano, ex direttore del Mattino (da cui fu allontanato piuttosto bruscamente) e finora condirettore del Corriere dello Sport, e a sua volta di antiche opinioni garantiste.


domenica 18 Febbraio 2024

Editor ed editor

La settimana scorsa abbiamo chiamato Celeste Marcus “direttrice” del giornale americano Liberties, e qualcuno ci ha correttamente indicato che Liberties ha un direttore che si chiama Leon Wieseltier. Approfittiamo per ricordare la diversa attribuzione di ruoli e denominazioni nelle redazioni e nelle aziende giornalistiche statunitensi: nelle quali non esiste un titolo semplice e universale di “direttore” (o “direttrice”) ma una varia e complessa gerarchia di “editor”, ovvero di giornalisti che hanno responsabilità maggiori nella confezione e nell’indirizzo dei giornali. Sono “editor” i capiredattori e i capiservizio e i responsabili delle sezioni o anche dei redattori con ruoli di revisione degli articoli; ma anche i principali dirigenti e capi sono “editor”, con titoli diversi scelti da ciascuna azienda: editor-in-chief, executive editor, managing editor, senior editor, associate editor, o altre volte semplicemente editor. Celeste Marcus è “managing editor” di Liberties, termine che di solito indica chi governa e guida il lavoro della redazione (spesso in Italia lo fa un vicedirettore – deputy editor – che è un titolo meno frequente nei giornali americani). “Director” è invece un termine destinato a ruoli più aziendali, e non giornalistici.


domenica 18 Febbraio 2024

Il dialogo tra prospettive diverse

La crisi interna a Repubblica questa settimana ha riguardato un’intervista al cantante Ghali che il direttore Maurizio Molinari avrebbe rinunciato a pubblicare. Secondo il Fatto, primo a raccontare la storia, in prima pagina martedì – e che in queste settimane dedica più pagine al giorno ad attacchi a Repubblica su fronti diversi -, Molinari sarebbe stato insoddisfatto delle posizioni di Ghali in difesa della popolazione di Gaza (espresse anche sul palco del festival di Sanremo, con irritazione dell’ambasciata israeliana, per cui la direzione di Repubblica ha frequenti premure) e avrebbe chiesto che Ghali aggiungesse alle sue risposte qualcosa sulle stragi di Hamas del 7 ottobre, senza ottenerlo. E avrebbe quindi “censurato” l’intervista.
All’articolo del Fatto ha reagito il Comitato di redazione di Repubblica, già martedì mattina, e non in difesa del direttore:

“Interpretando il comune sentire largamente diffuso tra le colleghe e i colleghi di Repubblica, non possiamo che contestare la mancata pubblicazione dell’intervista a Ghali, fermata dal direttore quando era già in pagina. Non neghiamo il fatto che il direttore possa intervenire e decidere che vada aggiunta una domanda. Le domande si fanno tutte, soprattutto le più scomode. Ma diritto e dovere del giornalista è riportare le cose come stanno. I nostri interlocutori hanno il dovere di rispondere, ma anche il diritto di non prendere una posizione se lo ritengono, assumendosene le responsabilità. Ma quello che non si può fare è non pubblicare un’intervista (dove tra l’altro si parlava di pace) perché non ci piace il suo contenuto, buttando il lavoro delle colleghe e dei colleghi e umiliandone la professionalità […] Purtroppo non è la prima volta che siamo costretti a intervenire su casi di questo tipo. Repubblica è di chi la fa, è un prodotto collettivo come ogni giornale ma un po’ più di tutti gli altri, non uno strumento che risponde alle sensibilità di un’unica persona”.

Ma nel frattempo ha reagito anche il direttore Molinari, decidendo di pubblicare l’intervista a Ghali sul sito del giornale, con una risposta all’articolo del Fatto:

“In merito a quanto pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano, la direzione di Repubblica precisa che non è stata mai fatta alcuna censura contro il cantante Ghali, gli è stato invece chiesto di rispondere a una domanda sulle polemiche seguite al suo primo intervento a Sanremo in merito al mancato riferimento al 7 ottobre e lui ha scelto di non farlo. Pubblichiamo sul nostro sito l’intervista in questione che aspetta la sua risposta su questo tema perché il dialogo fra prospettive diverse arricchisce tutti. Di seguito il testo dell’intervista a Ghali, ancora in attesa di una risposta sul 7 ottobre”.

