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  • Giovedì 26 ottobre 2023

Gli errori dei giornali nella copertura dell’esplosione all’ospedale di Gaza

Il New York Times ha pubblicato una specie di editoriale di scuse, e avviato un dibattito sulle cose andate storte in molte redazioni

Lunedì il New York Times ha pubblicato un articolo firmato dalla direzione del quotidiano in cui condivideva alcune riflessioni sulla propria copertura dell’esplosione avvenuta la scorsa settimana nell’ospedale al Ahli, a Gaza, in cui sono state uccise diverse persone. Il New York Times ha raccontato come nelle ore successive all’esplosione abbia fatto alcune scelte sbagliate e come avrebbe dovuto indicare con maggiore chiarezza quali informazioni fossero state verificate, e quali no. Anche BBC qualche giorno prima aveva diffuso un comunicato simile a proposito dei commenti fatti da un suo corrispondente a Gaza poco dopo l’esplosione.

Nel giornalismo statunitense e britannico le rettifiche e le ammissioni di errori sono piuttosto frequenti, per via di un’attenzione più sviluppata alla trasparenza nei confronti dei lettori. E in passato era già successo che in occasione di notizie molto rilevanti ma anche molto confuse (e non ancora concluse) anche i giornali più affidabili al mondo facessero degli errori, o dessero notizie parziali e imprecise.

Ma le ore successive all’esplosione all’ospedale al Ahli, avvenuta martedì scorso, hanno posto problemi su più livelli a tutti i giornali. Molte testate tra martedì e mercoledì della settimana scorsa hanno cambiato più volte titoli e ricostruzioni sulla vicenda, anche per la difficoltà di mettere in ordine i fatti e verificarli. Il problema più grosso è che i giornalisti che stanno lavorando nella Striscia sono molto pochi e si trovano continuamente in situazioni precarie (in generale la stampa internazionale non può entrare a Gaza, e alcune testate fanno affidamento a corrispondenti o collaboratori palestinesi). Anche verificare video e immagini pubblicate online è diventato sempre più complicato, visto il proliferare sui social network di account di analisi militare di dubbia autorevolezza e un progressivo deterioramento della qualità del dibattito su X (l’ex Twitter).

– Leggi anche: Israele non sa ancora cosa fare con l’invasione della Striscia di Gaza

Tutto è iniziato intorno alle 18:30 di martedì sera, ora italiana, quando un’esplosione è stata osservata e registrata da diverse telecamere puntate sulla Striscia di Gaza, per via dei pesanti bombardamenti israeliani iniziati dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Alle 18:49 ora italiana il liveblog in lingua inglese sulla guerra fra Israele e Hamas tenuto da Al Jazeera – uno dei media più diffusi nei paesi arabi, finanziato dal Qatar fin dalla sua fondazione nel 1996 – ha dato conto del fatto che c’era stata un’esplosione nel cortile dell’ospedale di Al Ahli, uno dei più grandi della città di Gaza. La fonte della notizia era un portavoce del governo locale della Striscia, che dal 2006 è controllato da Hamas.

In generale Al Jazeera ha spesso un accesso più diretto al governo della Striscia rispetto ai giornali occidentali e capita che le dichiarazioni di esponenti di Hamas appaiano per la prima volta in inglese sul sito o sul canale della tv qatariota.

Alle 19:02 un altro aggiornamento del liveblog ha citato una prima stima dei morti, riferita dal ministero della Salute della Striscia (cioè da Hamas) a una giornalista di Al Jazeera, Maram Humaid. Alle 19:32 nel suo liveblog Al Jazeera ha aggiornato la stima portandola ad almeno 500 morti, attribuendola direttamente al ministero.

Poco dopo le principali agenzie internazionali hanno pubblicato la notizia usando come unica fonte il ministero. Alle 19:43 l’account su X di Associated Press, l’agenzia stampa più nota al mondo e tra le più affidabili, ha twittato: «Il ministero della Salute di Gaza dice che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione in un’ospedale, e sostiene sia stata causata da un bombardamento israeliano». Non è chiaro se Associated Press abbia preso quelle informazioni direttamente dal governo della Striscia, quindi da Hamas, oppure da Al Jazeera: è possibile comunque che abbia usato fonti proprie interne al governo della Striscia (Associated Press di norma verifica in autonomia tutte le informazioni che pubblica).

