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  • Sabato 10 febbraio 2024

Come sta andando Will

Il più seguito progetto italiano di divulgazione giornalistica su Instagram ha quattro anni e già qualche cambiamento sostanzioso

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Lo scorso settembre Will, un progetto giornalistico nato su Instagram nel 2019, ha annunciato con un video il lancio della propria campagna di membership, che permette ai lettori di sottoscrivere abbonamenti e quindi di sostenere Will economicamente. I ricavi che derivano dai lettori che pagano sono diventati in questi anni una priorità per i giornali e per chi fa informazione, da quando le entrate delle attività pubblicitarie sono notevolmente diminuite. Fino a quel momento Will offriva gratis tutti i suoi contenuti (post sui social, video, podcast e newsletter) e, dopo iniziali finanziamenti di investitori e azionisti, si era sostenuto con sponsorizzazioni, consulenze e “branded content” (contenuti pubblicati sui propri canali realizzati insieme a aziende o privati ed esplicitati come tali).

Will è un progetto di informazione ideato alla fine del 2019 e introdotto nel gennaio del 2020 da Imen Boulahrajane (nota anche come Imen Jane, nata nel 1994), influencer e divulgatrice di notizie di economia e politica su Instagram, e Alessandro Tommasi (nato nel 1985), consulente e manager. Entrambi, per motivi diversi, non sono più a Will: Jane si era dimessa dai suoi incarichi nel giugno 2020 dopo una polemica nata attorno ai suoi titoli di studio, Tommasi si è dimesso lo scorso giugno e a ottobre ha fondato Nos, un partito politico e piattaforma di cittadinanza attiva, che dovrebbe partecipare alle prossime elezioni europee. Will fu creato per rivolgersi soprattutto a un pubblico piuttosto giovane, da raggiungere in particolar modo attraverso social media e podcast, con un’attenzione particolare alla divulgazione, selezione e spiegazione dell’attualità, e alla semplificazione del linguaggio e dei riferimenti: un lavoro pensato per chi raramente si informa con la lettura dei giornali e dei siti di news o con i telegiornali, e che può non conoscere molti dei contesti che i mezzi di informazione maggiori danno per scontati o avere interessi diversi da quelli dell’agenda principale dei media.

Il suo sito web si presenta con la domanda “Stasera su cosa vuoi fare un figurone a cena?”, e poi spiega: «Il pubblico cui ci rivolgiamo è aggregato intorno a una base valoriale prima che un target demografico, sebbene in virtù delle piattaforme e degli spazi dove pubblichiamo il frutto del nostro lavoro, la risultanza sia una community principalmente composta da under 35. Tuttavia, ambiamo a parlare a un pubblico che sia il più ampio possibile, cross-generazionale e senza distinzione di orientamenti politici, ideologici o di qualsiasi altra natura».

Benché siano passati solo quattro anni, il progetto era piuttosto nuovo e originale (altri con simili intenzioni sono nati nello stesso periodo) e grazie a discreti investimenti si è costruito rapidamente un ampio seguito. Instagram è tuttora il social media su cui Will ha il seguito maggiore, con circa 1,6 milioni di follower (Repubblica ne ha 2,2, il Corriere della Sera 1,7, il Post 700mila), ma raggiunge un cospicuo numero di persone anche su altri social: ha circa 180mila iscritti su YouTube, 160mila su LinkedIn e 400mila su TikTok.

Oltre alle piattaforme social, Will produce informazione con i podcast, diversi dei quali sono spesso tra i più ascoltati in Italia: in particolare The Essential, il podcast di rassegna stampa di cinque minuti condotto dalla giornalista e conduttrice televisiva Mia Ceran, che ha ormai superato le mille puntate. Nel 2023 cinque podcast di Will hanno raggiunto il primo posto nella classifica di Spotify, anche con delle serie “antologiche” di approfondimento: Se domani non torno, scritto da Silvia Boccardi e Camilla Ferrario e realizzato dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, cerca di parlare in cinque puntate delle radici culturali della violenza di genere.

L’acquisizione di Chora e l’aspetto economico
Nel giugno 2022 Will è stata acquistata da Chora Media, la maggiore società italiana di produzione di podcast, che ne ha rilevato il 100% delle quote per 5,2 milioni di euro. Chora Media era stata fondata nel 2020 da Guido Brera, Mario Gianani, Roberto Zanco e Mario Calabresi: che ne è anche l’amministratore delegato, e in passato è stato direttore dei quotidiani Repubblica e Stampa. Chora ha realizzato podcast tra i più ascoltati di sempre in Italia, come il podcast di informazione di esteri Stories della giornalista Cecilia Sala, le serie di approfondimento Il dito di Dio e Dove nessuno guarda del giornalista Pablo Trincia, e il podcast di intrattenimento Non hanno un amico dell’attore e comico Luca Bizzarri.
I due progetti hanno finora mantenuto percorsi piuttosto distinti, ma lo scorso 26 gennaio è stata annunciata la fusione delle due società: Mario Calabresi dice al Post che ora «Chora e Will sono un’unica società: mantengono la loro indipendenza e continueranno a coltivare le loro identità, che sono peculiari e riconoscibili, ma entrambe faranno parte di Be Content, che ha rilevato Is Media, la società di Will. Questo ci permetterà di unire la gestione amministrativa, burocratica e commerciale dei due media».