E in coda all’intervista, di nuovo:

“Quanto all’intervista, era stato chiesto di integrarla con una risposta sul 7 ottobre, richiesta fatta da uno dei nostri inviati con un messaggio whatsapp mandato all’entourage dell’artista all’1.16 di venerdì 9 febbraio, messaggio che non ha mai ricevuto risposta e nel quale si ribadiva l’intenzione del giornale a pubblicare l’intervista non appena Ghali avesse fornito una risposta, naturalmente quella che riteneva di dover dare. Quella risposta non è mai arrivata”.


domenica 18 Febbraio 2024

Altri giornalismi

Scaachi Koul è una giornalista canadese che ha collaborato con molte testate americane importanti: questa settimana ha scritto sulla rivista letteraria una riflessione umoristica e autoironica sulla crisi e sulle chiusure dei giornali americani considerate dal punto di vista di autori e autrici, come lei, che non avranno più un posto dove “parlare di me”, “scrivere quello che mi gira”. Il pezzo è interessante perché ritrae una categoria professionale (“professionisti delle chiacchiere”) molto affollata nel giornalismo contemporaneo e assai distinta da quelle che più intuitivamente “danno le notizie”: ci sono tanti e autori e autrici di cui leggiamo sui giornali e siti di news il cui lavoro è – a volte con sapienza, brillantezza, intelligenza, altre meno: spesso con battute, paragoni surreali e allusioni comiche – parlare di sé, “scrivere quello che mi gira”, con grande soddisfazione propria (e a volte apprezzamenti altrui) per questo ruolo.


domenica 18 Febbraio 2024

“Un altro libro”

Lunedì il Corriere della Sera ha offerto quasi due pagine a un’intervista con Marina Caprotti, presidente di Esselunga, azienda che è assidua inserzionista del giornale. L’intervista di quasi due pagine era dedicata alla ripubblicazione di un vecchio libro del fondatore di Esselunga, padre di Marina, Bernardo Caprotti: il libro è già in vendita con ampia visibilità in tutti i supermercati Esselunga. L’intervista è stata affidata dal Corriere della Sera allo stesso autore dell’introduzione al libro, che è anche professionalmente “consigliere dell’editore” che lo ha pubblicato. La decisione di ripubblicarlo era spiegata nell’intervista così: «il ritorno di Falce e carrello è quasi un atto dovuto dopo che un altro libro ha cercato di demolire la figura del fondatore della catena di supermercati. A firmarlo è stato l’unico figlio maschio, nato dal primo matrimonio». Dell’autore “unico figlio maschio” di quel disprezzato libro non si faceva il nome: è Giuseppe Caprotti, già amministratore delegato di Esselunga e poi estromesso drammaticamente dal padre in favore di Marina Caprotti. Giuseppe Caprotti ha scritto un libro pubblicato a novembre da Feltrinelli, che ha venduto 15mila copie in due mesi e si chiama Le ossa dei Caprotti: libro molto critico sull’azienda di famiglia . Di quel libro il Corriere della Sera invece non ha mai scritto una riga, il suo autore non è mai stato nominato sul giornale.
Il venerdì successivo per promuovere il libro Falce e carrello è stata acquistata un’intera pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera (e anche su altri quotidiani).


domenica 18 Febbraio 2024

i-D cambia proprio

Alla fine – dopo la vendita del giornale sembrava sarebbe rimasto – Alastair McKimm ha lasciato la direzione della rivista di moda i-D: delle sue vicende avevamo parlato tre mesi fa.

