Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 27 Luglio 2025

Nel peggiore dei modi

Breve riassunto conclusivo di una storia che abbiamo molto raccontato.

La grande multinazionale Paramount Global aveva in corso una trattativa per un’importantissima e delicata fusione con la grande multinazionale Skydance Media.
La fusione doveva passare per l’approvazione di una commissione governativa statunitense, la FCC.
Il capo del governo, il presidente Trump, aveva chiesto un risarcimento di decine di milioni di dollari a CBS News – la testata televisiva posseduta da Paramount – per una denuncia ritenuta infondata da tutti gli esperti.
Trump aveva anche spesso attaccato il programma giornalistico di punta di CBS News, “60 Minutes”.
E aveva spesso attaccato lo storico programma “The Late Show” condotto da Stephen Colbert, chiedendone la chiusura.

Nelle ultime settimane CBS News aveva scelto di pagare il risarcimento, era intervenuta sull’autonomia di “60 Minutes” e aveva annunciato la chiusura di “The Late Show”.
Giovedì la FCC ha approvato la fusione di Paramount e Skydance.


domenica 27 Luglio 2025

Per sicurezza

Questa è l’ultima newsletter prima di una sospensione estiva. Meglio scriverlo già all’inizio, poi ve lo ricordiamo in fondo.


domenica 27 Luglio 2025

Charlie, dov’è il problema

In attesa di sviluppi giudiziari definitivi, di sentenze, e di informazioni che abbiano maggior valore delle ipotesi partigiane per definizione dell’accusa, le ultime inchieste sugli amministratori locali stanno ricevendo commenti e giudizi dubbiosi abbastanza diffusi, tra chi non abbia motivazioni di propaganda o faziosità: a molti le accuse sembrano sproporzionate rispetto ai fatti esibiti finora. C’è una cautela a dirlo, la paura di essere smentiti da novità, ma c’è chi lo dice: e chi lo dice con cautela.
Ma la sproporzione delle accuse è tutta responsabilità delle procure, che sono costruttrici di accuse per definizione e sul cui operato è sempre previsto non a caso un giudizio “terzo”? O accanto a quei giudizi e commenti prudenti e scettici incombono cronache che continuano invece a suggerire verità definitive, a fare di ogni contestazione un fascio, e a incentivare indignazioni e scandalo?
Immaginiamo invece un sistema dell’informazione in cui le definizioni di cosa sia il lavoro “dell’accusa” siano chiare e comprese, e un pubblico che sia correttamente informato del valore precario e parziale di un’inchiesta: un paese in cui ci sia consapevolezza, da parte dei media, del valore non insignificante ma limitato e fragile dell’apertura di un’indagine, delle richieste di un pubblico ministero, della suggestiva costruzione delle ipotesi di accusa. Un paese in cui a questa consapevolezza si associ la scelta di renderne consapevoli anche i lettori e le lettrici. E in cui quindi le scelte di spazio, enfasi, linguaggio date a queste notizie siano invece “proporzionate”. E in cui quindi un’indagine legittima, ma con assai varie sfumature di apparente fondatezza venga trattata come tale e messa di fronte ai principi di verifica e scetticismo che il giornalismo si dà in teoria come valori: e che racconta di applicare al “potere”, come è quello giudiziario. E immaginiamo quindi che non avvenga uno sproporzionato e complice racconto dell’esistenza di un’indagine e che non scateni immediatamente clamori e conseguenze che finiranno per gravare sull’indagine stessa e sul suo corretto sviluppo. Immaginiamo un paese di pesi e contrappesi in cui un’istituzione di parte – il pubblico ministero, “parte imparziale” – abbia il suo lavoro moderato da un’istituzione di controllo – i mezzi di informazione – invece che un paese dove al contrario i giornali enfatizzano, amplificano e celebrano con interessato scandalo qualunque cosa precaria, precoce e suggestiva esca dall’istituzione di parte. Immaginiamo un paese normale, cioè.

Fine di questo prologo.


domenica 27 Luglio 2025

54 centimetri

Il Corriere della Sera di sabato ha ritenuto di riferire con un breve articolo la nascita di Leopoldo Derba. Potrebbe essere il primo caso nella storia dei quotidiani italiani di articolo sulla nuova nonnitudine dell’editore: Leopoldo Derba è figlio di Cristina Cairo – figlia dell’azionista di maggioranza dell’azienda Rcs che pubblica il Corriere – il cui matrimonio aveva ottenuto l’anno scorso mezza pagina sullo stesso Corriere. Per quanto breve, il testo di sabato ha offerto ai lettori anche l’informazione che “il piccolo Leopoldo pesa 3 chili e 840 grammi ed è lungo 54 centimetri”.

(nello spazio circostante della stessa pagina una foto con lo stesso editore Urbano Cairo illustrava un articolo a proposito di un’onorificenza francese concessa al secondo azionista dell’azienda Rcs)

Molti auguri a tutti da Charlie, naturalmente.


domenica 20 Luglio 2025

Preavviso

La newsletter Charlie si prenderà anche quest’anno un mese di vacanza: arriverà ancora domenica prossima, per poi fermarsi e riprendere a settembre.


domenica 20 Luglio 2025

Le cose che impariamo al Post

A settembre il Post terrà una nuova edizione delle sue “10 lezioni di giornalismo“, la serie di incontri online tenuta dai suoi giornalisti per raccontare e condividere il loro lavoro. Le iscrizioni sono aperte fino al 10 settembre.


domenica 20 Luglio 2025

Così e così

Si sono svolti nelle settimane scorse gli esami orali per i candidati a iscriversi all’ordine professionale dei giornalisti. In Italia la legge prevede questo ordine professionale, che garantisce privilegi contrattuali e facilita alcune attività per chi svolge la professione giornalistica (ma che molti svolgono senza farne parte, come è lecito): per farne parte è necessario un periodo di praticantato in un giornale (o in una scuola di giornalismo) e il superamento di un esame scritto e di uno orale.
Gli esami si tengono in due sessioni ogni anno. In quella che si è appena svolta hanno superato la prova orale 102 dei 117 che avevano superato lo scritto. Alla prova scritta avevano partecipato in 228, quindi con un tasso di fallimenti molto alto (più alto del solito). Il sito Professione Reporter indica anche che le mancate ammissioni all’orale riguarderebbero una gran quota dei candidati provenienti dalle scuole di giornalismo: 31 su 65 non avrebbero superato lo scritto.


domenica 20 Luglio 2025

Participi

I giornali italiani (ma non solo) sono spesso piuttosto trascurati nell’uso dei termini che riguardano determinate categorie di persone, o i protagonisti di alcune notizie che vengono categorizzati o etichettati sbrigativamente. Questo avviene in particolare con le notizie che riguardano persone di origine non italiana, spesso etichettati con il loro paese di provenienza senza particolari ragioni, e con criteri piuttosto arbitrari: nessuno chiama “immigrati” i calciatori stranieri che giocano in Serie A, mentre il termine viene usato da molte testate per identificare altri stranieri presenti in Italia.
Ma tra le molte complessità della questione, c’è una scelta che dovrebbe essere abbastanza facile da condividere: “migrante” è un aggettivo che si può riferire a una persona che si trova in un temporaneo stato di spostamento dal suo paese a un altro. Quando quella persona vive in un altro paese, è eventualmente una persona “immigrata” (parlare di “migranti” che risiedono in Italia è per esempio quasi sempre inesatto).


domenica 20 Luglio 2025

Il Washington Post cambia Opinioni

Si è presentato alla redazione del Washington Post il nuovo direttore della sezione delle Opinioni, preceduto da estese complicazioni e curiosità. L’editore Jeff Bezos aveva annunciato una discussa revisione della sezione che a molti era sembrata soprattutto un ennesimo intervento per attenuare le posizioni “liberal” del giornale, e avere maggiori indulgenze verso i lettori Repubblicani e verso l’amministrazione Trump. Il direttore precedente si era dimesso, e l’editore ne ha scelto uno nuovo – Adam O’Neal – di modesta fama e pochi precedenti, generando preoccupazioni nella redazione sulla sua scarsa esperienza e sulla sua adesione ai temuti ripensamenti della “linea”.
La mail mandata da O’Neal alla redazione cita indirizzi generici, ma ripete una formula minacciosa che l’azienda aveva già promosso la settimana prima. In sintesi, “chi non ci sta, meglio che se ne vada”.


