Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 25 Febbraio 2024

Pazienze

Charlie è una newsletter destinata a chi è interessato a capire le scelte dei giornali e gli accadimenti che li riguardano, scelte e accadimenti da cui poi dipendono la nostra conoscenza della realtà e le opinioni che ce ne facciamo. Quindi, pur avendo una considerevole e lusinghiera quota di iscritti tra gli “addetti ai lavori”, la gran parte dei lettori di Charlie è interessata ad avere queste informazioni “spiegate bene”, a costo di ricevere informazioni che magari alcuni hanno già letto in precedenti edizioni della newsletter ma che cerchiamo di non dare per scontate. Grazie quindi della pazienza per alcune ripetizioni, ma grazie anche della pazienza per alcune informazioni invece eventualmente incomplete. Facciamo del nostro meglio.


domenica 25 Febbraio 2024

A large and dynamic beat

Abbiamo parlato in passato dell’inesistenza di fatto nelle redazioni italiane di ruoli giornalistici dedicati specificamente al racconto dei media e del giornalismo stesso, a differenza di quanto avviene nei giornali americani: è utile in questo senso leggere la profondità e articolazione dell’annuncio con cui Bloomberg News cerca un “media reporter” per la propria sede di New York.
(” beat ” è il termine con cui in inglese si definiscono i settori più specializzati del lavoro giornalistico).


domenica 25 Febbraio 2024

Una storia di presunta diffamazione

Lunedì scorso il quotidiano online Il Fatto Alimentare – che avevamo già citato su Charlie e che non ha legami con il Fatto Quotidiano – ha pubblicato un articolo in cui spiega che l’azienda San Benedetto, che produce acqua e bibite, ha intentato contro il giornale una causa civile di 1,5 milioni. Il Fatto Alimentare si occupa di temi intorno al cibo e ha un fatturato annuo di circa 150 mila euro. I motivi della causa sono i due articoli che il Fatto Alimentare ha pubblicato nell’ agosto e nell’ ottobre 2022: entrambi parlano di una campagna pubblicitaria dell’azienda San Benedetto che aveva come protagonista Elisabetta Canalis.

Semplificando: nel primo articolo di agosto il giornale raccontava di come la campagna pubblicitaria fosse stata criticata da Aestetica Sovietica, una pagina Instagram con 145 mila follower, perché da quanto mostrato in due spot poteva sembrare che la Canalis invitasse a saltare la colazione: è un messaggio che, secondo la critica, poteva creare problemi in persone che hanno disturbi alimentari. Altri giornali in quei giorni, oltre al Fatto Alimentare , avevano riportato il post della pagina Instagram e la richiesta che intervenissero le istituzioni come l’ Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e lo IAP ( Istituto di autodisciplina pubblicitaria , un’associazione che si occupa di autoregolamentare la comunicazione commerciale): OpenCorriere del Venetoil Mattinoil Fatto QuotidianoAffari ItalianiRepubblicaToday.

Il 4 ottobre 2022 il Fatto Alimentare aveva pubblicato un articolo intitolato “Elisabetta Canalis: stop allo spot dell’acqua minerale San Benedetto censurato dallo Iap” e scritto che, citando fonti proprie, il «Comitato di Controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria ha segnalato le criticità dello spot» e che San Benedetto «ha sottoscritto l’impegno a “elaborare una nuova comunicazione che possa superare gli aspetti critici rilevati”». La pubblicità in questione in effetti sembra essere cambiata: lo spot originale di 30 secondi non pare essere più presente sui canali ufficiali di San Benedetto, e la pubblicità è stata accorciata di 15 secondi, eliminando le parti criticate. Una breve nota di San Benedetto del 5 ottobre 2022 ha smentito però che le pubblicità siano state «oggetto di censura o sospensione a seguito di decisione del Giurì della Pubblicità». Il Fatto Alimentare ha poi rettificato l’articolo cambiando il titolo, togliendo le parole “censurato dallo Iap”, mantenendo inalterato il testo ma aggiungendo la nota dell’azienda.

Qualche mese dopo la pubblicazione del secondo articolo, San Benedetto ha querelato il Fatto Alimentare chiedendo la rimozione dei due articoli: il giudice ha bocciato questa prima richiesta e anche il ricorso dell’azienda. Sempre sul finire del 2023 San Benedetto ha avviato una causa civile contro il giornale chiedendo, tra le altre cose, un risarcimento di 1,5 milioni per diffamazione. Il Fatto Alimentare , oltre a difendersi, ha anche chiesto al giudice di essere risarcito per 150 mila euro, cioè il 10% di quanto richiesto da San Benedetto, perché secondo gli avvocati che difendono il giornale si tratterebbe di una lite temeraria , cioè una causa che non ha l’obiettivo di vincere ma di intimidire la persona accusata scoraggiandola dal fare il suo lavoro, togliendogli tempo, energia e soldi.

Charlie ha contattato l’ufficio stampa di San Benedetto oltre a Roberto La Pira, direttore del Fatto Alimentare e autore degli articoli contestati, per conoscere meglio la situazione e le richieste del processo. L’ufficio stampa di San Benedetto ha risposto che: «in merito alla causa civile per danni da diffamazione avviata contro il Fatto Alimentare , il Gruppo San Benedetto non rilascia nessuna documentazione o dichiarazione nell’attesa che l’azione giudiziaria concluda il suo iter».

Roberto La Pira ha detto che «confermo l’idea di proseguire nell’iter processuale convinto di ottenere dal giudice il riconoscimento della lite temeraria. Il collegio di difesa del giornale vede anche la presenza dell’avvocato Andrea Di Pietro dell’associazione Ossigeno per l’informazione che segue le cause di diffamazione di molti giornalisti».


domenica 25 Febbraio 2024

Senza notizie

Anche in Italia a diverse persone è capitato di accorgersi degli esperimenti che Google sta facendo di rimozione delle sezioni “Notizie” dai risultati delle ricerche. La questione ha ovviamente generato ulteriori allarmi nelle aziende giornalistiche, già assai danneggiate dal disinvestimento delle grandi piattaforme digitali sui contenuti di news. Un portavoce di Google ha detto che gli esperimenti sarebbero finiti e non sarebbe in programma di rimuovere quei risultati.


domenica 25 Febbraio 2024

Assange

Il Post ha riassunto la storia delle accuse contro Julian Assange e delle sentenze in ballo che lo riguardano.

“Wikileaks divenne nota in tutto il mondo a partire dal 2010, quando pubblicò Collateral Murder, un video segreto dell’esercito americano mai visto prima di allora che mostrava un attacco con elicottero compiuto dagli Stati Uniti nel 2007 a Baghdad, durante la guerra in Iraq. Nel video si vede come l’elicottero apra il fuoco contro due giornalisti iracheni di Reuters, scambiati per guerriglieri, e poi di nuovo contro un gruppo di civili disarmati che era accorso a soccorrerli. Il video colpì particolarmente l’opinione pubblica, sia per la sua crudezza (è girato dal punto di vista dell’elicottero) sia per il compiacimento con cui i soldati statunitensi commentano l’uccisione degli obiettivi, come se si fosse trattato di un videogioco.
Collateral Murder fu accolto con estremo favore da un’opinione pubblica mondiale già molto contraria alla guerra americana in Iraq, e trasformò Assange e Wikileaks in celebrità internazionali”.


domenica 25 Febbraio 2024

Michiko Kakutani

Questa settimana è uscito negli Stati Uniti un nuovo libro di Michiko Kakutani, sparita dalla scena giornalistica dopo essere stata – sul New York Times – la più temuta e leggendaria critica letteraria del mondo all’inizio di questo secolo, con notorietà che arrivarono anche da noi. Slate la racconta e si chiede chi gliel’abbia fatto fare di cambiare vita, stroncando il libro.


domenica 25 Febbraio 2024

Consigli per

Il sito Professione Reporter ha riassunto e aggiornato la questione degli accordi del quotidiano sassarese Nuova Sardegna con alcune amministrazioni comunali per promuovere le loro attività, accordi accusati di mancanza di trasparenza nei confronti dei lettori, oltre che di conflitto di interessi.

“il Direttore Giacomo Bedeschi ha assicurato che per i prossimi inserti sarà trovata una soluzione per avvisare i lettori. Una dicitura come “Comunicazioni istituzionali””.


domenica 25 Febbraio 2024

Elkann in tutte le pagine

La presenza della famiglia Elkann sui quotidiani italiani è diventata piuttosto convulsa nelle passate settimane. Al consueto conflitto di interessi sulle pagine di Repubblica Stampa generato dal fatto che l’editore delle due testate è anche proprietario dell’azienda Stellantis, le cui attività fanno spesso notizia e vengono segnalate di continuo, si sono aggiunte prima la polemica dell’azienda con il governo, raccontata su tutti i giornali, e poi la storia delle liti familiari su questioni di eredità.

