domenica 13 Novembre 2022

L’inchiesta sui prepensionamenti al gruppo GEDI

Quando ancora non si chiamava GEDI: Charlie ne aveva già scritto all’inizio dell’anno. L’inchiesta accusa alcuni dirigenti di allora del gruppo – editore di Repubblica Stampa, tra le altre cose – di avere falsificato negli anni passati (quando la sua proprietà era ancora della famiglia De Benedetti, prima che venisse ceduto a quella Agnelli-Elkann e che cambiasse nome) alcune pratiche amministrative per poter accedere a benefici fiscali e contabili da parte dell’INPS relativi a pensionamenti e rapporti di lavoro coi suoi dipendenti.

Questa settimana il Fatto e la Verità che già erano stati i principali divulgatori dell’inchiesta e delle sue carte allora, sono tornati a scriverne, con nuovi aggiornamenti e nuovi documenti ricevuti dall’inchiesta, comprese le trascrizioni di intercettazioni. L’accusa ipotizzata nei confronti di GEDI è di truffa ai danni dello stato per diversi milioni di euro (quanti di preciso non è chiarissimo: il Fatto parla di 22 milioni, la Verità di 38,9 milioni). Il Fatto ha spiegato in modo piuttosto chiaro i quattro meccanismi di frode di cui è accusato GEDI:

“demansionamenti fittizi dei dirigenti, per poterli far rientrare nelle categorie prepensionabili; riscatto fasullo di periodi contributivi, simulato con la complicità di funzionari Inps e la falsificazione dei libretti di lavoro; esuberi fittizi di dirigenti, messi alla porta con bonus pubblici e fatti rientrare dalla finestra come collaboratori; trasferimenti tra società interne al gruppo, per la Finanza simulati per far tornare requisiti mancanti”.

Il motivo per cui i due quotidiani sono tornati a scriverne giovedì è che nell’inchiesta sono indagate anche decine di ex dipendenti che secondo l’accusa andarono in pensione con questi espedienti: e da alcuni giorni l’INPS ha smesso di erogare la pensione a questi dipendenti, e a molti di loro ha chiesto di risarcire la somma delle pensioni percepite in questi anni, che nella maggior parte dei casi ammonta a centinaia di migliaia di euro. Il problema rilevato dai due giornali è che tra questi ci sarebbero anche persone che non erano al corrente di rientrare nell’ipotetico meccanismo fraudolento o non avevano alcun ruolo nella sua costruzione, che ora non sono in alcun modo in grado di restituire la somma richiesta, che non possono permettersi di rimanere senza pensione e che dicono di sentirsi a loro volta truffate. Il Fatto ha raccontato la storia di un ex poligrafico di GEDI a cui sono stati chiesti circa 306mila euro e a cui, senza avvisi che lo spiegassero, è stata congelata la pensione. La Verità ha altre due storie , sempre di ex poligrafici, a cui è stato chiesto di restituire rispettivamente circa 264 e 148mila euro. Anche Charlie ha raccolto la testimonianza di una persona ex dipendente di GEDI indagata nella stessa inchiesta: non le è ancora arrivato alcun avviso per il risarcimento, ma da novembre la sua pensione risulta “annullata”, stando alle indicazioni che ha ricevuto negli uffici pubblici. La condizione di questa persona è peraltro piuttosto particolare, dal momento che aveva effettivamente maturato i requisiti pensionistici (per farlo aveva persino riscattato tre anni di università, pagando all’epoca 72mila euro): sostiene quindi non solo di non essere stato al corrente della truffa, ma di non fare nemmeno parte dei casi descritti nelle accuse dell’inchiesta.

Sia il Fatto che la Verità sono tornati sulla storia sabato pubblicando stavolta i testi di alcune intercettazioni degli accusati e altri documenti dell’inchiesta (è comune che i quotidiani pubblichino parallelamente articoli simili sulle inchieste: a volte per accordo di collaborazione, a volte perché ricevono insieme gli stessi documenti giudiziari, meccanismo raccontato nel nuovo numero di Cose spiegate bene , la rivista del Post).

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