domenica 20 Luglio 2025

Titoli griffati

Come abbiamo raccontato altre volte, uno dei fattori principali della diffusione di notizie false e di conoscenza errata della realtà sono le titolazioni sbrigative ed enfatiche dei quotidiani e dei siti di news: i titoli sono spesso composti per attirare l’attenzione, generare reazioni, emozioni e indignazioni, ottenere clic, piuttosto che per informare con correttezza. E nella gran parte dei casi quello che tutti leggiamo di una notizia è solamente il titolo.
Per questo è utile avere consapevolezza dei criteri con cui un titolo viene composto: nei quotidiani, uno dei più ingannevoli di questi criteri è la ricerca – da parte del redattore incaricato – di un termine o di un dato attraente all’interno dell’articolo, da caricare di più teatrale e impressionante significato nel titolo. Un buon esempio di questo procedimento è visibile in una scelta sul Corriere della Sera di sabato: la persona protagonista della notizia è fotografata con una t-shirt con un logo che assomiglia a quello di Nike, uno dei brand di abbigliamento più diffusi al mondo. L’articolo la definisce “una maglietta griffata”. Il titolo riprende quell’aggettivo e indica il protagonista – dentro una storia in cui il protagonista è un soggetto certamente percepito come negativo – come “in fuga tra hotel e abiti griffati” (dove anche l’uso di un “hotel” è ovviamente una condizione né anomala né particolarmente privilegiata per un evaso in un altro paese). Chi legge se lo figura in condizioni di disinvolto e spietato lusso.


domenica 20 Luglio 2025

Se sai fare il giornalista

Nelle redazioni dei giornali italiani le competenze “verticali” dei giornalisti prevalgono quasi sempre sulle loro versatilità giornalistiche: sono poco frequenti i casi di spostamento tra un settore tematico e un altro, tra chi fa il lavoro “di macchina” in redazione o tra chi guida le redazioni stesse (un’eccezione tra le più vistose è quella di Carlo Verdelli, capace di dirigere nella sua carriera testate assai diverse come RepubblicaVanity FairSetteGazzetta dello sport Oggi).
Occuparsi per decenni di sport, o di esteri, o di spettacoli, consente appunto di diventarne sempre più esperti, secondo questa tradizione. Nei giornali americani, invece, capita più spesso che sia privilegiata la professionalità giornalistica capace di adattarsi agli argomenti più diversi, e che le diverse sezioni di un giornale vengano affidate a dei responsabili ritenuti adatti a “guidare la sezione di un giornale”, qualunque sia.
Questa settimana, poi, il New York Times ha comunicato che porterà questo approccio di rotazione e cambiamento persino sui ruoli di “critici culturali”, spostandone gli storici responsabili verso altre competenze. Tra di loro c’è per esempio Jon Pareles, critico musicale del giornale dal 1988.

“È stata a lungo una pratica della redazione di spostare i ruoli dei reporter, dei redattori e degli inviati per portare idee ed esperienze diverse nelle diverse aree e settori del giornale, ma lo abbiamo fatto meno con la nostra squadra di critici. È però importante offrire prospettive diverse agli argomenti più centrali per aiutare il nostro giornalismo a espandersi oltre le recensioni tradizionali”.


domenica 20 Luglio 2025

Giuli e il Corriere della Sera

C’è stata un’inconsueta polemica tra il ministro della Cultura Alessandro Giuli e il Corriere della Sera, che invece durante questa legislatura è sempre sembrato in grado di tenere rapporti di preziosa collaborazione coi ministri del governo Meloni. Giuli ha scritto su Facebook di avere dato un’intervista al Corriere per rispondere a un articolo (“velenoso”) di Ernesto Galli della Loggia, antico opinionista del giornale: ma che quell’intervista non è stata poi pubblicata. Giuli ha aggiunto di avere ricevuto richieste di emendare il testo, a cui ha acconsentito, e ha riprodotto uno scambio di messaggi con l’autore dell’intervista, commentando assai polemicamente tutta la questione.

La protesta di Giuli è stata ripresa da molti quotidiani e siti e il Corriere della Sera ha risposto con un proprio testo, assieme a quello di Galli della Loggia:

“Il Corriere della Sera aveva chiesto dieci giorni fa un’intervista su tutte le vicende che avevano interessato il suo ministero (da Cinecittà al conflitto con la sottosegretaria Borgonzoni), intervista che il ministro ha rinviato fino a ieri mattina quando ha dato la sua disponibilità. Nelle risposte si è concentrato su un editoriale (che evidentemente non gli era piaciuto) del professor Galli della Loggia pubblicato sul Corriere. La reazione del ministro è stata del seguente tenore: il prof Della Loggia ha un incarico culturale stabilito dal mio predecessore Sangiuliano e dopo le critiche deve dimettersi. Un atteggiamento davvero liberale.
Le sue considerazioni erano poi condite da falsità («incarico di lusso» mentre l’incarico del professore a capo della Consulta dei comitati culturali è a titolo gratuito) e insulti: «perditempo», «cameriere» (noi abbiamo grande rispetto di tutti i lavoratori, il ministro invece non sembra pensarla così e usa la citazione contenente la parola «cameriere» per offendere).
Al ministro la direzione ha offerto la possibilità di replicare alle critiche politiche e culturali di Galli della Loggia con un articolo da pubblicare sul giornale ma ha rifiutato. Nessuna censura, gli interessava solo «licenziare» il professore che aveva osato fare delle critiche. Quando vorrà siamo pienamente disponibili alla pubblicazione.
Visto che il ministro ha pubblicato il testo, ognuno potrà giudicare come neghi anche l’evidenza rispetto ai problemi e alle divisioni nel suo ministero.
Ps. Alcuni esponenti di Fdi si lamentano che non sia stato possibile un dibattito tra due intellettuali come il prof. Galli della Loggia e il ministro Giuli. Una strana idea del confronto culturale: se mi critichi devi essere messo alla porta, questo l’unico contributo al dibattito che Giuli ha dato”.


domenica 20 Luglio 2025

False notizie sulle false notizie sulle false notizie…

Negli anni in cui divenne largamente e pubblicamente trattato il tema della disinformazione e delle “fake news” si crearono diversi servizi e siti che si incaricarono di dare garanzie di verifica alle notizie pubblicate da giornali e siti. Diversi di questi sono attivi tuttora: in alcuni casi sono benintenzionati progetti con delle fragilità legate ai criteri di sanzione di quali siano i contenuti giornalistici affidabili o no; in altri sono insignificanti metodi di certificazione che si limitano a offrire ad alcune testate un “bollino” che le nobiliti, ma senza reali verifiche sul loro lavoro giornalistico.
Newsguard è uno dei più famosi servizi del primo genere (l’abbiamo citato a volte su Charlie). Dieci giorni fa ha annunciato che non ricorrerà più alle categorie di “disinformazione” e “misinformazione”, perché ormai sono due termini usati grossolanamente in polemiche e accuse partigiane, e hanno perso il loro valore oggettivo di indicazione di notizie false (tra i due, la differenza essenziale è l’intenzione): «Queste parole sono state stravolte dalla loro politicizzazione e trasformate in armi partigiane da soggetti di destra e di sinistra, e da soggetti stranieri antidemocratici». Chiunque, dice Newsguard, accusa gli avversari di disinformazione, e allora meglio essere più puntuali e concreti, e indicare cosa è “falso” e cosa no.


domenica 20 Luglio 2025

Il Corriere della Sera si prende Wordle, una specie

Le sezioni di giochi ed enigmistica sono un pezzo della storia dei quotidiani da secoli, un pezzo protagonista di quella funzione di intrattenimento che i quotidiani associano a quella di informazione. E che hanno rinnovato il loro successo in questo secolo nelle versioni online e digitali, soprattutto col caso esemplare dei giochi del New York Times (e in particolare di quello che si chiama “Wordle“) che sono stati responsabili di un grande aumento di abbonamenti al giornale. Caso che quindi molte testate in tutto il mondo hanno cercato di imitare. In Italia diversi giornali offrono dei giochi ai lettori e alle lettrici, ma nessuno finora ha strutturato un’offerta pensata per essere sfruttata con altrettanta efficacia sul maggiore coinvolgimento e sulla crescita degli abbonamenti, e con l’adeguata interattività online.

Sarà quindi interessante da seguire il progetto del Corriere della Sera, che questa settimana ha annunciato una sezione “Giochi” sul proprio sito e in una app dedicata. Ci sono sette giochi diversi, di cui viene proposta una versione nuova ogni giorno: comprendono un quiz generalista curato da Paolo Virtuani e un gioco chiamato “In altre parole” presentato da Massimo Gramellini, che è la versione in italiano di “Wordle”. Ma ci sono anche altri giochi più comuni, come il sudoku o il cruciverba, che esistevano già sul giornale con una «solida base d’utenza», ha detto il Corriere della Sera Charlie, spiegando che il giornale lavorava sul progetto da «almeno da un anno e mezzo», prima con approfondite ricerche di mercato e poi con la parte di sviluppo tecnico, durante la quale è stato particolarmente impegnativo, per esempio, integrare questa nuova sezione nei sistemi di abbonamento e pagamento preesistenti e realizzare l’app dedicata. I giochi sono stati scelti soprattutto sulla base delle suddette ricerche di mercato, con particolare attenzione a «giochi intelligenti», partendo dall’idea – spiega il Corriere – che il pubblico a cui si rivolge il giornale sia un «target evoluto».