Su quest’ultima i quotidiani del gruppo GEDI (l’azienda editoriale della famiglia) hanno sostenuto di più la tesi degli eredi e proprietari, mentre i quotidiani più spesso polemici con Repubblica (il Fatto su tutti) hanno molto infierito sulle ipotesi di illeciti e sulle beghe di famiglia. Che però hanno avuto molto spazio, seppur con toni più trattenuti, anche sul Corriere della Sera , quotidiano rivale ma di una rivalità di solito pubblicamente rispettosa. E che ebbe l’azienda degli Elkann (allora FCA) come maggiore azionista fino a otto anni fa. Tanto che, stando a un sarcastico articolo del Foglio sabato, lo stesso John Elkann sarebbe andato a protestare dal direttore del Corriere stesso.


domenica 25 Febbraio 2024

Con Api si vola

La federazione degli editori italiani ha annunciato un accordo per mettere dei distributori automatici di quotidiani cartacei nelle stazioni di servizio Api.


domenica 25 Febbraio 2024

Soldi pubblici ai giornali americani

La possibilità di finanziamenti pubblici al settore dei giornali è molto discussa persino negli Stati Uniti, paese culturalmente non abituato a considerare sussidi pubblici all’impresa privata.
George Will, anziano e illustre giornalista e commentatore del Washington Post, ha criticato ogni ipotesi del genere sostenendo che limiterebbe l’indipendenza dei giornali sovvenzionati.

Invece in Canada sta per concludersi un programma nazionale di sovvenzioni ai giornali che ha distribuito circa 35 milioni di euro in cinque anni per l’assunzione di giornalisti dedicati all’informazione nelle comunità locali meno servite dai mezzi di informazione.


domenica 25 Febbraio 2024

Scopri di più

Il Corriere della Sera ha offerto agli inserzionisti un formato pubblicitario nuovo e attraente sulla versione digitale del giornale: la pagina finale con una pubblicità di Gucci, sempre venerdì, aveva un link a una sezione promozionale esterna (per diverse ore quel link ha portato però a una sezione promozionale di Dolce e Gabbana, poi rimpiazzata con quella giusta). L’indomani l’esperimento è stato ripetuto appunto con Dolce e Gabbana, arricchendolo di un più visibile ed esplicito richiamo al link da cliccare.

Lo sfruttamento delle opportunità di tablet e smartphone per le versioni digitali dei giornali è un antico tema: sono stati fatti molti esperimenti di inserire link e contenuti accessori ma non hanno quasi mai raccolto l’interesse dei lettori, che preferiscono usare anche le versioni digitali alla vecchia maniera, limitandosi a sfogliare le pagine in sequenza. Lo stesso Corriere aveva introdotto delle invenzioni in passato, poi accantonate: ora riprova con la pubblicità.


domenica 25 Febbraio 2024

Attenzioni

Sono di nuovo giorni di sfilate, a Milano, e quindi le pagine dei due maggiori quotidiani sono felicemente affollate di pubblicità di brand della moda, con frequenti coincidenze tra pubblicità pagate e articoli, soprattutto sul maggiore quotidiano milanese. Per esempio, venerdì: un articolo su un nuovo progetto del brand Max Mara poche pagine dopo una pubblicità del brand Max Mara (e dallo spazio pubblicitario comprato ogni giorno si possono intuire quali sfilate avranno maggiore copertura l’indomani).

Nel frattempo continua una relazione promozionale particolare tra il Corriere della Sera e la Fondazione Guido Carli, che ottiene sempre un articolo sui suoi eventi dopo averli promossi con una mezza pagina a pagamento.


domenica 25 Febbraio 2024

Less paper

La diffusione dei 25 maggiori quotidiani americani diminuisce del 14% anno su anno, dicono i dati mostrati dal sito britannico PressGazette. Lo stesso New York Times, celebrato in questi anni come un grande successo per l’investimento su nuove prospettive e progetti digitali, perde il 13% delle copie cartacee (lo suggerivano gli stessi bilanci pubblicitari del New York Times).


domenica 25 Febbraio 2024

Bando ai bandi

La questione dei finanziamenti pubblici ai giornali generati dalle norme sulla pubblicazione di bandi e comunicazioni si è chiusa: il rinnovo di quelle norme non è stato accettato dal governo, malgrado le insistenze degli editori. Il Post ha raccontato le puntate precedenti e cosa può succedere ora.

“La quantità di micro-riforme sul tema testimonia come la pubblicità legale sia stata nel tempo un luogo di confronto tra bisogni e necessità del mondo editoriale, in crescente carenza di ricavi, e maggioranze parlamentari che hanno usato questo strumento come forma indiretta di contribuzione al mondo dell’informazione. Concedere o meno la pubblicità legale ai giornali è stato nei fatti uno strumento di scambio tra politica e informazione, o almeno la parte di essa costituita dai quotidiani nazionali e locali. Le stesse comunicazioni delle scorse settimane da parte di giornali ed editori hanno spesso insistito esplicitamente non solo sulla funzione originaria delle norme in questione ma proprio sulla necessità di mantenere quei contributi pubblici nei confronti delle aziende giornalistiche”.


domenica 25 Febbraio 2024

E per soprammercato

Peggio ancora va a Vice, dove sono stati annunciati ulteriori licenziamenti e la fine delle attività sul sito.

“La prossima settimana Vice Media, la società che pubblica la rivista Vice, licenzierà centinaia dei suoi 900 dipendenti, tra cui tutti quelli che si occupano della divisione editoriale: il sito Vice.com, che è stato da sempre l’attività centrale e più riconoscibile dell’azienda, smetterà di essere aggiornato. La decisione è stata comunicata ai dipendenti da Bruce Dixon, l’amministratore delegato di Vice Media, in una lettera che diversi giornali statunitensi hanno potuto leggere, e di cui hanno pubblicato alcune parti. Non è ancora chiaro quanti dipendenti di preciso saranno licenziati”.

Vice era una rivista fondata negli anni Novanta in Canada, rivolta a un pubblico giovanile con un misto di contenuti giornalistici aggressivi e poco convenzionali e di temi di consumi e mode contemporanee. Nei decenni successivi ha avuto un enorme successo diventando una società digitale e di produzione video, ma con diverse traversie ed alti e bassi, legati anche alle personalità dei suoi fondatori.


domenica 25 Febbraio 2024

Ancora peggio a BuzzFeed

BuzzFeed è stato il sito che a un certo punto – quindici anni fa – è sembrato rappresentare di più il travolgente successo dei nuovi e sovversivi prodotti di informazione online: prima con un approccio scientifico e vincente alla diffusione di contenuti “virali” e poi con la creazione di una sezione più tradizionalmente e autorevolmente giornalistica, BuzzFeed News. Nel bel libro di Jill Abramson – ex direttrice del New York Times – che spesso citiamo su Charlie, BuzzFeed Vice sono raccontati come i due nuovi avversari che erano sembrati demolire grandi testati storiche come il New York Times e il Washington Post.
Poi le cose si sono rovesciate di nuovo, e tutta quella famiglia di “giovani turchi” digitali – Vice Buzzfeed Huffington Post (oggi HuffPost) – è entrata in una grossa e diffusa crisiBuzzfeed News è stato chiuso un anno fa.
Mercoledì BuzzFeed ha annunciato il licenziamento di 160 persone e la vendita del sito Complex, che permetterà all’azienda di pagare una parte dei suoi creditori.

Intanto nel Regno Unito la società del quotidiano Independent starebbe trattando per prendere in gestione le edizioni britanniche di Buzzfeed e dello HuffPost (acquisito da Buzzfeed nel 2020), secondo un articolo del Financial Times. Le edizioni non statunitensi dello HuffPost sono state quasi tutte cedute o chiuse negli anni passati (quella italiana è stata completamente rilevata dal gruppo GEDI): quella britannica ha rivelato particolari difficoltà di recente. Il Financial Times non può fare a meno di notare anche qui l’inversione di tendenza:“The multiyear strategic partnership is a symbolic moment for the sector, with the almost 40-year-old British media group taking charge of the local operations of a start-up once seen as the future of the industry and known for its combination of easily shared listicles and candy-coloured emojis”.


domenica 25 Febbraio 2024

Ancora Sulzberger

Tra le altre cose interessanti nella stessa lunga intervista all’editore Sulzberger, queste due. Una sui rischi per i giornali della dipendenza dai lettori, e dalla tentazione di accontentarli nelle loro opinioni: rischi che rendono pericoloso rivolgersi a “un segmento” di persone simili.

