Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 17 Dicembre 2023

Riviste decorative

Una newsletter del sito americano GQ ha riflettuto sui nuovi destini delle riviste, che in molti casi stanno spostando le loro attrattive verso la propria qualità di prodotto estetico piuttosto che contenitore di letture, e venendo acquistate più per essere esposte quasi come duraturo oggetto di arredamento che come passeggero veicolo di informazione. Il fenomeno delle “belle riviste” naturalmente esiste da decenni, come esistono da decenni i suoi ammiratori, ma la crisi di ruolo dei magazine ha reso questo aspetto ancora più rilevante.

“Le riviste ora sono prodotti: simboli di buon gusto, da essere esibiti sul tavolino del soggiorno o sulla scrivania per mostrare a chi passa che non sei il tipo che passa tutto il proprio tempo a scorrere lo smartphone. Lo stesso processo che ha riportato di moda i vinili quando erano stati dati per morti da un pezzo adesso sta spingendo le riviste”.


domenica 17 Dicembre 2023

Pagare per i tabloid

Il sito del tabloid britannico conservatore Daily Mail – chiamato MailOnline -, che finora ha offerto la sua grande quota di articoli online gratuitamente, ha intenzione di far pagare, da gennaio, una piccola selezione di articoli (si parla di 10-15 al giorno) al suo pubblico nel Regno Unito: tuttavia la stragrande maggioranza degli articoli realizzati (circa 1.500 pagine web al giorno) rimarrà gratuita e il modello a pagamento non riguarderà i lettori statunitensi. Il MailOnline è uno dei siti di news più popolari al mondo e un successo commerciale: pubblica notizie di alterne qualità, spesso scandalistiche o frivole, di gossip sulle celebrità e sulla famiglia reale; nel Regno Unito ha quasi 24 milioni utenti mensili ed è al secondo posto tra i siti di notizie più popolari dopo il sito dell’emittente pubblica BBC. Negli ultimi mesi le pubblicazioni digitali hanno perso molto traffico dai social media e di conseguenza sono calate le entrate pubblicitarie : la strategia del MailOnline è di trovare fonti di ricavo alternative, probabilmente ispirata al modello di abbonamenti del tabloid tedesco Bild, che in una decina di anni ha raccolto 680 mila abbonamenti. Il MailOnline aveva già sperimentato dei contenuti digitali a pagamento nel 2019 con il lancio dell’app Mail+, che offriva agli abbonati video e podcast esclusivi; l’app non sembra aver funzionato: è stata ribattezzata Mail+ Editions e oggi offre semplicemente la versione digitale del giornale.


domenica 17 Dicembre 2023

L’Espresso non si sa bene dove vada

Lo storico settimanale L’Espresso , che fu uno dei più importanti newsmagazine italiani, ha cambiato ancora proprietà: nel 2022 il gruppo GEDI (quello di Repubblica Stampa, che proprio dall’ Espresso aveva preso il nome diventando la maggiore azienda giornalistica italiana) lo aveva ceduto alla società BFC Media dell’imprenditore Danilo Iervolino, fondatore dell’Università Telematica Pegaso e proprietario della squadra di calcio di Serie A della Salernitana. Negli scorsi giorni la società BFC Media ha ceduto completamente il controllo dell’ Espresso alla società petrolifera Ludoil di cui è presidente Donato Ammaturo (che a maggio, attraverso la società Alga, aveva già rilevato il 49% delle quote).

Il Comitato di redazione dell’ Espresso ha informato i lettori di avere saputo della cessione da un articolo del Giornale.

“In attesa di scoprire con spirito costruttivo i piani di sviluppo e di rilancio dell’Espresso dei nuovi proprietari, ribadiamo che sarà compito del comitato di redazione – che opera col mandato dell’intera assemblea – vigilare e agire sempre a tutela del prestigio e dell’indipendenza della testata”.


domenica 17 Dicembre 2023

The Nation diventa mensile

The Nation è una rivista statunitense che ha sede a New York: nacque 158 anni fa e mantiene ancora oggi una presenza vivace nel dibattito politico e intellettuale americano. Fu fondata come settimanale nel luglio 1865 a Manhattan da un gruppo di sostenitori dell’abolizione della schiavitù. La rivista ebbe Martin Luther King come corrispondente per i diritti civili tra il 1961 e il 1966, assunse una posizione molto critica rispetto alla guerra in Vietnam e nel 2003 si oppose all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti durante la presidenza di George W. Bush. The Nation ha costruito la sua reputazione come rivista di sinistra, progressista, vicina, ma in modo critico, al Partito Democratico americano: nella sua storia, The Nation ha sostenuto tre candidati alle primarie dei democratici, Jesse Jackson nel 1988, Barack Obama nel 2008 e Bernie Sanders nel 2016 e 2020.

In questi giorni è stato annunciato che The Nation diventerà un mensile (usciva ogni due settimane dal 2020) di 84 pagine invece delle 48 attuali, perché, spiega il direttore Don David Guttenplan, gli abbonati hanno chiesto di ricevere «una maggiore quantità di ciò che facciamo sul cartaceo in una volta sola, e meno frequentemente. Perché in questo modo possiamo andare più in profondità, fornire un quadro generale migliore, dare più contesto, fare più indagini»: ma dietro questa versione c’è soprattutto la crisi dei magazine e la necessità di riduzione dei costi. La maggior parte dei ricavi della rivista arriva dai donatori e dagli abbonati e, continua Guttenplan, è a loro a cui «dobbiamo prestare attenzione». The Nation ha circa 90 mila abbonamenti di cui circa l’80% alla rivista cartacea; includendo le vendite in edicola la tiratura complessiva è tra le 92 mila e le 94 mila copie: in calo rispetto alla tiratura del 2021 (96 mila copie) e a quella del 2006 (186 mila copie). Bhaskar Sunkara, presidente (si occupa della strategia editoriale e commerciale) di The Nation , ha detto che questo non è un passo «verso un futuro esclusivamente digitale» ma «un modo per offrire un prodotto cartaceo migliore, piuttosto che abbandonare la stampa».


domenica 17 Dicembre 2023

Se non domani, dopodomani

La scorsa settimana Charlie ha cercato di riassumere la storia del giornale gratuito italiano Metro, citando le vicende che hanno riguardato i giornalisti, che lavorano con forme di contratti di solidarietà dal 2012, e il punto di vista dell’editore Salvatore Puzzo. L’editore aveva detto che per Metro «non ci sta un piano di dismissione, ma ci sta un piano di resilienza importante. La finalità editoriale è quella di continuare per almeno altri 23 anni, non di chiudere domani». Martedì il comitato di redazione (l’organo di rappresentanza dei giornalisti nei confronti dell’editore) ha pubblicato una nota che dice: «il termine “resilienza”, tanto di moda nel contesto imprenditoriale è riferito ad aziende in grado di cogliere le opportunità anche nelle situazioni negative e rafforzandosi grazie alla risoluzione dei problemi. Peccato che nel nostro caso i problemi (dal vuoto di idee e investimenti sul quotidiano cartaceo all’aleatoria presenza sul web) non siano stati neanche lontanamente affrontati, men che meno risolti; mentre le misure prospettate – che renderebbero impossibile garantire la dovuta qualità informativa e porterebbero a salari indegni – non sono certo “opportunità” né per chi scrive, né per chi legge Metro». E la nota si conclude: «proporre una solidarietà all’80% e una “navigazione a vista”, continuando solo ad accompagnare il declino della testata e senza alcuna strategia a lungo termine, significa voler chiudere se non domani, dopodomani».


domenica 17 Dicembre 2023

Vince Harry

Il principe Harry ha vinto la causa contro alcuni tabloid britannici, di cui avevamo scritto negli scorsi mesi.

“Venerdì l’Alta corte di giustizia del Regno Unito, il tribunale di primo grado di Inghilterra e Galles, ha ordinato a diversi tabloid britannici di risarcire il principe Harry del Regno Unito per aver scritto in passato alcuni articoli su di lui dopo aver intercettato in maniera illegale il suo telefono. […] L’Alta corte ha decretato che 15 dei 33 articoli contestati erano stati scritti usando intercettazioni illegali, e ha ordinato al Mirror Group Newspapers di pagare al principe un risarcimento di 140.600 sterline (circa 163mila euro)”.


domenica 17 Dicembre 2023

Molte storie e poche news al New Yorker

Mercoledì il sito del settimanale americano New Yorker ha pubblicato l’annuale resoconto su quali sono stati gli articoli più letti. Michael Luo, direttore del sito dal 2017 , ha ordinato i primi 25 articoli sulla base degli “engaged minutes”: «la quantità totale di tempo che i lettori hanno trascorso» sulle storie pubblicate. Luo scrive alcune considerazioni sulla composizione della classifica e sulle abitudini delle persone che hanno visitato il sito del New Yorker: «la fatica psicologica delle notizie è un miasma che affligge quasi tutti noi da qualche tempo a questa parte. Siamo svuotati dallo sforzo fisico e mentale che comporta seguire gli eventi attuali. Lo stato di allarme […] è quasi costante. […] Un recente rapporto del Pew Research Center ha tracciato i livelli di consumo di notizie nei mesi precedenti la presidenza Trump. Nel marzo 2016, il 51% degli adulti negli Stati Uniti aveva dichiarato di seguire le notizie “per tutto o quasi tutto il tempo”. Questa percentuale è scesa al 38% nell’agosto del 2022». Luo scrive che tra gli articoli su cui i lettori hanno investito più tempo «Niente guerra a Gaza. Niente Trump. Niente politica. L’articolo più letto è una storia di cronaca nera di James Lasdun, sugli omicidi di Murdaugh nella Carolina del Sud. Altre storie che sono entrate nella top ten: un’indagine di Heidi Blake sulle principesse fuggitive di Dubai; una particolare argomentazione contro i viaggi della filosofa Agnes Callard; e un’analisi, da parte di Nathan Heller, del calo delle iscrizioni alle facoltà umanistiche nei college di tutto il Paese».


domenica 17 Dicembre 2023

“Perché Elkann ha comprato il gruppo che ora si chiama Gedi?”

Nel frattempo la storia recente di Repubblica era stata tra i temi di una lunga intervista col suo ex editore Carlo De Benedetti pubblicata mercoledì sul Foglio e firmata da Salvatore Merlo, e che ha ricevuto molte attenzioni e curiosità nelle redazioni questa settimana.