I giochi si inseriscono negli abbonamenti del Corriere in modo diverso: per gli abbonamenti digitali completi (pdf del giornale e sito senza paywall) i giochi sono inclusi, per gli abbonamenti digitali che comprendono solo il sito senza paywall i giochi saranno inclusi solo per il primo anno. C’è anche un abbonamento che include solo i giochi: il primo anno costa 5 euro, e contribuirà ad arricchire il numero di abbonamenti comunicati dal giornale.

Finora tutti i giochi del giorno sono gratuiti, ma gli abbonati o gli utenti registrati possono ottenere servizi personalizzati, come l’accesso agli archivi e le statistiche sui propri risultati. Per il momento non sono ancora presenti classifiche tra gli utenti, ma il Corriere prevede di introdurle in futuro, insieme ad altre funzionalità che non ha specificato con Charlie. Per il momento l’obiettivo maggiore non è che i giochi attraggano nuovi abbonamenti, ma che aiutino ad «aumentare l’engagement degli attuali abbonati» dando loro un «ulteriore punto di contatto» con il giornale.

Negli anni scorsi l’importazione di “Wordle” in Italia era stata presa in considerazione da altri giornali, ma a dissuaderli era stata anche una questione di possibili rischi di violazione di copyright: il New York Times (che acquistò il gioco dai suoi creatori) ha ordinato la rimozione di diverse imitazioni del gioco negli Stati Uniti, negli anni scorsi. Versioni in italiano sono però presenti online da anni indisturbate. Dal Corriere della Sera Charlie non ha ricevuto informazioni su questo aspetto.


domenica 20 Luglio 2025

Di chi fidarsi

Un caso britannico permette di raccontare una questione che si pone spesso nelle cause legali contro le testate giornalistiche anche italiane: quello di notizie false che un giornale o un sito di news pubblica riprendendole da un’altra testata, considerabile una “fonte autorevole”. L’istituto di autoregolazione britannico ha condannato il tabloid Daily Mail per avere fornito un dato sbagliato sul numero di immigrati irregolari a Londra: il Mail si era difeso sostenendo che quel dato era tratto dall’articolo di un altro quotidiano, il Daily Telegraph (che successivamente lo avrebbe corretto). La decisione contro il Mail ha spiegato che riprendere una notizia da un altro giornale e trattarla come notizia è legittimo, ma che comunque sui fatti citati – laddove rilevanti come in questo caso – è sempre dovuta una verifica, ed esiste sempre una responsabilità del giornale sull’accuratezza di quello che pubblica.


domenica 20 Luglio 2025

La fine del Late Show

L’altra notizia della settimana che sta generando grandi dibattiti, e che riguarda ancora le relazioni fra Donald Trump e i media, è la chiusura del programma televisivo “Late show” da parte della rete CBS. È un programma storico della tv americana, negli ultimi anni condotto da Stephen Colbert, e la rete ha molto esplicitamente insistito sul fatto che la decisione di chiuderlo abbia a che fare con “problemi finanziari” e con la crisi di quel genere di talk show serali sulle tv tradizionali, e non con altro. Ma i continui monologhi anti trumpiani di Colbert, e le recenti polemiche sull’ asservimento di CBS nei confronti di Trump per un interesse della società sono le prime cose a cui tutti hanno pensato a proposito della decisione. Il “Late show” è tra l’altro quello che va meglio tra i suoi concorrenti, e per CBS annunciarne la chiusura adesso significa da una parte mostrare a Trump (che si è detto entusiasta del licenziamento di Colbert) un’ulteriore obbedienza, e dall’altra generare ogni sospetto possibile sui veri motivi: solo la prima ragione sembra spiegare la scelta di subire la seconda.


domenica 20 Luglio 2025

Trump, Epstein, e il Wall Street Journal

Le ingerenze dell’amministrazione Trump nel lavoro dei media americani hanno questioni nuove ogni settimana, e questioni che proseguono da settimane. La storia principale degli ultimi giorni è l’aggravamento delle tensioni tra Trump e il Wall Street Journal a margine delle polemiche sulle relazioni tra Trump stesso e Jeffrey Epstein, e sui documenti relativi al caso Epstein (trovate un riassunto della storia nella newsletter Da Costa a Costa di ieri).
Un po’ di contesto in più serve invece per quello che riguarda i temi di questa newsletter: il Wall Street Journal è uno dei più importanti e autorevoli quotidiani del mondo, ha attenzioni maggiori alla finanza e all’economia ma si occupa di ogni attualità, e appartiene alle grandi società editoriali internazionali possedute da Rupert Murdoch, ricchissimo e potentissimo editore e imprenditore australiano 94enne. Le opinioni e le condizioni economiche del suo editore assieme agli argomenti prevalenti trattati fanno del Wall Street Journal un giornale tradizionalmente conservatore e con posizioni affini a quelle del partito Repubblicano, ma con grande indipendenza, permessa dalla sua importanza e potere (appartiene allo stesso editore anche la rete televisiva Fox News, che è invece “il megafono del trumpismo”). Al Wall Street Journal è poi particolarmente visibile la distinzione tra le posizioni della sua redazione principale e quelle della sezione delle opinioni, più aggressivamente conservatrice. Gli eccessi e le spericolatezze di Trump – soprattutto in campo economico e sui dazi – hanno però portato anche la sezione delle opinioni a esserne molto critica, e Trump ha avuto nell’ultimo anno atteggiamenti più delusi che battaglieri nei confronti del giornale, mostrandosi meravigliato e seccato di non averlo come alleato ma senza attaccarlo e reprimerlo come fa con gli altri media critici delle sue scelte. Rupert Murdoch è stato in questi anni in rapporti amichevoli e complici con Trump, ma non ne è mai diventato succube come altri, forte del suo potere e del suo carattere. E ha lasciato libero il Wall Street Journal di seguire le proprie posizioni e il proprio giornalismo.

Giovedì sera il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo che confermerebbe l’intimità dei rapporti tra Trump e Jeffrey Epstein, che Trump da anni cerca di negare e diminuire, e lo ha tenuto in apertura della propria homepage per quasi 24 ore. Trump sostiene che l’articolo dica il falso, e che sia falsa l’attribuzione di un suo messaggio e di un suo disegno per Epstein: e venerdì ha denunciato l’azienda editrice del Wall Street Journal, gli autori dell’articolo e lo stesso Murdoch, chiedendo dieci miliardi di dollari di danni. Decisione che: 1) non sembra avere precedenti nella storia (un presidente in carica che denuncia per diffamazione un giornale); 2) mette Trump in guerra con uno degli uomini più serenamente abituati e disposti a entrare in guerra con chiunque; 3) creerà del disordine nelle posizioni da prendere da parte delle molte proprietà di Murdoch ( Fox News, il New York Post, il Sun e il Times di Londra, l’agenzia Dow Jones ).


domenica 20 Luglio 2025

Charlie, bucare il silo

Le polemiche intorno alle relazioni tra Donald Trump e Jeffrey Epstein hanno rianimato anche delle conversazioni americane sui “silos” di informazione. Per farla sintetica, il concetto è che ognuno di noi – o ogni sottocomunità a cui apparteniamo – riceva la propria conoscenza attraverso fonti e percorsi verticali e isolati gli uni dagli altri: da una parte per nostro desiderio di vedere confermate le nostre opinioni, dall’altra per sfruttamento di questo desiderio da parte dei mezzi di informazione (e ci mettiamo dentro chiunque produca e condivida informazioni, dai politici agli influencer, a noi stessi, in qualche misura).
Il risultato è che i fatti non modificano mai le opinioni, perché ogni silo continua a trasmettere ai propri destinatari una propria versione dei fatti, e una propria scelta dei fatti.
Il caso Trump-Epstein ha un po’ scalfito questa situazione, perché l’insistenza dei media trumpiani sull’argomento ha poi messo i loro lettori di fronte a una verità imprevista, e che forse va in un’altra direzione. Le reazioni sono state di due tipi: o di delusione nei confronti di quanto Trump aveva sostenuto e che si sarebbe quindi rivelato falso, o di delusione perché Trump starebbe nascondendo il vero.

La storia è interessante perché mostra un raro esempio di come il sistema dei silos – deprecabile rispetto alla costruzione di una conoscenza accettata e condivisa – può andare in crisi. Crisi non necessariamente promettente, e generata da fattori incontrollabili: ma non è sventato pensare che qualunque crisi del sistema sia benvenuta.

