Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 2 Febbraio 2025

Contiguità

Il Premio Nonino – uno stimato premio culturale istituito dall’azienda friulana omonima – ha acquistato una pagina promozionale sul Corriere della Sera sabato 25 gennaio. Lunedì 27 il Corriere ha pubblicato un articolo che chiedeva maggiori esenzioni fiscali per il Premio Nonino.

“Non si capisce perché i costi di questa enorme macchina organizzativa non possano essere tutti scaricati al pari delle «sponsorizzazioni a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche», che per l’articolo 90 della legge 289 del 2002 «sono interamente deducibili sino all’importo di duecentomila euro come spese di pubblicità». Fare cultura vale meno che fare sport? Ministro Giuli, forse si potrebbe fare qualcosa. Possiamo pensarci?”.


domenica 2 Febbraio 2025

Un’altra Storia

Il Post ha raccontato il caso nato da un nuovo documentario che sostiene che l’attribuzione nota di una delle foto più famose della storia del giornalismo sia in realtà sbagliata.

“La fotografia più rappresentativa della guerra in Vietnam si intitola “The Terror of War”, il terrore della guerra, e ha al centro una bambina nuda che scappa da un bombardamento assieme ad altre persone. Fu scattata l’8 giugno del 1972 nel villaggio di Trang Bang, nel sud del paese, ed è sempre stata attribuita a Nick Ut, un fotografo dell’agenzia di stampa statunitense Associated Press che proprio grazie a quest’immagine impressionante ottenne numerosi riconoscimenti.
Secondo un documentario presentato al Sundance Film Festival, tuttavia, quella che è una delle foto più famose al mondo sarebbe stata scattata da un’altra persona: ne è nato un caso piuttosto discusso fatto di lunghe indagini, ricostruzioni divergenti e smentite”.


domenica 2 Febbraio 2025

Il giorno dopo di Libero

Un editoriale sul Foglio ha citato giovedì alcuni esempi tratti dal quotidiano Libero della abituale incoerenza dei quotidiani vicini alla maggioranza di governo (GiornaleVeritàLiberoTempo), la cui impostazione è radicalmente diversa da quella degli altri quotidiani a maggior diffusione, e orientata a esporre sistematicamente accuse contro l’opposizione e difese e celebrazioni della maggioranza, dando l’impressione di costruire la propria gerarchia di notizie su questo (anche il Fatto, tra i quotidiani maggiori, dà priorità a simili criteri, ma rivolgendo le sue accuse a tutti i partiti e difendendo il M5S).

“La notizia del giorno, per niente simpatica da meritarsi un gioco di parole da secondini di prigione libica, era la richiesta degli arresti domiciliari da parte della procura di Milano nei confronti di due architetti di fama internazionale come Stefano Boeri e Cino Zucchi. Ma siccome ai lettori con la roncola di Libero la parola “architetto” evoca al massimo “l’albero di trenta piani” del Re degli ignoranti Celentano, il tabloid in quota salviniana ha servito loro, in prima pagina, questo elegante titolo: “GABBIO VERTICALE”. Ma scritto tutto maiuscolo, con quei caratteri che una volta si dicevano “di scatola” e che ricordano tanto La Notte di Nino Nutrizio, antesignano di tutti i tabloid di destra cupa e penitenziaria che oggi persino Vannacci troverebbe eccessivamente forcaiolo. E poi un commento decisamente d’alto profilo, da filosofia del diritto: “Testacoda dei giudici. I compagni si arrestano tra loro”. Quindi una buona notizia? Un po’ sotto la linea dell’imbarazzo.
Ma il giorno dopo può andare anche peggio, dal punto di vista logico, per un giornale che il giorno prima sembrava scritto da Almasri. Il giorno dopo, infatti, a finire nelle demenziali grinfie dei pm (anzi qui proprio un procuratore) è stata Giorgia Meloni. E il titolo magicamente diventato: “GOLPE DI TESTA”. Ma sempre coi caratteri di Nino Nutrizio. E il catenaccio, allarmato per le sorti della democrazia: “Indagato mezzo governo”. “Un fatto senza precedenti” scrivono gli amici di Libero con garantismo a prova di bunker di Hamas”.


domenica 2 Febbraio 2025

La Cina raccontata dai suoi padroni

Una piccola notizia laterale che però contribuisce a una storia che abbiamo spesso raccontato su Charlie: quella dell’impegno del regime cinese a comprare attenzioni e indulgenze presso i mezzi di informazione di mezzo mondo. Ancora due settimane fa avevamo citato le critiche all’ospitalità che un corso dell’Ordine dei giornalisti romano aveva offerto all’ambasciata cinese. Giovedì un reportage di Anna Lombardi da Panama, su Repubblica, ha citato tra le influenze che la Cina sta esercitando in quel paese anche quella sui giornalisti: «Nel frattempo l’ambasciatore Wei Qiang ha imbastito una raffinata operazione di soft power aprendo il primo Istituto Confucio nel paese, sovvenzionando una ferrovia e sponsorizzando corsi per giornalisti».


domenica 2 Febbraio 2025

I sassolini di Krugman

Due mesi fa il New York Times aveva annunciato la fine del suo rapporto con l’economista Paul Krugman – vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 2008 -, che per venticinque anni era stato columnist fisso del giornale, uno dei suoi autori più importanti e seguiti. Già allora erano circolate notizie sul fatto che la separazione non fosse stata serena, ma martedì lo stesso Krugman ha pubblicato la sua lunga versione su come sono andate le cose, accusando i responsabili del giornale di avere avuto negli ultimi anni richieste che avrebbero molto svalutato la sua autorevolezza e limitato la sua libertà. Lo sfogo di Krugman è stato ospitato su The Contrarian, un nuovo progetto giornalistico fatto di newsletter (è un formato, ospitato sulla piattaforma Substack, che ha avuto diversi esempi ultimamente), creato da una nota giornalista uscita polemicamente dal Washington Post, Jennifer Rubin, insieme a un famoso avvocato, commentatore politico ed ex ambasciatore, Norman Eisen.


domenica 2 Febbraio 2025

Dimenticati a Nordest

Sono emersi questa settimana i primi conflitti tra le redazioni e la nuova proprietà dei quotidiani del Nordest che il gruppo GEDI aveva ceduto un anno fa a una società chiamata NEM, a cui partecipano importanti e potenti imprenditori delle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. I giornalisti delle testate di quest’ultima regione – Piccolo di Trieste e Messaggero Veneto di Udine – hanno pubblicato un comunicato annunciando due giorni di sciopero e protestando per le minori attenzioni riservate ai due quotidiani, e per una serie di inadeguatezze nelle risorse destinate al loro lavoro.

“A preoccupare i giornalisti del Friuli Venezia Giulia sono le linee strategiche del gruppo, cominciando dall’applicazione di un prezzo per copia di 50 centesimi più alto rispetto a quello dei giornali Nem del Veneto. Un modo di sostenere la competizione con la concorrenza in quel territorio a spese tuttavia dei lettori della nostra regione – a esclusione dell’ex provincia di Pordenone –, con un impatto sulle vendite che ha penalizzato in questi mesi Il Piccolo e il Messaggero Veneto, rendendo quasi del tutto vano il lavoro svolto per migliorare gli indicatori di vendita di quelli che erano, e restano, i due principali fornitori di redditività economica del gruppo editoriale.
A più di un anno dall’ingresso di Nem, bisogna ancora rilevare che il supporto tecnologico al lavoro giornalistico è inadeguato, responsabilità questa anche del lungo disarmo della precedente gestione, cui il nuovo editore sta cercando faticosamente di rimediare. Intanto però le giornate in redazione trascorrono fra i problemi: dall’archivio malfunzionante alle interruzioni della rete e dei server, passando per i crash del software Atex, la forte riduzione di personale poligrafico, e la totale assenza per quanto riguarda Il Piccolo, telefoni muti per giorni, falle nel sistema d’impaginazione, orari di apertura al pubblico ridotti per la mancanza di un front office e scarsa attenzione alle condizioni delle sedi di lavoro”.