Il fatturato di Will è stato di circa 215 mila euro nel 2020, 1,7 milioni nel 2021, 3,3 milioni nel 2022 e 4,6 milioni nel 2023. Ma per comprendere meglio la salute di un’azienda è forse utile osservare il margine operativo lordo o EBITDA (che è un acronimo inglese: è il guadagno ottenuto prima di togliere i costi per l’ammortamento, il deprezzamento dei beni, gli interessi e le tasse) che aiuta a valutare l’andamento corrente e di fatto quali sono i guadagni o le perdite di una società. Nel caso di Will l’EBITDA è in crescita: era in negativo di -713 mila euro nel 2020, è diventato positivo per 45 mila euro nel 2021 e per 470 mila euro nel 2022. L’EBITDA del 2023 di Will, come quello di Chora, non è ancora disponibile perché il bilancio non è ancora stato chiuso.

Nello specifico, i ricavi di Will nel 2023 derivano per il 60% da lavori di branded content e per il 38% da attività e contenuti per terzi (aziende o privati): ovvero lavori esterni alle proprietà (pagine social, podcast, newsletter) di Will. Per esempio la gestione di canali social di terzi, la realizzazione di podcast aziendali, o di documentari commissionati.
Il fatturato di Chora è stato di circa 900 mila euro nel 2021, 3,8 milioni nel 2022 e 4,2 milioni nel 2023. Chora è nata sul finire del 2020 e quindi è più utile considerare come primo anno il 2021. Nel caso di Chora l’EBITDA è ancora negativo dopo i primi tre anni. Nel 2021 era di circa -2,3 milioni, nel 2022 -1,6 milioni. Per il 2023 i ricavi di Chora derivano per l’80% da branded content (podcast prodotti con partner e aziende che li pagano) e pubblicità (in quota poco significativa), per il 15% da contratti in esclusiva (Stories, per esempio, era un’esclusiva Spotify che Spotify retribuisce) e per il 5% dai corsi di formazione.

Il progetto di Chora si inserisce in un contesto economico complesso per chi produce podcast: come molti nuovi settori di opportunità creati dal digitale negli ultimi trent’anni, i podcast hanno conosciuto una grande crescita di attenzioni – e quindi di investimenti – prima che ne fosse individuato un modello stabile di sostenibilità economica. E come in altri casi di questo genere c’è molta curiosità e incertezza su quali risultati si troveranno – che potranno essere diversi per le diverse imprese – tra prospettive di successo e rischi di ridimensionamento.

Calabresi spiega che «avevamo messo in conto che per i primi tre anni, cioè per il 2021, 2022 e 2023, non avremmo raggiunto il break even, anche se devo confessare che per il 2023 speravo di raggiungere già l’attivo: poi purtroppo le scelte di Spotify nel settore dei podcast ci hanno costretto a interrompere delle serie che avevamo concordato con Spotify stessa, serie per cui avevamo già stretto accordi e iniziato a lavorare». Chora, così come Will, ha chiuso «il 2023 con 4 milioni e mezzo di fatturato. L’obiettivo per l’anno prossimo è di chiudere il 2024 della società in attivo per la prima volta, un attivo che riguarderà, anche presi singolarmente, sia Chora che Will».

Il progetto membership di Will
Attraverso un video pubblicato il 25 settembre 2023, Will ha annunciato con la voce e il volto di una delle sue autrici, Luna Esposito, la nascita della propria membership, cioè una forma di abbonamento che prevede un maggiore coinvolgimento del suo pubblico. La membership di Will ha tre livelli con offerte diverse: 7 euro al mese (o 70 l’anno), 10 euro al mese (o 100 annui), 12 euro al mese (o 120 annui) e una quarta formula per chi sostiene Will con più di 500 euro. Chi diventa membro, a seconda del livello a cui si abbona, può ascoltare il podcast Closer condotto dal giornalista Francesco Oggiano, ricevere due newsletter aggiuntive, prenotare in anticipo gli eventi di Will, accedere a un gruppo WhatsApp privato, incontrare la redazione.