Il sistema dei silos si applica in buona misura anche in Italia: il racconto della realtà proposto da alcuni quotidiani, da altri quotidiani, da alcune bolle social, da altre bolle social, da alcuni programmi televisivi, da altri programmi televisivi, eccetera, sembra in ognuno di questi silos del tutto autonomo e impermeabile. E i lettori, ascoltatori, spettatori di ciascun silo raramente ne frequentano altri. Trovare il modo per infiltrarsi nei silos altrui con verità indesiderate è l’obiettivo di chi voglia indebolire le propagande avversarie o – vasto programma – tornare a diffondere conoscenze accurate e abbastanza oggettive.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Luglio 2025

Outpost

Il Post ha spedito giovedì per la prima volta la nuova newsletter del suo inviato di guerra Daniele Raineri, Outpost. Che è un’idea anomala di newsletter sia per il contenuto – un racconto più personale e diaristico dell’esperienza dell’inviato, rispetto agli articoli pubblicati sul Post – che per la frequenza, dipendente dalle occasioni e dall’imprevedibilità degli eventi e degli spostamenti.


domenica 13 Luglio 2025

Stronzate in prima pagina

Quello di Repubblica di mercoledì potrebbe essere un primato storico, ma su cui confessiamo di non avere fatto verifiche accurate. È la prima volta che compare la parola “stronzate” sulla prima pagina di uno dei quotidiani italiani maggiori? (il Corriere ha ritenuto di tradurre più pudicamente “bullshit” con “cavolate”: la questione è stata affrontata da Fabio Luppino sullo HuffPost).


domenica 13 Luglio 2025

Live forever

Le agenzie fotografiche britanniche hanno annunciato un boicottaggio dei prossimi concerti del tour di reunion degli Oasis, dopo che il management della band aveva imposto loro di poter usare le foto fatte ai concerti soltanto per un anno (una prima richiesta era stata di un mese).


domenica 13 Luglio 2025

Parliamoci di Bibbiano

Giovedì la sentenza di primo grado ha di fatto smontato le accuse sui presunti illeciti affidamenti di bambini che vennero chiamati “il caso Bibbiano”, assolvendo tutti gli imputati dei reati relativi (ci sono state tre condanne per accuse laterali). Già altre sentenze avevano negato altre accuse. Alcuni quotidiani hanno commentato la sproporzione tra le risultanze finali del processo e il modo in cui giornali, televisioni e alcune parti politiche promossero come certe le accuse all’inizio delle indagini. Questi sono alcuni esempi delle prime pagine dei quotidiani in alcuni giorni del 2020.


domenica 13 Luglio 2025

Fantasmi per fiaschi

Lunedì scorso il quotidiano La Verità ha dovuto pubblicare ancora un’altra smentita rispetto ai suoi articoli sui “film fantasma” (che fantasma non lo erano) che hanno ricevuto contributi pubblici.


domenica 13 Luglio 2025

Un altro se ne va al Washington Post, slamming doors

C’è stato un altro episodio della cronologia di guai al Washington Post seguiti alla politica di interventi censori della proprietà e della dirigenza dell’azienda, iniziata alla vigilia della vittoria elettorale di Donald Trump, lo scorso ottobre. L’opinionista Joe Davidson, che aveva una rubrica fissa sul giornale da diciassette anni (e con cui collaborava da venti), ha spiegato su Facebook molto polemicamente le ragioni della sua scelta di lasciare il giornale, annunciata più sinteticamente dieci giorni prima. Davidson ha raccontato che una sua rubrica severa contro gli “attacchi alla libertà di pensiero e di espressione” da parte di Trump era stata bloccata perché “troppo opinionated”, con una logica che non era mai esistita nella storia del giornale. Le sue successive rubriche hanno ricevuto altre obiezioni.

“Come columnist, non posso accettare questo livello di costrizione. Una rubrica senza commenti fa di me un columnist senza column […] Lascio il Post ma solo come giornalista. Molte persone hanno comprensibilmente cancellato i loro abbonamenti per protestare contro le scelte di Bezos che hanno danneggiato l’integrità del giornale. Io continuerò a essere abbonato, e a leggere e sostenere il lavoro tuttora eccellente dei giornalisti del quotidiano e del sito”.

Nel frattempo l’amministratore delegato dell’azienda Will Lewis ha diffuso un invito per i giornalisti che non si sentano adeguati ai cambiamenti in corso, e a quelli che verranno, a lasciare il giornale attraverso un minaccioso e ricattatorio “programma di separazione volontaria”.


domenica 13 Luglio 2025

SAE rimescola ancora

La società SAE ha annunciato le nuove nomine di direttori in alcuni dei suoi quotidiani, che erano state anticipate informalmente nelle settimane scorse. SAE, breve promemoria, è l’editrice di un gruppo di quotidiani locali acquistati in più riprese dalla precedente proprietà, il gruppo GEDI. Tra questi c’è il Tirreno di Livorno, dove la redazione espone da tempo forti critiche sugli interventi di riduzione dei costi e di personale e sulla mancanza di una strategia chiara da parte di SAE. Adesso, mentre al Tirreno continuano a esserci agitazioni dopo una nuova inversione di direttori e dopo la chiusura della redazione di Viareggio, SAE ha intanto comunicato che a dirigere la Nuova Sardegna di Sassari andrà Luciano Tancredi, che era stato uno dei molti direttori del Tirreno in questi anni, e ha avuto ruoli continuati all’interno della società: al suo posto come direttore editoriale è stato nominato Antonio Di Rosa, che fu direttore del Secolo XIX di Genova e della Gazzetta dello Sport, e aveva diretto la Nuova Sardegna fino al 2023. Giacomo Bedeschi, che è stato fino a oggi direttore della Nuova Sardegna, va a fare il condirettore della Provincia Pavese, l’ultimo acquisto di SAE.


domenica 13 Luglio 2025

I quotidiani a maggio

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di maggio 2025.
I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 159.231 (-3%)
Repubblica 81.861 (-10%)
Stampa 57.265 (-8%)

Sole 24 Ore 49.401 (-8%)
Resto del Carlino 45.584 (-10%)
Messaggero 40.097 (-9%)
Gazzettino 30.133 (-8%)
Nazione 28.906 (-13%)
Dolomiten 25.216 (-9%)
Giornale 24.442 (-7%)
Fatto 24.254 (-10%)
Messaggero Veneto 21.954 (-8%)
Unione Sarda 20.102 (-9%)
Verità 19.113 (-9%)
Secolo XIX 18.839 (-9%)
Eco di Bergamo 18.391 (-17%)
Altri giornali nazionali:
Libero 16.657 (-8%)
Avvenire 14.465 (-1%)
Manifesto 13.880 (+1%)
ItaliaOggi 4.794 (-16%)
(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

La media dei cali percentuali anno su anno delle prime quindici testate a maggio è tornata a essere dell’8,7%, dopo un mese un po’ migliore. Rispetto a questo dato continua quindi ad andare assai meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera ( che questo mese ha avuto cospicue perdite sulle copie cartacee, compensate in parte da una crescita degli abbonamenti digitali), mentre a maggio Repubblica è tornata a superare la media annuale delle perdite. Vanno ancora male i quotidiani del gruppo Monrif ( Nazione Resto del Carlino ), che ha anche il Giorno, a sua volta in calo dell’11%. Mentre nel suo piccolo il Manifesto continua a fare eccezione, con crescite piccole ma costanti. Invece il quotidiano ItaliaOggi è tornato a grosse perdite dopo un periodo di sollievo.
Fuori da queste posizioni, si nota molto il +14,5% rispetto all’anno scorso del Mattino, quotidiano napoletano, nel mese in cui il Napoli ha vinto il suo quarto campionato di Serie A.

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 40mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 28mila, Repubblica quasi 16mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa, e quelle tra parentesi sono invece le variazioni degli abbonamenti superscontati di cui abbiamo detto.
Corriere della Sera 48.265 +3,8% (+8,8%)
Sole 24 Ore 21.522 -3,7% (-0,9%)
Repubblica 19.343 -9,3% (+1%)
Manifesto 7.384 -2,3% (non offre abbonamenti superscontati)
Stampa 6.852 +3,1% (-5,7%)
Fatto 6.340 -1% (+16,3%)
Gazzettino 5.626 -8,3% (+14,6%)
Messaggero 5.337 -8,6% (+8,9%)

Pur nell’ambito di crescite piccole e lontane dal compensare le perdite di copie cartacee, anche qui va meglio di tutti il Corriere della Sera, a cui questo mese si aggiunge con un dato positivo solo la Stampa. Le perdite annuali persino degli abbonamenti digitali sono compensate in alcuni casi dalle crescite degli abbonamenti molto scontati: il cui valore è impossibile da sintetizzare, data la varietà delle promozioni e degli sconti: ci sono in questo dato abbonamenti pagati anche 150 euro come altri in offerte a pochi euro.
Si conferma la tendenza a investire sulla crescita nel numero degli abbonamenti di valore più limitato, che generano ricavi contenuti ma che potrebbero creare un valore maggiore sul lungo periodo: a patto di poter sostenere i costi di un investimento con pochi ricavi immediati. È particolarmente buono il dato del Fatto, che da mesi sta facendo crescere i suoi abbonamenti scontati (che comunque non raggiungono i prezzi quasi inesistenti di altri giornali, e un ricavo lo generano).
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente molto più economici – ai contenuti dei loro siti web.