NEM ha risposto rivendicando gli investimenti fatti e promettendo attenzioni.

“Strategia che Gruppo Nem, rivendicandone a sé responsabilità e prerogativa, sta attuando anche con il continuo confronto con le rappresentanze sindacali per condividere un percorso coerente con la necessità di costruire un gruppo editoriale autorevole, solido, proiettato al futuro”.


domenica 2 Febbraio 2025

Conflitti di interessi letterali

In una settimana in cui non ci sono stati maggiori sviluppi nella crisi al Washington Post (crisi di varie tappe negli scorsi mesi), il giornale è stato protagonista comunque di una notizia interessante rispetto alle contraddizioni e complicazioni legate al fatto che il suo proprietario, Jeff Bezos, è il fondatore e proprietario di Amazon, azienda di enormi e capillari interessi e quindi oggetto di quotidiane attenzioni giornalistiche.
Il Washington Post ha infatti richiesto l’accesso ai documenti di un’indagine sulle condizioni di lavoro in una struttura di Amazon dedicata a un servizio di accesso satellitare a internet: l’indagine era stata condotta dal Dipartimento del Lavoro, con cui Amazon aveva già avuto dei conflitti per questo, e adesso ha presentato un’opposizione alla richiesta del Washington Post, sostenendo che nella documentazione ci siano dati personali dei dipendenti e segreti commerciali che non possono essere divulgati.


domenica 2 Febbraio 2025

Non basta più

Il sito di news Fanpage – che assieme al network Citynews è stato uno dei due maggiori successi di traffico tra i nuovi giornali online di questo secolo – ha presentato questa settimana un progetto di abbonamenti. La scelta conferma la necessità di attingere al modello di business degli abbonamenti anche da parte delle testate digitali che più in passato hanno prosperato grazie ai ricavi pubblicitari derivanti da grandi numeri di visite (ricavi in declino da anni), e che finora sono state invece più lente a coinvolgere i lettori in forme di pagamento. Negli ultimi anni si sono decise a farlo, pur con impegni limitati, la stessa CitynewsOpen, lo HuffPostLinkiesta.
Il direttore di Fanpage Francesco Cancellato spiega che il giornale non introdurrà un paywall (proprio perché siti che ancora beneficiano di grandi numeri di traffico non possono permettersi di rischiare di ridurlo, salvo per chi si abbona, e di limitare così la raccolta pubblicitaria).

“Tutto il giornale, tutto quel che sei abituato a leggere ogni giorno di Fanpage rimarrà gratuito, quindi.
A chi ci sosterrà, daremo qualcosa di più. Podcast e newsletter di approfondimento sulle nostre inchieste o sull’attualità ad esempio, a partire dal podcast dentro l’inchiesta Gioventù Meloniana, narrato dalla viva voce della giornalista che si è infiltrata nella giovanile di Fratelli d’Italia, che sarà disponibile a partire dal 27 gennaio. Ma anche la newsletter settimanale sul mondo della scuola che partirà nei prossimi giorni e che accenderà un osservatorio permanente sul mondo dell’istruzione. E ancora, il podcast in cui, ogni sette giorni, risponderò alla domanda  di un lettore, cercando di fare chiarezza sull’argomento della settimana. E la rassegna stampa quotidiana del nostro condirettore Adriano Biondi. Ancora: ci saranno altri podcast e newsletter che stiamo preparando e che vedranno la luce nei prossimi mesi, live coi nostri giornalisti, per fare domande o per proporre argomenti d’indagine. E infine, eventi dal vivo che ci porteranno sui territori, per parlare, discutere e divertirci con voi, faccia a faccia.
Quasi dimenticavo: per chi si abbona ci sarà anche qualcosa in meno: la pubblicità, che sparirà completamente dal sito”
.


domenica 2 Febbraio 2025

Non ho ancora finito con voi

I conflitti legali tra il principe Harry e i tabloid britannici non si sono conclusi con l’accordo di dieci giorni fa attraverso il quale l’editore del Sun aveva risarcito il principe di una grande e imprecisata cifra di sterline e gli aveva chiesto ufficialmente scusa. Già un anno fa Harry aveva ottenuto un risarcimento da un altro tabloid, il Mirror.
Ma c’è ancora una causa in corso con il Daily Mail, sempre rispetto alle vecchie – e assai realistiche – accuse di pratiche illegali nella sorveglianza del principe e di violazioni della privacy. Il processo, che ha tra gli altri querelanti Elton John e l’attrice Liz Hurley, dovrebbe iniziare tra un anno: nei giorni scorsi il giudice incaricato ha ordinato alle parti di ridimensionare i loro progetti di spese nel processo (che influirebbero sugli eventuali risarcimenti).


domenica 2 Febbraio 2025

Charlie, a vista

Pur con tutta la ovvia curiosità per le prospettive e gli sviluppi dell'”intelligenza artificiale”, pur con quel misto di allarme e speranza che vediamo ripetuto in articoli di commento e interviste da due anni – dalla presentazione di ChatGPT -, per quanto riguarda le attività dei giornali al momento lo scenario sembra ancora piuttosto limitato. Gli usi e gli esperimenti sulle “intelligenze artificiali” sono praticamente tutti concentrati sul fare più rapidamente ed economicamente le stesse cose che si facevano già prima, e finora non meglio.
È in generale un momento un po’ fermo per l’innovazione nei contesti del business giornalistico, dopo la grande trasformazione legata agli abbonamenti digitali (ancora da completare per molti), dopo le agitazioni sui “cookie” e sul declino dei ricavi pubblicitari, dopo il bicchiere mezzo pieno (di attenzioni e ascolti) e mezzo vuoto (di ricavi) della crescita dei podcast, dopo la perdita di traffico generato da Google e Facebook. Sarebbe di nuovo ora di inventarsi qualcosa, perché i problemi di sostenibilità e anacronismo dei giornali sono tutt’altro che risolti.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Gennaio 2025

Il Torino a seconda di chi guarda

Anche ieri sono proseguite le letture opposte dei risultati della squadra di calcio del Torino da parte dei due quotidiani più interessati. Il Torino ha infine vinto in casa e con una partita convincente, ma il quotidiano torinese La Stampa (posseduto dai proprietari della squadra rivale della Juventus) ha descritto anche in questo caso le contestazioni dei tifosi nei confronti del presidente del Torino, Urbano Cairo. Mentre il quotidiano di Urbano Cairo (il Corriere della Sera) non ne ha fatto menzione, dando invece spazio alla soddisfazione del presidente.
Repubblica , della stessa proprietà della Stampa e quotidiano rivale del Corriere della Sera di Cairo, ha citato le contestazioni in una brevissima cronaca della partita.


domenica 26 Gennaio 2025

CNN sempre in cerca di sé

CNN, la famosa televisione “all news” americana, è in ambasce da alcuni anni, ambasce che hanno preso diverse forme, da una crisi di ascolti, a una perdita di ruolo dopo essere stata una tv molto antitrumpiana, a scandali polemiche interne. Da un anno e mezzo il nuovo amministratore delegato è Mark Thompson, manager molto noto e stimato nel mondo dei media, che però è apparso finora faticare nel riprogettare le prospettive della rete: giovedì un articolo del New York Times ha raccontato il suo lavoro per spostare ulteriormente le attenzioni di CNN dalla televisione a internet e creare dei formati di abbonamento per i propri servizi. Questa settimana la notizia maggiore in questo senso è stata l’annuncio di 200 licenziamenti di persone in ruoli appunto più legati alla parte televisiva, con un’ipotesi di assumerne circa altrettante da dedicare alle attività digitali.