“John Elkann è riuscito in quattro anni a distruggere il gruppo editoriale che il principe Carlo Caracciolo, suo prozio, aveva creato in circa quindici anni. Un massacro incomprensibile nei suoi scopi”. Dice così Carlo De Benedetti mentre volta in su il palmo, riunisce a punta le dita, e la sua mano oscilla su e giù a indicare commiserazione, a esprimere il platonico e sprezzante interrogativo: ma come cavolo è possibile? “John ha venduto tutti i quotidiani locali, che andavano bene. Poi ha devastato pure Repubblica, che ancora si aggira tra i quotidiani italiani con la maestà malinconica delle rovine. Mi dispiace moltissimo. È straziante. Addirittura avevano messo ad amministrare i giornali uno che allo stesso tempo si occupava della Juventus. Carta e palloni. Non so se mi spiego. A quel gruppo dirigente ho visto fare cose che manco nella ‘cena dei cretini’: dicono ‘digital first’ ma non hanno investito un centesimo in serie acquisizioni sul digitale, mentre hanno annientato la carta”. Ma, scusi, Ingegnere, se è così perché Elkann ha comprato il gruppo che ora si chiama Gedi? Non si compra mica una cosa per sfasciarla, per distruggerla. O sì? “Dipende. Elkann sostanzialmente ha comprato i giornali soltanto per coprire la fuga di Stellantis dall’Italia. Per coprire la deindustrializzazione e la smobilitazione degli impianti produttivi automobilistici di un gruppo che ormai è francese. Per il resto, di come vanno questi giornali mi pare evidente che non gli importi nulla”.

L’intervista a De Benedetti ha ricevuto una risposta molto drastica e risentita da parte di Marina Berlusconi, presidente dell’azienda Mondadori, a proposito di un passaggio sulla sua famiglia.

“La verità resta quella di sempre: per gran parte della sua lunga esistenza, l’Ingegnere non ha fatto altro che invidiare mio padre. Lo si capisce, purtroppo, dal livore acido con cui ne parla perfino oggi, che non c’è più. Questo non stupisce, considerando il gran maestro di stile e buone maniere che Carlo De Benedetti è sempre stato. Il suo cruccio, in verità, è che Silvio Berlusconi rappresenta tutto quello che lui avrebbe sempre voluto essere senza mai riuscirci, come imprenditore, come politico e come padre”.


domenica 17 Dicembre 2023

Chiede totale revisione

L’assemblea dei giornalisti di Repubblica ha pubblicato sul quotidiano e sul sito un comunicato piuttosto severo, annunciando l’intenzione di ben cinque giorni di sciopero (da confermare e definire: in questi casi si usa l’espressione “ha affidato al Comitato di redazione cinque giorni di sciopero” per segnalare appunto un’intenzione e una minaccia).
Il comunicato segue e aggrava una serie di sviluppi e tensioni tra la redazione e la proprietà del giornale – e spesso anche con la direzione – che durano da molti mesi, parallelamente ai deludenti risultati di diffusione e all’impressione di una mancanza di visione sui destini del giornale stesso.

“L’assemblea dà mandato al Cdr di vincolare qualsiasi apertura di trattativa sindacale alla presentazione di un chiaro ed esaustivo piano editoriale, nel quale siano circostanziati: gli investimenti necessari per il rilancio della testata, gli obiettivi che ci si propone di raggiungere con organici ulteriormente ridotti nonché i progetti che coinvolgono le redazioni nel loro complesso. E non ultimo chiede all’azienda di indicare quali siano le scelte per la crescita dei ricavi, in particolare della componente digitale, perché siano adeguate alle sfide del mercato editoriale.
L’assemblea pone inoltre un ineludibile tema di responsabilità rispetto alla crisi che sta attraversando Repubblica. Pur riconoscendo il momento di difficoltà di questa fase di grandi cambiamenti, i risultati economicamente negativi sono da ascrivere anche alle scelte della linea editoriale che non riesce a intercettare nuovi lettori e che ha allontanato il tradizionale pubblico di riferimento della testata Repubblica; ma anche alle strategie del management, frutto di previsioni errate e di risultati ancora non sufficienti a garantire l’equilibrio dei conti, in particolare nello sviluppo del digitale. Scelte e strategie di cui l’assemblea chiede totale revisione.
Le giornaliste e i giornalisti di Repubblica in questi anni hanno dimostrato un grande spirito di sacrificio e un forte legame affettivo con il giornale ma non sono disposti ad essere gli unici a pagare ancora una volta il conto di decisioni spesso non condivise, anzi non di rado contestate dalla redazione stessa”.


domenica 17 Dicembre 2023

I siti di news a ottobre

La società di rilevazione Audiweb (che ha in corso un processo di integrazione che le darà il nuovo nome di Audicom) ha pubblicato i dati di traffico sui siti web a ottobre. Abbiamo isolato anche questo mese quelli relativi ai siti di news generalisti e alle testate più note (il dato sono gli “utenti unici nel giorno medio”). Come ricordiamo sempre, bisogna tenere presente che i dati di traffico dei siti web sono soggetti a variabili anche molto influenti di mese in mese, legate a singolari risultati di determinati contenuti; o a eventi che ottengono maggiori attenzioni; o a fattori esterni che li promuovono in maniere volatili, come gli algoritmi di Google o di Facebook (e questo rende non del tutto significativi nemmeno i confronti sull’anno precedente).

In cima alla classifica, per la prima volta da sette mesi il sito del Corriere della Sera supera quello di Repubblica (ma pesano gli “aggregati” per entrambi, vedi sotto: questi sorpassi possono non avere a che fare con i singoli siti delle due testate). Mentre continuano a essere molto variabili i dati di Fanpage.

Per alcune delle testate nelle prime posizioni ricordiamo che bisogna considerare che i numeri possono includere anche quelli di vere e proprie “sottotestate” con una loro autonomia (su cui il gruppo GEDI sta per esempio intensificando un’operazione di acquisizioni: il secondo apporto più importante ai numeri presentati come di Repubblica è il sito MyMovies, seguito da Ticonsiglio; i numeri del sito del Corriere comprendono anche quelli di IoDonna e di Oggi), come abbiamo spiegato altre volte.


domenica 17 Dicembre 2023

AI è qui

Della cosiddetta “intelligenza artificiale” in relazione al giornalismo si è parlato finora in modi piuttosto confusi: gli usi e le prospettive sono ancora molto in via di comprensione, e quindi abbiamo letto soprattutto di grandi rivoluzioni e grandi allarmi ancora poco concreti. Ma alcune cose rivelatrici stanno invece succedendo, più intorno al business del giornalismo che non all’esecuzione dei singoli articoli su cui ci sono state finora le maggiori curiosità.

Quella di conseguenze già più visibili riguarda Google ed è piuttosto preoccupante per i siti di news (e non solo di news): in alcune sperimentazioni Google ha già cominciato a mostrare in testa ai suoi risultati delle ricerche delle brevi risposte di testo alla domanda contenuta nella ricerca degli utenti. Queste risposte sono composte appunto dall’AI di Google attingendo a enormi quantità di informazioni raccolte sui siti ed elaborate come testi nuovi e originali. Questo ha tre implicazioni: la prima, drammatica (il Wall Street Journal ha raccontato bene l’allarme giovedì), è che molte delle ricerche su Google non trovano più dei link su cui cliccare per avere risposta, ma ricevono già quella risposta sulla pagina di Google, e questo potenzialmente può far perdere enormi quantità di traffico ai siti; la seconda implicazione è che le risposte in questione non sono estratte dai siti originali, cosa che consentiva agli editori di rivendicare un compenso per l’uso dei loro contenuti originali e per il diritto d’autore, ma sono “inedite”, composte dall’AI; la terza implicazione è che per ottenere che i propri contenuti non vengano “dragati” dall’AI di Google i siti dovrebbero deindicizzarli, ovvero rinunciare a che poi compaiano tra i risultati delle ricerche.

Le grandi aziende giornalistiche intanto si stanno muovendo con circospezione e preoccupazione: diverse erano subito intervenute per inibire ai progetti di AI l’accesso ai propri contenuti, altre hanno iniziato trattative per ottenerne dei compensi soddisfacenti. Questa settimana è stato annunciato il maggiore accordo concluso finora, tra la grande multinazionale tedesca dell’editoria Axel Springer e la società OpenAI.

Invece il quotidiano New York Times ha deciso di investire in una persona che diriga le iniziative legate all’AI in redazione: Zach Seward è un giornalista che in passato ha fondato il sito di news Quartz, ha lavorato al Wall Street Journal e al sito di news sul giornalismo Nieman Lab. Il suo ruolo iniziale con il New York Times sarà di creare una piccola squadra e «collaborare con i dirigenti della redazione per stabilire i principi su come utilizzare e non utilizzare l’AI generativa […]. Il giornalismo del Times sarà sempre realizzato e scritto dai nostri giornalisti esperti. Ma Zach contribuirà anche a guidare il modo in cui questi nuovi strumenti possono assistere i nostri giornalisti nel loro lavoro, aiutandoci ad ampliare il nostro raggio d’azione e a espandere il nostro servizio».

Ma una seconda prospettiva preoccupante per la qualità dell’informazione e per il business dei giornali l’avevamo ipotizzata su Charlie all’inizio dell’anno e si sta concretizzando: l’AI può produrre quantità infinite di testi che sono minime variazioni rispetto ai contenuti originali raccolti, e creare opportunità di guadagno per siti in cui questa produzione è completamente automatizzata e può permettere di pubblicare quote enormi di articoli, anche in questo caso diversi dagli originali, per raccogliere traffico e ricavi pubblicitari. Il sito Semafor ha raccontato il caso di un sito di notizie finanziarie con sede in Israele che è uno dei più visitati del mondo e palesemente pubblica articoli di altri siti rielaborati dall’AI.


domenica 17 Dicembre 2023

Charlie, la storia del pluralismo

Chiedendo maggiori sovvenzioni per i giornali, la Federazione degli editori ha di nuovo parlato questa settimana di “rischi per il pluralismo” se queste sovvenzioni venissero invece ridotte. Il “pluralismo”, se ci pensate, è una parola che esiste nell’uso solo in questo contesto, e solo per suggerire che sia minacciato. Quello che in realtà gli editori di giornali chiedono di difendere – come è legittimo e comprensibile – sono le loro attività imprenditoriali dalle rispettive difficoltà economiche, evidenti e protagoniste di molta parte di questa newsletter. La “difesa del pluralismo” è la difesa del numero di testate pubblicate, ed è un modo per tradurre in criteri quantitativi quello che invece è un interesse pubblico qualitativo: una comunità e una democrazia bene informate. Interesse che non passa dal numero di giornali ma dalla affidabilità e accuratezza del loro lavoro: in Italia il pluralismo è infatti piuttosto presente, pur con una notevole prevalenza – tra i dieci-venti maggiori quotidiani – delle testate di orientamento politico conservatore o di destra. Ma non è ad attenuare questo squilibrio che si riferiscono le richieste degli editori: le sovvenzioni statali sono dirette soprattutto alle testate esistenti, e per esempio non stanno impedendo la creazione di un’aggregazione inedita e omogenea di quotidiani filogovernativi: alcuni dei quali invece ricevono proprio cospicue sovvenzioni di stato, a dimostrazione del fatto che i contributi pubblici non favoriscono il pluralismo, ma il suo contrario. Ma è solo un esempio, appunto, del fatto che il “pluralismo” è un alibi propagandistico per la richiesta di soldi raramente destinati a ripensamenti su quello di cui ha bisogno la democrazia italiana: buon giornalismo e innovazione, più che tanti giornali da salvare.

