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  • Venerdì 26 aprile 2024

Partner, nemici o rivali?

La visita in Cina del segretario di Stato americano Antony Blinken ha contribuito a stabilizzare le relazioni tra i due paesi, dopo molti sforzi negli ultimi mesi: ma le rivalità e i problemi restano

Il segretario di Stato americano Antony Blinken e il presidente cinese Xi Jinping a Pechino, 26 aprile 2024 (AP Photo/Mark Schiefelbein, Pool)
Il segretario di Stato americano Antony Blinken e il presidente cinese Xi Jinping a Pechino, 26 aprile 2024 (AP Photo/Mark Schiefelbein, Pool)
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Venerdì Antony Blinken, il segretario di Stato americano, ha avuto un incontro con il presidente cinese Xi Jinping nell’ambito di una visita di stato cominciata mercoledì, in cui Blinken ha viaggiato tra Shanghai e Pechino e visto numerosi leader politici e industriali cinesi. Visite del genere, in tempi normali, sarebbero piuttosto comuni: sarebbero una questione banale di mantenimento dei rapporti tra due importanti paesi. Ma lo stato delle relazioni tra Cina e Stati Uniti negli ultimi anni si è a tal punto degradato che viaggi come quello di Blinken sono una notizia importante: non soltanto per i contenuti dei temi trattati, ma per il semplice fatto che ci siano.

I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono ai minimi livelli da almeno dieci anni, e soltanto negli ultimi mesi l’amministrazione di Joe Biden e il governo di Xi Jinping hanno provato a ripristinare quanto meno delle linee di comunicazione formali e a stabilizzare una relazione che era diventata via via più rischiosa. La visita di Blinken fa parte di questo processo di circospetta distensione, in cui i due paesi rimangono in competizione tra loro, perfino avversari, ma riconoscono la necessità di parlarsi.

Dal punto di vista formale, la visita è andata piuttosto bene, ed è stata organizzata dopo una serie di altre visite reciproche che hanno avuto proprio l’obiettivo di rendere più stabili i rapporti tra i due paesi: negli ultimi mesi, tra gli altri, la segretaria al Tesoro Janet Yellen ha visitato la Cina due volte, e a novembre dell’anno scorso c’era stato un incontro a San Francisco tra i due presidenti, Biden e Xi, visto come l’inizio del percorso attuale di stabilizzazione dei rapporti tra i due paesi.

Si parla di stabilizzazione perché a partire dalla presidenza di Donald Trump (2017–2021) i rapporti tra Cina e Stati Uniti sono stati sempre più litigiosi e in alcuni casi ostili, a causa di decisioni prese da entrambi i leader. Da un lato, Trump aveva adottato una politica economica e commerciale sempre più protezionista e volta a tagliare fuori la Cina da alcune industrie strategiche in cui gli Stati Uniti hanno un vantaggio competitivo, come quella dei microprocessori. L’arrivo di Joe Biden alla presidenza, nel 2021, non aveva migliorato le cose, anzi: la sua amministrazione ha rafforzato alcune delle politiche di Trump contro la competizione economica e commerciale cinese, e ne ha create di nuove.

Dall’altro lato Xi Jinping – che è il leader più potente, ma anche il più autoritario e nazionalista, che la Cina abbia avuto in 50 anni – ha adottato politiche sempre più assertive e in alcuni casi aggressive, con l’obiettivo di entrare in competizione diretta con gli Stati Uniti sia dal punto di vista economico sia militare.

Questo ha contributo a incanalare la relazione tra i due paesi in un percorso via via più conflittuale e rischioso: da un lato la leadership cinese si è convinta che gli Stati Uniti siano impegnati a bloccare con ogni mezzo il suo sviluppo; dall’altro la leadership statunitense ha inquadrato la competizione con la Cina come uno scontro più ampio tra sistemi democratici e sistemi autoritari.

Hanno contribuito a peggiorare le relazioni anche alcuni eventi più puntuali, come la pandemia da coronavirus (con la famosa polemica sull’origine cinese del virus) e la visita dell’allora speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan. Un altro momento complicato avvenne poco più di un anno fa, quando gli Stati Uniti scoprirono un pallone spia cinese in volo nel proprio spazio aereo, cosa che provocò un grosso caso politico: proprio in quei giorni Blinken sarebbe dovuto andare in visita in Cina, la prima visita di un segretario di Stato americano dal 2018, ma annullò tutto.