domenica 26 Gennaio 2025

I 400mila del Pais

Il quotidiano spagnolo ha annunciato con una serie di articoli di avere raggiunto i 400mila abbonati: 392 mila sarebbero gli “abbonati digitali” (ovvero ai contenuti del sito, si intende), 29 mila quelli all’edizione quotidiana del giornale, di cui 5mila alla versione digitale. Uno di questi articoli parla di una media di 240 nuovi abbonati al giorno dall’introduzione degli abbonamenti digitali nel 2020, anche se non è indicato un dato altrettanto importante, ovvero di quanti abbonamenti invece scadano ogni giorno senza essere rinnovati: i risultati in termini di abbonamenti vengono abitualmente misurati nel confronto tra queste due cifre. Tra gli altri dati un po’ sommari citati c’è un “raddoppio degli abbonati italiani” negli ultimi due anni (ma non è detto quanti fossero o quanti siano).
Il dato è molto soddisfacente, comunque: ricordando di metterlo nel contesto di un bacino di utenza potenziale molto grande e che supera quello della nazione spagnola.


domenica 26 Gennaio 2025

On s’en va

Lunedì il principale quotidiano francese, Le Monde, ha annunciato in un editoriale che non userà più Twitter (o come si chiama ora) per promuovere i propri contenuti, per rifiuto della partigianeria e delle falsificazioni che sono diventate proprie del social network. Il giorno dopo ha comunicato la stessa decisione un altro importante quotidiano progressista francese, Libération: «La collaborazione con questa piattaforma non è più compatibile con i valori del nostro giornale».

Giovedì un simile annuncio è stato fatto anche dal settimanale italiano Internazionale.


domenica 26 Gennaio 2025

ENI dà, ENI riceve

È iniziato un nuovo periodo di grandi investimenti pubblicitari dell’azienda ENI sui quotidiani maggiori, complice la ingente presenza di ENI come sponsor all’imminente festival di Sanremo. Nei giorni passati ENI ha comprato diverse pagine pubblicitarie per promuoverla, mentre parallelamente i brand dell’azienda ottenevano promozione delle loro iniziative e comunicati nelle pagine dell’Economia, sul Corriere della Sera e su Repubblica.


domenica 26 Gennaio 2025

Non esageriamo

Il sito Professione Reporter ha pubblicato un’analisi piuttosto scettica su come le agenzie di stampa italiane abbiano dato risposta alla richiesta del governo di dotarsi di un “Garante della informazione”.

“Alla redazione dell’Agenzia Ansa dicono che dovrebbe trattarsi d’una donna, non ricordano però il nome. Comunque non l’hanno mai incontrata. All’AdnKronos ne conoscono il nome, quello di Stefano Quondam, professionista che proviene dal Messaggero, oggi in pensione. All’Agi, agenzia di stampa dell’Eni, da mesi in procinto d’esser venduta, sanno che l’incaricato è l’avvocato professor Zeno Zencovich. A La4News, la rete d’imprese formata dopo la riforma del settore da Italpress, MF Newswires, 9Colonne, Agenzia Nova, sanno solo che la figura esiste ma nulla di più. I dettagli di nomina, istituzione e funzioni in gran parte delle redazioni nessuno li conosce”.


domenica 26 Gennaio 2025

Cioè, diverso

La storica rivista italiana per teenager Cioè (il Post l’aveva raccontata qui) ha eliminato il suo tradizionale formato cartaceo “pocket” quindicinale: nel 2025 uscirà in edicola solo con la testata Cioè Max, bimestrale. «Sembra infatti che con questa modalità tecnico editoriale Cioè abbia maggiore visibilità in edicola e ottenga vendite migliori», ha detto il direttore Marco Iafrate al sito CulturaPop.


domenica 26 Gennaio 2025

Un sito belga, anzi molti

Il network di siti locali Citynews, che in quindici anni ha aperto 57 testate in altrettante città italiane creando un capitale di traffico online capace di ottimi successi di raccolta pubblicitaria (dal 2024 la sua concessionaria raccoglie anche la pubblicità del Post, disclaimer), ha aperto da questa settimana anche una testata in lingua francese dedicata a Bruxelles, BruxellesToday.

“La startup è affidata al giornalista Dario Prestigiacomo, in Citynews dal 2017, quando, sempre da Bruxelles, contribuisce alla nascita e in seguito coordina il progetto EuropaToday. La redazione è completata da un gruppo di giovani giornalisti: Laetitia Menet, Léa Delaplace, Jamila Saïdi M’Rabet, Jérémie de Weck, Eleonora Mureddu e Margot Houget. «Questo è il primo passo verso l’internazionalizzazione di Citynews che, nei nostri piani, prevede un’ulteriore espansione in Belgio entro la fine dell’anno, con altre aperture»”.


domenica 26 Gennaio 2025

I giornali americani e Trump, e una montagna

Il sistema dei mezzi di informazione statunitensi tradizionali è ancora in una situazione di grande confusione rispetto a come affrontare la nuova presidenza Trump. Molte aziende sembrano stavolta più impensierite dal potere, dal consenso e dalle minacce di Trump che motivate dal proprio ruolo di “sorveglianza e opposizione al potere”, e gli approcci finora sembrano più prudenti e rispettosi, con condiscendenze che da altre parti sono state accusate di pavidità, e diversi riposizionamenti.
È ancora presto per giudicare, nelle prossime settimane racconteremo le scelte più evidenti delle singole testate. Tra i vari adattamenti concreti è interessante segnalare che l’agenzia Associated Press – titolare delle “regole di stile” più prese a modello nella scrittura editoriale statunitense – ha deciso di adeguarsi alla scelta dell’amministrazione Trump di tornare a chiamare Mount McKinley la montagna più alta degli Stati Uniti, accantonando il suo nome “nativo” Denali che era stato deciso dalla presidenza Obama nel 2015, aderendo alla volontà della maggioranza degli abitanti dell’Alaska, dove si trova la montagna. Associated Press ha invece aggiunto che continuerà a chiamare “Golfo del Messico” quello che Trump ha fatto ribattezzare “Golfo d’America”, spiegando che la scelta sulla sua denominazione è più antica e non riguarda solo gli Stati Uniti.


domenica 26 Gennaio 2025

Quattro

Il Tirreno , quotidiano di Livorno, ha un nuovo direttore, Cristiano Meoni, che sostituisce Cristiano Marcacci, in carica da un anno. Un laconico comunicato dell’editore – che è sembrato volersi dire spiazzato – ha annunciato che Marcacci ha chiesto di non rinnovare il contratto, ma che resterà al giornale come vicedirettore. Meoni è il quarto direttore del Tirreno in poco più di quattro anni, da quando il giornale è stato acquistato dal gruppo SAE.


domenica 26 Gennaio 2025

Vince Harry, scappa il Sun

Il principe britannico Harry si è accordato all’ultimo momento con il grande gruppo editoriale internazionale di proprietà di Rupert Murdoch che pubblica tra le altre cose il tabloid londinese Sun. Significa che non ci sarà il processo che stava per iniziare in cui il Sun – assieme al settimanale News of the World, poi chiuso – era accusato di una serie di pratiche illegali di sorveglianza e violazione della privacy del principe Harry, nell’ambito di un famoso scandalo che quattordici anni fa aveva travolto molte testate britanniche.
Harry ha ottenuto un risarcimento di cui non è stata comunicata l’entità ma che si è capito che sarà enorme (alcune fonti hanno parlato di oltre dieci milioni di sterline), insieme a una dichiarazione di scuse e di ammissione di colpa da parte dell’editore News UK.
Tra i commenti sull’accordo ci sono naturalmente molte considerazioni sulla “capitolazione” del Sun, ma anche accuse nei confronti di Harry per avere rinunciato a un processo – che avrebbe potuto essere molto costoso e con esiti insicuri  – in cui le pratiche scorrette del Sun avrebbero potuto essere esposte pubblicamente, concorrendo a rafforzare le molte altre cause ancora in corso contro il giornale.
Una ricaduta che ha interessato le redazioni americane è che l’annullamento del processo eviterà anche che possano emergere ulteriori informazioni sulle accuse di avere lavorato per insabbiare lo scandalo nei confronti di Will Lewis, che allora era direttore generale di News UK e oggi è amministratore delegato – molto contestato dalla redazione – del Washington Post.