Fine di questo prologo.
(Charlie si prende qualche domenica di vacanza: tornerà il 14 gennaio, e buone feste)


domenica 10 Dicembre 2023

Wild Baricco

Il Post ha pubblicato questa settimana un anomalo ed eccezionale formato di podcast, e di promozione editoriale: Wild Baricco è una conversazione di oltre due ore con lo scrittore Alessandro Baricco, assai inusuale per lui sia nella misura che nei temi trattati, progettata insieme a Feltrinelli in occasione del nuovo romanzo di Baricco Abel.


domenica 10 Dicembre 2023

L’infinita indecenza

Ogni tanto alcuni aspetti frequentemente criticati del lavoro delle maggiori testate giornalistiche italiane vengono criticati sulle pagine delle stesse testate giornalistiche da alcuni dei loro autori più noti. Senza mai riferirsi alla testata stessa che li ospita, ma la poca distanza dagli articoli oggetto delle critiche rende quest’ultime una visibile contraddizione: che può essere letta come una paradossale incoerenza o come una capacità di ospitare anche qualche forma di autocritica. Questa settimana è stato il caso di Francesco Merlo, responsabile della rubrica delle risposte alle lettere di Repubblica, che ha risposto così a un lettore critico del “modo morboso, eccessivo e sensazionalistico” con cui “i media raccontano i delitti efferati”:

“È odiosa questa deriva selvaggia che attizza la morbosità e ti fa dimenticare la vittima e l’oltraggio che ha subito, lei e tutte le ragazze del mondo, presi come siamo a violarne gli spasmi. E così, alla fine, quando arrivi in fondo all’articolo e già attacchi il secondo, che viola lo smarrimento della madre, e poi ce ne sono un terzo sull’arma e un quarto sul luogo dell’esecuzione… alla fine, dicevo, non c’è più la morte di una ragazza che tutti avremmo voluto come figlia, ma c’è solo l’infinita indecenza”.


domenica 10 Dicembre 2023

Riduzioni in Italia

Il sito specializzato di media e pubblicità Prima Comunicazione ha riferito dell’intenzione dell’editore Riffeser di portare in cassa integrazione circa cento collaboratori con forme contrattuali che secondo il sindacato dei giornalisti non lo consentirebbero. Andrea Riffeser Monti è il proprietario del gruppo a cui appartengono i quotidiani Nazione (di Firenze), Resto del Carlino (di Bologna) e Giorno (Milano), insieme alla testata nazionale che li raggruppa Quotidiano Nazionale , ed è anche capo dell’associazione degli editori di giornali, la Fieg.
“Tutto questo comporterebbe un inammissibile precedente nel panorama giornalistico che porterebbe a cambiare di fatto l’inquadramento di corrispondenti e collaboratori fissi”.

Invece il sito Professione Reporter, dedicato ai temi del giornalismo e a notizie sulle redazioni italiane, ha aggiunto un po’ di notizie sui grandi movimenti editoriali nell’editoria giornalista del Nordest, di cui aveva scritto il Post qui.

“Parte con la richiesta di 18 prepensionamenti tra i poligrafici l’avventura della Nem, Nord Est Multimedia Spa, la società editrice che fa capo a Enrico Marchi, presidente dello scalo aeroportuale di Venezia e presidente del Gruppo Banca Finint. Dal primo novembre Nel ha ufficialmente acquisito, per un cifra – mai in verità confermata – compresa tra i 30 e i 40 milioni, la titolarità delle sette testate venete e friulane ex Gedi, Il Corriere delle Alpi, Il Piccolo, Messaggero Veneto, La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso e il sito NordEst Economia.
L’incontro, convocato dalla Nem nel primo pomeriggio di martedì 6 dicembre per discutere l’accordo sullo smart working, che scade a fine dicembre, e dunque per stabilire come e se rinnovarlo, è stata l’occasione per la nuova proprietà per comunicare ai Comitati di redazione delle sette testate che, oltre ai 18 poligrafici, sono previsti 35 prepensionamenti anche tra i giornalisti entro il 2024. Numero che, però, potrebbe salire a 40 se si dovesse scavallare il 2025. Interessati al prepensionamento sono i nati nel 1963. L’organico complessivo è ora di poco superiore alle 140 unità”.


domenica 10 Dicembre 2023

Il New European sta bene

Il settimanale britannico New European è nato in maniera peculiare: il primo numero uscì il 4 luglio 2016 tentando di riunire attorno a sé le persone deluse da Brexit, che aveva appena vinto il referendum per fare uscire il Regno Unito dall’Unione Europea, il 24 giugno. Il giornale doveva essere un esperimento con una durata limitata (dovevano essere pubblicati quattro numeri), per questo motivo lo slogan era: “The New Pop-up Paper for the 48%”, “la nuova rivista temporanea per il 48%” (la percentuale si riferiva alle persone che avevano votato per rimanere nell’Unione Europea). Il New European fu però un esperimento riuscito, divenne economicamente sostenibile e ottenne estesi apprezzamenti: inizialmente era di proprietà del gruppo editoriale regionale britannico Archant e venne poi rilevato da un gruppo di soci tra cui il fondatore Matt Kelly, l’ex amministratore delegato del New York Times Mark Thompson, l’ex direttore del Financial Times Lionel Barber, e Alastair Campbell (ex portavoce di Tony Blair) che ne è divenuto il direttore responsabile.

Il New European è tornato questa settimana a parlare della sua situazione economica attraverso una lunga intervista di Matt Kelly uscita sul sito britannico specializzato in notizie sul giornalismo PressGazette. Nel 2022 il settimanale ha raccolto 1 milione di sterline dopo aver invitato i lettori a investire nelle proprie quote al prezzo di 3 sterline per azione: alla fine della raccolta fondi circa 2 mila lettori possedevano il 16,7% dell’azienda. Kelly racconta di aver investito parte del denaro per un piano di «marketing davvero mirato», perché la rivista continuava a essere poco conosciuta. Il New European oggi ha circa 17.400 abbonamenti digitali e 10.800 cartacei, e vende in edicola tra le 4.000 e le 6.000 copie ogni settimana: complessivamente ha circa 33 mila lettori paganti. Gli abbonamenti sono in aumento, e il risultato è attribuito alla linea editoriale della rivista, definita «una missione molto chiara, che consiste nel combattere il nazionalismo di destra ovunque lo vediamo». Kelly ha poi aggiunto che forse investirà ancora per far conoscere il New European: «l’ambizione è quella di arrivare, entro un paio d’anni, a circa 50 mila abbonamenti paganti» e che se «riusciamo a raggiungere i 40.000, 50.000 abbonamenti, allora sarà un’attività incredibilmente redditizia». La rivista non ha mai ospitato pubblicità ma con la crescita dei lettori nel 2024 «ci potrebbe essere un’opportunità concreta per della pubblicità mirata sul New European ».


domenica 10 Dicembre 2023

Lo sciopero al Washington Post

Da diversi mesi Charlie racconta delle difficoltà che sta affrontando l’importante quotidiano statunitense Washington Post: ancora la scorsa settimana si parlava delle 240 uscite volontarie che il giornale sta cercando di trovare tra i suoi dipendenti, minacciando licenziamenti. Giovedì circa 750 giornalisti sindacalizzati del Washington Post hanno organizzato 24 ore di “walkout” (una forma di sciopero) per protestare contro i licenziamenti e contro il fatto che «i dipendenti del Washington Post sono in trattative contrattuali con i nostri capi da 18 mesi. Ma l’azienda si rifiuta di pagarci quanto valiamo». La richiesta è di un minimo di 100 mila dollari annui per i giornalisti mentre l’ultima offerta del giornale è di 73 mila dollari. Secondo i dirigenti del sindacato si è trattato del primo sciopero generale al Washington Post dopo quello del 1975-76 durato 20 settimane e organizzato dagli addetti alle tipografie.

Un portavoce del Washington Post ha detto: «rispettiamo il diritto dei nostri colleghi che fanno parte del sindacato di impegnarsi in questo sciopero di un giorno. Ci assicureremo che i nostri lettori e clienti non subiscano alcun danno». E una rivista locale di Washington, il Washingtonian ha ottenuto e pubblicato una mail mandata da un caposervizio del Washington Post in cui chiede ai giornalisti di segnalare «qualsiasi cosa che abbia anche solo il sentore di una notizia» perché «non abbiamo nulla nella dispensa» e «dobbiamo fare provviste» in vista dello sciopero.

In Italia lo sciopero è un diritto costituzionale, che ha maggiori tutele; negli Stati Uniti è tutelato dal National Labor Relations Act del 1935, una legge che: «protegge la democrazia sul posto di lavoro, garantendo ai dipendenti del settore privato il diritto fondamentale di cercare migliori condizioni di lavoro e di designare una rappresentanza senza temere ritorsioni». Ma scioperare negli Stati Uniti viene considerato piuttosto rischioso per i lavoratori: per esempio, il datore di lavoro può assumere nuove persone per sostituire chi sciopera, e non è scontato che il lavoratore sostituito possa rientrare immediatamente, rischiando di perdere oltre allo stipendio anche l’assistenza sanitaria, che spesso è collegata alla retribuzione. L’astensione dal lavoro può manifestarsi in modi diversi: rimanendo a casa propria; tramite un picchetto all’entrata degli uffici o dei cancelli; con il “ walkout ” che prevede l’interruzione dell’attività uscendo dagli uffici. I dipendenti del giornale hanno marciato in strada nel centro di Washington, sventolando cartelli con la scritta “sciopero”, suonando campane, battendo tamburi e cantando: “Hey, hey, ho, ho, our salary floor is much too low!” (“il nostro stipendio minimo è troppo basso”).


domenica 10 Dicembre 2023

Non è finita la storia Espresso/Inps

Un piccolo aggiornamento sulla questione giudiziaria di cui abbiamo citato gli sviluppi nelle settimane scorse. Ne ha scritto il Fatto:

“Nessun patteggiamento. E ora, per gli ex vertici del Gruppo Gedi, la Procura valuta la citazione diretta a giudizio di tutti gli indagati per i quali non è già stata chiesta l’archiviazione. Il gip di Roma ieri ha bocciato l’applicazione della pena su richiesta delle parti proposta dai manager coinvolti nell’inchiesta per truffa verso l’Inps, di cui sono accusate le aziende della holding che fino al 2020 era editrice di quotidiani come Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX. Le pene proposte, infatti, sono state valutate dal gip troppo basse per un reato dove, da codice penale, si rischia la reclusione da sei mesi a tre anni. Per i pm, dirigenti ed ex dirigenti di Gedi e del precedente Gruppo L’Espresso, avrebbero messo in piedi un sistema per “far figurare come sussistenti i requisiti (…) al fine di ottenere il prepensionamento dei dipendenti”, inducendo così in errore l’Inps. La cifra sequestrata a fine 2020 era di 38,9 milioni di euro, di cui 16,2 milioni sono stati poi restituiti all’Inps su ordine della Procura. L’indagine non riguarda in alcun modo il gruppo Exor, che dal 2020 ha acquistato la holding editoriale dalla famiglia De Benedetti. Tra i manager a rischio processo ci sono l’ex Ad Monica Mondardini (oggi in Cir con lo stesso ruolo) e l’ex capo delle Risorse umane, Roberto Moro, mentre per l’allora direttore generale, Corrado Corradi, la Procura ha chiesto l’archiviazione. Gli inquirenti ritengono responsabili del raggiro all’Inps anche quegli ex dipendenti, una sessantina, che hanno “anche solo avallato” l’operazione”.


domenica 10 Dicembre 2023

La persona giusta

Il magazine americano Time ha fatto notizia sui media di mezzo mondo questa settimana nominando come ogni anno la sua “persona dell’anno”. È un’iniziativa di comunicazione e brand tra le più riuscite della storia delle aziende giornalistiche, ma che da diversi anni si è indebolita tantissimo, assieme al declino della testata in questione e dei newsmagazines in generale. L’idea del “Man of the year” (divenne “person” solo nel 1999, benchè ci fossero state prima quattro “Woman of the year”, una “Machine of the year” e un “Planet of the year”) fu introdotta nel 1927: il gruppo di direzione del giornale da allora sceglie chi a suo giudizio abbia avuto il maggior impatto sulle vicende del mondo di quell’anno (con una visione a lungo molto statiuniticentrica del mondo), e quindi prescindendo in teoria da giudizi morali o di valore sull’opera del nominato: anche se nella pratica da molti anni il giornale ha rinunciato a rischiare dissensi e proteste con personaggi impopolari, e anzi ha introdotto anche una parallela votazione dei lettori .

Fino ancora all’inizio di questo secolo la scelta annuale era stata un successo di comunicazione e attenzioni, suppergiù equivalenti a quelle per i premiati col Nobel: ma il proliferare di nuove fonti di informazione online e di iniziative, liste, premi, istantanei e volatili, ha diluito anche il primato della “Person of the year”, insieme alla perdita di ruolo di Time nell’informazione internazionale.
Questa settimana però le attenzioni internazionali sono tornate molto ricche e vivaci grazie a un’ottima intuizione promozionale del giornale: quella di scegliere una persona protagonista non della politica internazionale né delle news da prime pagine, ma proveniente dalla cultura pop e che quest’anno ha raccolto consensi e fandom estessimi e piuttosto unanimi, Taylor Swift.


domenica 10 Dicembre 2023

Il nuovo giro di prepensionamenti a Repubblica

Era stato anticipato nelle settimane scorse, lo ha raccontato più in dettaglio il sito Professione Reporter.

“Il Comitato di redazione de la Repubblica è stato convocato dalla proprietà, il Gruppo Gedi presieduto da John Elkann, ed è stato informato dell’intenzione di effettuare altri 46 prepensionamenti (oggi si possono fare a un’età minima di 62 anni). Gedi sostiene che Repubblica chiuderà il prossimo bilancio in rosso per 15 milioni di euro e che le uscite sono necessarie per risanarlo.
I 46 esodi sono previsti tra aprile e settembre 2024, dopo che sarà stato firmato l’accordo con il Cdr. La proprietà vuole, in quel periodo, un numero minimo di prepensionamenti di 37 giornalisti. In caso contrario promette tagli a stipendi e contratto integrativo.
Il Cdr ha convocato l’assemblea per il 15 dicembre, per discutere il Piano”.


domenica 10 Dicembre 2023

Non regole, ma strumenti

Il sito del Poynter Institute, un’importante istituzione americana che si occupa di giornalismo, ha raccontato alcune cose sull’ AP Stylebook, che è una cosa piuttosto speciale e rinomata nel mondo del giornalismo statunitense ma anche internazionale. È il “manuale di stile” dell’agenzia di stampa Associated Press – a sua volta una delle istituzioni giornalistiche più importanti e autorevoli del mondo, spesso chiamata AP -, in cui vengono organizzate e aggiornate di continuo le indicazioni per i giornalisti e i dipendenti non solo sulle scelte ortografiche, formali, linguistiche ma anche di scelte giornalistiche ed etiche. L’AP Stylebook esiste da più di un secolo e da settant’anni è venduto al pubblico, con aggiornamenti biennali, ed è diventato il riferimento editoriale e formale per tantissime organizzazioni, aziende, case editrici, giornali.

Nell’articolo su Poynter sono descritte alcune cose spiegate dalla direttrice Paula Froke in un workshop organizzato dallo Stylebook. Froke spiega che lo Stylebook non deve essere considerato una raccolta di regole ma uno strumento, e che quelle che contiene non sono istruzioni a cui obbedire ma da prendere considerazione valutando di volta in volta contesti e variabili diverse: e lo stesso manuale spesso suggerisce i diversi fattori da valutare per fare scelte differenti, «alcune norme obbligano a prendere delle decisioni, siete voi che dovete fare delle scelte». E ogni redazione che segue il manuale deve sentirsi libera di adattarne le istruzioni per il proprio pubblico.
Sono anche citati alcuni casi particolari di applicazioni giornalistiche: per esempio come considerare le risposte ricevute per email, per valutare se possono essere adattate per ragioni di chiarezza – come si fa con le interviste raccolte a voce – oppure devono essere rispettate nella loro versione esatta e integrale, come si fa con qualunque testo stampato. Lo Stylebook indica la seconda. E infine, Associated Press ha diffuso delle istruzioni sulla guerra a Gaza tre settimane dopo gli attentati di Hamas, “spiegando il contesto storico, i protagonisti e le ragioni per cui, per descrivere Hamas, “militants” è permesso e “terrorists” no”.


domenica 10 Dicembre 2023

Che succede con Capital

Un articolo sul Foglio di martedì ha rilanciato con grande certezza la notizia circolata già alcuni mesi fa per cui il gruppo GEDI starebbe per vendere la radio Radio Capital alla famiglia Angelucci. L’ipotesi ha una sua credibilità palese perché GEDI – proprietaria dei quotidiani Repubblica Stampa – sta dismettendo in questi anni molte sue proprietà “secondarie”, e al tempo stesso gli Angelucci – già proprietari dei quotidiani Libero Tempo – hanno appena comprato il Giornale e si mostrano molto interessati a rafforzare il gruppo editoriale. Ma l’articolo del Foglio non ha avuto nei giorni successivi nessun’altra conferma o aggiornamento.


domenica 10 Dicembre 2023

Ordinaria titolazione

Nel corso della settimana c’è stata una polemica tra il ministro della Difesa Crosetto e il quotidiano il Giornale, a proposito di un titolo di quest’ultimo. Crosetto ha annunciato una querela per il titolo di prima pagina “Inchiesta su Crosetto” che in effetti si riferiva al fatto che Crosetto era stato ascoltato a proposito di un’inchiesta, ma in cui non è lui l’indagato. Il ministro ha sostenuto pubblicamente che l’intenzione fosse di danneggiarlo e calunniarlo per ragioni politiche (il Giornale sostiene quotidianamente la maggioranza di destra, e il suo editore è un deputato della Lega), quando con tutta probabilità la falsificazione contenuta nel titolo si doveva alla più consueta abitudine dei quotidiani italiani di produrre delle sintesi sbrigative e sensazionaliste, a costo di modificare i fatti descritti negli articoli.
Lo stesso direttore del Giornale, difendendosi, ha sostenuto si trattasse di una “sintesi” e che Crosetto avrebbe dovuto riconoscere e apprezzare le abituali indulgenze e simpatie per lui che ha il quotidiano.

“Guido Crosetto è un ottimo ministro della Difesa e una brava persona. Punto. È che come tutte le persone di carattere ha un pessimo carattere aggravato dal fatto che da oltre un anno vive in un mondo, quello del potere reale, dove l’intrigo, il trabocchetto e il doppiogiochismo sono all’ordine del giorno […] Non pretendiamo che il ministro ci ringrazi per essere stati al suo fianco quando, direi spesso, è stato bersaglio di attacchi, anche personali, di ogni genere (lo abbiamo fatto convintamente, anche in questi casi senza mandanti), ma almeno rimanga agli atti che non siamo strumenti di nessun complotto”.


domenica 10 Dicembre 2023

Nessuno si senta al sicuro

La più illustre vittima dei licenziamenti al New Yorker di cui avevamo detto una settimana fa è Andy Borowitz, autore comico molto popolare e molto noto ai lettori del giornale per la sua rubrica satirica The Borowitz Report, ospitata da dodici anni sul settimanale, che l’aveva acquisita dopo il suo grande successo online iniziato nel 2001. La notizia della chiusura della rubrica è stata data su Facebook dallo stesso Borowitz (tra migliaia di commenti disperati), che l’ha attribuita alle “difficoltà finanziarie” del New Yorker.


domenica 10 Dicembre 2023

Si fa garante di quanto segue

Il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha risposto alla richiesta di maggiori garanzie di autonomia dalle pressioni della pubblicità che la redazione aveva espresso in una sorta di decalogo il mese scorso. La risposta di Molinari è al tempo stesso perentoria nell’accettare le richieste e sfuggente nel definire delle regole, descritte con formulazioni molto fumose e che lasciano zone grigie e discrezionalità. Permettendo, per esempio, questa doppia pagina di promozione della comunicazione di ENI, uscita su Repubblica giovedì senza nessuna indicazione della sua natura pubblicitaria; oppure un articolo di promozione di un’iniziativa del brand di abbigliamento Paul & Shark pochi giorni prima di una pagina pubblicitaria di Paul & Shark.