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)

Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione , e che trovate qui.


domenica 13 Luglio 2025

Lo Spiegel al venerdì

Lo Spiegel è un illustre settimanale tedesco di attualità e inchieste, con una tradizione di accuratezza e fact-checking: è stato fondato nel 1947 e dichiara tuttora più di seicentomila copie vendute, avendo nel frattempo spostato molto del suo lavoro anche sul sito web. Nei suoi primi decenni il giorno di pubblicazione fu spostato più volte, ma poi fu stabilito al lunedì per cinquant’anni, fino al 2015. Con un cambiamento quindi “epocale” per i suoi lettori, nel 2015 fu spostata la sua uscita al sabato, ritenendo che la disponibilità del fine settimana fosse un maggiore incentivo alla lettura e all’acquisto, e per limitare la concorrenza delle edizioni domenicali dei quotidiani. Adesso c’è un anticipo ulteriore, annunciato già alla fine dell’anno scorso: da due numeri lo Spiegel viene messo in vendita al venerdì (e pubblicato in versione digitale il pomeriggio precedente), per ragioni di maggior efficienza di distribuzione e di consegna agli abbonati, e ancora di maggiore anticipo sul weekend e rispetto ad altre concorrenze (la stessa scelta era stata fatta l’anno scorso dal settimanale Focus).


domenica 13 Luglio 2025

GEDI ottiene molti soldi da Meta

L’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ha stabilito il compenso che Meta (la società che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp) dovrà pagare all’azienda giornalistica GEDI per i ricavi ottenuti grazie alla pubblicazione su Facebook dei quotidiani GEDI: RepubblicaStampa Secolo XIX. La cifra non è stata riferita ufficialmente, ma è indicata da diverse fonti come tra i nove i dieci milioni di euro, cifra piuttosto cospicua. La decisione dell’Agcom si deve al mancato accordo tra le parti, che avevano fatto proposte molto lontane tra loro (l’accordo tra le parti è il percorso più frequente per definire questo che si chiama “equo compenso“). Il provvedimento non è stato unanime, una dei commissari ha votato contro (criticando i criteri piuttosto inafferrabili sulla base dei quali è stato calcolato il valore del compenso): e ci saranno ricorsi e altri interventi legali in ambito europeo e italiano prima che la questione sia chiusa in questo senso.


domenica 13 Luglio 2025

Il caso Mamdani al New York Times

C’è stata questa settimana una vivace polemica americana intorno a un articolo del New York Times: polemica interessante sia perché riguarda il giornale più importante del mondo, sia perché ha implicazioni sul giornalismo più in generale.
Qualcuno si è impadronito di un database di candidature alla Columbia University di New York dei decenni passati, e ha offerto al New York Times (e ad altri, pare) i documenti della candidatura del 2009 di Zohran Mamdani. Mamdani è diventato famoso nel mondo e ammirato e temuto negli Stati Uniti dopo avere vinto le primarie Democratiche a sindaco di New York con una campagna considerata molto di sinistra. Ha 33 anni e nel 2009 aveva appena finito il liceo: la sua candidatura alla Columbia University non avrebbe avuto seguito.

Dai documenti relativi, verificati dal New York Times che ne ha riferito in un articolo del 3 luglio, risulta che Mamdani abbia riempito i moduli che lo richiedono identificandosi sia come “asian” che come “african american”, e spuntando le caselle relative. Mamdani è nato in Uganda, dove la sua famiglia ha vissuto fino ai suoi cinque anni prima di trasferirsi per altri due in Sudafrica, e infine negli Stati Uniti. Sua madre è indiana, suo padre è ugandese nato in India da genitori indiani. Tutta la campagna elettorale di Mamdani e la sua descrizione di se stesso fanno riferimento al suo essere di orgine indiana e musulmano. Indicarsi anche come “african american” gli avrebbe dato maggiori possibilità di accettazione alla Columbia per via delle facilitazioni allora concesse alle minoranze razziali. E la rivelazione di questa scelta, a 18 anni, adesso gli sta attirando accuse – da parte dei suoi interessati avversari elettorali – di avere cercato di imbrogliare, per di più approfittando di una comunità discriminata che non è la sua.
Al New York Times Mamdani ha spiegato di avere ritenuto che le due indicazioni fossero il modo migliore per dare conto della sua particolare condizione di “indiano-ugandese” e di “americano nato in Africa”.

Le critiche nei confronti della scelta del New York Times di pubblicare un articolo su questa “notizia” sono state fatte soprattutto da sinistra, da chi ritiene che il New York Times abbia posizioni pregiudiziali contro Mamdani (in un suo endorsement-non-endorsement il giornale aveva molto criticato l’inesperienza di Mamdani suggerendo di non votarlo) e da chi accusa da tempo il giornale di voler raggiungere lettori e lettrici non progressisti prendendo occasionali posizioni meno allineate con le opinioni dei “liberal”. E per la prima volta dopo tanto tempo si sono mostrate critiche di questo genere anche dall’interno della redazione, che il direttore Joe Kahn aveva tacitato dopo il suo insediamento nel 2022.

Ma ci sono state soprattutto critiche sulle scelte giornalistiche: la prima è sulla “notiziabilità” di un’informazione come questa e sulla promozione sproporzionata data a un argomento politico di piccola o inesistente misura, secondo i critici. La seconda è sull’utilizzo di informazioni provenienti da un furto di dati: in altri casi precedenti i più seri giornali americani avevano scelto di non divulgare documenti di origine simile. La terza obiezione riguarda la valutazione delle motivazioni della fonte: i documenti sono stati diffusi in giro e al New York Times da un famigerato razzista molto attivo sui social network e con una sua newsletter, e l’articolo non lo spiegava. Anzi, l’articolo non lo citava per nome, come a voler proteggere la fonte, ma ne indicava lo pseudonimo con cui è noto su internet. Tra i molti che hanno criticato l’articolo c’è stata anche Margaret Sullivan, stimata esperta di informazione ed etica giornalistica che scrive sul Guardian ed è stata “public editor” del New York Times.

Il New York Times si è difeso con alcuni interventi sui social network e con un articolo che ha dato conto delle critiche: sostenendo che le informazioni su Mamdani siano di interesse pubblico a partire dalla sua candidatura a sindaco. Il sito Semafor ha spiegato anche che il New York Times avrebbe temuto che lo “scoop” potesse essere pubblicato da altri.


domenica 13 Luglio 2025

Charlie, chi informa gli italiani

Se chi legge questa newsletter non avesse da subito attenzioni e competenze verso il sistema dell’informazione maggiori della media, finisce per averle presto. Ma “là fuori” la stragrande maggioranza delle persone forma la propria conoscenza della realtà e di quello che succede molto sbrigativamente e senza dedicarci il tempo, la cautela e la competenza necessari a distinguere l’affidabilità delle informazioni in cui si imbatte. Per ragioni del tutto comprensibili e innocenti, prima di tutte la disponibilità di tempo, seconda la poca formazione critica trasmessa dagli stessi mezzi di informazione e dagli apparati e istituzioni delegati alla trasmissione del sapere (scuole, politica, istituzioni pubbliche).
In questo contesto, quando si parla qui della sostenibilità e del ruolo delle maggiori e più note testate giornalistiche, bisogna anche avere presente l’esistenza e il potere di un sottobosco vastissimo di produzione di informazioni ingannevoli, false, fuorvianti, o anche semplicemente “distraenti” in termini di priorità. Che agiscono solo con l’obiettivo di ottenere un numero di clic che aumenti i propri ricavi pubblicitari. Abbiamo ricordato altre volte il livello scadentissimo delle scelte di informazione fatte da alcuni “portali” di grossi provider (Libero, Tiscali, Msn…), per approfittare degli utenti che usano i loro servizi e visitano i loro siti a forza di titolazioni suggestive e accordi con discutibili siti di news.
Ma sotto ancora questa scadente offerta esiste una rete di siti mediocri costruiti con pochissimo sforzo e risorse che mettono in circolazione notizie e titolazioni palesemente false (ricordiamo sempre che nella maggior parte dei casi sul web ci si limita a leggere i titoli), costruite per attrarre le attenzioni o le preoccupazioni di chi ci si imbatta attraverso le ricerche su Google o sui social network. Al momento di scrivere questo prologo, per esempio, una ricerca su Google del nome dello storico Alessandro Barbero offre tra i primi risultati l’incidente di un suo omonimo in Piemonte ma soprattutto quest’altro titolo: “Alessandro Barbero non ce l’ha fatta: addio al re della storia italiana | Fan in lacrime, organizzata la veglia”. Il sito che lo ha pubblicato si chiama 
PiemonteTopNews e appartiene a un network di cui il sito “anti bufale” Butac si è occupato spesso: lo linkiamo perché la sua consultazione è istruttiva su un metodo micidiale di invenzione di titolazioni fuorvianti e preoccupanti sugli argomenti più diversi (““Il vitello tonnato è vietato categoricamente” | Passata l’ordinanza: muore la tradizione più antica d’Italia”).
Un sondaggio recente ha sostenuto che sei americani su dieci (tra un bacino già selezionato di “elettori registrati”) cerchino “attivamente” di informarsi: gli altri quattro dichiarano di “essere raggiunti” dalle notizie, soprattutto tramite i social network. Servirebbero molte pagine per descrivere tutte le sfumature di informazione di bassa o nessuna qualità che contribuiscono qui da noi a occupare la conoscenza della realtà da parte di un popolo di sessanta milioni di persone. Ma anche averlo presente, con occasionali promemoria, un po’ aiuta.

