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  • Martedì 27 febbraio 2024

La storia di Flint e il declino del Midwest

Era il cuore industriale degli Stati Uniti ma la crisi ha trasformato regione ed equilibri politici e ha portato a situazioni estreme, come quella dell'acqua corrosiva di Flint

Impianti industriali a Hammond, in Indiana (Scott Olson/Getty Images)
Impianti industriali a Hammond, in Indiana (Scott Olson/Getty Images)
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Midwest, Heartland, Steel Belt, Rust Belt, Blue Wall: esistono tanti modi per riferirsi alla regione degli Stati Uniti che a lungo fu considerata il cuore produttivo del paese, sede delle più grandi industrie manifatturiere e soprattutto di enormi aziende automobilistiche, tra cui Ford, General Motors e Chrysler. Oggi la situazione è cambiata, ma i soprannomi sono ancora associati all’immaginario di un’America fatta di operai e di grandi capannoni, di forni metallurgici e di villette di periferia con il giardino. Sono rappresentazioni stereotipate, ma che sono almeno in parte reali. O lo sono state, nella movimentata storia della zona.

Il Midwest non è una regione amministrativa, e quindi non ha confini precisi. Generalmente l’espressione si riferisce ad alcune zone di Iowa, Missouri, Illinois, Kansas, Indiana, Michigan, Minnesota, Nebraska, Ohio, Pennsylvania e South Dakota. Pur essendo chiamati Mid-West, quindi “medio-occidentali”, questi stati si trovano nella parte centro-orientale degli Stati Uniti. È una zona poco frequentata dai turisti, tanto da essere spesso chiamata “flyover country”, ossia l’area che viene attraversata in aereo per andare da una costa all’altra del paese, verso zone considerate molto più attrattive come New York o la California.

Una veduta di Minneapolis, in Minnesota (Maturen/Getty Images)

Per gran parte del Novecento il Midwest attraversò un periodo di prosperità e un forte sviluppo economico e industriale, ma poi iniziarono i problemi: la delocalizzazione e l’automatizzazione dei processi produttivi spinsero molte fabbriche a chiudere o a licenziare migliaia di dipendenti, le città non seppero rinnovarsi, si spopolarono e in alcuni casi i livelli di criminalità aumentarono moltissimo. Per raccontare il Midwest è possibile partire da una storia relativamente piccola, ma emblematica della parabola dell’intera regione: l’acqua di Flint.

Flint è una città da 80mila persone circa 100 chilometri a nord-ovest di Detroit, in Michigan. Dall’inizio del Novecento e almeno fino agli anni Ottanta attirava costantemente nuovi abitanti, soprattutto grazie all’enorme sviluppo dell’industria automobilistica. General Motors (GM), che ancora oggi è una delle principali aziende del settore, fu fondata proprio a Flint nel 1908. Per tutta la prima metà del secolo scorso portò in città moltissimi lavoratori che cercavano un lavoro sicuro e ben retribuito nelle fabbriche. Tra loro c’erano anche moltissimi afroamericani che si trasferivano in Michigan, quindi a Nord, dagli stati del Sud, dove intanto le leggi cosiddette “Jim Crow” alimentavano le discriminazioni e la segregazione razziale.

La popolazione di Flint crebbe moltissimo, così come quella di decine di altre aree del Michigan. La città si riempì rapidamente di spazi di ritrovo ed edifici pubblici, e vicino ai siti industriali nacquero interi quartieri costruiti per ospitare i lavoratori. Molti interventi urbanistici erano finanziati da General Motors, che negli anni Venti spostò la propria sede principale nella vicina Detroit ma mantenne comunque molti uffici e attività produttive a Flint. Negli anni l’azienda diventò un colosso: nel 1979 era il principale datore di lavoro di tutti gli Stati Uniti, con oltre 600mila dipendenti.

Una parte della fabbrica di General Motors a Flint, nel 2019 (Bill Pugliano/Getty Images)

Verso gli anni Ottanta le cose iniziarono a cambiare. Le grandi aziende automobilistiche statunitensi – tra cui GM, ma anche Ford e Chrysler, tutte con sede a Detroit – iniziarono a subire la concorrenza delle nuove aziende giapponesi e coreane, e l’automatizzazione dei processi industriali permise di ridurre notevolmente il numero di dipendenti pur mantenendo gli stessi livelli di produzione. È una storia simile a tante altre, ma a Flint tutto andò nel modo sbagliato.