“In un mercato editoriale in continua evoluzione soprattutto per quanto concerne la piattaforma digitale, la distinzione e separazione trasparenti tra contenuti giornalistici, contenuti giornalistici sponsorizzati (cosiddetti branded contents) e contenuti pubblicitari tout court (cosiddetti native) è principio che impegna la direzione di Repubblica nei confronti della redazione e dei lettori.
A tale scopo, la Direzione di Repubblica, nel riconoscersi pienamente nei principi fissati dalla legge che disciplina la professione, dal codice etico di GEDI e dall’articolo 4 del CNLG (“i messaggi pubblicitari devono essere chiaramente individuabili come tali e quindi distinti, anche attraverso apposita indicazione, dai testi giornalistici (….) / direttori sono garanti della correttezza e della qualità dell’informazione anche per quanto attiene il rapporto tra testo e pubblicità”) e a seguito delle sollecitazioni arrivate dall’assemblea dei giornalisti di Repubblica e dell’interlocuzione avuta con li Cdr e al concessionaria Manzoni, si fa garante di quanto segue:
1. I contenuti pubblicitari nativi saranno chiaramente distinguibili da quelli giornalistici su tutte le piattaforme attraverso segni distintivi quali font diversi da quelli editoriali e diciture quali
“in collaborazione con ..”, “in partnership con…”, “con li contributo di “. Tali da consentire al lettore di riconoscerli con chiarezza.
2. I contenuti giornalistici sponsorizzati (branded content) segnalati dalla concessionaria pubblicitaria saranno valutati esclusivamente dalla direzione editoriale e dai responsabili dei settori che la direzione indicherà perché preposti a immaginarli, costruirli e redigerli, affinché sia garantita la rispondenza dei “branded content” ai criteri di indipendenza e autonomia giornalistica della testata.
3. Al fine di una corretta prassi nella loro necessaria e fisiologica interlocuzione, al concessionaria pubblicitaria avrà quali suoi esclusivi interlocutori al direzione editoriale e, in seconda battuta, i responsabili delle articolazioni che la direzione, se necessario, indicherà, oltre naturalmente, per quanto concerne al quotidiana operatività delle piattaforme cartacea e digitale, irresponsabili dei settori incaricati di gestire gli spazi pubblicitari previsti.
4. I contenuti giornalistici dedicati al consumo, in qualsiasi sua forma, non conterranno link diretti a portali per l’acquisto, aziende produttrici, privati fornitori di servizi tranne i casi ni cui la direzione editoriale e i responsabili dei settori dedicati il ritengano funzionali a informazioni di servizio che possano risultare utili al lettore. Qualora l’indicazione di aziende o fornitori sia prevista da accordi commerciali, al circostanza sarà resa esplicita al lettore”.


domenica 10 Dicembre 2023

Metro dopo Metro

Metro International è una società editoriale svedese che a partire dalla fine degli anni Novanta fondò diverse edizioni nazionali del giornale gratuito (free press) Metro, tra cui quella italiana. L’edizione italiana iniziò a uscire a Roma nel luglio del 2000 e poi a Milano: le redazioni erano costituite da una ventina di giornalisti. Il modello economico di Metro è sempre rimasto fondato sulla circolazione gratuita delle sue copie e sulla vendita delle inserzioni pubblicitarie sulla base della propria rilevante diffusione, dovuta appunto alla gratuità: nei primi 7-8 anni di vita funzionò e vennero aggiunte edizioni in altre città come Torino, Bologna, Firenze, Genova, Bergamo, Monza e nel Veneto, senza mai arrivare nel sud Italia. Tra il 2005 e il 2006 il giornale stampava in media circa un milione di copie quotidiane e ebbe una redazione composta anche da 25-26 persone, tra giornalisti e grafici. In quegli anni in Italia cominciarono a uscire altre free press: nel 2001 aprirono Leggo del gruppo Caltagirone City del gruppo RCS, nel 2004 Epolis, nel 2006 24 Minuti del Sole 24 Ore Anteprima Corsera del Corriere della Sera , e ancora nel 2008 uscì DNews. Molti di questi giornali non ebbero una vita lunga, il mercato era diventato più competitivo e a causa anche di altri fattori (come la diminuzione delle entrate pubblicitarie per i giornali e la crisi economica del 2008 ) il gruppo Metro International decise di vendere l’edizione italiana di Metro .

Nel 2009 la rilevò l’imprenditore romano Salvatore Puzzo tramite la nuova società New Media Enterprise, che poco dopo venne completamente ceduta allo stampatore Mario Farina (che già pubblicava la free press DNews). Farina è proprietario della Litosud, una delle principali aziende italiane specializzate nella stampa. Tra il 2010 e il 2020 il giornale ha continuato a investire nell’edizione cartacea, da cui arriva la stragrande maggioranza delle entrate, e a mantenere un sito marginale rispetto alle strategie della testata. Già dal 2012 i giornalisti della redazione hanno lavorato con varie forme di contratti di solidarietà (contratti che prevedono una riduzione di orari lavorativi e di stipendio) e durante il momento più complicato della pandemia nella primavera del 2020 il giornale e il sito hanno interrotto le pubblicazioni per tre mesi. Nel maggio del 2020 Metro è stato ceduto nuovamente a Salvatore Puzzo. Nella trattativa per la cessione di Metro , Mario Farina non ha però ceduto i giornali tematici che escono in occasione di alcuni eventi (concerti, partite), come MetroStadio MetroWeek : hanno una grafica simile al quotidiano ma appartengono a un’altra proprietà, e, sebbene non abbiano una periodicità, riescono a essere più vantaggiosi economicamente.

Salvatore Puzzo, romano di 66 anni, ha lavorato inizialmente come giornalista e dal 1985 come imprenditore nel campo dell’editoria musicale per poi arricchirsi, come ha spiegato a Charlie, grazie ad «attività di marketing editoriale e di consulenza legale e amministrativa sempre nel campo editoriale, mi sono laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti alla Sapienza di Roma a 22 anni. Nelle mie vite precedenti ho diretto i quotidiani Quigiovani (anni 90) e il sito Nuovo Corriere (2016), diretto tipografie di quotidiani (Nuova Poligraf) e società di distribuzione di giornali (D.P.)». Oggi Metro esce dal martedì al sabato e – stando ai dati forniti da Puzzo – quando escono tutte le cinque edizioni del giornale (nazionale, di Milano, Roma, Bologna e Torino) raggiunge una tiratura di circa 180 mila copie; il sito avrebbe circa 500 mila utenti unici mensili.

Il giornale sta poi cercando una nuova concessionaria pubblicitaria perché il contratto con la concessionaria Manzoni (che fa parte del gruppo GEDI, quello di Repubblica ) terminerà il 1° gennaio 2024. L’editore ha trovato nuove concessionarie pubblicitarie per l’edizione nazionale e per quella milanese, dove il giornale continuerà a uscire in attesa di capire se sarà possibile far ripartire le edizioni in altre città. In questo contesto l’editore ha proposto ai 14 giornalisti rimasti (molti di loro assunti nei primi anni di vita di Metro , una ventina di anni fa) di estendere ancora il contratto di solidarietà fino all’80%, con relativa riduzione di orari e stipendi (in redazione si alternerebbero così ogni giorno circa 2-3 giornalisti). Puzzo ha detto a Charlie che per Metro «non ci sta un piano di dismissione, ma ci sta un piano di resilienza importante. La finalità editoriale è quella di continuare per almeno altri 23 anni [ Metro ha compiuto quest’anno 23 anni], non di chiudere domani» e per questo continuano a non essere previsti licenziamenti.

Il giornale gratuito Metro britannico ha lo stesso nome ma non ha mai fatto parte del gruppo editoriale svedese da cui è nato quello italiano: Metro britannico è il giornale a più alta circolazione nel Regno Unito, ed è pubblicato dallo stesso gruppo del tabloid conservatore Daily Mail.


domenica 10 Dicembre 2023

I giornali spagnoli contro Meta

L’associazione AMI (Asociación de Medios de Información) che riunisce 83 media spagnoli (tra cui gli editori di quotidiani rilevanti e di ampia circolazione come El País ABC La Vanguardiaha intentato una causa da circa 550 milioni di euro nei confronti di Meta, la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp. I soci di AMI ritengono che la concorrenza di Meta nel mercato pubblicitario sia sleale: nel comunicato ufficiale sostengono che il comportamento di Meta «implica che il cento per cento delle entrate del gigante tecnologico derivanti dalla vendita di pubblicità personalizzata sia stato ottenuto in modo illegittimo. L’uso sistematico e massiccio dei dati personali degli utenti delle piattaforme di Meta, tracciati senza il loro consenso nel corso della loro navigazione digitale, avrebbe permesso all’azienda americana di offrire sul mercato la vendita di spazi pubblicitari sulla base di un vantaggio competitivo ottenuto in modo illecito». I membri di AMI sostengono che la maggior parte degli annunci pubblicitari di Meta utilizzi i dati personali degli utenti senza il loro consenso esplicito: questo violerebbe il regolamento sulla protezione dei dati (GDPR) in vigore nell’Unione Europea dal 2018, che prevede che qualsiasi sito web richieda l’autorizzazione a conservare e utilizzare i dati personali. La causa è notevole perché potrebbe essere replicata in qualsiasi altra nazione che fa parte dell’Unione Europea. Si tratta di uno sviluppo che ha dei punti di contatto con quanto visto in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, ma anche delle singolarità legate alle più stringenti norme europee sulla protezione dei dati personali.

 


domenica 10 Dicembre 2023

Charlie, la pubblicità è una cosa

Questa newsletter si occupa spesso (anche oggi) del conflitto di interessi tra informazione e pubblicità nei prodotti giornalistici, perché è uno degli aspetti più vistosi e problematici della crisi di sostenibilità dei prodotti giornalistici stessi in questi anni. Ma è anche importante provare a definire che cos’è che chiamiamo pubblicità, e a spiegarlo a chi legge, o ascolta. Perché anche in questo caso ci sono molte zone grigie, molti “dipende”, e non una linea netta. Per esempio: la recensione di un libro, o di un film, non sono considerati pubblicità, pur essendo contenuti che (nella quasi totalità dei casi) promuovono prodotti commerciali. Il “product placement” in tv anche di una sola bottiglia d’acqua minerale è oggetto di trattative e a volte di critiche e scandalo da parte degli spettatori, ma è invece consueto mostrare la copertina di un libro durante un’intervista con l’autore. Si dice in questi casi che ci siano delle esenzioni per i “prodotti culturali”, ma la definizione è un po’ sfuggente: la compilation di Sanremo è un prodotto culturale? Un cinepanettone? Un documentario su Ilary Blasi? E non vengono da tempo descritte come cultura anche quella del cibo o quella della moda, di cui non è invece accettato che si mostrino e raccontino gratuitamente i prodotti?
E poi capita che i lettori dei giornali a volte contestino la citazione di brand, aziende, prodotti, all’interno degli articoli anche quando i brand, le aziende, i prodotti sono protagonisti di una notizia: l’enorme successo dei “Nutella biscuits” di qualche anno fa meritava di essere raccontato, così come i nuovi orari di lavoro in EssilorLuxottica e Lamborghini di queste settimane, o nuovi sistemi di spedizione di Amazon con i droni. Questa newsletter, che è un prodotto giornalistico, racconta le iniziative di prodotti commerciali quali sono i giornali.