Fine di questo prologo.


domenica 6 Luglio 2025

Live in Milan

Rispondendo volentieri alle richieste di molti iscritti a questa newsletter, il Post ha pubblicato in un podcast la registrazione della conversazione tra Luca Sofri e Ben Smith alla Triennale di Milano, nell’incontro organizzato dieci giorni fa da Charlie stessa.


domenica 6 Luglio 2025

La Verità sui fantasmi

I quotidiani vicini ai partiti di centrodestra stanno continuando la loro campagna contro i finanziamenti pubblici a produzioni cinematografiche che avrebbero avuto poca concretezza, decisi dai governi precedenti a questo (vedi il prologo, per il contesto di queste campagne). Ne avevamo scritto a proposito della contraddizione tra queste obiezioni e il ricevere contributi pubblici assai maggiori, nel caso del quotidiano Libero. Questa settimana è stata invece la Verità a ricevere irritate contestazioni dalle produzioni di alcuni film che il giornale aveva definito “fantasma”, e che invece sono stati regolarmente girati con cast e registi importanti e distribuzioni adeguate. Uno di questi – ha spiegato alla Verità il suo produttore – è un film con George Clooney e Adam Sandler. Rispondendo a un’altra lamentela simile, la Verità ha prima dovuto ammettere che un altro film sia “un film autentico” e che “film fantasma” sia un’espressione “che può dare adito a fraintendimenti” creata in non meglio precisati “ambienti ministeriali”; e poi riprodurre altre smentite in un nuovo articolo.


domenica 6 Luglio 2025

So’ greche

Un articolo in prima pagina sul Foglio di venerdì è tornato a diffondere ipotesi di vendita del gruppo editoriale GEDI (che possiede i quotidiani Repubblica Stampa, tra le altre cose) e di una peculiare prospettiva greca: ma lo stesso articolo sembrava attribuire pochissima consistenza alla prospettiva stessa.

“La ricerca del partner internazionale è un puro fiore all’occhiello per Exor? Non del tutto, Elkann ha favorito l’accordo con OpenAI, una “partnership strategica” per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, aprendosi alla nuova frontiera dell’informazione. Ma è difficile per un gruppo estero entrare in modo così evidente nel mondo chiuso dei media italiani. E non è all’orizzonte nemmeno una operazione simile a quella tedesca con lo storico gruppo Springer, che ha ceduto al fondo americano Kkr gli annunci e le attività collegate, per mantenere nelle mani della famiglia i giornali bandiera Bild e  Welt. Ma in Germania la crisi della stampa è meno pesante: nella patria di Gutenberg giornali e libri tengono ancora”.

L’evocazione della ricerca di un compratore ha comunque messo in allarme le redazioni delle testate del gruppo GEDI, che hanno pubblicato già venerdì (e sabato sui quotidiani) un breve comunicato preoccupato.

“Con una nota del portavoce di Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, che controlla il gruppo editoriale Gedi, interviene oggi sulle ripetute e insistenti indiscrezioni di una trattativa avanzata per la cessione del gruppo. La sua precisazione però non rassicura affatto i giornalisti di Repubblica, La Stampa, Gedivisual, Huffington post, Radio Deejay, Radio Capital e Sentinella del Canavese.
Sostenere infatti che “in questi anni non è stato dato seguito a numerose manifestazioni di interesse” è un fatto che non smentisce che, allo stato, non vi siano trattative in corso.
Il Coordinamento dei comitati di redazione delle testate Gedi chiede pertanto alla proprietà una chiara assunzione di responsabilità sul reale interesse a cedere in tutto o in parte testate Gedi e a disimpegnarsi da un gruppo editoriale che rappresenta un pilastro del sistema democratico di informazione in questo Paese”.


domenica 6 Luglio 2025

Tutti contenti

Questa settimana è stata presentata su Repubblica una nuova iniziativa di “certificazione della qualità” da parte dell'”Istituto tedesco Qualità e Finanza” di cui avevamo scritto ancora di recente. In questo caso l’offerta è per le aziende che vogliano vedere pubblicizzati i propri risultati di crescita in una sezione dedicata di Repubblica con l’enfatica definizione di “Campione della crescita”. Il sito dedicato spiega che la partecipazione è gratuita ma che “le aziende presenti nella classifica che vorranno utilizzare il sigillo di qualità “Campioni della crescita 2026”, dovranno sottoscrivere un contratto di licenza d’uso del marchio” e che “l’indagine si finanzia con la vendita delle license fee abbinate ai marchi di certificazione ITQF”.
Il sistema di sostenibilità economica è efficiente per tutti: le aziende pagano ITQF per usare nella propria promozione un bollino azzurro, promozione accolta a pagamento su quotidiani come Repubblica che ne trae ricavi pubblicitari, e le aziende possono presentarsi come titolari di ammirevoli risultati.


domenica 6 Luglio 2025

“Sito della città”

Nella sua sezione settimanale dedicata a Roma, il Foglio ha pubblicato giovedì un articolo sul ruolo assunto dal sito di news RomaToday nell’informazione che riguarda la città. RomaToday appartiene al network di siti locali Citynews, che il Post aveva raccontato qui nel 2022 (disclaimer: dal 2023 la concessionaria pubblicitaria di Citynews è diventata responsabile della vendita degli spazi pubblicitari sul Post).


domenica 6 Luglio 2025

Il fantasma del bus

Le rubriche delle lettere sui quotidiani sono un formato su cui una volta dovremmo intervistare a lungo i titolari e farci almeno dieci newsletter, per la quantità di storie, accadimenti e pratiche, legati alla loro costruzione e confezione, che rimangono ignoti ai lettori. Questa settimana Giangiacomo Schiavi, che ne cura una sulla sezione milanese del Corriere della Sera, è tornato a rivelare con spazientimento (ne aveva già scritto in passato) l’insistenza da primato di un lettore in particolare.

“Ho deciso di pubblicare una volta ancora la lettera di un cittadino che in passato ho chiamato «il fantasma del bus»: un misterioso segnalatore di disagi sulla linea Atm che si nasconde dietro mille alias, assumendo identità inverosimili, spacciandosi come portavoce di inesistenti comitati pendolari. La sua perseveranza sta raggiungendo le 5 mila lettere al Corriere in poco più di dieci anni, un primato poco eguagliabile, considerando che ogni lettera è scritta a mano, francobollata e spedita via Posta.
Se ci legge, visto che ogni giorno ci fa recapitare una sua lettera, gli farà piacere sapere che c’è un premio alla sua battaglia per i diritti dei pendolari, un panettone d’oro che non può essere consegnato senza la sua apparizione in carne ed ossa. Quanto alla 973 e alla 54, accorciate o rimodulate, fanno parte del suo repertorio fisso… La M4 nonostante il successo, non deve piacergli troppo”.


domenica 6 Luglio 2025

Chiude Sardinia Post

“Dopo quasi 13 anni Sardinia Post cessa le pubblicazioni”, spiega l’articolo del direttore Manuel Scordo sul sito del giornale online che si è costruito in questo tempo un cospicuo ruolo e una estesa visibilità nell’informazione sulla regione della Sardegna.

“Il Tribunale ha incaricato un liquidatore che ha deciso, visto il carico di debiti pregressi, l’immediata cessazione delle pubblicazioni per non accumularne di nuovi. Questo non vuol dire che la testata sia morta per sempre, ma che in questo momento non ci sono le condizioni per andare avanti.
Cosa accadrà? È l’interrogativo che ci siamo posti anche noi. Per il momento saremo licenziati e la testata sarà “congelata”, ne sarà stabilito il valore e sarà messa in liquidazione. A quel punto qualcuno potrebbe farsi avanti per acquistarla, senza doversi sobbarcare i debiti pregressi. Questa forse è l’ipotesi più rosea, ma i tempi saranno comunque lunghi”.

L’articolo cita la comunicazione dell’editore ICO 2006 che riassume i problemi che si erano creati.

“Le difficoltà iniziate durante la pandemia e proseguite con la crisi del socio unico di allora della ICO 2006 srl, la Onorato Armatori srl, che ha determinato una riduzione di quasi il 50% dei ricavi, sembrava fossero state superate con il passaggio delle quote nel 2021 a una nuova compagine, ma a distanza di soli 18 mesi anche il socio di maggioranza relativa subentrato, la Defendini Logistica srl di Roma è entrato in una situazione di crisi aziendale irreversibile. Perdendo il supporto del socio di maggioranza, gli amministratori e i soci della Ico avevano trovato comunque una soluzione di continuità aziendale siglando, a fine 2023, un accordo con Sae Sardegna spa (editrice de La Nuova Sardegna), e concedendo in affitto il ramo d’azienda editoriale, con un diritto di acquisto per Sae subordinato al deposito (e all’accoglimento ndr), nel giugno 2024, di un accordo di ristrutturazione dei debiti e di un piano attestato ex art. 57 e 63 del codice della crisi di impresa, con richiesta di omologa presso tribunale di Cagliari. Il 16 gennaio 2025 il Tribunale di Cagliari non omologava il piano depositato e gli amministratori della Ico 2006 srl, senza soluzioni alternative, avviavano le pratiche per la liquidazione”.