“i-D è una rivista britannica bimestrale di moda e di cultura giovanile e fu fondata nel 1980 da Terry Jones, che era stato direttore artistico dal 1972 al 1977 dell’edizione britannica del magazine di moda Vogue.
[…] i-D è diventata nel tempo una rivista conosciuta a livello internazionale per l’attenzione alla moda giovanile e allo streetwear: Terry Jones ha ceduto la pubblicazione a Vice Media (il gruppo editoriale che pubblica, tra le altre cose, Vice News e Motherboard ) nel 2012. Ma nei giorni scorsi i-D è stato acquistato dall’imprenditrice e modella Karlie Kloss, dopo che il gruppo Vice Media aveva attraversato una lunga crisi e dichiarato bancarotta. Kloss è diventata anche amministratrice delegata di i-D e l’acquisizione segue quella del 2020 quando Kloss, con altri investitori, aveva rilevato la rivista di moda americana W”.


domenica 18 Febbraio 2024

I siti di news a dicembre

La società di rilevazione Audicom ha pubblicato i dati di traffico sui siti web a dicembre. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).

Rispetto a un mese fa c’è un cospicuo declino di quasi tutti (fa maggiore eccezione Leggo). In cima alla classifica, per il terzo mese consecutivo, il sito del Corriere della Sera supera quello di Repubblica (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto: questi distacchi possono non avere a che fare con i singoli siti delle due testate).

Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito MyMovies (218mila utenti), seguito da Ticonsiglio (186mila) e Fem (94mila); i numeri del sito del Corriere comprendono anche quelli di IoDonna, di Oggi e di Amica , che insieme fanno circa 300mila utenti; il Messaggero conta anche 290mila utenti delle pagine di Salvatore Aranzulla).

(la tabella si ingrandisce cliccandoci)


domenica 18 Febbraio 2024

Al Guardian, “worry but not panic”

Il Times di Londra (espressione novecentesca con cui nel giornalismo italiano si è sempre cercato di distinguere quel quotidiano dal New York Times) è stato il primo a riferire di una riunione interna al Guardian (di Londra pure lui, ma inequivoco, e meno seguito dalle redazioni italiane nel Novecento) con cui è stato comunicato che il giornale chiuderà il bilancio del 2023 con 39 milioni di perdite, per declino del mercato pubblicitario (-16% di ricavi, -20% rispetto alle previsioni), e licenzierà un numero per ora indefinito di persone. Anche i ricavi dalle membership (il Guardian non ha paywall, e propone contributi via membership) non hanno raggiunto gli obiettivi di bilancio, pur superando quelli dell’anno precedente. I ricavi dalla vendita del giornale di carta sono calati del 3%, come da obiettivi.


domenica 18 Febbraio 2024

Adesso Pavia

L’impegno del gruppo editoriale GEDI nel dismettere tutto il proprio patrimonio di quotidiani locali – l’impegno principale perseguito negli anni della nuova proprietà – si sta avvicinando al suo compimento, dopo i diversi sviluppi passati. Questa settimana è stata rivelata la trattativa avanzata per la vendita del quotidiano La Provincia Pavese, conclusa la quale resteranno di proprietà di GEDI – accanto alle due testate nazionali Repubblica Stampa – soltanto il Secolo XIX di Genova e la Sentinella del Canavese di Ivrea.

Alla prospettiva di cessione la redazione della Provincia Pavese ha reagito con maggiore polemica delle testate che l’hanno preceduta: scioperando martedì e pubblicando un comunicato molto severo di critiche all’azienda, in particolare contro la segretezza dell’identità dell’acquirente potenziale.

Chi intende comprare il giornale non può pensare di farlo senza discutere con la redazione, nascondendosi fino al giorno del “closing”.
Noi crediamo che debba rispondere ad alcune domande che vogliamo rivolgere pubblicamente.
1) Perché volete comprare un giornale in un momento storico di crisi dell’editoria?
2) Qual è il progetto editoriale per rilanciare la Provincia Pavese?
3) È vero che volete vendere la sede?
4) Siete consapevoli che i fondi per gli stati di crisi dell’editoria sono in esaurimento?
5) Quali sono le ragioni di tanta riservatezza?