Alla fine, il criterio principale di valutazione dell’autonomia di un prodotto giornalistico non è tanto in una fragile distinzione tra citare prodotti o non citarli, ma è nell’indipendenza delle scelte giornalistiche da eventuali ricavi economici e nella trasparente indicazione ai lettori quando questa indipendenza non c’è. Un giornale libero non è un giornale senza pubblicità o che non cita aziende o prodotti, ma un giornale i cui lettori siano informati con chiarezza su quali contenuti derivino da ragioni commerciali – dirette o indirette – e quali da scelte giornalistiche.

Fine di questo prologo.


domenica 3 Dicembre 2023

I giornali a Natale

Venerdì prossimo la rassegna stampa di Francesco Costa e Luca Sofri, I giornali spiegati bene, sarà a Peccioli, in Toscana, all’interno del festival A Natale libri per te.


domenica 3 Dicembre 2023

Per fare il Post

Il Post aveva pubblicato dieci giorni fa quattro nuove puntate del suo podcast Per fare il Post, in cui chi ci lavora racconta di cosa è fatto il suo lavoro.


domenica 3 Dicembre 2023

Torna Jezebel

Che era un sito americano popolare e stimato di prioritario impegno femminista, di cui era stata annunciata la chiusura un mese fa. La testata è stata acquistata da Paste, uno dei più noti giornali internazionali di musica e cultura.


domenica 3 Dicembre 2023

Sia pur di poco conto

La scrittrice Bianca Pitzorno, una delle più importanti autrici per ragazzi italiane, ha spiegato su Facebook come un titolo di una sua intervista al Corriere della Sera abbia riferito una cosa falsa, forzando – come spesso avviene con i titoli sui quotidiani – quello che lei aveva detto.

“Purtroppo la notizia data dal titolista nella pagina del Corriere è inesatta. Avevo raccontato chiaramente alla intervistatrice due episodi differenti. Il primo relativo a una scuola di Carpi dove una famiglia aveva chiesto di ritirare dalla biblioteca il mio ASCOLTA IL MIO CUORE, accusato di ‘fare propaganda gender’. Ma la scuola, direttore e insegnanti, si era rifiutata ed era stata la famiglia a ritirare il figlio e a trasferirlo altrove. Il secondo episodio, più recente, riguardava un editore inglese che, per pubblicare il mio libro STREGHETTA MIA pretendeva che cambiassi l’età della protagonista, quasi neonata, perché temeva che la vicenda fosse interpretata come una storia di pedofilia, mentre era una storia, umoristica, di avarizia. Anche qui io mi sono rifiutata, ho solo aggiunto una frase per specificare che il protagonista pur di ereditare, avrebbe sposato anche un frigorifero, e il libro è stato tradotto come chiunque può constatare. In definitiva NESSUNO DEI MIEI LIBRI E’ MAI STATO BANDITO DALLE SCUOLE e il tema ‘pedofilia’ si è limitato a uno scambio privato di opinioni tra me e un editore inglese, dove io ho avuto la meglio. Anche queste, sia pur di poco conto, sono ‘fake news'”.


domenica 3 Dicembre 2023

Intanto, al Telegraph

Ultimamente Charlie ha parlato spesso della vendita dell’importante giornale britannico conservatore Daily Telegraph , ed è probabile che si continuerà a parlarne perché ci sono e sono previste, ancora, diverse novità (qui un riassunto di quello che sta accadendo). Venerdì la ministra della Cultura del governo britannico Lucy Frazer ha bloccato qualsiasi trasferimento di proprietà del Telegraph Media Group, che pubblica il Daily Telegraph . Il governo britannico ha voluto quindi limitare la probabile acquisizione del quotidiano da parte del gruppo RedBird IMI, sostenuto da una società degli Emirati Arabi Uniti e da un fondo americano. Che uno dei più importanti e storici quotidiani nazionali venga acquisto da una proprietà di un paese con grandi interessi economici e poca dimestichezza con la libertà di espressione è quello che ha generato le maggiori agitazioni e discussioni in queste settimane. Frazer ha chiesto all’Ofcom (l’autorità di regolamentazione dei media britannici) e al CMA (l’autorità per la regolamentazione della concorrenza nel Regno Unito) di esaminare se l’operazione vìoli la «presentazione accurata delle notizie e la libera espressione delle opinioni nei giornali»; i due enti regolatori avranno tempo fino al 26 gennaio 2024.

RedBird IMI rileverebbe il quotidiano in uno scambio debito per azioni: risarcirebbe il debito (di 1,16 miliardi di sterline) che i proprietari del giornale, la famiglia Barclay, devono al gruppo finanziario Lloyds Bank che aveva messo all’asta il Telegraph Media Group. L’intervento del governo non blocca comunque il risarcimento del debito ma solo lo scambio delle quote: nei prossimi giorni il Lloyds Banking Group otterrebbe l’estinzione di tutti i crediti, il gruppo editoriale dovrebbe uscire dall’amministrazione controllata e la famiglia Barclay diventerà debitrice di RedBird IMI.
Nel frattempo lo stesso giornale sta intervenendo da dieci giorni nella questione, raccontandola ai propri lettori con grande allarme sui rischi della vendita ipotizzata.


domenica 3 Dicembre 2023

Rassegna stampa

Qualche esempio settimanale di contenuti giornalistici in più palese relazione con quelli pubblicitari, a rivelare la quota di dipendenza delle redazioni dalle difficoltà di sostenibilità economica dei giornali. Repubblica ha dedicato sabato un articolo all’azienda Moorer, che aveva comprato una pagina pubblicitaria mercoledì. Il Foglio (il fenomeno riguarda non solo i quotidiani più grandi, che pure raccolgono la grande maggioranza degli investimenti pubblicitari) ha pubblicato sabato un’entusiasta celebrazione di un progetto veneziano della società Generali, che aveva comprato questa settimana due pagine pubblicitarie, una lo stesso sabato e una mercoledì.


domenica 3 Dicembre 2023

Forti con i forti

Un pezzo degli strascichi polemici e diplomatici all’interno della famiglia reale britannica ha a che fare anche con la libertà d’espressione, il diritto di cronaca, la diffamazione, e le rigide regole di quel paese in questi campi.
La storia è, in breve, quella della pubblicazione per errore in un libro olandese dei nomi del re Carlo e della principessa Kate come destinatari delle accuse di razzismo da parte di Meghan Markle: i due nomi sono stati taciuti però nel Regno Unito, proprio per consuetudine col rispetto della privacy e coi rischi di diffamazione.

” Inizialmente i nomi dei due reali non erano stati citati dai giornali e dai tabloid britannici, che hanno notoriamente un accordo non scritto con la famiglia reale per trattare con una certa sobrietà gli scandali che la riguardano. La ritrosia è stata probabilmente motivata anche dal fatto che non è chiaro come siano finiti i due nomi nell’edizione olandese, visto che l’autore e la casa editrice sostengono non ci fossero nell’originale: si tratta quindi di un’accusa al momento senza prove, e che non è nemmeno sostenuta dall’autore del libro. Poi però il famoso conduttore Piers Morgan, noto peraltro per non avere simpatie per Meghan, li ha identificati nel suo programma, rivelando che non si tratta di due membri marginali della famiglia, bensì del re Carlo III e di Kate, principessa del Galles e moglie di William, fratello di Harry e primo erede al trono […]
Anche se i giornali inglesi non avevano ripreso i nomi presenti nella versione olandese, i due membri erano stati identificati come persone di “alto rango” e la notizia aveva avuto grande risalto. Il Daily Mirror per esempio aveva titolato: «Un libro fa il nome dei ‘reali razzisti’», mentre il Daily Mail citava «il libro di Scobie ritirato per aver fatto il nome dei ‘reali razzisti’ per errore». Poi mercoledì sera Morgan, noto per le sue posizioni di destra, aveva detto che chi paga le tasse con cui viene mantenuta la famiglia reale ha il diritto di sapere quello che hanno saputo i lettori olandesi, e aveva quindi identificato Carlo e Kate”.

Ne è nato quindi un sotto-dibattito a proposito dell’eventualità che la famiglia reale denunci Morgan, eventualità che è ritenuta improbabile proprio perché si tratta della famiglia reale.


domenica 3 Dicembre 2023

Una pessima settimana nelle grandi testate americane

Il quotidiano statunitense Washington Post ha annunciato possibili licenziamenti se non saranno raggiunte le 240 uscite volontarie. L’amministratrice delegata provvisoria quello nuovo deve ancora prendere servizio) Patty Stonesifer ha comunicato ai dipendenti che «vogliamo che tutti capiscano che abbiamo bisogno di 240 adesioni per contribuire a ripristinare la salute finanziaria del Post . […] Abbiamo preso la decisione, se non riusciamo a raggiungere questo obiettivo, di attuare i licenziamenti in quelle aree in cui abbiamo già identificato che le posizioni non dovranno essere sostituite, in cui il lavoro può essere riassegnato in modo più efficiente o in cui possiamo in altro modo ottenere risparmi sui costi. Questi licenziamenti offriranno benefici significativamente meno generosi rispetto al pacchetto volontario e saranno coerenti con i precedenti pacchetti di licenziamenti del Post ». Dovrebbero essere 120 i dipendenti che al momento hanno accettato di lasciare il giornale: la direttrice Sally Buzbee ha detto che 36 facevano parte della redazione cioè «circa il 30% del nostro obiettivo in tutto il dipartimento News». Questa notizia si inserisce nel contesto dei problemi che il Washington Post sta affrontando da più di un anno: il giornale chiuderà il 2023 con 100 milioni di dollari di perdite.

Licenziamenti sono in corso anche a Vanity Fair , al New Yorker e in altre proprietà da parte dell’editore Condé Nast; e anche al sito di news Vox , – di nuovo – uno dei progetti di giornali online più apprezzati negli Stati Uniti (la cui azienda, Vox Media, si è estesa a comprendere diverse altre testate, compresa la storica rivista New York).


domenica 3 Dicembre 2023

“Un giornale per ragazzi, non un giornale per stupidi”

La newsletter Mediastorm di Lelio Simi, dedicata “alle industrie dei media e dell’intrattenimento” ha recuperato un affascinante aneddoto che riguarda il Corriere dei Ragazzi, una rivista per ragazzi pubblicata dal Corriere della Sera tra il 1972 e il 1976 come evoluzione del celebre e seguito Corriere dei Piccoli. Era un giornale che ospitava molti fumetti ma si occupava anche di informazione e di attualità da raccontare e spiegare agli adolescenti, e nel 1973 (a proposito di Kissinger) una serie di articoli descrisse con accuratezza e severità il colpo di stato in Cile e l’assassinio del presidente Salvador Allende, difendendo la scelta anche dagli attacchi di alcuni genitori.


domenica 3 Dicembre 2023

Ma noi non ci saremo

C’è stato un altro caso notevole e rivelatore del lavoro di produzione con grande anticipo di ” coccodrilli “, ovvero di articoli di necrologio di personaggi famosi: ne parlammo altre volte. Uno dei due autori dell’articolo che il quotidiano londinese Financial Times ha dedicato alla morte di Henry Kissinger, Malcolm Rutherford, era morto nel 1999.