“Penso sia molto pericoloso, per una testata generalista e indipendente, inseguire uno specifico segmento di pubblico. È un ordine di idee che porta a distorcere il racconto dei fatti, soprattutto in questa fase molto polarizzata. Conquistare un gruppo spesso significa obbedire alle narrazioni scelte da quel gruppo, e per un giornale indipendente è la cosa più dannosa che ci sia”.

L’altra, sulla inconsistenza di certe frasi fatte, e sull’impressione che in particolare le notizie su Israele e su Gaza generino attacchi e critiche partigiane e speculari nei confronti delle testate che invece le raccontano in maniera accurata e indipendente. E sulla differenza tra un giornalismo “attivista” e un giornalismo che fa del buon giornalismo il proprio attivismo.

“Non credo al vecchio modo di dire per cui “se fai arrabbiare entrambe le parti vuol dire che stai facendo la cosa giusta”. È troppo semplicistico e superficiale. Ma credo che in un conflitto come questo qualunque copertura che sia indipendente e corretta finirà inevitabilmente per fare arrabbiare entrambe le parti, e dobbiamo cercare di farcene influenzare il meno possibile, e invece lavorare ogni giorno per raccontare la storia con la maggiore completezza e accuratezza possibili.
Qualcuno a volte sostiene che il giornalismo indipendente sia meno benintenzionato perché non adotta una buona causa facendo di tutto per promuoverla. Ma io credo non ci sia niente di più benintenzionato per la nostra professione che dare al pubblico le informazioni che servono per risolvere i problemi.
Non credo nessuno ritenga che questo conflitto si risolverà da solo senza qualche sviluppo verso la comprensione reciproca, e non credo che questo sia possibile senza che ci siano organizzazioni giornalistiche che cercano di aiutare tutti a comprendersi reciprocamente. È quello che cerchiamo di fare”.


domenica 25 Febbraio 2024

Nel contesto

La segnalazione della settimana scorsa sui dati insoddisfacenti del Guardian (e sulle prospettive di licenziamenti) è stata interpretata e commentata da alcuni lettori di Charlie come un annuncio di guai e di crisi del Guardian stesso, che in questi anni aveva dato l’impressione di essere tra le grandi testate internazionali più fortunate dal punto di vista della sostenibilità economica.
Impressioni che ci suggeriscono una spiegazione: abbiamo tutti imparato la continua volatilità di andamenti, risultati, tendenze, nel business dell’informazione. Cambia tutto continuamente, e i cambiamenti di oggi potranno essere ribaltati già dopodomani: le cose vanno giudicate un po’ più da lontano. Il Guardian è un giornale di straordinario successo, protagonista dell’informazione mondiale e con milioni di lettori. Quanto siano da tenere nella giusta misura notizie come questa lo ha ben spiegato l’editore del New York Times in una bella intervista col Reuters Institute, a proposito delle difficoltà dell’ultimo anno del Washington Post:

“Credo che la gente a volte sopravvaluti le avversità correnti del Washington Post. Se dieci anni fa avessi detto a quel giornale che avrebbero avuto una redazione con centinaia di giornalisti in più e forse due milioni di abbonati in più, ci avrebbero messo la firma, anche a costo di qualche passaggio doloroso lungo il cammino.
Quindi penso che il 
Washington Post , che continua a fare un lavoro eccezionale, sia una storia di successo assieme al Wall Street Journal e al New York Times. Nessuno di noi ha mai avuto tanti abbonati”.


domenica 25 Febbraio 2024

Charlie, like it’s 2014

Per i maggiori siti di news italiani siamo di nuovo nel 2014, quando con un po’ di ritardo si stavano scoprendo i meccanismi del SEO – un po’ inafferrabili e un po’ afferrabili – o la potenza delle condivisioni sui social network. La condizione è particolare perché, come Charlie ha raccontato spesso, il mondo dei media online sta andando da un’altra parte: sta spostando le priorità verso approcci e contenuti che incentivino l’apprezzamento e la fiducia dei lettori e li portino a credere nel valore e nella qualità (a volte equivocandoli, ma comunque a crederci) di questo o quel giornale e a disporsi a pagare per ottenere o sostenere quel valore. Togliendo invece risorse e impegni dall’affannosa ricerca di ricavi pubblicitari in declino, dalla costruzione di enormi quantità di pagine viste qualsivoglia, dalla “ricerca dei clic” a scapito del valore percepito del giornale.

Invece queste ultime cose sono di nuovo, più che mai, le ambizioni maggiori delle testate online più importanti, in particolare quelle dei giornali tradizionali. Che non riescono ad affrontare quella transizione con una visione sul lungo periodo e restano quotidianamente dipendenti dai ricavi pubblicitari.
Solo che oggi, più che mai, quelle grandi quantità di traffico necessarie ad attenuare la perdita di quei ricavi non sono controllabili e governabili dai siti stessi: dipendono in gran parte da dinamiche di condivisione o promozione legate ad algoritmi e piattaforme. Se Google Discover dà visibilità a un articolo, sposta centinaia di migliaia di visualizzazioni. Un articolo sul sito del 
Corriere della Sera opportunamente titolato che all’inizio di quella settimana ipotizzava – con grande vaghezza – l’orario a cui sarebbe stato annunciato il vincitore di Sanremo ha avuto una circolazione enorme ed è stato imitato nei giorni successivi praticamente da tutti (in molti casi tradendo del tutto le promesse del titolo).

E, come spieghiamo ogni volta che mostriamo i dati di traffico, a fare la differenza nelle classifiche relative sono spesso variabili incontrollabili o scelte che non hanno a che fare con una stabile competitività giornalistica di una testata. E da variabili incontrollabili o fattori non di qualità giornalistica dipendono quindi gli investimenti pubblicitari ancora così prioritari per la maggior parte dei siti di news. Dovrebbe essere un’ulteriore ragione per cominciare a darsene altre, di priorità: ma è anche vero che tutto è così in cambiamento continuo per cui ogni apparenza può ingannare. Sarà interessante rileggere queste considerazioni tra un anno.

Fine di questo prologo.


domenica 18 Febbraio 2024

“Rage-bait”

All’interno di un articolo sul sito americano NiemanLab , a proposito del quotidiano del Mississippi citato nel prologo di questa newsletter, un giornalista intervistato usa un’espressione per definire una tendenza assai diffusa anche nei mezzi di informazione italiani (senza che da noi possieda un nome): quella di pubblicare articoli o titoli con l’obiettivo di aizzare indignazione e rabbia tra i lettori, e ottenere un conseguente coinvolgimento e interesse nel giornale che adotta queste pratiche. “Rage-bait” – esca per la rabbia – è una declinazione dell’espressione “click bait” (che ormai è comunemente usata anche qui per indicare gli articoli e i titoli costruiti per ottenere dei clic).


domenica 18 Febbraio 2024

Cioè

Giulia Siviero ha raccontato sul Post la storia e l’epica di un periodico per ragazze di grande successo negli anni Ottanta e Novanta, tuttora esistente, Cioè .

“Il giornalino, con il suo formato tascabile, parlava in modo scanzonato, confidenziale e con lo stesso linguaggio usato dalle adolescenti di musica, cinema, moda, televisione e cronaca rosa. E lo faceva quando non era così semplice seguire vita e imprese dei personaggi famosi in tempo reale e quando era obbligatorio attendere il nuovo numero in edicola per scoprire se Leonardo DiCaprio si fosse fidanzato. Ma parlava anche di sentimenti, amore e sessualità a un pubblico quasi interamente femminile che andava dai quindici ai diciott’anni circa. Divenne ben presto, dice Iafrate, una specie «di amico e confidente» e divenne, soprattutto per la sua funzione pedagogica sul sesso, un giornale «trasgressivo»: parlava in modo strutturato di cose di cui nessuno parlava, dando risposte a domande che né a scuola né a casa le ragazze osavano fare”.


domenica 18 Febbraio 2024

Si è dimesso Matteo Renzi

Il quotidiano Il Riformista fu creato nel 2002 sotto la direzione di Antonio Polito (oggi collaboratore del Corriere della Sera) con l’idea di rappresentare un pensiero e una corrente omonima intorno alla sinistra e al partito che allora si chiamava Democratici di Sinistra e che poi sarebbe diventato Partito Democratico: fu allora considerato il progetto di una sorta di Foglio di sinistra, un piccolo quotidiano di opinione e idee, ostile ai radicalismi di sinistra e di destra. Che prevalsero, assieme alle difficoltà economiche del giornale, che chiuse dieci anni dopo.
Nel 2019 la testata fu riaperta dopo essere stata acquistata da un discusso imprenditore con precedenti interessi nei giornali, Alfredo Romeo: con un’ispirazione più concentrata sul garantismo giudiziario e la contestazione delle pratiche di una parte della magistratura (e del giornalismo più indulgente con la magistratura), ispirazione spesso accusata di coincidere con gli interessi dell’editore, oggetto in passato di indagini giudiziarie.
La scorsa primavera la direzione del Riformista era stata affidata all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che questa settimana l’ha lasciata ad Alessandro Barbano, ex direttore del Mattino (da cui fu allontanato piuttosto bruscamente) e finora condirettore del Corriere dello Sport, e a sua volta di antiche opinioni garantiste.


