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  • Domenica 22 ottobre 2023

Perché il Qatar è centrale nella liberazione degli ostaggi a Gaza

È un alleato importante per gli Stati Uniti, ma ha solidi rapporti con Hamas, costruiti con decenni di finanziamenti

L'emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani (AP Photo/Jacquelyn Martin, Pool)
L'emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani (AP Photo/Jacquelyn Martin, Pool)
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Venerdì 20 ottobre il gruppo radicale palestinese Hamas ha liberato per la prima volta due fra le persone prese in ostaggio lo scorso 7 ottobre durante l’attacco contro Israele. La liberazione delle donne statunitensi Judith e Natalie Raanan è stata mediata dal Qatar, e il piccolo emirato sul Golfo Persico sembra poter rimanere centrale anche nelle prossime trattative riguardo alla liberazione di altri ostaggi.

Il Qatar si trova infatti nella condizione del tutto eccezionale di essere un fondamentale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, che nel paese hanno una delle loro più importanti basi militari dell’area, ma anche di avere solide relazioni con Hamas, costruite con decenni di finanziamento del gruppo.

Per questo l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani e il primo ministro Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani sono diventate figure centrali nelle trattative per la liberazione degli ostaggi. Il presidente statunitense Joe Biden ha ringraziato pubblicamente l’emiro poche ore dopo che le due cittadine statunitensi erano state consegnate al confine israeliano, mentre il segretario di Stato Antony Blinken nelle ultime settimane è stato più volte a Doha, la capitale del Qatar. Proprio il 20 ottobre era comparso al fianco del primo ministro qatariota dicendosi «grato per l’urgenza con cui il Qatar sta portando avanti questa questione».

Non è la prima volta che il Qatar assume un ruolo centrale di mediazione: era già successo due anni fa durante le operazioni di ritiro dell’esercito statunitense ed evacuazione di parte dei civili dall’Afghanistan. Allora l’emirato aveva confermato di essere l’unico intermediario efficace per organizzare una trattativa diplomatica con i talebani. Questo ruolo era stato costruito soprattutto nell’ultimo decennio, cioè da quando con il consenso degli Stati Uniti furono aperti a Doha “uffici politici” dei talebani afghani e di Hamas. Sono una sorta di ambasciate, che ospitano soprattutto figure importanti ed esperte dei due gruppi: oggi hanno sede a Doha tutti i vertici in esilio del movimento radicale palestinese, compreso uno dei capi di fatto, Ismail Haniyeh.

Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian incontra Ismail Haniyeh, uno dei leader di Hamas a Doha, in Qatar, il 14 ottobre (Iranian Foreign Ministry via AP)

– Leggi anche: Che cos’è il Qatar

Nel caso dei talebani questa mediazione si rivelò già utile nel 2016, per la liberazione del cittadino canadese Colin Rutherford, imprigionato in Afghanistan. Robert D’Amico, allora agente dell’FBI impegnato nelle trattative, disse: «Noi non ci fidiamo dei talebani e loro non si fidano di noi. Ma entrambi abbiamo fiducia nei qatarioti».

Oggi i rapporti del Qatar con gli Stati Uniti sono rimasti pressoché immutati e l’influenza degli emiri su Hamas è paragonabile, se non superiore, a quella esercitata sui talebani. Il governo qatariota l’ha costruita soprattutto grazie ai fondi quasi illimitati di cui dispone, frutto degli enormi giacimenti di gas naturale, che esporta in tutto il mondo.

Antony Blinken con il primo ministro qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al Thani (AP Photo/Jacquelyn Martin, Pool)

Da quando nel 2007 Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza il Qatar è il principale finanziatore del gruppo, con centinaia di milioni di dollari diretti a Gaza ogni anno: quei soldi sono fondamentali anche per la gestione politica della Striscia da parte di Hamas, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, per garantire il funzionamento di ospedali, scuole e ogni struttura pubblica.

Negli ultimi vent’anni il Qatar ha finanziato movimenti vicini ad Hamas e soprattutto ai Fratelli Musulmani, un movimento nato in Egitto negli anni Venti. I Fratelli Musulmani promuovevano e promuovono tuttora un modello di società che abbia alla base la dottrina dell’Islam, spesso interpretata in una prospettiva molto conservatrice. La rete dei Fratelli Musulmani controlla fondazioni, partiti politici, moschee – nell’Islam non esiste un’unica autorità centrale – e raccoglie consensi in una zona grigia che sta a metà fra la politica, la religione e la società civile.

Il Qatar ha finanziato il gruppo in vari paesi fra cui Egitto, Tunisia, Siria e Libia, dove però i movimenti islamisti non sono riusciti a prendere il potere in modo stabile. L’area di influenza del Qatar si è comunque estesa, grazie anche a operazioni di cosiddetto “soft power”, inteso come la capacità di ottenere rilevanza e influenza senza usare la forza o la minaccia della forza, come la creazione nel 1996 del canale televisivo in inglese Al Jazeera. Divenne nel giro di poco tempo il più importante della regione e negli anni si è espanso con uffici e canali anche in Occidente e in altri paesi.

Di fronte all’enorme potere economico del Qatar, l’Occidente è stato spesso più timido nel condannare il sovvenzionamento di movimenti che in larga parte considera terroristi. Nel caso degli Stati Uniti poi bisogna considerare anche la centralità strategica della base militare e aerea di Al Udeid. Costruita nel 1996 con fondi qatarioti, è stata concessa in uso all’esercito e al governo statunitense: ospita il quartier generale del CENTCOM (il comando centrale dell’esercito statunitense responsabile delle operazioni in Medio Oriente, Nord Africa e Asia Centrale), che ne ha fatto la base di partenza per le operazioni in Iraq, Afghanistan e Siria. L’investimento iniziale di un miliardo di dollari da parte dell’emirato è stato superato dopo il 2017, quando è stato approvato un progetto di espansione da 1,8 miliardi di dollari.

L’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani nella base aerea Al Udeid nel 2017 (QNA via AP, File)

L’importanza della base per l’esercito statunitense è una sorta di garanzia per l’emirato qatariota, che così può mantenere rapporti potenzialmente compromettenti con Hamas e altri movimenti, mostrando anche apertamente la propria vicinanza ai gruppi radicali: nelle ore immediatamente successive ai feroci attacchi dei miliziani del gruppo palestinese in Israele il comunicato ufficiale del Qatar è stato fra i più duri dei paesi arabi nell’attribuire le responsabilità della violenza al governo e all’esercito israeliani.