Il direttore operativo (che prima della fusione con Chora era l’amministratore delegato) Riccardo Haupt, nato nel 1989 e in Will dal 2020, ha detto al Post che «abbiamo questa idea della community, e non dell’audience», così per il lancio della membership «abbiamo guardato a quei creator, anche italiani, che avevano delle community che iniziavano a dimostrare una certa propensione al pagamento. Per fare un passetto in più anche in termini qualitativi la pubblicità da sola non ci permetteva di pianificare gli investimenti, soprattutto perché non è un’entrata ricorrente».

Francesco Zaffarano, giornalista head of content di Will (responsabile dei contenuti) nato nel 1991, spiega che: «abbiamo comunicato il lancio della membership seguendo lo stesso principio che applichiamo al branded content», cioè con una comunicazione che parte «dal racconto dei nostri valori: Will è un progetto editoriale che punta a non lasciare indietro nessuno e le persone ora possono sostenerlo per mantenerlo libero e indipendente». Per presentare la funzione della membership, Will ha guardato «all’esperienza del Guardian che comunica in modo abbastanza diffuso l’esistenza della membership e le sue ragioni».

In queste settimane Will scrive, in fondo alle didascalie dei suoi post su Instagram, alcune frasi mirate a far conoscere l’esistenza della membership. Zaffarano aggiunge che: «purtroppo paghiamo il fatto di non pubblicare su una piattaforma proprietaria che ci darebbe maggiore controllo sull’efficacia dei messaggi e sulla targettizzazione, ma dall’altro lato abbiamo una capillarità maggiore nel raggiungere gli utenti». Anche questa è una questione che riguarda e preoccupa molti progetti di informazione in questi ultimi anni: la dipendenza dalle piattaforme sta creando molti problemi ai giornali online di tutto il mondo sia rispetto alla promozione dei propri contenuti (Facebook ha per esempio ridotto molto le sue priorità sulla diffusione delle news e dei contenuti giornalistici) che all’autonomia commerciale ed economica (altri esempi: Google sta introducendo dei cambiamenti assai rilevanti nella profilazione pubblicitaria degli utenti, preziosa per i giornali online; Apple governa gran parte delle possibilità di abbonarsi o pagare attraverso le app sui suoi dispositivi).

Come sta andando la membership
A poco più di quattro mesi dall’inizio della campagna ci sono stati tre momenti di maggiore crescita: il lancio, il periodo natalizio e il passaggio del podcast Closer a pagamento dopo cinquanta puntate. L’ostacolo maggiore, dice Haupt, è «far passare il messaggio che un media percepito come nato sulle piattaforme social possa chiederti dei soldi», ma con l’arricchimento dell’offerta per chi si abbona sta crescendo «la credibilità dell’offerta: è una maratona e ci è servito e ci servirà molto anche il passaparola», e la crescita prosegue in modo «graduale e costante nel tempo».

Al momento non è chiaro quante siano le persone che hanno sottoscritto un abbonamento: Haupt spiega che «il numero attuale dei membri è un’informazione che non possiamo rivelare perché i nostri investitori non ci permettono di dare questi dati riservati», e anche per Calabresi «sono dati che preferiamo non divulgare in questo momento: è una maratona che ha bisogno di tempo e non ha senso indicare i numeri adesso».

Haupt però continua dicendo che la membership «nasce con l’idea di diversificare le revenue [ricavi, ndr] di Will, puntiamo a raggiungere entro la fine del ’24 un numero non distante dai 15 mila sostenitori, con un pagamento medio per ogni membro di 100 euro annui. Sarebbero delle revenue annualizzate attorno al milione di euro per le membership» per un’azienda che «quest’anno fa quattro milioni e mezzo di fatturato». Per dicembre 2024: «al netto della variabile della crescita del fatturato, stimo che le membership potrebbero pesare intorno al 15% del fatturato, percentuale che mi immagino crescente: nell’arco di tre anni mi sono dato l’obiettivo con i nostri investitori che circa il 30% del fatturato derivi dalle entrate delle membership e delle altre attività “B2C” che abbiamo in rampa di lancio».

Quando si parla di membership un parametro rilevante, oltre al numero di abbonamenti, è anche il churn rate, che è il tasso di abbandono a un servizio in abbonamento: meno persone disdicono l’abbonamento e più è basso. Superate le prime fasi dall’introduzione di un sistema di abbonamenti o membership, conservare gli abbonati esistenti diventa importante quanto acquisirne di nuovi. Zaffarano aggiunge che «il churn rate, aggiornato a dicembre, è solo dell’1,7%». Per dare un’idea, è piuttosto normale che il churn rate delle pubblicazioni giornalistiche si aggiri, all’incirca, tra l’8% e il 10%. Quella di Will è una percentuale molto bassa, e quindi positiva, ma è troppo presto per una valutazione significativa: gli abbonamenti dovrebbero essere al momento alcune migliaia e la campagna è appena stata lanciata, è utile aspettare ancora qualche mese per capire come si stabilizzerà a fine anno.