domenica 18 Febbraio 2024

Editor ed editor

La settimana scorsa abbiamo chiamato Celeste Marcus “direttrice” del giornale americano Liberties, e qualcuno ci ha correttamente indicato che Liberties ha un direttore che si chiama Leon Wieseltier. Approfittiamo per ricordare la diversa attribuzione di ruoli e denominazioni nelle redazioni e nelle aziende giornalistiche statunitensi: nelle quali non esiste un titolo semplice e universale di “direttore” (o “direttrice”) ma una varia e complessa gerarchia di “editor”, ovvero di giornalisti che hanno responsabilità maggiori nella confezione e nell’indirizzo dei giornali. Sono “editor” i capiredattori e i capiservizio e i responsabili delle sezioni o anche dei redattori con ruoli di revisione degli articoli; ma anche i principali dirigenti e capi sono “editor”, con titoli diversi scelti da ciascuna azienda: editor-in-chief, executive editor, managing editor, senior editor, associate editor, o altre volte semplicemente editor. Celeste Marcus è “managing editor” di Liberties, termine che di solito indica chi governa e guida il lavoro della redazione (spesso in Italia lo fa un vicedirettore – deputy editor – che è un titolo meno frequente nei giornali americani). “Director” è invece un termine destinato a ruoli più aziendali, e non giornalistici.


domenica 18 Febbraio 2024

Il dialogo tra prospettive diverse

La crisi interna a Repubblica questa settimana ha riguardato un’intervista al cantante Ghali che il direttore Maurizio Molinari avrebbe rinunciato a pubblicare. Secondo il Fatto, primo a raccontare la storia, in prima pagina martedì – e che in queste settimane dedica più pagine al giorno ad attacchi a Repubblica su fronti diversi -, Molinari sarebbe stato insoddisfatto delle posizioni di Ghali in difesa della popolazione di Gaza (espresse anche sul palco del festival di Sanremo, con irritazione dell’ambasciata israeliana, per cui la direzione di Repubblica ha frequenti premure) e avrebbe chiesto che Ghali aggiungesse alle sue risposte qualcosa sulle stragi di Hamas del 7 ottobre, senza ottenerlo. E avrebbe quindi “censurato” l’intervista.
All’articolo del Fatto ha reagito il Comitato di redazione di Repubblica, già martedì mattina, e non in difesa del direttore:

“Interpretando il comune sentire largamente diffuso tra le colleghe e i colleghi di Repubblica, non possiamo che contestare la mancata pubblicazione dell’intervista a Ghali, fermata dal direttore quando era già in pagina. Non neghiamo il fatto che il direttore possa intervenire e decidere che vada aggiunta una domanda. Le domande si fanno tutte, soprattutto le più scomode. Ma diritto e dovere del giornalista è riportare le cose come stanno. I nostri interlocutori hanno il dovere di rispondere, ma anche il diritto di non prendere una posizione se lo ritengono, assumendosene le responsabilità. Ma quello che non si può fare è non pubblicare un’intervista (dove tra l’altro si parlava di pace) perché non ci piace il suo contenuto, buttando il lavoro delle colleghe e dei colleghi e umiliandone la professionalità […] Purtroppo non è la prima volta che siamo costretti a intervenire su casi di questo tipo. Repubblica è di chi la fa, è un prodotto collettivo come ogni giornale ma un po’ più di tutti gli altri, non uno strumento che risponde alle sensibilità di un’unica persona”.

Ma nel frattempo ha reagito anche il direttore Molinari, decidendo di pubblicare l’intervista a Ghali sul sito del giornale, con una risposta all’articolo del Fatto:

“In merito a quanto pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano, la direzione di Repubblica precisa che non è stata mai fatta alcuna censura contro il cantante Ghali, gli è stato invece chiesto di rispondere a una domanda sulle polemiche seguite al suo primo intervento a Sanremo in merito al mancato riferimento al 7 ottobre e lui ha scelto di non farlo. Pubblichiamo sul nostro sito l’intervista in questione che aspetta la sua risposta su questo tema perché il dialogo fra prospettive diverse arricchisce tutti. Di seguito il testo dell’intervista a Ghali, ancora in attesa di una risposta sul 7 ottobre”.

E in coda all’intervista, di nuovo:

“Quanto all’intervista, era stato chiesto di integrarla con una risposta sul 7 ottobre, richiesta fatta da uno dei nostri inviati con un messaggio whatsapp mandato all’entourage dell’artista all’1.16 di venerdì 9 febbraio, messaggio che non ha mai ricevuto risposta e nel quale si ribadiva l’intenzione del giornale a pubblicare l’intervista non appena Ghali avesse fornito una risposta, naturalmente quella che riteneva di dover dare. Quella risposta non è mai arrivata”.


domenica 18 Febbraio 2024

Altri giornalismi

Scaachi Koul è una giornalista canadese che ha collaborato con molte testate americane importanti: questa settimana ha scritto sulla rivista letteraria una riflessione umoristica e autoironica sulla crisi e sulle chiusure dei giornali americani considerate dal punto di vista di autori e autrici, come lei, che non avranno più un posto dove “parlare di me”, “scrivere quello che mi gira”. Il pezzo è interessante perché ritrae una categoria professionale (“professionisti delle chiacchiere”) molto affollata nel giornalismo contemporaneo e assai distinta da quelle che più intuitivamente “danno le notizie”: ci sono tanti e autori e autrici di cui leggiamo sui giornali e siti di news il cui lavoro è – a volte con sapienza, brillantezza, intelligenza, altre meno: spesso con battute, paragoni surreali e allusioni comiche – parlare di sé, “scrivere quello che mi gira”, con grande soddisfazione propria (e a volte apprezzamenti altrui) per questo ruolo.


domenica 18 Febbraio 2024

“Un altro libro”

Lunedì il Corriere della Sera ha offerto quasi due pagine a un’intervista con Marina Caprotti, presidente di Esselunga, azienda che è assidua inserzionista del giornale. L’intervista di quasi due pagine era dedicata alla ripubblicazione di un vecchio libro del fondatore di Esselunga, padre di Marina, Bernardo Caprotti: il libro è già in vendita con ampia visibilità in tutti i supermercati Esselunga. L’intervista è stata affidata dal Corriere della Sera allo stesso autore dell’introduzione al libro, che è anche professionalmente “consigliere dell’editore” che lo ha pubblicato. La decisione di ripubblicarlo era spiegata nell’intervista così: «il ritorno di Falce e carrello è quasi un atto dovuto dopo che un altro libro ha cercato di demolire la figura del fondatore della catena di supermercati. A firmarlo è stato l’unico figlio maschio, nato dal primo matrimonio». Dell’autore “unico figlio maschio” di quel disprezzato libro non si faceva il nome: è Giuseppe Caprotti, già amministratore delegato di Esselunga e poi estromesso drammaticamente dal padre in favore di Marina Caprotti. Giuseppe Caprotti ha scritto un libro pubblicato a novembre da Feltrinelli, che ha venduto 15mila copie in due mesi e si chiama Le ossa dei Caprotti: libro molto critico sull’azienda di famiglia . Di quel libro il Corriere della Sera invece non ha mai scritto una riga, il suo autore non è mai stato nominato sul giornale.
Il venerdì successivo per promuovere il libro Falce e carrello è stata acquistata un’intera pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera (e anche su altri quotidiani).


domenica 18 Febbraio 2024

i-D cambia proprio

Alla fine – dopo la vendita del giornale sembrava sarebbe rimasto – Alastair McKimm ha lasciato la direzione della rivista di moda i-D: delle sue vicende avevamo parlato tre mesi fa.

