domenica 28 Gennaio 2024

Charlie, Trump non basterà

È una importante storia sui media americani, che sono spesso modello di sviluppi che riguarderanno anche gli altri paesi del mondo, ma racconta anche un’antica apparente contraddizione nel rapporto tra testate giornalistiche e politica. La contraddizione è questa: più popolari e più inaccettabili diventano le posizioni dei leader politici che un giornale si sceglie come “avversari”, più quel giornale vede opportunità favorevoli e si impegna per sfruttarle commercialmente. Gli esempi anche italiani sono molti, pure nell’attualità di questi giorni, ma uno dei più noti è la lunga convivenza – di reciproche soddisfazioni – del successo politico di Silvio Berlusconi e del successo commerciale dei giornali che più lo contestavano (il mercato dei giornali non ha bisogno di maggioranze, come la politica: una cospicua e sconfitta minoranza è già un bacino sufficiente per un successo).

Ma la storia americana attuale è questa, deludente e teatrale al tempo stesso: le maggiori testate americane hanno conosciuto un periodo di “rinascita” negli anni della presidenza Trump, grazie alle eccitazioni e agitazioni quotidiane che Trump immetteva sulla scena pubblica, e ai bellicosi confronti che generava. Soprattutto le testate che hanno scelto di criticare di più la sua amministrazione, e di farne una “linea” (entrando in irrisolti tormenti su quanto spazio dare alle sue boutade e alle sue falsificazioni, incapaci di sottrarsene). Quel periodo di attenzione – a cui ha concorso anche la maggiore richiesta di informazione nel primo periodo della pandemia – è stato sfruttato dalle aziende giornalistiche spingendo i nuovi modelli di abbonamento, con confortanti crescite per diverse di loro.

Quel periodo si è però interrotto, o ha molto rallentato, negli scorsi due anni: c’entrano anche molto una “stanchezza” dei lettori di cui si è molto parlato, e una parziale saturazione del bacino di lettori disposti a pagare per informarsi. Ma il cambio di scenario politico non ha aiutato: tre anni di amministrazione Biden (e anche di allontanamento di Trump da Twitter) hanno “calmato” molto il dibattito politico e pubblico, e disarmato i giornali e le tv. Che quindi – anche quelli più anti trumpiani – investivano e investono molto in questo 2024 di campagna presidenziale col ritorno di Trump e tutto quello che implica. Il problema è che questo 2024 – di fatto senza competizione dal lato delle primarie Democratiche – sembra già avere sgonfiato le curiosità e le attese sul lato Repubblicano: e rimandato le “speranze” a dopo l’estate e le convention, ma senza che il confronto con Biden si annunci già eccezionalmente vivace.

” Non era un segreto che l’ascesa di Trump, pur con i suoi attacchi contro i giornali e le accuse dei giornali per le sue minacce alla democrazia, avesse salvato i loro abbonamenti e affari pubblicitari. Come disse il presidente di CBS Les Moonves agli investitori nel febbraio 2016, «Non farà bene all’America, ma farà benissimo a CBS».
I dirigenti dei media stanno cominciando a fare i conti con il fatto che la campagna del 2024 non porterà un “Trump bump” che salvi i bilanci pubblicitari o recuperi lettori, ascoltatori e spettatori. In un incontro pubblico a Davos la settimana scorsa, il nuovo CEO del Washington Post Will Lewis ha spiegato che il quotidiano, che ebbe un boom durante la prima era Trump, dovrà cercare altrove i suoi abbonati”.

Fine di questo prologo.

Charlie è la newsletter del Post sui giornali e sull'informazione, puoi riceverla gratuitamente ogni domenica mattina iscrivendoti qui.