Non si conosce l’identità del possibile acquirente perché è stato sottoscritto un «patto di riservatezza assoluto durante la fase di due diligence», cioè la verifica dei conti economici di un’azienda per una valutazione più attenta prima di un possibile investimento.
Nel corso degli ultimi mesi altre società si sarebbero interessate all’acquisto del giornale: mercoledì il quotidiano economico ItaliaOggi aveva scritto di due offerte di circa tre milioni. GEDI ha confermato a Charlie che però nessuno di questi contatti verbali è mai diventato una proposta concreta. Una sarebbe stata quella presentata da Geodis, una società di logistica e trasporti, che avrebbe offerto 3,4 milioni. Un’altra offerta dovrebbe essere arrivata da Confagricoltura di Pavia, che avrebbe voluto rilevare il giornale e gli immobili per i quali avrebbe offerto 2,2 milioni. Confagricoltura di Pavia avrebbe interesse nel rilevare il palazzo del giornale per farlo diventare la sede dell’associazione.

I conti della Provincia Pavese sono sempre rimasti in attivo fino al 2022, il bilancio del 2023 dovrebbe chiudersi invece in negativo. Il personale della redazione si è ridotto nel corso degli anni, passando da una trentina di giornalisti assunti a 22 (tra cui il direttore e un giornalista che lavora a Salute, inserto verticale di Repubblica), più una trentina di collaboratori. La redazione lavora in un palazzo di tre piani che in passato ospitava anche il lavoro dei poligrafici, che si occupavano dell’impaginazione del giornale: oggi il giornale occupa due piani, in uno lavora la redazione e in un altro la concessionaria pubblicitaria Manzoni del gruppo GEDI. Sono state delocalizzate tutte le attività diverse dal lavoro di redazione. Chi acquisterà la Provincia Pavese, a meno che non possieda già altri giornali, potrebbe essere quindi costretto a assumere altre persone per rendere indipendente il funzionamento del quotidiano; oppure continuare a usare i servizi di GEDI, pagandone i servizi.


domenica 18 Febbraio 2024

Troppo oblio

Mario Tedeschini Lalli, uno dei più esperti osservatori dei cambiamenti dell’informazione in Italia e uno dei più precoci giornalisti a essersi occupato del digitale ancora nel secolo scorso, ha messo insieme una serie di riflessioni sul rapporto dei giornali con il cosiddetto “diritto all’oblio“: a partire da una recente sentenza del Garante della privacy. Tra l’altro rivelando una consuetudine di molti giornali di obbedire con eccesso di zelo a molte richieste, pur di non avere seccature e a costo di cancellare dalla pubblica informazione fatti e notizie.

“Sugli organi di informazione “di categoria” ho trovato solo un articolo su questo argomento (gradite segnalazioni e link di eventuali altri). E’ sul numero di giugno 2023 di Tabloid, periodico dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e spiega come i ricorsi per “oblio” abbiano un effetto intimidatorio nei confronti di redazioni ed editori, i quali per quieto vivere spesso rinunciano a resistere alla richieste di cancellazione. Per questo l’articolista invoca una difficile e forse pericolosa “norma” per bilanciare l’interesse pubblico all’informazione con il diritto individuale all’oblio. L’articolo s’intitola “Se il diritto all’oblio diventa una minaccia a chi scrive” ed è firmato da Claudia Trombelli, “Legal Specialist di Citynews SpA”, è cioè la voce di un editore, non di una giornalista o di un giornalista.
Ah, non cercate sul web questo articolo, è consultabile solo a pagina 23 della copia a stampa o in facsimile della rivista, sui motori di ricerca non esiste. Poi uno dice la “transizione digitale””.


domenica 18 Febbraio 2024

Estinzione

Il settimanale New Yorker ha aggiunto un ottimo articolo di riassunto alla ricca bibliografia di queste settimane dedicata all’accelerazione della crisi dei giornali americani. È apocalittico e speranzoso al tempo stesso.

“Journalism requires a peculiar mix of skepticism and earnestness; as journalists, after all, we consider ourselves integral to the functioning of civic society, even if much of society doesn’t particularly like us. This breeds a funny mix of pugilism and sanctimony that can be, frankly, a little unlikable. Speaking recently on the “Print Is Dead. (Long Live Print!)” podcast, Tina Brown, a former editor of The New Yorker and Vanity Fair, compared members of the U.K. press with their American counterparts. “They see it as a job,” she said, of her fellow-Brits. “They don’t see it as a sacred calling, and I think there’s something to be said for that.”