Sardinia Post era stato fondato nell’ottobre del 2012 dall’editore ICO 2006 s.r.l., che allora era controllato dall’armatore Vincenzo Onorato, proprietario della compagnia di navigazione Moby Lines. Il primo direttore fu Giovanni Maria Bellu, ex inviato di Repubblica ed ex condirettore dell’ Unità . Iniziò a pubblicare anche una versione cartacea bimestrale, che veniva distribuita non solo in edicola, ma anche a bordo delle navi di Onorato. Nel 2018 Bellu si dimise in seguito a un confronto con l’editore, che voleva un giornale meno progressista. Con Bellu – che fu sostituito da Guido Paglia, che era stato vicedirettore del Giornale – se ne andarono anche diversi giornalisti. Ma i maggiori problemi arrivarono dopo il Covid, quando la società di Onorato entrò in crisi e il giornale perse il 50% dei ricavi. Le uniche entrate erano quelle pubblicitarie, di cui però il giornale si era sempre curato molto poco, e i debiti crebbero.

A fine 2023, quando il debito ammontava a 600mila euro e un nuovo socio entrato nel 2021 aveva avuto a sua volta una grave crisiSardinia Post riuscì a continuare le pubblicazioni (con ormai solo tre giornalisti) perché l’editore l’aveva affittata a SAE Sardegna (una società del gruppo SAE, che possiede i quotidiani Nuova SardegnaTirrenoGazzetta di ModenaGazzetta di ReggioNuova Ferrara Provincia Pavese ). L’accordo tra SAE e ICO prevedeva che SAE avrebbe potuto anche comprare il giornale, se fosse stato approvato dal tribunale il piano di risanamento dei debiti dell’azienda, presentato nel giugno del 2024 al tribunale di Cagliari. Quello stesso mese Paglia si dimise da direttore e in redazione rimasero in tre giornalisti.

Il piano di risanamento prevedeva che SAE Sardegna avrebbe acquistato Sardinia Post per circa 250-300mila euro (coprendo circa la metà del debito del giornale); il resto del debito sarebbe stato pagato a rate, mentre ICO 2006 sarebbe diventata la concessionaria pubblicitaria del giornale. Nonostante quasi tutti i creditori del giornale fossero favorevoli al piano, il 16 gennaio 2025 il tribunale di Cagliari non l’ha omologato, a causa dell’opposizione dell’Agenzia delle Entrate (il creditore più importante di tutti).
E a gennaio SAE Sardegna ha comunicato a Sardinia Post che non avrebbe più affittato il giornale (a un costo di 10mila euro al mese), rendendo così impossibile anche un ricorso contro la decisione del tribunale. Dal 31 gennaio all’1 luglio nella redazione di Sardinia Post hanno lavorato in due: Andrea Tramonte e il direttore Manuel Scordo, che aveva assunto il ruolo da gennaio.


domenica 6 Luglio 2025

Riconoscersi umilmente in Giorgia Meloni

Massimo Martinelli è nuovamente il direttore del quotidiano romano il Messaggero da un mese. L’editore Caltagirone ha licenziato due direttori in un anno e reintegrato “ad interim” Martinelli, che era già stato temporaneamente direttore del giornale. In molti hanno spiegato i due licenziamenti con un’insoddisfazione dell’editore per alcune posizioni del giornale non abbastanza disponibili nei confronti dell’attuale governo, ma non sono state date ragioni ufficiali. Quel che è certo è che venerdì il direttore Martinelli ha partecipato a un incontro pubblico assieme ad Arianna Meloni – dirigente del partito e sorella della presidente del Consiglio – nell’ambito di un festival organizzato dal partito Fratelli d’Italia, e ha detto tra le altre cose (qui il video a 1:05:00): «Qual è la ricetta di Giorgia Meloni? Non voglio fare un paragone irriverente, quindi prendetelo per quello che è. È un po’ quello che noi facciamo al Messaggero tutti i giorni. Io quando ascolto Giorgia Meloni nel mio piccolo, umilmente, mi riconosco. Perché Giorgia Meloni parla a tutti, parla al popolo [applausi]. Arianna Meloni ha iniziato il suo intervento con una parola chiave, che è coerenza. La gente normale apprezza la coerenza. Capisce se un leader dice una cosa a seconda delle circostanze e poi cambia idea. Giorgia Meloni non cambia idea, rappresenta un problema per qualsiasi leader mondiale, ma soprattutto ha un linguaggio semplice. Io al giornale cerco di applicare la stessa ricetta […] Giorgia Meloni si occupa sapientemente, magistralmente, di trattare i temi alti, ma guarda la gente comune. E questo suo guardare la gente comune, questa sua coerenza, questa sua capacità di sfidare le leadership, questa sua quasi irriverenza nei confronti di un certo tipo di cultura salottiera, piace».

Sabato mattina il quotidiano Domani ha pubblicato un articolo sulle proprietà e sugli interessi dell’editore del Messaggero, Franco Caltagirone, evidenziando come nel caso dei giornali ci siano sostanziose perdite che Domani ritiene accettabili in nome dell’uso dei suddetti giornali come strumento di promozione degli altri interessi del gruppo Caltagirone.


domenica 6 Luglio 2025

“Basic journalism”

La direttrice dell’Intelligence dell’amministrazione Trump, Tulsi Gabbard, ha attaccato una giornalista del Washington Post accusandola di avere contattato responsabili del suo dipartimento senza passare dall’ufficio stampa, e di non essersi identificata come giornalista del Washington Post per ottenere informazioni.
Il direttore del Washington Post, Matt Murray, ha risposto altrettanto aggressivamente difendendo la giornalista e rivendicando il ruolo dei reporter nel cercare informazioni di interesse pubblico senza limitarsi alle comunicazioni degli uffici stampa: «Sono le basi del giornalismo».


domenica 6 Luglio 2025

Gli integratori sono quasi inutili

Lunedì Repubblica ha pubblicato una rara e quindi più ammirevole occasione di indipendenza da alcuni inserzionisti pubblicitari che investono sul giornale, ospitando un’intervista al noto scienziato Silvio Garattini, la cui sintesi – già dal titolo – era “gli integratori sono inutili”. Pubblicità di vari integratori compaiono spesso su molti quotidiani e su Repubblicaanche quello stesso lunedì.


domenica 6 Luglio 2025

Ancora peggio al Tirreno

La crisi al Tirreno, su cui Charlie ha dato frequenti aggiornamenti, diventa sempre più grave. La redazione del quotidiano di Livorno, che è la principale testata locale di tutta la costa toscana, è in conflitto con la proprietà fin da poco dopo la sua acquisizione: l’editore è la società SAE, che si è creata per rilevare negli ultimi anni una serie di testate locali già appartenenti al gruppo GEDI tra cui il Tirreno. Ma la redazione del Tirreno contesta un approccio che sembra costituito soltanto da riduzioni dei costi e nessuna visione articolata sulle prospettive del giornale, che perde copie in quantità superiori alla media. L’editore ha cambiato direttore cinque volte in quattro anni.
Il confronto ha avuto toni molto polemici, e sabato la redazione ha deciso uno sciopero contro la decisione di chiudere la redazione di Viareggio, per cui oggi il giornale non sarà nelle edicole.

La situazione è stata commentata con desolazione su Facebook da Roberto Bernabò, che fu direttore del Tirreno prima di passare a occuparsi dello sviluppo digitale al Sole 24 Ore e oggi al gruppo Class.

“Di sicuro, e lo dico con piena convinzione per le esperienze fatte nella mia vita post Tirreno , questo editore ha fatto proclami acquisizioni e scelte sostenute da una visione così povera del futuro dell’editoria come poche altre volte mi è capitato di vedere e studiare non in Italia ma nel mondo. Così sta spingendo al collasso un quotidiano che – lo sottolineo con orgoglio e al tempo stesso grande tristezza – ha fatto la storia del giornalismo locale italiano”.


domenica 6 Luglio 2025

Il dannato presente del giornalismo e CBS News

La notizia maggiore tra i media americani questa settimana è stata una notizia a lungo temuta da chi è preoccupato per l’indipendenza del giornalismo di quel paese dalle prepotenze della sua attuale presidenza: la grande società Paramount Global ha accettato di pagare un compenso di sedici milioni di dollari a Donald Trump in cambio del ritiro della denuncia contro la rete televisiva CBS News, posseduta da Paramount Global.
Trump aveva accusato CBS News di avere manipolato un’intervista con Kamala Harris, sua avversaria alle elezioni presidenziali del 2024, con lo scopo e il risultato di danneggiarlo. CBS News aveva sostenuto che quelli a cui si riferiva Trump fossero consueti interventi di montaggio, identici a quelli che si fanno per ogni intervista registrata del genere, e la pubblicazione delle trascrizioni originali aveva dimostrato l’assenza di deliberate censure. La denuncia di Trump era stata definita priva di fondamento dalla maggior parte degli esperti di media televisivi e di questioni legali.

