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  • Lunedì 11 marzo 2024

Non c’è più l’Ohio di una volta

Si parla dell'«Ohio italiano» per indicare un luogo conteso e rappresentativo: è capitato anche alle elezioni in Abruzzo, ma il paragone non regge più da un decennio

Un comizio in fabbrica in Ohio nel 2012 (Photo by John Moore/Getty Images)
Un comizio in fabbrica in Ohio nel 2012 (Photo by John Moore/Getty Images)
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In occasione delle elezioni regionali in Abruzzo, vinte domenica da Marco Marsilio, presidente uscente sostenuto dalla destra, vari media italiani hanno parlato della regione come dell’«Ohio italiano», paragonandola allo stato americano che, almeno in teoria, dovrebbe essere il più rappresentativo degli Stati Uniti nel loro complesso, e dovrebbe fornire indicazioni sull’andamento delle elezioni nazionali. Paragonare una regione all’Ohio è diventato per molti media italiani un modo per mostrare quanto i risultati elettorali in quella regione siano rappresentativi, determinanti e capaci di fornire indizi su come andranno le cose anche nel resto d’Italia.

L’Abruzzo non è l’unica regione ad aver ricevuto questa definizione: qualcuno ha già parlato della Basilicata come del «prossimo Ohio», e in passato lo slogan «l’Ohio italiano» era stato usato per numerose altre regioni e anche per qualche comune. Il problema è che, al netto dell’effettiva importanza di regioni come l’Abruzzo o la Basilicata, l’Ohio ha smesso da tempo di essere rappresentativo negli Stati Uniti: è da almeno dieci anni che il paragone non tiene più.

– Ascolta Morning: Lasciate in pace l’Ohio

Il riferimento all’Ohio nasce nei primi anni Duemila, quando nelle elezioni presidenziali statunitensi era considerato il più decisivo e indicativo degli swing state, gli “stati in bilico”, quelli in cui non esiste una chiara e consolidata maggioranza di elettori Repubblicani o Democratici. Per il particolare sistema elettorale degli Stati Uniti, era in quegli stati che spesso si decidevano le elezioni. Da almeno una decina d’anni, però, l’Ohio non è più il più conteso degli stati americani. Non è più nemmeno fra gli swing state, gli stati in bilico, e i suoi elettori sono diventati decisamente conservatori.

La definizione continua però a essere usata ed è diventata un luogo comune della stampa italiana quando si vuole raccontare un’elezione piuttosto combattuta che potrebbe avere ripercussioni sul piano nazionale. Più specificatamente, si parla di «Ohio italiano» quando si ritiene che un luogo specifico possa indicare in che direzione va la politica della nazione. Lo slogan negli anni è stato usato in modo piuttosto disinvolto, anche per regioni o città ben poco rappresentative della politica nazionale o dalle tendenze piuttosto consolidate (come l’Abruzzo, dove nel 2019 Marsilio vinse con quasi venti punti di distacco).

Un comizio di Trump a Vandalia, Ohio. (AP Photo/Michael Conroy)

La metafora continua a essere molto comune benché dal 2016 l’Ohio abbia perso la sua presunta natura di indicatore del clima politico degli Stati Uniti, tanto che anche in vista delle presidenziali del 2024 è considerato dagli analisti del partito Democratico “non contendibile”, cioè di fatto perso in partenza.

In Ohio l’ex presidente Donald Trump ha vinto con oltre 8 punti percentuali di vantaggio sia nel 2016 che nel 2020, quando ha poi perso le elezioni. Nel 2022 l’ultimo candidato governatore Democratico, Nan Whaley, ha perso in 85 delle 88 contee che compongono lo stato. Dopo il 2012 un solo candidato Democratico, il senatore Sherrod Brown, è riuscito a vincere un’elezione in Ohio. Per quanto riguarda la rappresentatività dello stato, è vero che dal 1964 al 2016 il candidato che vinceva in Ohio poi vinceva anche la presidenza. Ma questo record si è interrotto con le elezioni del 2020, in cui Trump ha vinto nello stato ma non la presidenza.