The business models that will sustain journalism in the future won’t be perfect. They’ll leave people out who need good-quality news the most. They will probably cater to older, wealthier men who (for now) make up the demographic most likely to pay for news. There will be idiocy and the enablement of rich idiots. But there will also be new generations of journalists willing to leap into an unsteady industry because they think explaining the world around them is worthwhile, if not particularly remunerative. The sanctimony that Brown sniffs at certainly exists, but a little bit of the holy spirit is probably necessary to report on contemporary America. Even if past experience has taught journalists that change is often a destructive force, the crisis is here, and it needs solutions if we’re going to keep recommending, in good conscience, that promising young talent join the media’s ranks”.


domenica 18 Febbraio 2024

Charlie, guardare fuori

I destini dei quotidiani locali, nei tempi di crisi dei media che sono intenso oggetto di questa newsletter, sono spesso trascurati dal dibattito. Gli americani ne parlano molto, perché da loro quasi tutti i quotidiani sono considerati locali, mentre da noi c’è poco confronto e discussione sulle loro difficoltà peculiari e sulle loro eventuali opportunità: il Post ne aveva scritto un po’ qui, ormai tre anni fa. Questa povertà di riflessione concorre a una limitata spinta verso l’innovazione e la sperimentazione e verso la ricerca di soluzioni, a cui spesso si aggiungono anche le minori risorse di “contemporaneità” e competenza digitale delle province. A lungo si è detto che il rapporto con “il territorio” e le comunità locali avrebbe potuto essere il capitale più prezioso, ma d’altra parte l’accesso alla comunicazione globale in qualunque angolo di mondo ha anche indebolito il valore di quel rapporto. Proprio per questo può essere interessante mettere nel dibattito e nelle riflessioni uno spunto che arriva dalla scelta di un piccolo quotidiano americano, di occuparsi di più della politica e delle cose nazionali. Proprio perché il rapporto con i quotidiani nazionali si sta esaurendo, i quotidiani locali potrebbero provare a occupare lo spazio di messaggeri di riferimento di un’offerta che superi i confini locali: immaginando che ai loro lettori possa a volte interessare di più trovare in prima pagina cosa succede nella campagna elettorale delle Europee o nel dibattito sulla violenza contro le donne, piuttosto che la grande foto di un incidente stradale o l’annuncio di nuove assunzioni dell’azienda degli autobus. E investendo sulla qualità del proprio giornalismo di maggior respiro, senza nulla togliere all’utilità dell’informazione locale. È solo un’idea, visto che non ne girano tante.

Fine di questo prologo.


domenica 11 Febbraio 2024

In tutti i laghi

Sabato prossimo alle 11 la rassegna stampa I giornali spiegati bene – che racconta le cose di cui parliamo qui – sarà a Verbania: sempre con Luca Sofri e Francesco Costa, direttore e vicedirettore del Post, peraltro.


domenica 11 Febbraio 2024

Beghe

Il Fatto ha raccontato sabato che l’editore GEDI avrebbe rinunciato a pubblicare una biografia del fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, dopo il rifiuto del suo autore di cancellare alcuni passaggi che citavano il giornalista Giovanni Valentini – a lungo a Repubblica, oggi al Fatto con opinioni molto critiche contro Repubblica – e altri non meglio precisati di cui avrebbe chiesto la rimozione il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.

Il Fatto ha quasi quotidianamente articoli contro Repubblica, che è uno dei soggetti attaccando i quali ha costruito nel tempo gran parte dei propri consensi (insieme al PD, o a Silvio Berlusconi, o a Matteo Renzi, per citare i principali): lo stesso giorno accusava Repubblica anche di non avere dato spazio adeguato alla notizia che il suo editore – John Elkann – fosse indagato per una complicata vicenda di eredità di famiglia. Repubblica aveva in effetti raccontato giovedì la notizia – non in prima pagina – con una formula di garanzia che nel frattempo il direttore del Foglio Claudio Cerasa aveva commentato come piuttosto inusuale, rispetto agli abituali titoli su indagati e indagini.

Le pagine dell’Economia di Repubblica avevano intanto offerto una mezza pagina agli impegni e alle dichiarazioni dell’editore di Repubblica sia martedì che mercoledì.