La redazione
Will ha aumentato le persone che lavorano al progetto: a gennaio 2020 erano quattro, a settembre 2020 tredici, a maggio 2021 venti, a giugno 2022 trentacinque; Haupt dice che a fine 2023 «chiudiamo con 52 persone impiegate full time: 50 dipendenti, 2 collaboratori stabili e continuativi, 3 o 4 occasionali. Sono numeri molto lontani dagli altri media digitali italiani nati sulle piattaforme social, che ci vengono accostati come nostri competitor: credo che loro abbiano staff non superiori alle dieci-dodici persone, spesso non assunte».

I media digitali a cui solitamente è accostato Will sono Torcha, che ha circa 600mila follower su Instagram, e Factanza, che ne ha circa 700mila. Marco Cartasegna, 33enne direttore e fondatore di Torcha, spiega al Post che «oggi in redazione abbiamo quattro persone assunte e undici collaboratori»; Livia Viganò, 26enne co-fondatrice e COO (direttrice generale) di Factanza, dice che: «i dipendenti sono 12 e sono full time. Non abbiamo collaboratori fissi, lavoriamo con alcuni collaboratori solo per dei progetti specifici o se ci servono delle competenze verticali: il 98% dei contenuti di Factanza è prodotto internamente dalla nostra redazione».

Per il futuro, dice Haupt, è probabile che la crescita della redazione di Will rallenti o si arresti: «sappiamo anche che si può fare un prodotto di qualità rimanendo su numeri di organico non giganteschi: se guardi ai casi statunitensi come SemaforThe Information, Morning Brew, hanno redazioni molto agili [tra le 50 e le 60 persone, ndr] e credo molto in questo aspetto. Piuttosto intendo migliorare la paga dei dipendenti ma non per forza aumentare il numero dei dipendenti».

La relazione con Chora e con il giornalismo
Da quando il fondatore Tommasi è uscito da Will sono cambiate alcune cose rispetto alla realizzazione dei contenuti: Haupt dice che mentre Tommasi «è stato sempre molto presente sulla parte editoriale, è stato a lungo editor-in-chief ed era molto presente nei video, da parte mia c’è stato un forte passo indietro da quel punto di vista, tanto sul volto quanto sulle incursioni nella parte editoriale: in questo modo riesco a fare di più il manager dell’azienda».

Nel prossimo futuro dovrebbe aumentare l’integrazione con Chora, che già adesso produce il podcast Closer: Haupt spiega che «sin dal principio la linea è stata molto chiara: l’acquisizione di Chora non mirava a unire i due brand ma a mantenere la diversificazione, due linee editoriali diverse con sinergie aziendali».
Se la sezione giornalistica di Chora, Chora News, è stata registrata come testata giornalistica, Will non si è mai registrato come testata. Haupt spiega che: «sin da principio c’eravamo rivolti all’Agcom per verificare che vi fosse una necessità e non c’è mai stato richiesto quel passaggio. Noi facciamo anche tante altre cose che non hanno nulla a che fare con il giornalismo e per questa ragione non abbiamo mai fatto la scelta di metterci totalmente sotto quell’etichetta: non essendoci un requisito legale abbiamo preferito non imballarci lì dentro. […] Lavorando bene, in chiave lobbying o di posizionamento, sarebbe possibile avere voce nei luoghi della politica in cui si discute – negli ultimi anni ancora di più – di possibili finanziamenti pubblici anche per i media digitali che però siano testate giornalistiche registrate».

Calabresi spiega che «Chora news è stata registrata come testata giornalistica perché abbiamo una storia, e quindi un percorso, diverso da quello di Will: i primi podcast che abbiamo prodotto, con Francesca Milano, Simone Pieranni, Cecilia Sala, erano realizzati da giornalisti professionisti. Abbiamo scelto di registrarci anche per altri vantaggi, come il diritto di cronaca e poter riprodurre, per esempio, inserti audio nei nostri podcast».

Zaffarano aggiunge che «mi sono formato tra il giornalismo italiano e quello inglese e sono molto convinto che “si fa i giornalisti” e non “si è giornalisti”. E, come piccola opinione personale, da quando sono iscritto all’Ordine dei giornalisti nella pratica professionale non è cambiato assolutamente niente rispetto alla qualità del lavoro che faccio. Aggiungo anche che se noi oggi fossimo una testata registrata avremmo più problemi a far lavorare alcuni dei nostri autori solo perché non sono iscritti all’ordine. Ma la qualità non deriva necessariamente da un’iscrizione a un ordine».