“i-D è una rivista britannica bimestrale di moda e di cultura giovanile e fu fondata nel 1980 da Terry Jones, che era stato direttore artistico dal 1972 al 1977 dell’edizione britannica del magazine di moda Vogue.
[…] i-D è diventata nel tempo una rivista conosciuta a livello internazionale per l’attenzione alla moda giovanile e allo streetwear: Terry Jones ha ceduto la pubblicazione a Vice Media (il gruppo editoriale che pubblica, tra le altre cose, Vice News e Motherboard ) nel 2012. Ma nei giorni scorsi i-D è stato acquistato dall’imprenditrice e modella Karlie Kloss, dopo che il gruppo Vice Media aveva attraversato una lunga crisi e dichiarato bancarotta. Kloss è diventata anche amministratrice delegata di i-D e l’acquisizione segue quella del 2020 quando Kloss, con altri investitori, aveva rilevato la rivista di moda americana W”.


domenica 18 Febbraio 2024

I siti di news a dicembre

La società di rilevazione Audicom ha pubblicato i dati di traffico sui siti web a dicembre. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).

Rispetto a un mese fa c’è un cospicuo declino di quasi tutti (fa maggiore eccezione Leggo). In cima alla classifica, per il terzo mese consecutivo, il sito del Corriere della Sera supera quello di Repubblica (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto: questi distacchi possono non avere a che fare con i singoli siti delle due testate).

Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito MyMovies (218mila utenti), seguito da Ticonsiglio (186mila) e Fem (94mila); i numeri del sito del Corriere comprendono anche quelli di IoDonna, di Oggi e di Amica , che insieme fanno circa 300mila utenti; il Messaggero conta anche 290mila utenti delle pagine di Salvatore Aranzulla).

(la tabella si ingrandisce cliccandoci)


domenica 18 Febbraio 2024

Al Guardian, “worry but not panic”

Il Times di Londra (espressione novecentesca con cui nel giornalismo italiano si è sempre cercato di distinguere quel quotidiano dal New York Times) è stato il primo a riferire di una riunione interna al Guardian (di Londra pure lui, ma inequivoco, e meno seguito dalle redazioni italiane nel Novecento) con cui è stato comunicato che il giornale chiuderà il bilancio del 2023 con 39 milioni di perdite, per declino del mercato pubblicitario (-16% di ricavi, -20% rispetto alle previsioni), e licenzierà un numero per ora indefinito di persone. Anche i ricavi dalle membership (il Guardian non ha paywall, e propone contributi via membership) non hanno raggiunto gli obiettivi di bilancio, pur superando quelli dell’anno precedente. I ricavi dalla vendita del giornale di carta sono calati del 3%, come da obiettivi.


domenica 18 Febbraio 2024

Adesso Pavia

L’impegno del gruppo editoriale GEDI nel dismettere tutto il proprio patrimonio di quotidiani locali – l’impegno principale perseguito negli anni della nuova proprietà – si sta avvicinando al suo compimento, dopo i diversi sviluppi passati. Questa settimana è stata rivelata la trattativa avanzata per la vendita del quotidiano La Provincia Pavese, conclusa la quale resteranno di proprietà di GEDI – accanto alle due testate nazionali Repubblica Stampa – soltanto il Secolo XIX di Genova e la Sentinella del Canavese di Ivrea.

Alla prospettiva di cessione la redazione della Provincia Pavese ha reagito con maggiore polemica delle testate che l’hanno preceduta: scioperando martedì e pubblicando un comunicato molto severo di critiche all’azienda, in particolare contro la segretezza dell’identità dell’acquirente potenziale.

Chi intende comprare il giornale non può pensare di farlo senza discutere con la redazione, nascondendosi fino al giorno del “closing”.
Noi crediamo che debba rispondere ad alcune domande che vogliamo rivolgere pubblicamente.
1) Perché volete comprare un giornale in un momento storico di crisi dell’editoria?
2) Qual è il progetto editoriale per rilanciare la Provincia Pavese?
3) È vero che volete vendere la sede?
4) Siete consapevoli che i fondi per gli stati di crisi dell’editoria sono in esaurimento?
5) Quali sono le ragioni di tanta riservatezza?

Non si conosce l’identità del possibile acquirente perché è stato sottoscritto un «patto di riservatezza assoluto durante la fase di due diligence», cioè la verifica dei conti economici di un’azienda per una valutazione più attenta prima di un possibile investimento.
Nel corso degli ultimi mesi altre società si sarebbero interessate all’acquisto del giornale: mercoledì il quotidiano economico ItaliaOggi aveva scritto di due offerte di circa tre milioni. GEDI ha confermato a Charlie che però nessuno di questi contatti verbali è mai diventato una proposta concreta. Una sarebbe stata quella presentata da Geodis, una società di logistica e trasporti, che avrebbe offerto 3,4 milioni. Un’altra offerta dovrebbe essere arrivata da Confagricoltura di Pavia, che avrebbe voluto rilevare il giornale e gli immobili per i quali avrebbe offerto 2,2 milioni. Confagricoltura di Pavia avrebbe interesse nel rilevare il palazzo del giornale per farlo diventare la sede dell’associazione.

I conti della Provincia Pavese sono sempre rimasti in attivo fino al 2022, il bilancio del 2023 dovrebbe chiudersi invece in negativo. Il personale della redazione si è ridotto nel corso degli anni, passando da una trentina di giornalisti assunti a 22 (tra cui il direttore e un giornalista che lavora a Salute, inserto verticale di Repubblica), più una trentina di collaboratori. La redazione lavora in un palazzo di tre piani che in passato ospitava anche il lavoro dei poligrafici, che si occupavano dell’impaginazione del giornale: oggi il giornale occupa due piani, in uno lavora la redazione e in un altro la concessionaria pubblicitaria Manzoni del gruppo GEDI. Sono state delocalizzate tutte le attività diverse dal lavoro di redazione. Chi acquisterà la Provincia Pavese, a meno che non possieda già altri giornali, potrebbe essere quindi costretto a assumere altre persone per rendere indipendente il funzionamento del quotidiano; oppure continuare a usare i servizi di GEDI, pagandone i servizi.


domenica 18 Febbraio 2024

Troppo oblio

Mario Tedeschini Lalli, uno dei più esperti osservatori dei cambiamenti dell’informazione in Italia e uno dei più precoci giornalisti a essersi occupato del digitale ancora nel secolo scorso, ha messo insieme una serie di riflessioni sul rapporto dei giornali con il cosiddetto “diritto all’oblio“: a partire da una recente sentenza del Garante della privacy. Tra l’altro rivelando una consuetudine di molti giornali di obbedire con eccesso di zelo a molte richieste, pur di non avere seccature e a costo di cancellare dalla pubblica informazione fatti e notizie.

“Sugli organi di informazione “di categoria” ho trovato solo un articolo su questo argomento (gradite segnalazioni e link di eventuali altri). E’ sul numero di giugno 2023 di Tabloid, periodico dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e spiega come i ricorsi per “oblio” abbiano un effetto intimidatorio nei confronti di redazioni ed editori, i quali per quieto vivere spesso rinunciano a resistere alla richieste di cancellazione. Per questo l’articolista invoca una difficile e forse pericolosa “norma” per bilanciare l’interesse pubblico all’informazione con il diritto individuale all’oblio. L’articolo s’intitola “Se il diritto all’oblio diventa una minaccia a chi scrive” ed è firmato da Claudia Trombelli, “Legal Specialist di Citynews SpA”, è cioè la voce di un editore, non di una giornalista o di un giornalista.
Ah, non cercate sul web questo articolo, è consultabile solo a pagina 23 della copia a stampa o in facsimile della rivista, sui motori di ricerca non esiste. Poi uno dice la “transizione digitale””.


domenica 18 Febbraio 2024

Estinzione

Il settimanale New Yorker ha aggiunto un ottimo articolo di riassunto alla ricca bibliografia di queste settimane dedicata all’accelerazione della crisi dei giornali americani. È apocalittico e speranzoso al tempo stesso.

“Journalism requires a peculiar mix of skepticism and earnestness; as journalists, after all, we consider ourselves integral to the functioning of civic society, even if much of society doesn’t particularly like us. This breeds a funny mix of pugilism and sanctimony that can be, frankly, a little unlikable. Speaking recently on the “Print Is Dead. (Long Live Print!)” podcast, Tina Brown, a former editor of The New Yorker and Vanity Fair, compared members of the U.K. press with their American counterparts. “They see it as a job,” she said, of her fellow-Brits. “They don’t see it as a sacred calling, and I think there’s something to be said for that.”