Più o meno alla stessa ora sia il New York Times sia il Wall Street Journal hanno inviato delle notifiche agli utenti della propria app, con un testo molto simile. Il New York Times per esempio ha scritto: «Almeno 500 persone sono state uccise da un attacco aereo israeliano all’ospedale di Gaza, ha detto il ministro della Salute palestinese». Anche BBC ha usato una formulazione simile: «Si teme che centinaia di persone siano morte o ferite per un bombardamento israeliano in un ospedale di Gaza, dicono alcuni funzionari palestinesi».

Le edizioni online di tutti i principali giornali occidentali hanno dato la notizia in questi termini: hanno parlato di bombardamento (nei titoli sui siti anglosassoni c’era la parola strike, non la parola explosion: anche il Post ha usato “bombardamento” martedì sera) e molti hanno scritto direttamente «bombardamento israeliano», pur attribuendo l’informazione ad Hamas (come ha fatto il New York Times scrivendo nel suo lancio: «ha detto il ministro della Salute palestinese»). Quasi tutti infine hanno considerato il numero delle persone uccise diffuso da Hamas, «almeno 500», abbastanza affidabile da riportarlo, seppur anche qui attribuendolo al ministero della Salute della Striscia.

In altre parole, il problema con i titoli e la costruzione della notizia nelle prime ore dopo l’esplosione nel parcheggio dell’ospedale è stato che diversi giornali occidentali hanno dato troppo peso alle parole di Hamas: sono stati criticati per non avere usato abbastanza cautele, soprattutto per informazioni che arrivavano da un ministero controllato dal gruppo radicale noto per mentire spesso ai media. I leader e portavoce di Hamas, infatti, sono soliti ingigantire le operazioni del gruppo, gonfiare i dati su morti e feriti nel conflitto con Israele e diffondere notizie false: per esempio nei giorni successivi all’attacco del 7 ottobre avevano detto più volte, contro ogni evidenza, che i miliziani avevano preso di mira soltanto i soldati israeliani, e non i civili.

Nei giorni successivi, questa ricostruzione di Hamas è risultata imprecisa e parziale su tutti e tre gli elementi: le cause e la responsabilità dell’esplosione, e il numero di persone uccise.

Sulla causa dell’esplosione non ci sono ancora certezze, ma la tesi di gran lunga più accreditata indica che sia stata provocata da un razzo lanciato da un gruppo armato palestinese e finito per errore nel parcheggio dell’ospedale, dove moltissime persone si erano rifugiate dai bombardamenti israeliani.

Tecnicamente il termine «bombardamento» usato nelle prime ore non era sbagliato, se fosse confermata la tesi del razzo palestinese: ma è fuorviante e molto parziale, perché non suggerisce la dinamica di un razzo (o pezzi di razzo) caduto per errore sullo stesso territorio da cui è stato lanciato. Martedì sera però tutto faceva pensare a un bombardamento, soprattutto dall’analisi del primo video dell’esplosione di cui grossi giornali come il Washington Post e il New York Times avevano accertato l’autenticità. Nel video si vedono alcune luci nel cielo (di lanci e intercetti di razzi) e in sottofondo negli istanti prima dell’esplosione si sente distintamente un sibilo, come di un razzo o un missile.

Sia per quello che si vedeva in questo video, sia per la grandezza dell’esplosione, sia per il fatto che Israele stava bombardamento intensamente la Striscia, molti giornali e osservatori hanno pensato subito a un attacco israeliano.

Anche uno dei corrispondenti di BBC dalla Striscia di Gaza, Jon Donnison, ne ha parlato in termini simili durante un intervento in diretta. «È difficile dire che l’esplosione non sia stata causata da un bombardamento israeliano, o da più bombardamenti, date le sue dimensioni». In un comunicato diffuso qualche giorno più tardi, BBC ha scritto che Donnison «ha sbagliato a fare delle speculazioni in questo modo sulle possibili cause, e ce ne scusiamo».