(invece qui c’è l’autore del necrologio di Kissinger del New York Times che spiega il lavoro che c’è stato di preparazione, con incontri e interviste con Kissinger stesso)


domenica 3 Dicembre 2023

Visto che funziona

I risultati soddisfacenti – dal punto di vista commerciale – delle sempre più frequenti commistioni tra lavoro giornalistico e interessi degli inserzionisti sul Corriere della Sera hanno evidentemente suggerito alla concessionaria pubblicitaria CairoRCS di declinare lo stesso meccanismo anche sulla televisione del gruppo, La7 , in più estese “sinergie”. Lo stesso Corriere della Sera ospitava sabato una pagina promozionale di un programma televisivo andato in onda sabato sera e dedicato all’Intelligenza Artificiale, “in collaborazione con Deloitte”, grande società di consulenza che è frequente inserzionista delle testate del gruppo e a cui il Corriere aveva dedicato un articolo mercoledì nelle pagine dell’Economia.


domenica 3 Dicembre 2023

Santini

Il Corriere della Sera potrebbe avere superato questa settimana ogni primato precedente nella pubblicazione di immagini e dichiarazioni del proprio editore, Urbano Cairo, battendo persino la consuetudine del Sole 24 Ore di tre o quattro articoli settimanali dedicati al proprio editore di fatto, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (questa settimana mercoledìgiovedìvenerdì sabato, esaurendo anche le idee sui titoli). Una foto di Cairo ha avuto spazio sul Corriere per cinque giorni consecutivi da domenica a giovedì, e poi una sesta volta sabato.
Soltanto nelle rispettive edizioni di venerdì, invece, sia Repubblica che Stampa hanno dedicato ben due immagini ciascuna al proprio, di editore, John Elkann (nel caso della Stampa due articoli interi).
La sempre crescente ingerenza degli interessi commerciali e personali degli editori nei giornali è strettamente legata alla debolezza economica dei giornali stessi, come avevamo raccontato qui.


domenica 3 Dicembre 2023

Upday ora chiude proprio, in Italia

Upday è una testata internazionale nata dall’accordo tra il grande editore tedesco Axel Springer e la multinazionale sudcoreana Samsung: è sia un servizio di news che un’app preinstallata sugli smartphone Samsung, gestisce e aggrega le notizie che arrivano da altri giornali (come fa anche il servizio Apple News sugli iPhone) e a un certo punto ha creato piccole redazioni in varie parti del mondo, tra cui l’Italia, che si occupano di creare e aggiungere articoli originali all’offerta. Il gruppo editoriale Axel Springer è l’azienda di media più grande d’Europa, ha una notevolissima influenza in Germania dove possiede il tabloid Bild e il quotidiano Welt , e da diversi anni sta spostando i suoi interessi negli Stati Uniti dopo aver rilevato il sito Business Insider nel 2015 per 400 milioni e il sito Politico nel 2021 per oltre un miliardo di dollari.

L’edizione italiana di Upday era nata nel febbraio 2017 come aggregatore di notizie: il lavoro della redazione (all’inizio formata da cinque giornalisti) era quello di verificare e ripubblicare le notizie selezionate da un algoritmo sviluppato internamente da Axel Springer. Rapidamente però Upday Italia divenne un sito di news online (oltre alla app) che produceva anche notizie originali: la redazione arrivò ad avere 12 giornalisti e una rete di collaboratori; e in alcuni casi riuscì anche ad avere inviati, come al festival di Sanremo, per l’ anniversario dei dieci anni del naufragio della Costa Concordia o per reportage da Lampedusa. La gran parte delle persone continuava a visitare Upday Italia dalla app del cellulare, ma anche il traffico sul sito, inizialmente marginale, stava lentamente crescendo: tra app e sito, a dicembre 2022Upday aveva circa 700mila visitatori quotidiani.

La strategia del gruppo editoriale Axel Springer per Upday inizialmente era di espandersi anche in altre nazioni: nel 2020 Upday era in 16 paesi europei, ed erano organizzazioni giornalistiche che spesso costavano poco e in grado di sostenersi da sole. Upday Italia era diventata economicamente sostenibile dal 2019 e le fonti di guadagno erano principalmente tre: la pubblicità “ programmatic ” (cioè spazi pubblicitari, immagini o video, gestiti da terzi), le partnership e gli articoli sponsorizzati.

Ma da quest’anno gli obiettivi e le priorità di Axel Springer rispetto a Upday sono cambiate: già a giugno l’editore aveva licenziato improvvisamente e in modo drastico diverse persone in molte redazioni, compresa quella italiana e l’ultimo aggiornamento di questa settimana è la chiusura definitiva dell’edizione italiana che avverrà il 5 dicembre, con il licenziamento dei quattro dipendenti rimasti. La motivazione sembra essere il nuovo accordo che Samsung ha concluso con Axel Springer da cui è nato, negli Stati Uniti, Samsung News che ha iniziato a rimpiazzare Upday sugli smartphone. Rispetto ai precedenti accordi per Upday , nel caso di Samsung News il rapporto dovrebbe essere più sbilanciato verso un impegno di Samsung piuttosto che di Axel Springer. Sarà un’app di news ancora più economica: il nuovo servizio sembra non prevedere una produzione giornalistica ma solo la ripubblicazione di articoli da testate con cui sono stati stretti accordi specifici.

Probabilmente Upday ha cominciato ad avere difficoltà a livello progettuale e internazionale da quando, in Axel Springer, sono andate via le due persone che avevano notevolmente contribuito a fondare e far crescere l’app. Una è Peter Würtenberger, dirigente tedesco 57enne e amministratore delegato di Upday dal 2016 al 2021, che è diventato vice-presidente esecutivo di Axel Springer. L’altra è Jan-Eric Peters, anche lui dirigente tedesco, 58 anni, che ha lasciato il gruppo editoriale nel gennaio 2021; aveva lavorato 20 anni per Axel Springer e si era occupato della transizione digitale del quotidiano tedesco Welt.


domenica 3 Dicembre 2023

Sostegno all’editoria

Una delle campagne pubblicitarie più assidue e prolungate sui maggiori quotidiani (e anche su alcuni periodici) è quella di Giorgio Visconti, azienda piemontese di alta gioielleria (ovvero che produce gioielli di lusso), le cui inserzioni occupano pagine intere da diversi mesi a questa parte, decine e decine di pagine (ancora questa settimana è stata cinque giorni su sette su Repubblica) . La campagna promuove in particolare una collezione, IoLuce (girocolli, orecchini, anelli). A Charlie, Andrea Visconti, amministratore delegato dell’azienda, ha spiegato la scelta dell’investimento: «la collezione Io Luce nasce nel 2020 quando abbiamo ottenuto il brevetto per invenzione internazionale in quasi tutti i paesi del mondo. È un brevetto perché al di sotto del diamante centrale abbiamo inserito dei piccoli brillanti, e per farlo abbiamo studiato tutta una serie di rifrazioni che permettessero una doppia funzione: far riflettere più luce e ingrandire il brillante centrale. Crediamo che tutti i media siano importanti per far conoscere non solo il prodotto ma anche il brand Giorgio Visconti. Gli investimenti di marketing per IoLuce sono iniziati nel 2021, e due sono i mezzi principali: sui social media, Facebook e Instagram, la campagna va avanti tutto l’anno, e sulla carta stampata, giornali e riviste, va da fine luglio a Natale. A volte, secondo i nostri dati, i due pubblici, social e giornali, coincidono, ma non sempre; c’è un pubblico magari più veloce dal punto di vista digitale ma anche un pubblico che invece predilige ancora la carta stampata e non i social media. Sono campagne pubblicitarie che valutiamo sul loro impatto a lunghissimo termine: sulla stampa il risultato che cerchiamo è l’ awareness, riuscire a posizionare il prodotto nelle gioiellerie, far conoscere il marchio Giorgio Visconti, e dopo vendere. Sui giornali abbiamo trovato un pubblico diviso quasi al 50%-50% tra uomini e donne: questo perché i gioielli sono un acquisto femminile ma di cui anche l’uomo si interessa per fare un regalo. Sulle riviste, quando sono femminili, invece chiaramente troviamo un pubblico totalmente femminile. Stiamo avendo dei buonissimi risultati all’estero, ma continueremo ovviamente a investire sulla pubblicità in Italia e sui media cartacei, perché l’Italia è il nostro mercato di riferimento. Gli investimenti che facciamo sulla campagna pubblicitaria della collezione di IoLuce è di circa 1,5 o 2 milioni l’anno, dove carta stampata e social la fanno da padrone: su questi due mezzi investiamo il 60-70% del totale. Facendo una stima in un anno sulla carta stampata investiamo tra i 500 e i 750mila euro».


domenica 3 Dicembre 2023

E Businessweek non è più week

Era stato nel Novecento uno dei più importanti newsmagazine settimanali americani, dedicato soprattutto all’economia e alla finanza. Poi era andato in crisi come molti settimanali, subendo effetti maggiori anche dalla crisi finanziaria del 2008, ed era stato acquistato nel 2009 dal grande gruppo Bloomberg (la cui ricchezza si deve al lavoro di fornitura di servizi di informazione finanziaria: molto più di una grandissima e versatile “agenzia di stampa”), che aveva vivacizzato il giornale cambiandogli nome in Bloomberg Businessweek. Ma le difficoltà rimangono, e quindi l’azienda ha annunciato ai dipendenti che dalla fine del 2024 la rivista diventerà un mensile, probabilmente mantenendo lo stesso nome.


domenica 3 Dicembre 2023

La chiusura di Popular Science

Popular Science (conosciuta anche come PopSci) nacque negli Stati Uniti nel 1872 come rivista scientifica mensile che, nonostante il nome, non si rivolgeva a un pubblico profano ma a studiosi e persone che avevano una formazione accademica: nel suo periodo iniziale ospitò anche articoli di Charles Darwin, Louis Pasteur e Isaac Asimov. All’inizio del ‘900 un cambio di proprietà (e un calo di copie vendute) portò la rivista a cambiare il tipo di articoli e a rivolgersi a un pubblico più largo, come scrive il New York Times : «nel corso dei decenni, Popular Science ha esplorato la fotografia, gli aeroscafi, gli autogiri, i voli spaziali e la lotta per ottenere più spazio per le gambe sugli aerei commerciali, il tutto con un occhio di riguardo per i lettori con interessi generici»; e ancora negli ultimi anni ha vinto premi per la divulgazione scientifica e l’attenzione al cambiamento climatico.