The business models that will sustain journalism in the future won’t be perfect. They’ll leave people out who need good-quality news the most. They will probably cater to older, wealthier men who (for now) make up the demographic most likely to pay for news. There will be idiocy and the enablement of rich idiots. But there will also be new generations of journalists willing to leap into an unsteady industry because they think explaining the world around them is worthwhile, if not particularly remunerative. The sanctimony that Brown sniffs at certainly exists, but a little bit of the holy spirit is probably necessary to report on contemporary America. Even if past experience has taught journalists that change is often a destructive force, the crisis is here, and it needs solutions if we’re going to keep recommending, in good conscience, that promising young talent join the media’s ranks”.


domenica 18 Febbraio 2024

Charlie, guardare fuori

I destini dei quotidiani locali, nei tempi di crisi dei media che sono intenso oggetto di questa newsletter, sono spesso trascurati dal dibattito. Gli americani ne parlano molto, perché da loro quasi tutti i quotidiani sono considerati locali, mentre da noi c’è poco confronto e discussione sulle loro difficoltà peculiari e sulle loro eventuali opportunità: il Post ne aveva scritto un po’ qui, ormai tre anni fa. Questa povertà di riflessione concorre a una limitata spinta verso l’innovazione e la sperimentazione e verso la ricerca di soluzioni, a cui spesso si aggiungono anche le minori risorse di “contemporaneità” e competenza digitale delle province. A lungo si è detto che il rapporto con “il territorio” e le comunità locali avrebbe potuto essere il capitale più prezioso, ma d’altra parte l’accesso alla comunicazione globale in qualunque angolo di mondo ha anche indebolito il valore di quel rapporto. Proprio per questo può essere interessante mettere nel dibattito e nelle riflessioni uno spunto che arriva dalla scelta di un piccolo quotidiano americano, di occuparsi di più della politica e delle cose nazionali. Proprio perché il rapporto con i quotidiani nazionali si sta esaurendo, i quotidiani locali potrebbero provare a occupare lo spazio di messaggeri di riferimento di un’offerta che superi i confini locali: immaginando che ai loro lettori possa a volte interessare di più trovare in prima pagina cosa succede nella campagna elettorale delle Europee o nel dibattito sulla violenza contro le donne, piuttosto che la grande foto di un incidente stradale o l’annuncio di nuove assunzioni dell’azienda degli autobus. E investendo sulla qualità del proprio giornalismo di maggior respiro, senza nulla togliere all’utilità dell’informazione locale. È solo un’idea, visto che non ne girano tante.

Fine di questo prologo.


domenica 11 Febbraio 2024

In tutti i laghi

Sabato prossimo alle 11 la rassegna stampa I giornali spiegati bene – che racconta le cose di cui parliamo qui – sarà a Verbania: sempre con Luca Sofri e Francesco Costa, direttore e vicedirettore del Post, peraltro.


domenica 11 Febbraio 2024

Beghe

Il Fatto ha raccontato sabato che l’editore GEDI avrebbe rinunciato a pubblicare una biografia del fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, dopo il rifiuto del suo autore di cancellare alcuni passaggi che citavano il giornalista Giovanni Valentini – a lungo a Repubblica, oggi al Fatto con opinioni molto critiche contro Repubblica – e altri non meglio precisati di cui avrebbe chiesto la rimozione il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.

Il Fatto ha quasi quotidianamente articoli contro Repubblica, che è uno dei soggetti attaccando i quali ha costruito nel tempo gran parte dei propri consensi (insieme al PD, o a Silvio Berlusconi, o a Matteo Renzi, per citare i principali): lo stesso giorno accusava Repubblica anche di non avere dato spazio adeguato alla notizia che il suo editore – John Elkann – fosse indagato per una complicata vicenda di eredità di famiglia. Repubblica aveva in effetti raccontato giovedì la notizia – non in prima pagina – con una formula di garanzia che nel frattempo il direttore del Foglio Claudio Cerasa aveva commentato come piuttosto inusuale, rispetto agli abituali titoli su indagati e indagini.

Le pagine dell’Economia di Repubblica avevano intanto offerto una mezza pagina agli impegni e alle dichiarazioni dell’editore di Repubblica sia martedì che mercoledì.


domenica 11 Febbraio 2024

Attenzioni

Il Corriere della Sera ha dedicato martedì un breve articolo nelle pagine dell’Economia a uno spot pubblicitario di Esselunga, che era stato promosso lunedì sul Corriere della Sera da un’inserzione a pagamento di Esselunga.
Sempre nelle pagine di Economia il Corriere della Sera ha dato spazio a risultati e autocelebrazioni della banca Intesa Sanpaolo con articoli mercoledìgiovedì venerdì: venerdì la stessa banca aveva acquistato due pagine pubblicitarie sul giornale, ed è uno dei più frequenti inserzionisti sui maggiori quotidiani (oltre a essere creditrice di alcune delle aziende che li pubblicano).


domenica 11 Febbraio 2024

L’Atlantic e Yascha Mounk

L’ Atlantic ha comunicato di avere interrotto la collaborazione di Yascha Mounk con il sito e il giornale, dopo avere ricevuto e vagliato – in un tempo non immediato – le accuse di stupro contro di lui da parte di una giornalista.
L’ Atlantic è uno storico e illustre mensile statunitense progressista, e oggi soprattutto un sito web di news e opinioni, acquisito nel 2017 da una società di proprieta di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, e che in questi anni è stato protagonista di un raro e apprezzato successo di sostenibilità e rinnovamento.
Yascha Mounk è un suo frequente collaboratore e commentatore politico che negli scorsi anni ha acquisito una notevole notorietà anche internazionale (in Italia due suoi libri sono stati tradotti da Feltrinelli, e diversi suoi articoli sono stati pubblicati dai quotidiani Domani Repubblica: lo scorso giugno era stato ospite del podcast del Post che si chiama Globo): le sue opinioni più note e visibili in questi anni sono state di attacco ai populismi e di critica verso i rischi della cancel culture, cosiddetta, e di certe posizioni ” woke ” a sinistra.

Ad accusare Mounk è una scrittrice e giornalista, Celeste Marcus, che aveva raccontato un mese fa di una violenza subita nel 2021, in un post sul magazine online Liberties di cui è direttrice. Questa settimana Marcus ha pubblicato in un tweet la mail che aveva scritto contemporaneamente al direttore dell’ Atlantic rivelandogli che a violentarla sarebbe stato Mounk: nel tweet Marcus diceva di non avere osservato conseguenze della sua segnalazione. Poco dopo l’ Atlantic ha annunciato di “non avere pubblicato più niente del collaboratore dopo essere stati informati dell’accusa”.
Mounk ha definito l’accusa “categoricamente falsa”: la comunicazione dell’ Atlantic aggiunge che il giornale “seguirà eventuali sviluppi”, ma Marcus non ha presentato denunce, e la sospensione di Mounk è stata decisa in conseguenza delle sue accuse e richieste al giornale stesso.


domenica 11 Febbraio 2024

Ma come?

Per la seconda volta in pochi mesi la direzione del Giornale ha pubblicato un commento critico e risentito nei confronti di membri del governo che hanno querelato il quotidiano: fino a qui niente di anomalo, un politico querela un giornale e quel giornale protesta. Ma in questo caso – distinzione esplicitata dallo stesso articolo – la protesta non contesta una limitazione della libertà di espressione o un’intimidazione censoria, ma usa come argomento polemico il fatto che il Giornale abbia invece abitualmente posizioni vicine o a sostegno del governo, e che quindi le querele mostrino un’irriconoscenza.

“Non ci spaventiamo, non denunciamo ridicoli e inesistenti bavagli, non mettiamo in dubbio la loro libertà di fare ciò che credono e capiamo pure che l’idea maturata nella loro testa di arrotondare con qualche decina di migliaia di euro (nell’improbabile caso di una vittoria in tribunale) i non faraonici stipendi pubblici possa stuzzicare, del resto ognuno tiene famiglia e magari pure casa da ristrutturare. Che un governo di destra, attraverso due suoi rappresentanti, provi a estorcere soldi a giornali che per loro, e direi nonostante loro, hanno combattuto e combattono gratis battaglie epocali contro chi li voleva e li vorrebbe morti, è il segno di quanto il potere possa dare alla testa e fare perdere lucidità”.


domenica 11 Febbraio 2024

How does it feel?