Nel 1986 GM annunciò che avrebbe chiuso 11 centri produttivi negli Stati Uniti e licenziato 29mila dipendenti, tra cui molti a Flint. Era il primo di una lunga lista di interventi pensati per rendere più efficiente la produzione, che negli anni successivi diventarono sempre più frequenti. L’azienda abbandonò gradualmente la città di Flint, che da ricca e ambita divenne sempre più povera. Chi ne aveva la possibilità si trasferì altrove: tra il 1950 e il 2010 la città perse quasi il 40 per cento dei suoi abitanti, passando da oltre 160mila a poco più di 100mila. Rimasero soprattutto i più poveri, che spesso erano afroamericani: oggi i neri costituiscono più del 56 per cento degli abitanti di Flint. Insieme ai tassi di povertà aumentò moltissimo la criminalità, e la città si trasformò in un posto da evitare.

Anche la situazione economica peggiorò rapidamente e verso il 2010 il bilancio di Flint era disastroso, in perdita per oltre 14 milioni di dollari. Nel 2011, appena entrò in carica, il governatore Repubblicano del Michigan Rick Snyder nominò una serie di commissari incaricati di risanare la situazione economica di Flint in collaborazione con l’amministrazione della città.

Nel 2014 il sindaco Dayne Walling decise che per risparmiare bisognava tagliare i costi dell’acqua potabile: fino a quel momento Flint comprava l’acqua dalla città di Detroit, che la prelevava dal vicino lago Huron. Walling voleva che la città smettesse di acquistare l’acqua e sviluppasse le proprie infrastrutture per approvvigionarsene in modo autonomo. Per tagliare i costi però le autorità locali decisero di slacciare subito Flint dalla rete idrica di Detroit, prima che le nuove tubature fossero costruite, e stabilirono che nel frattempo l’acqua sarebbe stata prelevata dal fiume Flint, come succedeva fino agli anni Sessanta.

Il 25 aprile del 2014 Walling finalizzò il distacco della rete idrica di Flint da quella di Detroit: il video che lo ritrae mentre schiaccia il pulsante che termina l’operazione è considerato da molti l’inizio di una valanga di problemi che avrebbe presto travolto la città.

I residenti iniziarono a lamentarsi dell’odore e dello strano colore dell’acqua che aveva iniziato a scorrere dai rubinetti, che era giallognola o addirittura marrone. Alcune analisi riscontrarono la presenza del batterio dell’Escherichia coli, che può causare malattie intestinali ma anche infezioni al tratto urinario, polmoniti e meningiti. I primi a smettere di usare l’acqua del fiume Flint non furono i residenti, ma General Motors: nel giro di pochi mesi l’azienda si rese conto che l’acqua stava rovinando i macchinari e iniziò ad acquistarla da altri fornitori. Gli abitanti invece continuarono a usare l’acqua distribuita dall’amministrazione pubblica, quella del fiume Flint.

L’acqua era teoricamente potabile ma leggermente corrosiva, e non era stata trattata con gli ortofosfati come si fa di solito in questi casi per risolvere il problema. Iniziò a corrodere i tubi di distribuzione dell’acquedotto, arricchendosi di piombo e altre sostanze nocive che venivano poi bevute dagli abitanti della città. Nei primi mesi del 2015 le analisi rivelarono che l’acqua estratta dal fiume Flint e poi distribuita alle abitazioni conteneva varie sostanze dannose per l’organismo, e soprattutto livelli altissimi di piombo.

Secondo l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA), per essere considerata potabile l’acqua dovrebbe avere non più di 15 parti di piombo per miliardo, ed è considerata un rifiuto tossico se ne contiene più di 5mila parti per miliardo: nell’acqua che arrivava a casa di una residente di Flint furono trovate fino a 13.200 parti di piombo per miliardo, un valore fuori da ogni norma.

Il piombo ha effetti estremamente nocivi sul corpo umano e soprattutto sui bambini, nei quali può causare ritardi nello sviluppo, danni al sistema nervoso e alterazioni nell’apprendimento, nelle capacità di linguaggio e nel comportamento. Nel 2015 uno studio rilevò che, da quando la città aveva cominciato a usare l’acqua del fiume Flint, il 4 per cento dei bambini sotto i cinque anni aveva livelli anomali di piombo nel sangue, il doppio rispetto al 2 per cento registrato prima del cambio di fonte.

Inoltre molti residenti iniziarono a perdere i capelli e a sviluppare irritazioni cutanee, dovute proprio alla presenza di sostanze tossiche nell’acqua che usavano anche per lavarsi. Quasi 90 persone si ammalarono di legionellosi, una particolare forma di polmonite causata dal batterio della legionella, e 12 morirono. Il batterio circolava nell’acqua, che non veniva trattata con il cloro come invece sarebbe dovuto succedere.