Negli ultimi anni però sta attraversando diversi problemi e cambiamenti: già nel 2016, dopo 144 anni, la rivista era passata da mensile a bimestrale; nel 2018 era diventata trimestrale e nel 2020 aveva definitivamente interrotto l’edizione cartacea, pubblicando la rivista solo in formato digitale nel 2021. Nel 2020 Popular Science era stata venduta a North Equity, una società con diversi investimenti nei media, che poi ha lanciato nel 2021 Recurrent Ventures come attività che si occupa specificatamente dei mezzi d’informazione. A novembre Recurrent Ventures ha nominato un nuovo amministratore delegato, che è il terzo in tre anni.

La notizia adesso è che Recurrent Ventures ha deciso di chiudere definitivamente anche la versione digitale della rivista; la chiusura segue la decisione di licenziare tredici persone: secondo il sito di news Axios adesso a lavorare alla rivista “rimangono solo cinque redattori e alcuni membri del team commerciale”, anche se al momento Recurrent Ventures non ha confermato l’esatto numero dei licenziamenti.

Cathy Hebert, direttrice delle comunicazioni di Recurrent Ventures, ha detto al sito di tecnologia The Verge che PopSci deve “evolversi” oltre il prodotto della rivista: il sito continuerà a offrire nuovi articoli, e l’abbonamento “PopSci Plus” garantirà contenuti per soli abbonati e l’accesso all’archivio della rivista. Su LinkedIn l’ ex vicedirettrice Purbita Saha ha commentato la chiusura e i licenziamenti: «sono frustrata, furibonda e sconcertata dal fatto che i proprietari abbiano chiuso una pubblicazione pionieristica che si è adattata a 151 anni di cambiamenti nel giro di una riunione di cinque minuti su Zoom».


domenica 3 Dicembre 2023

Aggiornamento

Il quotidiano la Verità – che ha seguito con molta insistenza polemica il caso – ha riferito venerdì che alcuni ex dirigenti del gruppo Espresso (ora GEDI) avrebbero chiesto il patteggiamento per le accuse di truffa a proposito dei prepensionamenti dell’azienda.


domenica 3 Dicembre 2023

Il governo israeliano contro Haaretz

Haaretz è un giornale israeliano progressista, il più autorevole sul piano internazionale, che da tempo è critico rispetto all’influenza delle politiche più radicali e nazionaliste nel governo del paese, alla gestione della questione palestinese, e alla politica dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu; in un lungo articolo David Remnick, direttore del settimanale americano New Yorker, aveva definito le persone che lavoravano al giornale “i dissidenti”. Tra i collaboratori di Haaretz ci sono stati negli scorsi decenni i più importanti e stimati intellettuali e scrittori israeliani, e il giornale è stato il principale organo dei progetti di convivenza tra israeliani e palestinesi, o almeno di attenuazione delle conseguenze dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Haaretz nacque nel 1919 a Gerusalemme, nel 1922 spostò la sua sede a Tel Aviv e nel 1935 fu acquistato da Salman Schocken, un editore tedesco sostenitore del movimento sionista che si era da poco rifugiato in Palestina. Schocken si era arricchito con una catena di grandi magazzini che fu costretto a cedere al governo tedesco quando i nazisti lo privarono della cittadinanza e aveva avviato diverse imprese editoriali. La famiglia di Schocken controlla tuttora il giornale che, oltre alla pubblicazione in lingua ebraica, ha dal 1997 ha anche un’ edizione inglese. Non è il quotidiano più diffuso in Israele, è al terzo posto molto distante dai primi due e vende alcune decine di migliaia di copie al giorno; ma nel 2021 ha dichiarato 100 mila abbonamenti al giornale digitale, quasi dieci anni dopo l’avvio della campagna degli abbonamenti online.

In queste settimane di guerra tra Israele e Hamas Haaretz è tornato a essere protagonista delle attenzioni internazionali, ma anche delle intenzioni di censura del governo israeliano, che ne è costantemente attaccato: Shlomo Karhi, ministro delle Comunicazioni, ha proposto di applicare delle sanzioni al giornale accusandolo di “menzogna, propaganda disfattista” e “sabotaggio di Israele in tempo di guerra”. La proposta di Karhi mira a cancellare i finanziamenti e gli abbonamenti istituzionali al giornale e a “vietare la pubblicazione di avvisi ufficiali”, che sono una fonte di ricavo. Il 20 ottobre il governo di Israele ha emanato un regolamento che gli permette di chiudere e bloccare temporaneamente (30 giorni alla volta) i media stranieri ritenuti dannosi per il Paese: l’intenzione di questa norma era quella di chiudere il canale televisivo qatariota Al Jazeera , che finora non è stato bloccato anche per il ruolo che il Qatar ha avuto nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Il regolamento ha invece bloccato le trasmissioni della rete libanese Al Mayadeen TV per “motivi di sicurezza”: il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant l’ ha accusata di “essere diventata, in pratica, sostenitrice dell’organizzazione terroristica Hezbollah”, il cui obiettivo è “danneggiare la sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi cittadini”.

Sulle possibili sanzioni del governo, l’editore di Haaretz Amos Schocken ha commentato che: «se il governo vuole chiudere Haaretz, questo è il momento di leggere Haaretz». Il quotidiano israeliano Times of Israel , senza citare la fonte da cui lo ha appreso, ha scritto che però un’azione del governo nei confronti di Haaretz appare «improbabile» e, sempre secondo Times of Israel , il lavoro giornalistico di Haaretz è stato «ampiamente favorevole allo sforzo bellico, anche se molto critico nei confronti del governo che lo conduce».


domenica 3 Dicembre 2023

Articoli più corti

La lunghezza degli articoli sui giornali online è da diversi anni oggetto di cicliche discussioni, nel contesto della diminuita soglia di attenzione dei lettori e della ricchezza di attrazioni concorrenti (sui giornali cartacei si continuano grossomodo a mantenere le tradizioni, definite anche da questioni di spazio disponibile o imposto). A un certo punto venne introdotto il termine “longform” per nobilitare articoli più lunghi dell’ordinario e dare loro un’attrattiva maggiore, ma senza grandi risultati di attenzione. E un equilibrio chiaro tra quanto i lettori vogliano cose veloci e puntuali e quanto vogliano approfondimenti di più studiata confezione e completezza non si è mai trovato: probabilmente solo perché i lettori sono molte cose diverse e vogliono molte cose diverse. Il dibattito è tornato attuale anche al New York Times , a quanto ha raccontato di recente un articolo di Erik Wemple – esperto reporter sui temi del business dei giornali – sul Washington Post. Benché il Times mantenga l’importanza delle proprie inchieste molto lunghe, il direttore Kahn ha raccolto dati sul fatto che molti lettori si annoiano degli articoli che danno troppo contesto alla notizia, e anche sul fatto che chi arriva alla fine di un articolo più facilmente clicca su un altro articolo del sito. La cosa che stanno riconoscendo in molti, appunto, è che sia opportuno essere in grado di rispondere a desideri di genere opposto da parte di generi diversi di lettori.


domenica 3 Dicembre 2023

Charlie, ancora quarto potere

Ben Smith, direttore del sito di news Semafor, ha chiesto alla giornalista Jane Martinson (autrice di un libro sulla famiglia che possedeva il quotidiano britannico Daily Telegraph) perché le vicende della vendita del Telegraph dovrebbero interessare a qualcuno fuori dal parlamento britannico. Martinson ha risposto che una domanda migliore sarebbe perché tanti uomini ricchi vogliono ancora comprare i vecchi giornali tradizionali. E la risposta, dice, non è per farci soldi, ma perché danno ancora il potere di influenzare il parlamento e le persone che lo eleggono.

La risposta suonerà ovvia e non nuova, ma è proprio il suo non essere nuova a renderla utile da ripetere e da tenere presente: in un contesto – quello del giornalismo contemporaneo – in cui sta cambiando di tutto e tanto è già cambiato (come racconta questa newsletter ogni settimana) non è così ovvio che qualcosa di questa importanza continui a mantenersi uguale: la funzione dei quotidiani tradizionali nei meccanismi di potere. O meglio ancora, la percezione del loro potere, che si tramuta comunque in potere. È infatti indubbio, dati e fatti alla mano, che le grandi testate novecentesche hanno perso parte del loro ruolo, tantissime copie cartacee, rilevanza nei nuovi scenari dell’informazione e nella vita delle persone. Ma è anche vero che i luoghi del potere, soprattutto in Europa, continuano a loro volta a essere relativamente poco intaccati dall’innovazione, dal ricambio e dal pensiero contemporaneo. I grandi poteri politici ed economici restano in gran parte novecenteschi, nelle persone, nelle culture e negli approcci, e novecentesca è la loro gerarchia di priorità: questo continua ad attribuire ai grandi quotidiani un potere di influenza assai maggiore di quella che è la loro reale capacità di orientare il consenso (che resta un po’ maggiore nel Regno Unito rispetto all’Italia, come suggerisce Martinson). Possedere un quotidiano oggi quindi resta uno strumento di influenza e visibilità assai più rilevante di quanto i cambiamenti del mondo intorno farebbero pensare (lo dimostra anche l’insistenza con cui gli uffici stampa delle grandi aziende cercano di ottenere spazi per i propri comunicati su pagine che saranno lette da pochissime persone, assai meno di quelle raggiunte da un post su un social network). In questo i ricchi imprenditori che ci tengono a diventarne editori hanno ancora delle ragioni: poi sono rari quelli che sappiano cosa sia gestire un’impresa giornalistica nel 2023, ma di questo già parlammo.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Novembre 2023

Le basi

I più antichi lettori di Charlie sono pazienti con l’insistenza della newsletter nel ripetere alcune informazioni generali o mettere nel contesto le notizie di ogni settimana, a rischio appunto di dare informazioni ridondanti per alcuni. Ma gli iscritti continuano a crescere e ci teniamo a mantenere alta la comprensibilità delle cose che raccontiamo, finendo appunto per ripeterci, a volte. Ma tra le cose che ripetiamo oggi c’è che approfondimenti, contesti e spiegazioni maggiori e utili le trovate senz’altro nel numero della rivista del Post Cose spiegate bene , che si chiama ” Voltiamo decisamente pagina “: più di voi lo avranno letto e meglio ci capiremo.
Ma noi continuiamo a cercare di essere più chiari possibile, dentro questi spazi.


domenica 26 Novembre 2023

Niente vendita di Forbes

La trattativa per la vendita della testata economica americana Forbes – ne avevamo scritto qui – è stata interrotta dopo le polemiche e i timori sul coinvolgimento di un imprenditore russo nell’acquisto.