domenica 26 Gennaio 2025

Charlie, che tempo fa

I molti sconvolgimenti mondiali di questi tempi stanno normalizzando molte cose che ci sarebbero sembrate impensabili solo una quindicina d’anni fa, quando i cambiamenti digitali e la politica internazionale sembravano ancora promettere sviluppi di progresso civile, di convivenza e di giustizia in linea con quelli dei sessant’anni precedenti.
I giornali – nelle loro varie forme contemporanee – sono stati travolti sia dalle proprie crisi economiche che dall’incapacità di adeguare le loro letture agli sconvolgimenti suddetti, presi tra due estremi: il cercare di applicare canoni di giudizio e analisi novecenteschi a mondi completamente nuovi – e dunque con esibita meraviglia e incredulità – e l’immergersi nei mondi nuovi con la competenza e contemporaneità che il giornalismo dovrebbe avere, e dunque trattandoli come se fossero “normali”.

In questo frullatore che ha riguardato molti aspetti diversi dell’informazione, sta venendo particolarmente frullata la questione climatica e ambientale, che sembra molto scesa nelle agende e nelle priorità anche dei mezzi di informazione che ne avevano infine intuito sia l’importanza oggettiva che l’interesse per i lettori. Ma quell’interesse – che era sempre stato difficile da ottenere – si è apparentemente smorzato, per ragioni psicologiche, sociologiche e culturali: altre priorità hanno forze molto maggiori per la maggioranza delle persone, e strumentali opposizioni alle preoccupazioni ambientali – nei media, nelle aziende, nella politica – hanno fatto un gran lavoro per screditarle o indebolirle, quelle preoccupazioni.

Il risultato è che, al momento, i rischi ambientali non sono più un argomento maggiore sui giornali, se non nella forma puntuale delle loro singole manifestazioni, l’ultima a Los Angeles: una sorta di sfondo inevitabile a cui ci stiamo abituando, al massimo capace di alimentare le ordinarie e quotidiane partigianerie politiche. La fine del mondo è ancora troppo lontana e lenta per sopravvivere nelle necessità precipitose dell’informazione: sia in quelle di chi l’informazione la produce che in quelle di chi la riceve.

Fine di questo prologo.


domenica 19 Gennaio 2025

Cuzzocrea rincasa

Annalisa Cuzzocrea, nota e apprezzata giornalista politica che negli scorsi anni ha avuto anche frequenti visibilità televisive, ha annunciato che tornerà al quotidiano Repubblica dopo tre anni da vicedirettrice alla Stampa (i due giornali appartengono allo stesso gruppo editoriale GEDI), dove era stata invitata dall’allora direttore Massimo Giannini, sostituito un anno fa da Andrea Malaguti.

Invece, un aggiornamento dal periodo delle feste che avevamo colpevolmente dimenticato la settimana scorsa: Paolo Condò, uno dei più esperti e stimati giornalisti sportivi italiani, ha lasciato Repubblica per andare al Corriere della Sera.


domenica 19 Gennaio 2025

Opinioni

L’osservatorio di Charlie sulle contaminazioni delle pagine “giornalistiche” dei quotidiani da parte dei contenuti promozionali delle aziende e degli inserzionisti questa settimana ha registrato la più rara invasione – rispetto alla frequenza con cui avviene per esempio nelle pagine dell’Economia o della Moda – della sezione dei Commenti, sul Sole 24 Ore, di un articolo celebrativo dell’azienda Pirelli e di una propria iniziativa di sponsorizzazione.

“Gli Australian Open «sono un’occasione di visibilità molto rilevante grazie all’attenzione che il tennis riceve a livello globale», ha commentato il Ceo di Pirelli, Andrea Casaluci, nell’annunciare l’accordo siglato con il primo Slam della stagione, di cui l’azienda diventa Official Tyre Partner. «Questa sponsorizzazione contribuirà ad aumentare la conoscenza del nostro marchio in Australia, un mercato con un’alta concentrazione di auto prestige», ha aggiunto.
Certamente l’avere Jannik Sinner numero uno del mondo e campione in carica a Melbourne (con una crescita del 100% anno su anno della copertura televisiva del torneo in Italia, che oggi è tra i primi cinque mercati di riferimento per la manifestazione) ha il suo peso. Le ragioni di questa scelta, va da sé, sono dettate certamente da oggettive valutazioni di marketing e strategie di comunicazione. Tuttavia il tennis è nella storia e nella cultura di Pirelli, capace di intercettare sensibilità e passioni, di leggere quel che si muove nella società e di accompagnare un fenomeno avvalendosi delle voci e degli strumenti più avanzati.
[…] Pirelli, che tra gli anni Settanta e Ottanta ha gradualmente abbandonato il business dei prodotti diversificati (dalle palline da tennis agli impermeabili, dai giocattoli ai battelli) per puntare esclusivamente sulla produzione di pneumatici, torna ora ad affacciarsi sui campi di uno Slam, in altra veste, continuando a credere nello sport”.


domenica 19 Gennaio 2025

L’album delle figurine Pitti

È stata la settimana della tradizionale fiera della moda fiorentina che si chiama Pitti Uomo, e che per i due maggiori quotidiani italiani – quelli che raccolgono la grande maggioranza degli investimenti pubblicitari, soprattutto della moda – significa, ogni anno di più, ospitare un grande numero di inserzioni a pagamento da parte di aziende di abbigliamento maschile accanto a pagine dedicate ricche di articoli che promuovono le stesse aziende. Per riuscire a dare soddisfazione a tutte la scelta è di pubblicare soprattutto molte piccole immagini fornite dalle aziende, a volte rappresentanti gli stessi prodotti mostrati nelle pubblicità, con un effetto particolarmente affollato variopinto.


domenica 19 Gennaio 2025

Lezioni dalla Cina

Sul Foglio di martedì scorso Giulia Pompili – la giornalista che con maggiore competenza e preoccupazione si occupa di questo argomento – ha raccontato un nuovo caso di rischio di influenza indebita del governo e delle aziende cinesi nelle attività dei giornali italiani. Un corso organizzato a Roma in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti “in cui tra le diverse sessioni di “studio” l’ospite d’onore, l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide, offriva “una panoramica della situazione della Cina e dei rapporti con l’Italia””. L’articolo critica l’indulgenza del giornalismo italiano nell’accogliere i rappresentanti di un regime autoritario e liberticida e nel riferire delle sue vicende, regime che perseguita la libertà di stampa e d’opinione: ma è un’indulgenza che – per ragioni di interesse economico soprattutto – si vede anche in altri ambiti di relazioni con l’Italia.