Nei decenni passati l’Ohio era stato effettivamente un terreno di contesa elettorale molto dura: nel 2004 i candidati George W. Bush e John Kerry visitarono l’Ohio 41 volte in tutto e investirono in pubblicità nello stato decine di milioni di dollari. Nel 2008 Barack Obama e John McCain arrivarono a 50 visite e 50 milioni di dollari spesi. Al contrario, i responsabili dell’attuale campagna di Joe Biden non hanno ancora stanziato fondi per spot elettorali specifici nello stato. Secondo le analisi condivise con alcuni dei finanziatori, si ritiene che una eventuale vittoria elettorale di Biden arriverà attraverso la conquista degli stati in bilico Arizona, Nevada, Wisconsin, Georgia, Michigan e Pennsylvania. Persino North Carolina e Florida – due stati abbastanza conservatori – sono considerati potenzialmente più favorevoli dell’Ohio.

Barack Obama a Columbus nel 2012 (AP Photo/Carolyn Kaster, File)

L’Ohio non è più quello di inizio Duemila per motivi legati a diverse condizioni economiche e sociali della regione statunitense di cui fa parte, il Midwest. Generalmente l’espressione si riferisce ad alcune zone di Iowa, Missouri, Illinois, Kansas, Indiana, Michigan, Minnesota, Nebraska, Ohio, Pennsylvania e South Dakota. Pur essendo chiamati Mid-west, quindi “medio-occidentali”, questi stati si trovano nella parte centro-orientale degli Stati Uniti. La regione a lungo fu considerata il cuore produttivo del paese, sede delle più grandi industrie manifatturiere e soprattutto di enormi aziende automobilistiche, tra cui Ford, General Motors e Chrysler.

La fine della grande espansione economica iniziata dopo la Seconda guerra mondiale è stata accompagnata a partire dagli anni Ottanta da una sempre maggiore tendenza alla globalizzazione, con il trasferimento all’estero di fabbriche e quindi di posti di lavoro. La crisi economica che seguì, particolarmente evidente in città come Detroit, ha segnato la fine dell’alleanza politica fra i sindacati del settore e il Partito Democratico. La classe operaia bianca, che votava con costanza per i progressisti, ha dovuto affrontare una disoccupazione crescente, lo spopolamento dei quartieri e l’aumento della povertà.

Soprattutto negli anni più recenti, sotto l’influenza di Trump, il Partito Repubblicano ha saputo rispondere meglio dei Democratici alla rabbia e all’insoddisfazione della maggioranza bianca di questi stati. Fin dalla campagna elettorale del 2016 Trump ha criticato i presunti danni causati dai trattati internazionali di libero scambio e addossato le colpe delle difficoltà economiche alle minoranze e all’immigrazione. La maggioranza bianca ha smesso di essere rappresentativa di un segmento fondamentale del paese ed è diventata più convintamente Repubblicana.

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In tutto il paese, ma soprattutto nel Midwest, oggi le tendenze politiche vedono le zone rurali votare per lo più per i Repubblicani e i grandi centri urbani per i Democratici. In Ohio questa tendenza è ancora più favorevole alle componenti più conservatrici perché le grandi contee urbane delle città di Cleveland, Columbus e Cincinnati pesano percentualmente meno che altrove: nel 2020 ci viveva meno del 44 per cento della popolazione totale, mentre Chicago da sola ospita il 69 per cento della popolazione totale dell’Illinois.

In un paio di generazioni il radicale cambiamento delle condizioni socioeconomiche della sua popolazione ha reso l’Ohio più focalizzato sui problemi interni e soprattutto più conservatore. La frase «Dove va l’Ohio va la nazione» era diventata un luogo comune politico statunitense all’inizio del nuovo millennio. Ma oggi non rappresenta più la realtà: all’interno di una sempre maggiore polarizzazione della politica americana, l’Ohio si è spostato verso destra.