Ma la forza di Trump è un’altra, ed è quella che sta esercitando in molti contesti dal suo insediamento: quella datagli dal potere della presidenza a cui è stato eletto dalla maggior parte dei votanti statunitensi. E in questo caso Paramount Global si è trovata a dipendere dalle decisioni del governo rispetto a un’operazione societaria imminente di enorme importanza per il gruppo e per le sue difficoltà economiche. Malgrado le richieste pubbliche provenienti da più parti perché non cedesse a questo ricatto – la parola suona forte, ma questo è, letteralmente – la principale azionista del gruppo, la presidente Shari Redstone, ha deciso di proteggere i propri interessi economici e di ottenere l’assenso governativo alla fusione in programma con la società cinematografica Skydance.
Al costo di accettare un intervento che di fatto consente a Donald Trump di dichiarare confermate le sue ragioni (malgrado l’accordo non preveda delle scuse da parte di CBS News, come aveva chiesto Trump), e che sancisce la dipendenza del giornalismo di CBS News dal potere politico.


domenica 6 Luglio 2025

Charlie, salvare i giornali ma non il giornalismo

Tre degli otto quotidiani nazionali a maggiore diffusione meritano un paio di pensieri laici dedicati alle loro scelte e al loro ruolo nella diffusione di informazioni in Italia. Sono quelli che, apertamente e rivendicandolo, dedicano la gran parte del proprio impegno giornalistico a sostenere e difendere la maggioranza di centrodestra attualmente al governo. Fra i tre ci sono forti legami e relazioni: due sono di proprietà di un deputato della stessa maggioranza (che ne ha comprato uno dalla famiglia dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi), il terzo è stato fondato ed è posseduto da un ex direttore degli altri due.

Benché, come detto, siano il sesto, settimo e ottavo quotidiano nazionale per diffusione, il totale delle loro copie quotidiane supera di poco quello della Stampa da sola, ed è lontano da quello di Repubblica . Ma la loro influenza va assai oltre il numero di copie: i tre giornali producono ogni giorno buona parte dei contenuti usati a scopo di propaganda dai partiti di governo, dai loro parlamentari, dai loro account sui social network, dalle trasmissioni televisive più vicine alla maggioranza stessa (sia sulla Rai di controllo politico che sulle reti tuttora della famiglia dell’ex presidente del Consiglio: famiglia che sostiene economicamente uno dei partiti della maggioranza).

A loro volta, questi contenuti sono una scelta commerciale e strategica particolare: è infatti un po’ fuorviante l’espressione che abbiamo usato qui sopra, ” sostenere e difendere la maggioranza di centrodestra”. Il criterio di composizione di gran parte delle pagine dei tre quotidiani (soprattutto le prime pagine, ma anche quelle di sezioni impensate) è infatti quello di individuare formulazioni spregiative e accuse di ogni genere nei confronti di un gran numero di declinazioni di un’idea grossolana di “sinistra”: scegliendo per questo tutta una creativa serie di varianti linguistiche per attribuire ogni nefandezza immaginabile a una massa indistinta di persone “di sinistra”, radunata in un unico grande disegno ai danni dei lettori e delle lettrici di quei giornali. “I compagni”, “i rossi”, ma poi “l’ideologia verde”, “l’ideologia gender” (“ideologia”, che vuol dire sistema di pensieri, è una parola di cui è stato stravolto il senso in direzione negativa), i “woke”, “le toghe rosse”, i “buonisti”, “le coop”, “i progressisti” e naturalmente “il PD”, “Elly”, “i dem”, persino “il soviet”, e molti singoli personaggi (donne, in gran parte) esibiti al disprezzo dei lettori e delle lettrici. E come ultima possibilità, una generica terza persona plurale priva di soggetto evocativa di traffici e complotti.

Questo criterio prevale su ogni altro, ed è una “linea” analoga e speculare a quelle, derise nel secolo scorso, dei giornali di partito: accusati di costruire acrobatiche formulazioni per difendere qualunque scelta del partito di riferimento. Ma è analoga e speculare per una ragione: ed è che il meccanismo identitario che mira demagogicamente a compiacere il pubblico – oggi prioritario in ogni comunicazione e promozione, in politica e nelle aziende giornalistiche – ha come strumento vincente l’indicazione di un nemico verso cui creare e indirizzare risentimenti e indignazioni, dando a tutti noi ragioni di insoddisfazione e capri espiatori verso cui sfogare quell’insoddisfazione (un quarto quotidiano, il quinto per diffusione, adotta gli stessi criteri demagogico-commerciali, ma indicando nemici in tutto l’arco costituzionale a eccezione del M5S).

La domanda, per questa newsletter è (accantonando le eventuali valutazioni morali ed etiche su questa idea di giornalismo): è una strategia che paga? I dati dicono che le testate in questione hanno perdite di copie annuali nella media nazionale: il che significa che il criterio suddetto ottiene consensi proporzionati ai posizionamenti meno bellicosi adottati da altre testate per compiacere i propri lettori, o a più tradizionali scelte di informazione dei lettori. Mentre è visibile che la prossimità al governo e al suo potere abbia portato ai quotidiani che lo sostengono quote inedite di provvidenziali investimenti pubblicitari, anche da aziende che prima guardavano gli eccessi di quei giornali con circospezione e cautela.

Fine di questo prologo.


domenica 29 Giugno 2025

Ben Smith, bene

Questa newsletter ha organizzato con soddisfazione giovedì scorso il suo primo evento pubblico, ospitando il direttore del sito di news americano Semafor, Ben Smith, per una conversazione con il direttore editoriale del Post Luca Sofri alla Triennale di Milano. Grazie molte alle oltre trecento persone che hanno partecipato, e a tutti gli abbonati e le abbonate del Post che ci aiutano a costruire progetti e iniziative nuove. Continueremo.


domenica 29 Giugno 2025

Concordia di interessi

Giovedì la pagina 30 del quotidiano Repubblica era dedicata all’azienda di automobili dell’editore di Repubblica, la pagina 38 era dedicata alla squadra di calcio dell’editore di Repubblica e la pagina 41 era dedicata alla barca a vela dell’editore di Repubblica.


domenica 29 Giugno 2025

Mentana si diverte

Ci sono state delle agitazioni online e offline a partire da un sibillino post su Instagram del direttore del telegiornale di La7, Enrico Mentana, che parlava di “capire quando è il momento di staccare” a proposito dei suoi 15 anni in quel ruolo. Mentana non ha risposto alle richieste di maggior chiarezza su quella che a molti è sembrata un’ipotesi di dimissioni, lasciando circolare voci e pettegolezzi su sue tensioni con la rete o con suoi colleghi. Che hanno suggerito alla rete di smentire tutto. Infine Mentana è tornato sulla questione su Instagram, sempre con formule un po’ ambigue: l’ultima, sabato pomeriggio, è stata «non ho mai scritto né detto che vado da qualche altra parte!!».


domenica 29 Giugno 2025

Un giudice a Lipsia

Un giudice a Lipsia ha ritenuto inammissibile il divieto di pubblicazione imposto un anno fa dal ministero dell’Interno tedesco a una rivista di estrema destra, Compact.


domenica 29 Giugno 2025

I conti del Fatto

Durante la settimana è stata molto ripresa sui social network una sospettosa analisi del quotidiano il Riformista sui conti della società SEIF, che pubblica il quotidiano il Fatto. I due quotidiani si scambiano accuse e insulti quasi quotidianamente (di nuovo oggi il Fatto si accanisce contro il Riformista a proposito di una sentenza di condanna del suo editore). Il direttore del Fatto è intervenuto venerdì sul giornale per spiegare con sarcasmo a cosa si riferissero le cifre contestate.


domenica 29 Giugno 2025

Prosit

I prodotti e il titolare dell’azienda vinicola Aneri hanno sempre particolari attenzioni sui quotidiani milanesi in cui l’azienda compra spesso pagine pubblicitarie, dal Corriere della Sera Libero al Giornale. Venerdì il Corriere della Sera ha ospitato un box su una bottiglia di vino della suddetta azienda – con abbondanza di dettagli promozionali – offerta a Jeff Bezos in occasione del suo matrimonio veneziano. La bottiglia è stata di nuovo citata l’indomani sul giornale in un’intervista al sindaco di Venezia.


domenica 29 Giugno 2025

Smettere

Nella pagina delle rubriche di Repubblica di solito è quella di Michele Serra che esprime delle opinioni in contraddizione con scelte giornalistiche prese in altre pagine del giornale. Ma a volte si permette di farlo anche Francesco Merlo, che risponde alle lettere dei lettori (alcuni lettori compaiono con frequenza quasi quotidiana, come in questo caso). Sabato Merlo è stato ulteriormente lapidario – con una certa libertà d’uso del pronome maschile “gli” – nei confronti della “cronaca nera”, oggetto di crescenti attenzioni sui quotidiani nazionali.