domenica 18 Dicembre 2022

Charlie, gli editori sbagliati

Non bisogna mai generalizzare in maniera assoluta e universale, ma si possono individuare dei tratti comuni, delle tendenze, o delle maggioranze. Esiste infatti una figura nella storia dell’editoria giornalistica che si ripropone da sempre con alcune variabili: l’imprenditore estraneo al mondo del giornalismo (spesso estraneo anche come utente del giornalismo) che si innamora dell’idea di acquistare o creare un giornale, di possederlo: idea che declina con sfumature diverse tra il sogno di prestigio e il desiderio di potere. Ma non è tanto ai canonici rischi di ingerenze e capricci sull’indipendenza del giornale che alludiamo qui, quanto a quelli di incompetenza nella sua gestione “commerciale” e nella comprensione di che tipo di prodotto sia. La storia e il presente delle aziende giornalistiche sono ricchi di casi in cui un giornale è finito malridotto – sia come prodotto di informazione che come salute dell’azienda – dal combinato disposto tra i mal riposti desideri del nuovo editore e la sua sopravvalutazione della propria competenza in un terreno che non saprà governare (vale anche per la creazione di giornali nuovi).
Le eccezioni positive riguardano di solito il secondo aspetto: capitano anche imprenditori con consapevolezza che esercitano i loro interessi ma cercano di delegare la gestione a direttori o manager più sapienti sul settore, per non fare danni. Ma sono eccezioni che di solito riguardano aziende molto grandi e industrialmente avvedute: nella maggior parte dei casi, invece, giornali nuovi o antichi si trovano rapidamente a mal partito con questo tipo di velleità, eppure niente insegna niente a nessuno e il fenomeno si ripete.

Fine di questo prologo.

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