Le indagini rivelarono che le autorità cittadine di Flint non avevano fatto controlli adeguati sull’acqua del fiume prima di iniziare a usarla come unica fonte di approvvigionamento. A ottobre del 2015, circa un anno e mezzo dopo il passaggio, il sindaco Walling e il governatore Snyder decisero di riallacciare la rete idrica di Flint a quella di Detroit, un intervento che costò 12 milioni di dollari.

In molti casi però le tubature della città erano state danneggiate in modo irreversibile, e i problemi continuarono: alla fine del 2015 la nuova sindaca, Karen Weaver, dichiarò lo stato di emergenza e nel 2016 fu emulata anche dall’EPA, dal governatore Snyder e persino dal presidente degli Stati Uniti, il Democratico Barack Obama. Il 19 gennaio del 2016 Snyder dedicò gran parte del suo intervento annuale al Congresso statale proprio alla situazione di Flint, assumendosi le responsabilità degli errori compiuti negli anni: «A voi, alle persone di Flint, ripeto stasera quello che ho già detto in passato: mi dispiace, e rimedierò».

Negli anni successivi furono aperte molte indagini e almeno nove persone furono incriminate per vari reati, tra cui l’ex governatore Snyder (che nel 2019 fu sostituito dalla Democratica Gretchen Whitmer). Il giornale locale Detroit News stima che lo stato del Michigan abbia speso almeno 60 milioni di dollari per i processi a carico dei suoi dipendenti. A marzo del 2023 le autorità locali negoziarono un patteggiamento e si impegnarono a pagare risarcimenti per 626 milioni di dollari, di cui 600 messi dallo stato e 20 dalla città di Flint. La maggior parte dei fondi sarà erogata a persone che sono state esposte all’acqua contaminata quando erano minorenni.

Oggi l’acqua di Flint è potabile, ma le conseguenze dell’emergenza sanitaria dureranno ancora a lungo. La crisi idrica ha causato anche un enorme danno d’immagine alla città, che viene spesso evitata dai turisti e da cui continua a scappare chi ne ha la possibilità.

La copertina del numero di febbraio 2016 di Time, dedicata alla crisi idrica di Flint (Foto: Regina H. Boone—Detroit Free Press/TNS/Newscom. Fonte: Time Magazine)

La vicenda dell’impianto idrico di Flint fu un enorme disastro, da tutti i punti di vista, nonché il segno più evidente del declino economico dell’area, accompagnato da decisioni politiche sbagliate. La crisi profonda che si è trascinata fino a oggi è iniziata negli anni Ottanta, ma prima l’area industriale di Detroit e in generale la Rust Belt vissero un periodo di grande ricchezza.

Nei primi decenni del Novecento Detroit era diventata la sede delle tre più grandi aziende automobilistiche degli Stati Uniti, e al tempo anche del mondo: General Motors, Ford e Chrysler. Le attività industriali concentrate intorno alla città attirarono migliaia di lavoratori, e la sua popolazione crebbe enormemente passando da circa 285mila abitanti nel 1900 a un picco di 1,8 milioni nel 1950. La città aveva una scena culturale molto vivace e una popolazione multietnica: era un modello, e si guadagnò il soprannome di «Parigi del Midwest».

La crescita di Detroit favorì lo sviluppo di tutta la regione, tanto che si diffuse il detto: «Quando Detroit ha il raffreddore, tutto il Midwest prende la polmonite», ossia: quando le cose vanno un po’ male a Detroit, vanno molto peggio nelle zone circostanti. Non si producevano solo automobili, ma anche acciaio e altri materiali dell’industria pesante e della metallurgia.

La Rust Belt era il cuore produttivo degli Stati Uniti, e l’altissima concentrazione di fabbriche favorì lo sviluppo di molti movimenti sindacali. Nel 1935 il Wagner Act permise la creazione dei sindacati, e negli anni successivi ci furono estese proteste e rivendicazioni in molte zone del Midwest. Proprio a Flint, per esempio, nel 1936 iniziò un lungo sciopero dei lavoratori della General Motors: occuparono e bloccarono la produzione in vari stabilimenti, e dopo 44 giorni di proteste l’azienda annunciò che avrebbe investito 25 milioni di dollari per aumentare gli stipendi.

Fu un’enorme vittoria che contribuì a trasformare la United Automobile Workers (UAW), il sindacato dei lavoratori dell’industria automobilistica, da una serie di organizzazioni minori a una grande sigla sindacale che nel 1952 raggiunse i 16 milioni di iscritti. La UAW è attiva ancora oggi: a settembre del 2023, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, i lavoratori di Ford, General Motors e Stellantis (il gruppo a cui appartengono Fiat, Chrysler e Jeep, tra gli altri) hanno scioperato nello stesso momento, trovando poi vari accordi con le singole aziende.