“Perché con la leadership di Xi Jinping il controllo del Partito nei confronti dei media si è rafforzato ulteriormente, e la funzione dei giornali è per lo più quella di pubblicare la propaganda: nel 2023 è stato introdotto in Cina il corso obbligatorio sul “pensiero di Xi Jinping” per gli aspiranti giornalisti, e in ogni occasione il leader riafferma la necessità, per i reporter cinesi, di “rafforzare la propaganda” anche fuori dai confini nazionali. Pechino ci ha provato spesso anche con l’Italia: nel 2019 è stato firmato un contratto fra l’Ansa e l’agenzia di stampa statale Xinhua, poi revocato un anno dopo a seguito di diverse critiche  – nell’accordo l’Ansa non doveva far altro che tradurre in italiano la Xinhua, megafono della propaganda di Pechino. Il contratto di Xinhua ora è in essere con l’agenzia italiana Nova. E a quello vanno aggiunti gli accordi di pubblicazione di inserzioni non indicate esplicitamente e allegati, una pratica che in Europa già da tempo molti giornali hanno smesso di seguire. Anche questo giornale ha subìto le intimidazioni di rappresentanti dell’ambasciata della Repubblica popolare in Italia”.


domenica 19 Gennaio 2025

Riveting

Gli sviluppi di questa settimana al Washington Post – che sta passando un periodo complicato di fallimenti commerciali all’esterno e tensioni interne – sono: che 400 giornalisti hanno firmato una lettera che chiede all’editore Jeff Bezos di andare a parlare con la redazione della situazione; e che la dirigenza dell’azienda sta progettando una nuova “linea” di comunicazione delle priorità del giornale. Sembra che lo slogan “Democracy dies in darkness” sotto la testata – introdotto con la prima elezione di Donald Trump – sarà mantenuto, ma che come indirizzo da trasmettere all’interno si voglia adottare la frase “Riveting storytelling for all of America”, Storie avvincenti per tutta l’America. Lo stesso Bezos, riferisce il New York Times , avrebbe espresso il desiderio che il giornale sia un giornale per tutti, citando come esempio di lettori da raggiungere “i vigili del fuoco di Cleveland”.
Nel frattempo proseguono le uscite dal giornale di giornalisti importanti e stimati: l’ultima annunciata è stata quella di Philip Rucker, capo delle cronache nazionali, al Washington Post da vent’anni.


domenica 19 Gennaio 2025

I quotidiani a novembre

Sono stati pubblicati i dati ADS* di diffusione dei quotidiani nel mese di novembre 2024.
Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 158.785 (-6%)
Repubblica 85.000 (-7%)
Stampa 58.912 (-13%)

Sole 24 Ore 51.229 (-6%)
Resto del Carlino 46.782 (-10%)
Messaggero 41.222 (-10%)
Gazzettino 31.306 (-9%)
Nazione 30.830 (-9%)
Dolomiten 26.580 (-5%)
Giornale 25.257 (-8%)
Fatto 25.040 (-38%)
Messaggero Veneto 22.190 (-11%)
Unione Sarda 20.743 (-8%)
Eco di Bergamo 20.233 (-11%)
Verità 19.844 (-7%)
Secolo XIX 19.230 (-8%)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.659 (-7%)
Avvenire 14.194 (-3%)
Manifesto 13.147 (+2%)
ItaliaOggi 5.549 (-35%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Novembre è stato un mese migliore del solito (forse anche per l’attenzione intorno alle elezioni statunitensi: un articolo del quotidiano ItaliaOggi cita anche come fattore possibile il “weekend in più” rispetto all’anno precedente), con una perdita annuale media delle prime dieci testate calata di quasi due punti all’8,4%: la si può usare grossolanamente per valutare i risultati di ciascuna relativamente alle altre. In questo senso il Corriere della Sera continua ad andare meglio di tutti tra le testate maggiori (sempre assieme al Sole 24 Ore), ma questo mese per la prima volta da molto tempo anche la perdita di Repubblica è minore della media: novembre è stato il primo mese completo con la nuova direzione di Mario Orfeo.
Continua invece ad andare assai peggio della media la Stampa, mentre ricordiamo che è poco coerente il grande calo annuo del Fatto e lo sarà ancora per un altro mese, per via di una variazione del prezzo di copertina alla fine del 2023 che aveva escluso da questo conteggio – perché a prezzo troppo scontato – una quota degli abbonamenti digitali.

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 47mila – avendone aggiunti più di 10mila negli ultimi cinque mesi – , il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 27mila, come detto sopra, Repubblica quasi 16mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese, e poi la variazione percentuale rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 45.133 (-50) +4,4%
Sole 24 Ore 22.188 (-9) -3%
Repubblica 21.381 (-85) -7,5%
Manifesto 7.017 (+36) +7,6%
Stampa 6.678 (-2) -23,8%
Fatto 6.346 (+18) -67,8%
Gazzettino 5.701 (+50) -7,9%
Messaggero 5.449 (+62) -8,3%

I dati mensili sono molto alterni per ogni testata, crescono o calano ogni mese, suggerendo una grande volatilità degli abbonamenti di durata mensile, spesso comprati in prova e poi non confermati. Ma come si vede i progressi annuali degli abbonamenti digitali non sono rassicuranti per nessuno salvo che per il Manifesto e per il Corriere della Sera (che però non compensa lontanamente le perdite delle copie cartacee). Il dato del Fatto, come già detto, è imparagonabile ancora per un mese.
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente molto più economici – ai contenuti dei loro siti web.

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali meno piccoli le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono questo mese di nuovo della Sicilia (-15%) e del Piccolo di Trieste (-14%).

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)

Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.


domenica 19 Gennaio 2025

Specchio dei tempi

Il sito del tabloid britannico Daily Mirror ha introdotto una pratica che era stata molto considerata nel primo quindicennio del secolo e adesso suona anacronistica, ma ha delle spiegazioni contemporanee: la creazione di obiettivi di visualizzazioni per gli articoli da assegnare ai propri giornalisti. Secondo quello che ha raccontato il sito PressGazette gli obiettivi vanno dalle 250mila al milione di visualizzazioni a seconda dei giornalisti (obiettivi molto alti) e in caso di mancato raggiungimento sarebbero previsti soltanto dei confronti su come migliorare i risultati, ma è anche vero che alcune collaborazioni sono state eliminate proprio perché non facevano sufficiente traffico.
La scelta riflette due tendenze del presente di alcune imprese giornalistiche: una riguarda le non poche testate che non sono riuscite finora a spostare le proprie priorità di business sugli abbonamenti (di solito per insufficiente competitività della propria produzione giornalistica e/o debole legame coi lettori) e quindi continuano a dover investire molto sui declinanti ricavi pubblicitari; l’altra è la necessità di attenuare le perdite di ricavi pubblicitari conseguenti al minor traffico generato da Google e Facebook, che in questi ultimi due anni stanno sempre più riducendo le proprie attenzioni alle news.
Naturalmente è difficile che la qualità dell’informazione benefici della priorità data al traffico e ai click: ma stiamo parlando comunque di un quotidiano appartenente alla categoria dei tabloid britannici, in cui la qualità, l’etica e l’accuratezza non hanno mai governato le scelte. Questa è la homepage del Mirror.


domenica 19 Gennaio 2025

Charlie, tendere la mano quando affoghi

In questi mesi il Washington Post, una delle più note e autorevoli testate giornalistiche del mondo, è protagonista di vicende eccezionali ma anche illuminanti ed esemplari non solo per il sistema dell’informazione – per “il dannato futuro dei giornali” – ma anche in generale per i cambiamenti nelle nostre società. Chi segue Charlie conosce le puntate precedenti, e qui sotto ce ne sono di nuove, ma anticipiamo in questo prologo l’indirizzo che sembra voler prendere la proprietà del giornale secondo un articolo uscito giovedì sul New York Times: ovvero di accantonare la scelta battagliera in difesa della democrazia dell’ultimo decennio, quella che negli Stati Uniti divisi dichiarava chiaramente da che parte stare, in favore di un maggior ecumenismo, rappresentato dallo slogan “Riveting storytelling for all of America”: grossomodo “storie avvincenti per tutta l’America”.