Insomma, circa un anno fa i rapporti tra Cina e Stati Uniti erano a tal punto degradati che le comunicazioni si erano di fatto interrotte, non soltanto a livello politico: le comunicazioni militari di routine tra i due eserciti americano e cinese erano state bloccate, e questo è estremamente pericoloso per due paesi con un’ampia presenza militare all’estero come la Cina e gli Stati Uniti, perché basta un piccolo incidente per provocare uno scontro più ampio.

Per questo, negli ultimi mesi entrambi i paesi hanno fatto sforzi notevoli per cercare di stabilizzare i rapporti: gli Stati Uniti hanno fatto un grande sforzo diplomatico e l’amministrazione Biden ha inviato molti funzionari in Cina per recuperare relazioni e rapporti personali, quella che in inglese si chiama «face to face diplomacy», cioè diplomazia fatta di persona. Il cambiamento più notevole è stato però quello della Cina, che ha cominciato a riconoscere pubblicamente l’idea che tra i due paesi sia in corso una competizione.

Può sembrare strano, ma fino a relativamente poco fa la posizione ufficiale cinese era che con gli Stati Uniti non vi fosse alcuna competizione, al massimo un’aggressione unilaterale da parte americana: questo perché l’idea che la Cina ha sempre voluto dare di sé nel mondo è quella di una grande potenza benevola con tutti, che non compete e non genera ostilità con nessuno. Per anni, la parola chiave delle relazioni tra Cina e Stati Uniti sui media cinesi era stata «cooperazione win-win», cioè cooperazione in cui entrambe le parti vincono qualcosa.

Soltanto di recente la leadership cinese ha cominciato ad ammettere che una competizione è effettivamente in corso, e questo ha contribuito a stabilizzare i rapporti: se entrambe le parti riconoscono di essere in competizione, possono parlarsi più francamente.

Questo lavoro di stabilizzazione messo in atto da circa un anno sta funzionando, almeno a giudicare dalla visita di Blinken di questa settimana: il tono è stato tutto sommato positivo, e sia i media cinesi sia quelli statunitensi hanno commentato con un certo gusto le cene del segretario di Stato, che a Shanghai ha mangiato in un ristorante di ravioli, dove gli sono stati serviti gli xiaolongbao, i tipici ravioli con l’interno liquido. Tra le altre cose, Blinken in Cina ha assistito a una partita di pallacanestro e ha visitato un negozio di vinili. Ha comprato due album: uno del cantante cinese Dou Wei e uno di Taylor Swift.

Antony Blinken e il suo staff al ristorante a Shanghai

Antony Blinken e il suo staff al ristorante a Shanghai (AP Photo/Mark Schiefelbein, Pool)

Che questo tipo di visite sia necessario a stabilizzare la relazione l’hanno riconosciuto tutti i partecipanti: Wang Yi, il ministro degli Esteri cinese, che ha trascorso a colloquio con Blinken più di cinque ore, ha detto che «la relazione Cina-Stati Uniti sta cominciando a stabilizzarsi». Anche Xi Jinping ha parlato apertamente di «stabilizzazione», mentre Blinken ha detto che i due paesi devono mantenere aperti tutti i canali di comunicazione per «gestire responsabilmente le nostre differenze ed evitare errori di valutazione, percezioni errate, calcoli sbagliati».

Stabilizzare le relazioni, ovviamente, non significa eliminare gli elementi di contrasto, ma anzi riconoscerli. Tra Cina e Stati Uniti questi elementi sono ancora moltissimi.

In particolare, Blinken e Xi Jinping hanno parlato del sostegno economico che la Cina sta fornendo alla Russia nella guerra d’aggressione contro l’Ucraina, con Blinken che ha cercato di fare pressioni per limitarlo. Entrambe le parti, poi, si sono lungamente lamentate di quelle che ritengono pratiche commerciali scorrette da parte dell’altra. I rappresentanti cinesi si sono lamentati del fatto che gli Stati Uniti stanno adottando una politica industriale sempre più protezionista, mentre Blinken ha parlato della politica molto aggressiva in fatto di esportazioni che la Cina ha adottato negli ultimi mesi, e che rischia di mettere in difficoltà le industrie statunitensi.