L’ipotesi di un razzo palestinese comunque era iniziata a girare fin da subito, perché è da anni che capita che una parte dei razzi lanciati dai gruppi armati palestinesi dalla Striscia di Gaza verso il territorio israeliano cada per errore dentro la Striscia. Nel 2021 il think tank israeliano Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center stimò che negli 11 giorni di scontri e attacchi reciproci avvenuti a maggio i gruppi palestinesi avessero lanciato almeno 4.360 fra razzi e mortai, di cui circa 680 erano caduti per errore all’interno della Striscia, quindi circa uno su 6.

Dall’inizio della guerra, però, non era mai capitato che un razzo palestinese caduto per errore facesse una quantità tale di danni: e in generale ci sono pochissimi precedenti per un incidente di questo tipo.

Nelle prime ore anche l’entità dell’esplosione ha fatto pensare a molti a una bomba o un missile israeliano, che dispongono di cariche esplosive di centinaia di chili, mentre i razzi usati dai gruppi armati palestinesi sono decisamente meno potenti. Nei giorni successivi si è scoperto che con tutta probabilità l’esplosione è stata così forte perché alimentata dal carburante del razzo, ancora presente in quantità ingenti poiché il razzo era appena stato lanciato.

– Leggi anche: Sembra che a colpire l’ospedale di Gaza sia stato un razzo palestinese

Anche sul numero dei morti, poi, la ricostruzione di Hamas è stata molto ridimensionata: non c’è ancora una cifra definitiva e confermata, ma secondo diversi funzionari di intelligence occidentali sarebbe di qualche decina: quindi molto lontano dai 500 citati quasi subito dal ministero controllato da Hamas. Qui il problema è stata l’assenza di altre fonti o modi per confermare quel numero, e quindi è stata presa per buona l’informazione diffusa da Hamas (anche il Post ha dato conto dei 500 morti, attribuendo l’informazione al ministero della Salute di Gaza).

Hamas controlla la Striscia di Gaza in maniera capillare, a tutti i livelli, e di fatto non esistono autorità o istituzioni indipendenti a cui rivolgersi per avere conferme. I giornali occidentali hanno pochissimi corrispondenti nella Striscia di Gaza, e dal 7 ottobre in avanti Israele ha circondato la Striscia con un “assedio totale” e non permette nemmeno ai giornalisti di passare. L’ordine di evacuazione del nord della Striscia arrivato dall’esercito israeliano due settimane fa poi ha costretto i pochi media presenti come le agenzie Associated Press e Agence France-Presse e i rispettivi dipendenti a lasciare gli uffici a Gaza, e spostarsi più a sud.

Il risultato è che nessuna grossa testata occidentale, nelle ore successive, ha avuto modo di confermare le cifre diffuse di fatto da Hamas. A molti, di nuovo, sono sembrati numeri verosimili: da giorni nella Striscia di Gaza le scuole e gli ospedali si erano trasformati in rifugi per gli sfollati, perché ritenuti posti più sicuri degli edifici civili. È del tutto possibile che nel momento dell’esplosione ci fossero diverse centinaia di persone nell’ospedale e nel suo cortile, come nei giorni successivi hanno raccontato diversi testimoni.

Qualche giorno dopo l’esplosione Luke Baker, ex capo dell’ufficio di Reuters a Gerusalemme, ha raccontato su X che «un tempo ci si poteva fidare dei dati che provenivano dal ministero [della Salute di Gaza]», ma che ora le cose sono cambiate. «Hamas è al potere da 16 anni», ha scritto Baker, «e ha succhiato via ogni onestà e integrità. Ogni funzionario del ministero che disobbedisce e non diffonde la stima dei morti che Hamas vuole diffondere, rischia gravi conseguenze».

Fino a quel momento, però, i numeri diffusi da Hamas dall’inizio della guerra non avevano fatto pensare ai giornali che ci fossero discrepanze enormi con quelli reali: e questo ha portato molti a prendere per buoni anche quelli dell’esplosione.

Anche stare sui social network non ha agevolato la comprensione di quello che stava succedendo. Nelle ore successive all’esplosione, soprattutto su X (social usato ancora da moltissimi giornalisti) diversi account che si occupano di analisi militare e ricostruzione video hanno provato a capire cosa fosse successo: ma nessuno di loro è arrivato a conclusioni definitive, e alcuni particolarmente sgangherati hanno contribuito alla confusione e allo spaesamento.