C’è molto da notare in questa formula, a cominciare dall’uso dei termini “riveting” e “storytelling” al posto di qualunque citazione di “giornalismo” o “informazione” o “news”, nel solco di una tendenza contemporanea che muove molti giornali verso la creazione di emozioni e di “narrazioni” per essere competitivi con le dinamiche prevalenti sui social network.
Ma visto da qui, è anche interessante notare come questa storia non suoni nuova: “un giornale meno ideologico”, che parli a tutti, “che non divida il mondo nelle vecchie categorie destra-sinistra”, sono gli annunci con cui Maurizio Molinari presentò i cambiamenti di Repubblica quando ne venne nominato direttore quattro anni fa. Poi sappiamo com’è andata: perdita di giornalisti importanti, grossa perdita di copie vendute, sconfitta nella competizione con la testata concorrente, tensioni nella redazione, tutto infine culminato nella sostituzione del direttore qualche mese fa, e nella faticosa ricerca di una ricostruzione di identità, tuttora con la proprietà poco convinta.

Naturalmente i contesti hanno le loro sensibili differenze, ma le similitudini possono far dire un paio di cose. La prima è che emanciparsi dalle partigianerie correnti in un progetto giornalistico può essere un’ottima e benintenzionata idea se sei credibile, e se sei più credibile dei tuoi concorrenti più forti. E se hai poco da perdere: un conto è proporre un progetto nuovo, assai più difficile è sradicare un’identità e rimpiazzarla con una nuova. Nessuno dei rari successi editoriali di questi anni, ci pare, viene da un ribaltamento del posizionamento di una testata storica.
La seconda è che emanciparsi dalle partigianerie correnti può essere una credibile e benintenzionata idea se avviene quando la tua parte è vincente e sceglie di usare il suo potere per attenuare le partigianerie suddette e dedicarsi a unire: se avviene invece quando la tua parte ha perso, come in entrambi i casi paragonati, il dubbio sul disinteresse e la buona fede – che si tratti di Exor o di Bezos, con le rispettive priorità di relazioni con i governi – diventa inevitabilmente sostanzioso, e spesso confermato dai fatti.

Fine di questo prologo.


domenica 12 Gennaio 2025

Benvenuti, benvenute, ben rimasti e ben rimaste

Dall’introduzione del suo progetto di abbonamenti, nel 2019, il Post ha scelto di tenere accessibile e gratuito il proprio lavoro primario e originale di informazione, quello del sito e dei suoi contenuti. E di offrire a chi si abbona l’incentivo – e il grato compenso – di ulteriori progetti giornalistici nella forma di podcast e di newsletter. Dall’inizio del 2025 anche la newsletter Charlie – dopo oltre quattro anni in cui si è fatta conoscere e apprezzare da alcune decine di migliaia di persone – entra nell’offerta dedicata ad abbonati e abbonate. Grazie a chi c’era, grazie a chi arriva ogni giorno.


domenica 12 Gennaio 2025

Quindici anni

Dal 19 aprile il nuovo direttore responsabile del Post sarà Francesco Costa, che prenderà il ruolo che per quindici anni – ovvero dalla creazione del giornale – ha avuto Luca Sofri. Quest’ultimo continuerà a guidare il più ampio progetto giornalistico del Post con il titolo di direttore editoriale. La scelta è stata raccontata da entrambi qui.


domenica 12 Gennaio 2025

L’Ordine interviene

L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha “comminato la sanzione della censura” al direttore del Giornale Alessandro Sallusti, per un titolo offensivo dedicato allo scrittore Antonio Scurati pubblicato dal quotidiano Libero nel 2022, quando Sallusti dirigeva Libero.
Se ve lo chiedete, la “sanzione della censura” è priva di conseguenze: può portare alla sospensione in caso di reiterazione.


domenica 12 Gennaio 2025

Matrimoni che non lo erano

Un altro incidente di scarse verifiche e utilizzo di fonti inaffidabili è capitato ad alcuni quotidiani e siti italiani alla fine dell’anno. È utile per ricordare come i tabloid britannici vadano ripresi con cautela e diffidenza, mentre molte redazioni li usano con frequenza e leggerezza. RepubblicaMessaggero altri hanno dato notizia di uno spettacolare matrimonio programmato il 28 dicembre ad Aspen da parte di Jeff Bezos, fondatore e proprietario di Amazon, e della sua fidanzata Lauren Sanchez. La notizia era stata data per primo dal quotidiano Daily Mail. Jeff Bezos l’ha smentita dopo poche ore.
Il Daily Mail ha corretto il suo articolo, le testate italiane finora no.


domenica 12 Gennaio 2025

Sembra passato un secolo

A fine anno il Post aveva pubblicato la tradizionale lista del centinaio di prime pagine più interessanti, rappresentative, particolari del 2024. Ma col tempo diventano più affascinanti ancora le raccolte degli anni passati.


domenica 12 Gennaio 2025

Punti di vista

Prima delle vacanze Charlie aveva raccontato la teatrale condizione delle proprietà calcistico-giornalistiche tra i maggiori quotidiani italiani e le due squadre di Torino, e le ricadute di questa anomalia sulla copertura dei risultati delle suddette squadre. In particolare sulle delicate vicende della squadra del Torino, e delle frequenti contestazioni dei tifosi verso il presidente Urbano Cairo, che è pure editore del Corriere della Sera.
Dieci giorni fa, dopo che il Corriere aveva molto evitato di riferire quelle contestazioni – riportate invece con grande visibilità dai quotidiani Repubblica Stampa, di proprietà della stessa famiglia che possiede la squadra rivale della Juventus -, la Gazzetta dello Sport – altro quotidiano di Cairo – ha scelto di raccontare ai propri lettori gli “slogan pro-società” e i “volantini dei tifosi granata che dicono «Cairo non mollare»”.


domenica 12 Gennaio 2025

My mistake

Il sito di news americano Semafor ha pubblicato alla fine dell’anno un’interessante raccolta di considerazioni da parte di molti giornalisti (tra cui Francesco Costa del Post) sulle cose su cui si erano sbagliati nel 2024. Sono quasi tutti statunitensi e le ammissioni riguardano soprattutto le elezioni presidenziali, ma è un utile esercizio – non solo per i giornalisti – di revisione e autocoscienza sulla propria fallacia.


domenica 12 Gennaio 2025

L’importante è esagerare

L’inclinazione all’enfasi e al sensazionalismo nelle titolazioni dei quotidiani italiani incontra visibili complicazioni a proposito delle guerre, dove le notizie sono già eccezionali e drammatiche per definizione. Nel caso dell’invasione russa in Ucraina le direzioni per alzare la quota di attenzione da parte dei lettori sono quindi due, opposte: una è drammatizzare ulteriormente una notizia che è già “guerra al centro dell’Europa”, e quindi evocare ciclici allarmi di “attacchi nucleari” o di “guerre mondiali” da parte della Russia, come i quotidiani fanno dall’inizio della guerra; l’altra è cercare l’eccezionalità in senso opposto e suggerire improvvise opportunità di pace, come ha cominciato ad accadere sulle prime pagine da un certo punto in poi.
Nelle scorse settimane entrambe le pratiche si sono manifestate in modi palesemente infondati. Più di un quotidiano ha distorto dichiarazioni di Putin o di Zelensky suggerendo ai lettori che accordi e prospettive di fine della guerra fossero prossimi e realistici: come sappiamo, nessuno di quei titoli era vero, e ne leggeremo ancora. Alternati a quelli sulla guerra mondiale.