Gli uffici della General Motors a Detroit, nel 2008 (Spencer Platt/Getty Images)

A partire dagli anni Settanta la crescente tendenza a delocalizzare la produzione, l’arrivo della concorrenza dalle aziende asiatiche e l’automatizzazione dei processi produttivi mandò in crisi le fabbriche di Detroit, e con loro tutta la città, che iniziò a spopolarsi e divenne un posto piuttosto degradato e con un alto livello di criminalità. Nel 2008 il sindaco Kwame Kilpatrick si dimise e nel 2013 fu condannato a un totale di 28 anni di carcere, per vari reati legati alla corruzione. Fu rilasciato nel 2021, quando l’allora presidente Repubblicano Donald Trump gli concesse la grazia. Negli anni decine di edifici tra fabbriche, capannoni e attività commerciali di Detroit furono abbandonati, e molti lo sono ancora oggi, anche se negli ultimi anni la situazione sta migliorando.

Le storie di Flint e di Detroit sono parabole che si possono applicare a gran parte di quella che era la Steel Belt, la cintura dell’acciaio, e che oggi viene chiamata Rust Belt, la “cintura arrugginita”, un soprannome poco lusinghiero dovuto proprio alla progressiva chiusura di moltissime fabbriche e centri di produzione industriale. Durante la grave crisi economica e finanziaria del 2008 Chrysler e General Motors rischiarono il fallimento e furono salvate solo da una serie di generosi prestiti dal valore complessivo di quasi 81 miliardi di dollari, approvati durante le amministrazioni del Repubblicano George W. Bush e del Democratico Obama.

Molti abitanti del Midwest attribuiscono almeno parte della colpa per il declino delle grandi fabbriche americane all’Accordo nordamericano per il libero scambio, il cosiddetto NAFTA, che entrò in vigore nel 1994 ed eliminò tutte le barriere tariffarie tra Canada, Stati Uniti e Messico. In Messico il costo del lavoro era molto inferiore rispetto agli Stati Uniti e il trattato favorì la delocalizzazione dei processi produttivi di molte aziende, tra cui quelle automobilistiche, che abbandonarono gradualmente il Midwest. Le reali conseguenze del NAFTA rimangono però dibattute, e isolare l’impatto effettivo di un accordo così ampio e duraturo è molto difficile. Fattori sicuramente più rilevanti sono state le delocalizzazioni anche in altri stati americani, motivate tra l’altro da una maggiore sindacalizzazione in Michigan, e gli sviluppi dell’automazione industriale.

Partecipanti a un comizio di Trump a Kenosha, in Wisconsin, nel 2016 (Scott Olson/Getty Images)

Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016 Trump puntò molto sulla promessa di eliminare il NAFTA, un fatto che secondo alcuni analisti gli permise di vincere contro la candidata Democratica Hillary Clinton in molti stati della Rust Belt, tra cui la Pennsylvania, l’Ohio e anche il Michigan. La promessa fu in parte mantenuta: durante il suo mandato l’accordo fu rinegoziato e cambiò anche nome, diventando noto come USMCA, ossia “United States-Mexico-Canada-Agreement”. Tra le altre cose, la nuova versione dell’accordo include alcune regole che favoriscono l’industria automobilistica statunitense.

Negli ultimi anni il Midwest ha avuto un ruolo sempre più centrale nei processi politici e nel panorama elettorale degli Stati Uniti. A lungo alcuni stati della regione erano considerati parte del cosiddetto Blue Wall, il “muro blu”, colore storicamente associato al partito Democratico e contrapposto al rosso dei Repubblicani. Tra il 1992 e il 2012 alcuni degli stati principali della regione – Minnesota, Wisconsin, Illinois, Michigan e Pennsylvania – votarono sempre per il candidato Democratico alle elezioni presidenziali, insieme ad altri come la California, l’Oregon e New York.

Parte delle motivazioni ha a che fare proprio con la storia sindacale della Rust Belt, le lotte operaie e i movimenti per la rivendicazioni dei diritti dei lavoratori, temi generalmente associati alla sinistra. Nel 2016 però cadde il Blue Wall: Wisconsin, Michigan e Pennsylvania votarono per Trump, seppure con un margine molto ridotto, favorendo la sua vittoria contro Clinton. A dicembre, durante un comizio in Ohio, Trump rivendicò gli ottimi risultati ottenuti nella regione: «[Dicevano che] Donald Trump non poteva far cadere il Blue Wall, giusto? Non lo abbiamo soltanto rotto, lo abbiamo distrutto», disse. Nel 2020 tutti e tre gli stati tornarono però a votare Democratico, e nelle elezioni del 2024 sono considerati in bilico.