Non ha aiutato il fatto che alcuni fra i più spericolati di questi profili avessero una spunta blu: fino a qualche tempo fa questa spunta indicava un account “verificato” da X, e il social network si faceva garante della sua affidabilità e autorevolezza. Da quando Elon Musk ha comprato e assunto il controllo di X, la spunta blu si può ottenere anche a pagamento: e distinguere fra account verificati e affidabili e account che sono verificati e basta è complesso anche per chi fino a qualche tempo fa aveva una certa familiarità con X.

Per concludere: nella concitazione di quelle ore, insomma, la ricostruzione di Hamas è semplicemente sembrata la più verosimile. L’errore è stato soprattutto nel non usare abbastanza prudenze e nel dare grande spazio alla versione di Hamas senza affiancarle formule che riflettessero meglio l’incertezza di quelle ore sulle cause dell’esplosione e sul numero delle persone uccise.

Il New York Times è sembrato riconoscere alcune critiche già in un primo articolo di ricostruzione della copertura dell’esplosione, pubblicato il 18 ottobre. Alcuni però avevano ritenuto quell’articolo fin troppo indulgente nei confronti delle proprie scelte. Una delle critiche più articolate al New York Times l’ha scritta sul suo blog Nate Silver, esperto di sondaggi ed ex collaboratore del quotidiano.

Certo, tecnicamente la notifica che ho ricevuto dal New York Times conteneva un’attribuzione. “Un bombardamento israeliano ha ucciso centinaia di persone in un ospedale, dicono alcuni funzionari palestinesi”. Ma le persone non leggono le notizie in questo modo, specialmente se l’attribuzione viene inclusa alla fine della frase. Nella loro testa suona più o meno così: “UN BOMBARDAMENTO ISRAELIANO HA UCCISO CENTINAIA DI PERSONE IN UN OSPEDALE (dicono alcuni funzionari palestinesi)”. Anche solo mettendola in questo modo il New York Times sta garantendo dignità e autorevolezza alla ricostruzione, nello stesso modo in cui farebbe se ai suoi abbonati mandasse questa notifica: “Un’astronave aliena è stata avvistata sopra Manhattan, dice Nate Silver”. Se poi si scoprisse che l’astronave era in realtà un aereo che stava atterrando all’aeroporto di LaGuardia, e che durante il presunto avvistamento ero sotto effetto di funghi allucinogeni, questo non assolverebbe il New York Times dall’aver diffuso la notizia senza cercare conferme indipendenti o una seconda fonte.

Nell’articolo pubblicato qualche giorno dopo a nome della direzione, il New York Times ha fatto riferimento proprio a queste accuse. «Il primo articolo del New York Times attribuiva ai palestinesi l’accusa di un coinvolgimento degli israeliani, e faceva notare che l’esercito israeliano stava indagando sull’esplosione. Tuttavia la prima versione – e il risalto dato nel titolo, nelle notifiche sulla app e sui profili social – faceva troppo affidamento sulla ricostruzione di Hamas, e non spiegava con chiarezza che non era possibile verificare quelle informazioni in maniera indipendente».

Diversi altri giornali che nelle ore successive all’esplosione avevano fatto scelte simili al New York Times, come per esempio il Wall Street Journal, non hanno dato spiegazioni ai propri lettori. Altri hanno difeso il proprio lavoro di quei giorni.

Un portavoce di Reuters, parlando con la newsletter Reliable Sources di CNN, ha detto che l’agenzia non ha individuato errori nella propria copertura, nonostante in uno dei suoi primi articoli avesse dato molto risalto a una stima di almeno 300 morti citando una non precisata «fonte della difesa civile palestinese». «Per Reuters è la prassi pubblicare dichiarazioni e ricostruzioni fatte da alcune fonti su fatti di interesse pubblico, e al contempo lavorare per verificarle e cercare informazioni da tutte le parti coinvolte. Diciamo chiaramente ai nostri lettori che si tratta di una versione attribuita a una fonte, piuttosto che verificata da Reuters».