Naturalmente nessuno di questi due opposti scenari è da escludere: ma il modo con cui i giornali li presentano non deriva da una eventuale concretezza in quel momento dei suddetti scenari, ma dall’obiettivo di ottenere l’attenzione da parte dei lettori, attraverso esagerazioni e pretesti.


domenica 12 Gennaio 2025

Va via la direttrice dello HuffPost americano

Giovedì si è dimessa Danielle Belton, che era direttrice dello HuffPost americano dal 2021: in una lettera commossa alla redazione ha spiegato di avere partecipato alla decisione di significative riduzioni del numero dei dipendenti, e di non potersi sottrarre a queste riduzioni.
Lo HuffPost è in crisi da diversi anni, crisi non superata dopo essere stato acquisito da Buzzfeed, l’altro dei più innovativi progetti giornalistici digitali di inizio millennio.


domenica 12 Gennaio 2025

La fine di Metro

Dopo 25 anni ha chiuso il quotidiano Metro, edizione italiana di un originario progetto internazionale nato negli anni delle ottime prospettive della “free press” cartacea, ma alla vigilia del declino dei prodotti giornalistici basati solo sulla pubblicità. Il sito è già stato cancellato.
“Il comitato di redazione del quotidiano gratuito Metro ha fatto sapere che il giornale smetterà di essere pubblicato, sia in forma cartacea che online (sul sito metronews.it). Ai giornalisti è stato comunicato lunedì 23 dicembre dalla New Media Enterprise, la società editrice del giornale. Metro era in crisi da tempo, aveva cambiato più volte proprietà e dal 2012 aveva considerevolmente ridotto il suo organico, chiudendo alcune delle sue edizioni locali.
Metro è stato uno dei primi giornali gratuiti, o freepress, pubblicati in Italia: la prima edizione italiana, quella di Roma, cominciò a essere stampata nel 2000. È probabilmente familiare a molte persone che vivono in grandi città del nord e del centro, dove è stato a lungo distribuito in zone molto frequentate, per esempio alle fermate della metropolitana o di altri mezzi pubblici”.


domenica 12 Gennaio 2025

Dollari canadesi

L’annoso confronto tra i giornali e Google in Canada – esemplare di un confronto che riguarda diversi paesi del mondo, senza essere arrivato a quei livelli – ha avuto uno sviluppo dieci giorni fa: Google ha pagato cento milioni di dollari canadesi (circa 70 milioni di euro) a un fondo che li distribuirà tra diverse aziende giornalistiche, obbedendo così a una legge dell’anno scorso approvata per “compensare” gli editori dei successi economici che Google otterrebbe grazie alla diffusione dei contenuti dei giornali. La legge riguarda Google e Meta, che però ha scelto di smettere di promuovere i suddetti contenuti sui propri social network.
Secondo delle prime stime le aziende potrebbero ricevere l’equivalente di circa 10mila euro per ogni giornalista impiegato. Ma la corrispondenza ai criteri è ancora in corso di valutazione. Secondo la legge le testate coinvolte devono operare in Canada, impiegare almeno due giornalisti, appartenere a un’associazione giornalistica riconosciuta e produrre news di interesse generale o di attualità ma non solo su un settore (come lo sport o lo spettacolo).


domenica 12 Gennaio 2025

In un angolo dimenticabile di questa storia

Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha spiegato giovedì l’eccezionale condizione in cui si è trovato il giornale durante le tre settimane del sequestro di Cecilia Sala in Iran, e le scelte che ha fatto.

“La condizione ulteriormente particolare per il Post è stata che attraverso Daniele Raineri – compagno di Sala e giornalista del Post da quattro mesi, dopo alcuni anni a Repubblica e prima ancora un lungo periodo al Foglio – il Post ha avuto dal primo momento accesso a informazioni aggiornate su quello che stava succedendo, almeno per quanto era possibile sapere. Questo non solo ha messo Daniele in una situazione delicata rispetto al proprio doppio ruolo di famiglia dell’ostaggio e di giornalista (e il Post in un conflitto di interessi sulla divulgazione di informazioni), ma ha generato all’esterno la convinzione fondata che quello che avrebbe e che ha scritto il Post fosse più attendibile, di prima mano e garantito, nella vaghezza delle cose che venivano scritte. E ha fatto sì che persino ogni singolo tweet o impressione trasmessi all’esterno dalle persone del Post rischiassero di essere interpretati in maniere ambigue o equivoche, in quanto legati a una conoscenza o a un’agenda particolari”.

Sabato anche il Foglio ha condiviso – in un articolo più personale di Paola Peduzzi – le proprie riflessioni e scelte intorno al sequestro di Sala e al suo racconto da parte del giornale.

“Le risposte di questa nostra rete di sostegno e consigli al messaggio “she’s free” dell’8 gennaio sono la sintesi di quel che il Foglio ha fatto durante i 21 giorni della detenzione di Cecilia. Gliele ho raccontate, assieme agli incoraggiamenti, alle domande impossibili e ai piccoli momenti comici che inevitabilmente ci sono quando provi a spiegare agli americani come funzionano i media italiani, il silenzio, il rumore, il coordinamento, la fretta nel dare mezze notizie, lo sforzo di non darne nessuna pur avendola, l’uso dei virgolettati, la nostra responsabilità: abbiamo riso, sedute allo stesso tavolo”.


domenica 12 Gennaio 2025

Il 2025 del Washington Post parte male

Le ultime sulla scelta del nuovo direttore del Washington Post – dopo i grandi travagli dell’anno passato – sono che l’editore Jeff Bezos e il CEO Will Lewis penserebbero di fare finta di niente e mantenere come direttore il “direttore ad interim” Matt Murray, senza particolari annunci. Almeno questa è la versione raccontata con cautela giovedì nella sua newsletter sui media da Oliver Darcy, e riportata anche da altre fonti: lo avrebbe detto informalmente in redazione lo stesso Murray.

Martedì il Washington Post aveva annunciato il licenziamento di circa cento persone, il 4% dei dipendenti: non nella redazione ma nelle sezioni di business e commerciali dell’azienda, soprattutto nella pubblicità.

A mettere un altro incidente simbolico sulla perdita di credibilità del giornale negli ultimi mesi è stata poi la scelta di non pubblicare una vignetta che criticava l’atteggiamento servile dei ricchi imprenditori digitali – tra i quali un riconoscibile Jeff Bezos – nei confronti del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L’autrice della vignetta, Ann Telnaes, si è dimessa: collaborava col Washington Post dal 2008.


domenica 12 Gennaio 2025

Si fa presto a dire abbonàti

Da quando i giornali hanno spostato in misure crescenti le loro sostenibilità economiche sugli abbonamenti digitali, il dato sugli abbonati è diventato sempre più rilevante per mostrare la salute economica di una testata e il suo eventuale successo: sia presso i lettori che presso gli inserzionisti pubblicitari.
In quasi nessun paese, però, e neanche in Italia, esiste un organismo terzo di certificazione del numero degli abbonamenti venduti, come ne esistono per esempio per certificare la diffusione e la vendita delle copie cartacee. In Italia ADS indica – avendo come fonte i giornali stessi – gli abbonamenti alle sole edizioni digitali dei quotidiani cartacei: ovvero le versioni sfogliabili sugli apparecchi come smartphone e tablet. Restano fuori da questa certificazione tutti gli abbonamenti ai siti di news, sia che si tratti di siti di testate cartacee che di giornali solo online. Per questo i dati che circolano e che vengono a volte citati sono quelli che le singole testate decidono di raccontare all’esterno, senza particolari verifiche.