Questa newsletter ormai esiste da abbastanza tempo per dare notizia delle dimissioni di direttori di importanti testate di cui aveva raccontato già il debutto: questa volta è il caso di Noah Shachtman, che lascia Rolling Stone – l’edizione originale americana – dopo meno di tre anni per faticosi rapporti con il CEO Gus Wenner, figlio del leggendario (e faticosissimo) fondatore.


domenica 11 Febbraio 2024

Sfacciati

Il New York Times ha di nuovo diffuso dei dati sui suoi risultati e successi, che ormai non fanno più notizia e generano soprattutto desolazione e invidia nei concorrenti, detto che il New York Times non ha davvero concorrenti.
Le cose più rilevanti sono:
– 10,36 milioni di abbonati, di cui 9,7 milioni sono abbonati ai prodotti digitali; 300mila nuovi abbonati nell’ultimo trimestre del 2023, meglio dei precedenti;
– i ricavi dagli abbonamenti digitali (che sono mediamente più economici) costituiscono quindi più del doppio di quelli dalle vendite e dagli abbonamenti all’edizione cartacea;
– stanno andando bene i “bundle”, ovvero gli abbonamenti che includono assieme al giornale la sezione sportiva The Athletic, o i giochi, o la sezione di cucina, o quella di prodotti e acquisti Wirecutter. E stanno andando benino le conversioni di abbonamenti scontati e promozionali in abbonamenti a prezzi maggiori, con un valore mensile per abbonato di 9,24 dollari, cresciuto del 3,5% rispetto a un anno prima (ma era stato di 9,28 dollari nel trimestre precedente).
– The Athletic è ancora in perdita, ma le perdite sono diminuite. Il New York Times aveva comprato il sito nel 2022 per 550 milioni di dollari facendolo diventare la sua sezione sportiva nel 2023.
– i ricavi pubblicitari invece sono diminuiti del 16,2% per la carta e del 3,7% per il digitale. Nel complesso una perdita dell’8,4% che l’azienda si aspetta che si ripeta nel 2024 intorno a cifre simili.


domenica 11 Febbraio 2024

What Will be Will be

Sempre sul Postun punto su cosa è già cambiato e come sta andando Will, progetto divulgativo di news nato su Instagram e con un pubblico prevalentemente molto giovane.

“In queste settimane Will scrive, in fondo alle didascalie dei suoi post su Instagram, alcune frasi mirate a far conoscere l’esistenza della membership. Zaffarano aggiunge che: «purtroppo paghiamo il fatto di non pubblicare su una piattaforma proprietaria che ci darebbe maggiore controllo sull’efficacia dei messaggi e sulla targettizzazione, ma dall’altro lato abbiamo una capillarità maggiore nel raggiungere gli utenti». Anche questa è una questione che riguarda e preoccupa molti progetti di informazione in questi ultimi anni: la dipendenza dalle piattaforme sta creando molti problemi ai giornali online di tutto il mondo sia rispetto alla promozione dei propri contenuti (Facebook ha per esempio ridotto molto le sue priorità sulla diffusione delle news e dei contenuti giornalistici) che all’autonomia commerciale ed economica (altri esempi: Google sta introducendo dei cambiamenti assai rilevanti nella profilazione pubblicitaria degli utenti, preziosa per i giornali online; Apple governa gran parte delle possibilità di abbonarsi o pagare attraverso le app sui suoi dispositivi)”.


domenica 11 Febbraio 2024

Más limpio y compacto

Lo spostamento di attenzioni e priorità sulle edizioni online dei quotidiani ha avuto tra le altre ricadute, in questi anni, una minor frequenza di “redesign” dei quotidiani cartacei, anche perché le edizioni di carta non sono più “il giornale” e il modo prevalente con cui ciascuna testata si mostra al mondo. E sul web la diffusione dei contenuti dei giornali avviene soprattutto per percorsi “atomizzati” (Google, social network, condivisioni) che rendono meno rilevante l’identità grafica dei contenitori, e delle homepage. Ma aggiornare la forma dei quotidiani – cartacea o digitale – rimane utile ad adeguarli a impostazioni nuove, a sensibilità cambiate, o anche soltanto a dare una sensazione di contemporaneità e rinnovamento.
Questa settimana ha presentato un suo nuovo design El País, il quotidiano generalista a maggiore diffusione in Spagna (lo supera Marca, quotidiano sportivo). Il giornale di carta ha un formato più piccolo e stilisticamente è più simile alla grafica del sito: le pagine, più ordinate e meno affollate, spesso ospitano un solo articolo.

“Più elegante e pulito, introduce un carattere pensato per migliorare la leggibilità dei testi e un ordine delle sezioni con dei piccoli cambiamenti: sono raggruppate da una parte l’attualità internazionale, politica ed economica, e dall’altra quella sociale, sportiva, culturale e di stili di vita”.


domenica 11 Febbraio 2024

I quotidiani a dicembre 2023

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di dicembre 2023. Se, come facciamo ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” totale, i risultati sono quelli che seguono: che non tengono conto delle copie distribuite gratuitamente, di quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto (tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa).

Corriere della Sera 168.216 (-5%)
Repubblica 94.454 (-14%)
Stampa 67.933 (-13%)

Sole 24 Ore 56.101 (-6%)
Resto del Carlino 52.563 (-12%)
Messaggero 45.870 (-8%)
Fatto 40.375 (-4%)

Gazzettino 34.516 (-5%)
Nazione 34.315 (-12%)
Dolomiten 29.336 (-5%)
Giornale 27.262 (-7%)
Messaggero Veneto 25.005 (-8%)
Eco di Bergamo 22.671 (-8%)

Verità 22.523 (-18%)
Unione Sarda 22.346 (-6%)
Secolo XIX 21.248 (-11%)

Altri giornali nazionali:
Libero 19.076 (-13%)
Avvenire 14.857 (-6%)
Manifesto 12.763 (+5%)
ItaliaOggi 6.641 (-27%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Rispetto al calo grossomodo medio del 10% anno su anno delle copie effettivamente “vendute”, cartacee e digitali (queste ultime in abbonamento), a cui siamo abituati, questo mese sono andati meglio il Corriere della Sera, ancora (che salvo occasionali eccezioni finora si tiene sempre intorno a un -5%), e il Fatto. Mentre continuano ad avere declini assai maggiori i quotidiani del gruppo GEDI: RepubblicaStampa e anche il Secolo XIX. E anche Nazione Resto del Carlino del gruppo Monrif (il terzo quotidiano del gruppo, il Giorno, perde a sua volta il 12%).
Dopo i travasi dei mesi scorsi, per il secondo mese vanno male tutti i quotidiani di destra: il Giornale, ma soprattutto Libero Verità. Restano invece ammirevolmente in piccola crescita i numeri del Manifesto.

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 48mila, il Sole 24 Ore più di 33mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 43.267 (+34)
Repubblica 23.831 (+718)
Sole 24 Ore 22.923 (+50)
Fatto 19.693 (-30)
Stampa 8.602 (-165)
Manifesto 6.402 (-108)
Gazzettino 6.258 (+69)

Rimane molto esigua la quota di abbonamenti alle edizioni digitali per alcune testate nazionali (soprattutto quelle con un pubblico più anziano) in un tempo in cui quella è la direzione più promettente per la sostenibilità di molti giornali: 1.800 abbonamenti digitali (pagati almeno il 30%) per Avvenire , 1.520 per Libero , 1.466 per il Giornale, 1.071 per la Verità, 2.174 per la Gazzetta dello Sport (che però ne ha più di 11mila venduti a meno del 30% del prezzo). I tre quotidiani Monrif (GiornoResto del CarlinoNazione) ne dichiarano complessivamente 1.639.

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora soprattutto del Tirreno (-20%: il Tirreno ha perduto un terzo delle copie in due anni); e poi di nuovo del Giornale di Vicenza (-15%) e dell’ Arena (-14%), entrambi del gruppo Athesis, e del Centro di Pescara (-15%).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà una cifra complessiva di valore un po’ grossolano, che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione , e che trovate qui (ma anche Prima Comunicazione ha intanto parzialmente adeguato i suoi dati dando priorità alle sole vendite individuali). Un esempio delle differenze con i dati che abbiamo raccontato qui sopra è il risultato positivo di Repubblica , che cresce del 4,2% rispetto all’anno scorso grazie all’aggiunta di una grande quota di copie promozionali e omaggio da gennaio di quest’anno.

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)


domenica 11 Febbraio 2024

Le carte su Lady Diana

Tre anni fa ci fu un grande scandalo “postumo” intorno a BBC, la rete televisiva pubblica britannica, quando fu rivelato che una famosa intervista del 1995 con Lady Diana Spencer era stata ottenuta grazie a informazioni false fornite alla stessa intervistata. La storia fu rivelata da un’indagine interna della stessa BBC.
Da allora un giornalista freelance inglese, Andy Webb, sta conducendo un confronto legale con BBC per ottenere accesso alla grande quantità di documenti ed email relativi a quell’intervista e all’indagine, sostenendo che possano contenere informazioni importanti per conoscere di più di quel passaggio storico che fu la separazione e il divorzio tra Diana Spencer e il principe Carlo, che sarebbe poi diventato re. Webb ha ottenuto già una grande quota di documenti, ma che sono stati estesamente censurati con grandi quantità di cancellature.
La contesa legale è un altro interessante esempio di come nel Regno Unito – e in altri paesi democratici – il diritto all’informazione sia ampiamente regolato e di frequente affidato alla decisione di tribunali e sentenze , per mantenere un equilibrio tra quello stesso diritto e opposte ragioni di privacy, o comunque di segretezza di determinate notizie.


domenica 11 Febbraio 2024

Parallelamente

Il Post ha raccontato il progetto di acquisizioni e investimenti in siti “verticali” da parte di GEDI Digital, e cosa fa GEDI Digital.

