domenica 25 Febbraio 2024

Una storia di presunta diffamazione

Lunedì scorso il quotidiano online Il Fatto Alimentare – che avevamo già citato su Charlie e che non ha legami con il Fatto Quotidiano – ha pubblicato un articolo in cui spiega che l’azienda San Benedetto, che produce acqua e bibite, ha intentato contro il giornale una causa civile di 1,5 milioni. Il Fatto Alimentare si occupa di temi intorno al cibo e ha un fatturato annuo di circa 150 mila euro. I motivi della causa sono i due articoli che il Fatto Alimentare ha pubblicato nell’ agosto e nell’ ottobre 2022: entrambi parlano di una campagna pubblicitaria dell’azienda San Benedetto che aveva come protagonista Elisabetta Canalis.

Semplificando: nel primo articolo di agosto il giornale raccontava di come la campagna pubblicitaria fosse stata criticata da Aestetica Sovietica, una pagina Instagram con 145 mila follower, perché da quanto mostrato in due spot poteva sembrare che la Canalis invitasse a saltare la colazione: è un messaggio che, secondo la critica, poteva creare problemi in persone che hanno disturbi alimentari. Altri giornali in quei giorni, oltre al Fatto Alimentare , avevano riportato il post della pagina Instagram e la richiesta che intervenissero le istituzioni come l’ Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e lo IAP ( Istituto di autodisciplina pubblicitaria , un’associazione che si occupa di autoregolamentare la comunicazione commerciale): OpenCorriere del Venetoil Mattinoil Fatto QuotidianoAffari ItalianiRepubblicaToday.

Il 4 ottobre 2022 il Fatto Alimentare aveva pubblicato un articolo intitolato “Elisabetta Canalis: stop allo spot dell’acqua minerale San Benedetto censurato dallo Iap” e scritto che, citando fonti proprie, il «Comitato di Controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria ha segnalato le criticità dello spot» e che San Benedetto «ha sottoscritto l’impegno a “elaborare una nuova comunicazione che possa superare gli aspetti critici rilevati”». La pubblicità in questione in effetti sembra essere cambiata: lo spot originale di 30 secondi non pare essere più presente sui canali ufficiali di San Benedetto, e la pubblicità è stata accorciata di 15 secondi, eliminando le parti criticate. Una breve nota di San Benedetto del 5 ottobre 2022 ha smentito però che le pubblicità siano state «oggetto di censura o sospensione a seguito di decisione del Giurì della Pubblicità». Il Fatto Alimentare ha poi rettificato l’articolo cambiando il titolo, togliendo le parole “censurato dallo Iap”, mantenendo inalterato il testo ma aggiungendo la nota dell’azienda.

Qualche mese dopo la pubblicazione del secondo articolo, San Benedetto ha querelato il Fatto Alimentare chiedendo la rimozione dei due articoli: il giudice ha bocciato questa prima richiesta e anche il ricorso dell’azienda. Sempre sul finire del 2023 San Benedetto ha avviato una causa civile contro il giornale chiedendo, tra le altre cose, un risarcimento di 1,5 milioni per diffamazione. Il Fatto Alimentare , oltre a difendersi, ha anche chiesto al giudice di essere risarcito per 150 mila euro, cioè il 10% di quanto richiesto da San Benedetto, perché secondo gli avvocati che difendono il giornale si tratterebbe di una lite temeraria , cioè una causa che non ha l’obiettivo di vincere ma di intimidire la persona accusata scoraggiandola dal fare il suo lavoro, togliendogli tempo, energia e soldi.

Charlie ha contattato l’ufficio stampa di San Benedetto oltre a Roberto La Pira, direttore del Fatto Alimentare e autore degli articoli contestati, per conoscere meglio la situazione e le richieste del processo. L’ufficio stampa di San Benedetto ha risposto che: «in merito alla causa civile per danni da diffamazione avviata contro il Fatto Alimentare , il Gruppo San Benedetto non rilascia nessuna documentazione o dichiarazione nell’attesa che l’azione giudiziaria concluda il suo iter».

Roberto La Pira ha detto che «confermo l’idea di proseguire nell’iter processuale convinto di ottenere dal giudice il riconoscimento della lite temeraria. Il collegio di difesa del giornale vede anche la presenza dell’avvocato Andrea Di Pietro dell’associazione Ossigeno per l’informazione che segue le cause di diffamazione di molti giornalisti».

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