Ma l’altro elemento che rende vaghi e sommari questi dati è che “abbonati” è una definizione che comprende molte condizioni diverse. Innanzitutto condizioni di pagamento: se prendiamo il caso del Post le alternative sono solo due (abbonati mensili a 8 euro o abbonati annuali a 80 euro), ma la gran parte dei siti più famosi offre abbonamenti di durate molto più varie e con promozioni e sconti di diversa misura. Molti offrono anche promozioni personalizzate quando un abbonato decide di cancellare l’abbonamento, o in altri contesti. E per valutare il successo di una campagna di abbonamenti sapere quanti abbonati hanno pagato 200 euro per un anno e quanti 5 euro per un trimestre in prova può essere utile.
Ci sono poi le condizioni di scadenza e di pagamento degli abbonamenti in questione: molti abbonati hanno attivato (o viene attivato dal sito) il “rinnovo automatico”, che crea un valore in più. Significa che potenzialmente il loro abbonamento avrà una durata maggiore della sua scadenza, e che sarà più probabile che rimangano nel conteggio totale degli abbonati. Altri abbonati invece no, e quindi la loro appartenenza al “totale degli abbonati” è del tutto temporanea. In teoria, estremizzando, un sito di news che abbia cinquantamila abbonati oggi potrebbe averne zero tra un anno (o persino tra un mese), se nessuno rinnovasse. Quindi dentro il “totale degli abbonati” di oggi ce n’è una quota che va in scadenza e sarà persa domani, una quota che sarà persa tra un mese, una quota che sarà persa tra un anno.
È uno sviluppo continuo e quotidiano, che i responsabili degli abbonamenti chiamano “churn”: è il termine che definisce la quota di abbonati che viene persa in un dato intervallo di tempo rispetto al totale. E la sua importanza è data appunto dalla volatilità di una parte degli abbonamenti, soprattutto quelli ottenuti attraverso sconti e promozioni.
A questa percentuale precaria di abbonati, come abbiamo detto, va aggiunta una quota che non sta pagando quell’abbonamento promozionale (oppure offerto assieme a un abbonamento cartaceo), una quota che lo sta pagando pochissimo, eccetera. Per questo i numeri totali e generici di “abbonati” citati dalle testate avrebbero bisogno di maggiori definizioni e dettaglio per essere valutati.


domenica 12 Gennaio 2025

Charlie, cose non dette

Nella sua conferenza stampa “di fine anno” (che si è tenuta poi lo scorso giovedì) la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha mostrato una particolare sofferenza per le cose che legge sui quotidiani, premettendo a molte risposte date ai giornalisti un fastidio per quello che legge in giro rispetto a ciascun argomento, e che ritiene falso o inventato. Il fastidio è sembrato sincero e scorato, confermando l’intensità dei rapporti tra la politica romana e il giornalismo tradizionale: intensità per cui la persona a capo del governo – impegno che si immagina dia pensieri maggiori – ammette come sua principale afflizione la parte della giornata che dedica a leggere i giornali.
Questa newsletter forse beneficerebbe di una sua collaborazione.

Ma facendo comunque la tara a questa particolare sensibilità, vale la pena usarne un passaggio per ricordare una delle tante depravazioni della consuetudine giornalistica italiana: «mi capita sempre più frequentemente di trovare virgolettate sui giornali dichiarazioni che mi vengono attribuite di cose che non solo non ho mai detto ma non ho mai pensato». Pensieri a parte, quanto sia fondata questa contestazione non c’è bisogno di argomentarlo: ma per soprammercato lo ha dimostrato il silenzio del presidente dell’Ordine dei giornalisti che conduceva la conferenza stampa accanto a Meloni e che non ha azzardato nessuna difesa né nessuna smentita a nome della categoria che rappresenta (a cui Meloni aveva appena contestato addirittura di “riportare fatti che non sono avvenuti”).
Ecco, quel silenzio è quello che circonda la quotidiana falsificazione dei virgolettati nei giornali italiani, ovvero il giornalismo che trasmette “fatti alternativi” – come disse Kellyanne Conway, allora consigliera del presidente Trump – al posto della realtà.

Fine di questo prologo.


domenica 22 Dicembre 2024

Buone feste

Questa è l’ultima newsletter del 2024. Charlie tornerà per gli abbonati e le abbonate del Post il 12 gennaio. Un saluto riconoscente anche a chi deciderà di non riceverla più, speriamo di avere raccontato in questi anni qualcosa di utile anche a voi.


domenica 22 Dicembre 2024

Notizie che non lo erano

Francesco Costa nel podcast del Post “Morning”, Sofia Ventura sullo Huffington Post e un articolo su Linkiesta, hanno spiegato l’invenzione di alcuni quotidiani italiani, lunedì scorso, rispetto a una presunta dichiarazione di “resa” da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky nei confronti della Russia. Dichiarazione stravolta su quei quotidiani rispetto al suo significato originale, e infatti inesistente sulla stampa internazionale.


domenica 22 Dicembre 2024

À la une

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato sul suo sito un’affascinante creazione grafica che mostra quali paesi stranieri hanno avuto maggior spazio sulle sue prime pagine ogni mese dal 1944 a oggi. Il primato è stato dell’Italia a dicembre 1975, a marzo e ad agosto del 1976, a ottobre del 1985, a ottobre del 1995, a ottobre del 1998, a luglio del 2000, a luglio del 2001, a gennaio del 2002, a febbraio e aprile del 2006, a febbraio del 2013, a ottobre del 2014, a maggio e giugno del 2018, a febbraio del 2019 e a marzo del 2020. Durante le vacanze di Natale potete provare a indovinare perché.


domenica 22 Dicembre 2024

L’editore del Foglio

Valter Mainetti, editore del Foglio, è indagato per bancarotta rispetto alla sua attività principale di imprenditore nel business immobiliare. Ne ha scritto Repubblica mercoledì in un articolo poi ripreso anche da altre testate.

“Un fondo immobiliare, una società che fallisce e milioni di euro trasferiti tra enti previdenziali e investitori. Al centro dell’inchiesta della procura di Roma c’è Valter Mainetti, imprenditore di lungo corso e figura centrale del mondo finanziario romano. A capo di Sorgente, società specializzata nella gestione di fondi immobiliari, presidente della storica Società Italiana per le Condotte d’Acqua 1880 ed editore del quotidiano Il Foglio, Mainetti si trova ora sotto accusa per bancarotta, con un avviso di garanzia — una chiusura indagine — che getta un’ombra pesante sulla gestione della società Afdera srl”.

«Sono sicuro di poter chiarire facilmente tutta la vicenda, che risale a nove anni fa, producendo una documentazione e rendendomi disponibile ad un eventuale interrogatorio», ha detto Mainetti a Repubblica.


domenica 22 Dicembre 2024

Boiling potato

Un aggiornamento sul Washington Post e su cosa si dice delle sue traversie di cui Charlie ha ampiamente scritto nelle passate settimane: la ricerca del nuovo direttore o direttrice si sta complicando ulteriormente. Dopo le dimissioni e il passaggio al New York Times di Matea Gold, possibile candidata al ruolo, questa settimana altri due candidati hanno fatto sapere di non essere interessati: sintomo impressionante dell’aria che sta tirando intorno a una delle posizioni più prestigiose del giornalismo mondiale.
Negli ultimi giorni l’ipotesi data per più realistica è la promozione stabile a direttore del “facente funzioni” da giugno, Matt Murray.

Nel frattempo venerdì il sito Axios ha confermato un’intenzione di Kara Swisher di trovare dei soci per farsi vendere il Washington Post dal suo proprietario Jeff Bezos (il fondatore di Amazon). Kara Swisher è una giornalista molto esperta e molto stimata soprattutto nel mondo della tecnologia e del digitale, avendo seguito gli sviluppi dell’innovazione fin dal secolo scorso e avendo creato diversi ammirati progetti di informazione. Il suo progetto sul Washington Post era stato già anticipato a ottobre dalla newsletter Status.