“Tra le molte difficoltà che sta attraversando il business dei giornali in Italia, una storia che continua a essere protagonista dei cambiamenti, con sviluppi frequenti, è quella che riguarda il gruppo editoriale GEDI, le cui proprietà più note – i quotidiani Repubblica e Stampa – hanno subito grosse trasformazioni, e che in questi anni hanno avuto declini di copie maggiori di quelli dei concorrenti (tutte le testate quotidiane perdono copie ogni anno da almeno vent’anni).
All’interno delle redazioni è stata spesso criticata in questi anni una mancanza di visione e prospettive dell’azienda rispetto a ruoli e destini dei due giornali, ma nel frattempo l’azienda stessa ha invece messo attenzioni e investimenti su presenze nuove sul web e sul digitale in genere. Se da una parte il gruppo è sembrato trascurare lo sviluppo digitale e l’innovazione nei suoi brand più famosi, dall’altra sta costruendo loro intorno un patrimonio di proprietà digitali in un’area assai varia tra il giornalismo e l’intrattenimento”.


domenica 11 Febbraio 2024

Il governo diviso sui bandi e i quotidiani

Un aggiornamento sulle regole per la pubblicazione dei bandi pubblici sui quotidiani, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa: una consuetudine nata – e diffusa in molti paesi – per dare conoscenza più larga possibile, e opportunità eque, a iniziative di interesse pubblico, ma diventata discussa e anacronistica in tempi in cui i quotidiani non sono più lo strumento più efficace in questo senso: sia per la loro diminuita diffusione che per la maggiore permanenza delle comunicazioni online. Ma quelle regole sono tuttora vissute dagli editori dei giornali – che lo dicono piuttosto trasparentemente – anche come una forma di finanziamento pubblico a un settore in difficoltà, a prescindere dalla validità corrente del loro fondamento.

Ora quelle regole stanno scadendo e il governo non sembra intenzionato a rinnovarle, perché ci sono richieste dell’Unione Europea e del PNRR – oltre che costi pubblici minori – per un aggiornamento degli strumenti di pubblicità dei bandi attraverso delle piattaforme online. Gli editori dei quotidiani più beneficiati da quei contributi diretti stanno quindi facendo molte pressioni per un ripensamento attraverso qualche tipo di emendamento al decreto “Milleproroghe“. Questa settimana i quotidiani maggiori hanno ospitato anche delle inserzioni della federazione degli editori, e hanno mobilitato appoggi all’interno della maggioranza: il quotidiano Repubblica ha anche dato uno spazio e un’autorevolezza inconsueti al senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che propone un rinvio della questione e una conservazione delle regole e del contributo.


domenica 11 Febbraio 2024

Meno paywall per tutti

Ma niente rimane mai stabile a lungo in questi anni, e anche l’altra maggiore fonte di ricavo – gli abbonamenti – che è diventata la priorità per quasi tutti negli ultimi cinque-sei anni, ha già cominciato da un po’ a dare segni di una possibile saturazione e di un rallentamento. Quindi, sostiene il sito americano Axios, alcuni grossi siti internazionali stanno iniziando a ripensare la rigidità dei loro paywall per tornare ad avvicinare nuovi potenziali abbonati alle proprie offerte (e per non limitare troppo il traffico e i suoi ricavi pubblicitari), e a sperimentare offerte più diversificate.


domenica 11 Febbraio 2024

A che punto siamo con i cookie

Sbrigativo riassunto semplificato: i giornali hanno sempre avuto e hanno tuttora due maggiori fonti di ricavo. Adesso una di quelle è piuttosto in declino, quella della pubblicità, ma continua a essere prevalente e indispensabile per la maggior parte delle imprese giornalistiche. L’altra, i lettori paganti, è cresciuta negli anni scorsi per chi le ha dato priorità, ma ha rallentato nell’ultimo anno.
C’è persino chi dice che ormai per la maggioranza dei giornali quei modelli non saranno più sufficienti.
Per i prodotti giornalistici digitali il declino della pubblicità ha avuto un fattore specifico che sta diventando sempre più concreto: le scelte e le regole che – per proteggere la privacy degli utenti – stanno venendo introdotte contro i “cookie di terze parti”: ovvero, sempre detto sbrigativamente, la possibilità dei siti di ottenere e raccogliere informazioni sugli utenti e sui loro comportamenti e navigazioni anche fuori dai singoli siti. Con conseguente perdita di valore degli spazi pubblicitari, per minore capacità di profilazione. La scelta più importante in questa direzione è stata quella di Google e del suo browser Chrome, che dopo averla annunciata da tempo inizierà a metterla in pratica quest’anno, con grande allarme del mondo della pubblicità digitale e degli editori.

Invece, raccontata con molta più completezza e dall’inizio, qui:

“Google ritiene invece che i tempi siano maturi per compiere il passaggio, anche perché il suo progetto per farlo è in ritardo di più di un anno rispetto alle tempistiche comunicate qualche anno fa quando la società aveva iniziato a lavorare ai sistemi di tracciamento per la pubblicità online. Il sistema ormai in via di attivazione ha però fatto sollevare altre perplessità, con accuse rivolte a Google di voler avvantaggiare il proprio browser rispetto a quelli della concorrenza e di voler tutelare il proprio sistema per la pubblicità a scapito sempre dei concorrenti. La faccenda è complicata, ma ci riguarda tutti e parte da un “biscottino””.


domenica 11 Febbraio 2024

Charlie, le notizie prima che accadano

In mezzo a tutti i cambiamenti che riguardano i giornali ce n’è uno che sembra piccolo ma ha un grosso valore simbolico ed esemplare: i quotidiani non escono più la mattina (o il pomeriggio), come hanno fatto per secoli. Le edizioni digitali dei quotidiani – ovvero il “giornale”, quello completato e concluso, con quel numero di pagine e articoli – escono quasi tutte pochi minuti dopo la mezzanotte, e alcune anche prima. Quotidiani che “chiudono” presto – il Foglio o Domani, per esempio – portano la data di giovedì ma sono già leggibili il mercoledì. Altri sono leggibili e letti poco dopo la mezzanotte, in un tempo che le vite di molti collocano ancora sul giorno prima. Oltre a quello che implicano nel ruolo del “giornale” e della sua lettura all’interno delle vite e delle abitudini (con antichi nostalgici precedenti per gli abitanti delle grandi città e gli strilloni della mezzanotte ai semafori stradali), questi nuovi tempi di lettura generano occasionali piccole contraddizioni. Potete leggere, prima di andare a dormire, notizie che vi sembrano vecchie l’indomani – quando molti ne parleranno -, o articoli che annunciano eventi “nella giornata di oggi”, che però è domani. Fino al paradosso da Ritorno al futuro per cui venerdì sera, a mezzanotte e qualche minuto, su alcuni quotidiani si poteva leggere che Amadeus aveva letto un comunicato degli agricoltori sul palco di Sanremo prima ancora che Amadeus leggesse davvero il comunicato degli agricoltori sul palco di Sanremo.

Fine di questo prologo.


domenica 4 Febbraio 2024

I prossimi dieci anni

Il giornalista e scrittore Michele Serra ha pubblicato sul Post un bilancio del primo anno della sua newsletter Ok Boomer!.

“Ero abbastanza preoccupato, all’inizio. Curioso e preoccupato. Il Post non è un giornale qualunque. È un giornale, da molti punti di vista, antagonista rispetto al giornalismo nel quale io sono cresciuto e ho avuto fortuna. È un giornale che cerca davvero, nella sua prassi quotidiana, nelle parole che sceglie, nella titolazione, di essere “oggettivo”: rispettoso della realtà, attento alle fonti, diffidente delle semplificazioni. Il suo linguaggio giornalistico è di ammirevole “freddezza”, e questa qualità è tanto più evidente quanto più il linguaggio dei media tradizionali, nella disperata ricerca di sopravvivenza, diventa sempre più emotivo e sopra le righe – e si scava la fossa senza accorgersene. E sebbene la forma della newsletter autorizzi e anzi incentivi una scrittura più personale, più confidenziale, qualche timore di essere dissonante, nel nuovo posto dove cominciavo a scrivere, ce l’avevo”.