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Michele Serra
Martedì 11 febbraio 2025

Make Europe

«La parola “again” con la quale terminano i due acronimi di Trump e Musk (Maga e Mega) gli europeisti non la devono usare. Perché non serve. Non c’è nulla di “again”, nell’Europa Unita, nessun ritorno a improbabili splendori del passato, nessuna forza ritrovata, nessun richiamo a precedenti ordini»

(Getty Images)
(Getty Images)

Sabato mattina, più o meno tra il casello di Reggio Emilia e quello di Parma, assistito dai tanti tecno-ammennicoli con i quali l’automobile sorveglia la mia guida, ho elaborato un breve piano per salvare il mondo. Questo piano prevede perlomeno una cinquantina di fasi (di step, come un tempo dicevano solamente i manager e adesso anche gli elettricisti, “il prossimo step è comperare le lampadine”. Ma scusate, già mi stavo distraendo). Dicevo, questo piano di salvezza del mondo comprende, a occhio e croce, una cinquantina di fasi. Di queste, quarantanove mi sono del tutto ignote. Tanto ignote che nemmeno ho provato a immaginarle. Ma una, la prima, la so. La so con assoluta certezza. Sono sicuro, arcisicuro che è la cosa giusta da fare, che darebbe l’abbrivio a tutto il resto, che sarebbe una maniera infallibile per cominciare a sentirci, tutti quanti, un poco meno disorientati e un poco meno spaventati. Sì, io lo conosco, il primo step per salvare il mondo, e adesso ve lo dico.

Tutte le forze democratiche del vecchio continente – tante, dunque: tanti partiti di governo e di opposizione, tante associazioni, tante personalità conosciute e rispettate, tanti intellettuali, un sacco di gente nota e ignota, un immenso esercito nemmeno poi così disperso – organizzano, nello stesso giorno in ogni capitale d’Europa, una grande manifestazione per l’unità europea. Solo bandiere blu con il cerchio di stelle gialle. Non a favore dell’Ue così com’è, ma a favore di come potrebbe diventare: Stati Uniti d’Europa.

Un paio di sere prima avevo sentito Romano Prodi, ospite di Formigli, dirlo con determinazione, perfino con ansia: l’unica via da seguire, la sola salvezza, nel nuovo mondo, è l’unità europea. Il solo slogan possibile da contrapporre a Trump e alla grande adunata dei fascisti e dei sovranisti finanziata da Musk, è Make Europe Unite. Unità europea come sola salvezza contro il nazionalismo che, circa un secolo dopo le due guerre mondiali, si sta di nuovo mangiando l’Occidente e la democrazia. Odiano qualunque entità sovranazionale, i sovranisti, vedi un po’ come trattano l’Oms, la Corte dell’Aja, la Fao, l’Onu: l’affronto supremo, per loro, soprattutto per quelli dei paesi europei, sarebbe che diventasse sovranazionale anche l’Europa.

La parola “again” con la quale terminano i due acronimi di Trump e Musk (Maga e Mega) gli europeisti non la devono usare. Perché non serve. Non c’è nulla di “again”, nell’Europa Unita, nessun ritorno a improbabili splendori del passato, nessuna forza ritrovata, nessun richiamo a precedenti ordini. Esattamente il contrario: sarebbe tutto nuovo, tutto inedito, tutto sorprendente – come quando, tanti anni fa, passai dalla vecchia dogana tra Italia e Francia, sulla statale tra Ventimiglia e il Colle di Tenda, cento volte luogo di sosta e di controllo dei passaporti sulla strada delle vacanze, e la trovai chiusa, dismessa, senza doganieri; e fu un piacere piccolo ma indimenticabile, anche commovente, come se un territorio assurdamente diviso si fosse ricomposto…

Se si punta decisi all’unità europea il richiamo reazionario al passato finalmente ritroverebbe come naturale controparte la speranza di un futuro mai visto – perché così dovrebbe essere un futuro che si rispetti: fatto di cose mai viste. Ed è un elemento, la spinta verso il futuro, che la cultura progressista ha perduto da molti decenni, alla fine perdendo se stessa. Nessun progresso può darsi, tecnicamente, se non si procede in avanti.

Se la contrapposizione fascismo/antifascismo odora di Novecento, quella tra nazionalismo e unità europea è invece nuova di zecca, almeno nella seconda delle sue voci. In parte, certo, è anche il remake di una divisione antica (non c’è fascista che sia europeista, non c’è europeista che non sia antifascista: l’Europa è nata a Ventotene), ma in parte è una battaglia totalmente sconosciuta. L’Europa e i suoi nemici sono, tutti quanti, attori del Terzo Millennio.
È anche un obiettivo politico piuttosto facile da comunicare, quello dell’unità europea, non richiede troppi distinguo e troppe spiegazioni, almeno sulle prime: con Trump da una parte e Putin dall’altra, volete che il vostro paese resti da solo, tratti da solo sui dazi e tutto il resto, decida da solo sui tanti conflitti lontani e vicini, o volete che si unisca agli altri paesi europei, che diventi un soggetto sovra-nazionale, con un governo continentale che parli con una sola voce?

Poi sono arrivato al casello di Parma e ho avuto il dubbio di essere un illuso, un farneticante. Però provate a pensarci: che svolta sostanziale sarebbe, se il primo punto del programma e dell’azione politica di tutte le forze progressiste europee fosse l’unità politica dell’Europa? E se milioni di cittadini europei si ritrovassero nello stesso momento a manifestare in tutte le capitali dicendo a Trump e Putin “giù le mani dall’Europa”, voi non ci andreste? Io sì. Spero che Schlein, Pedro Sánchez, Macron, Scholz e tutti gli altri mi telefonino, nei prossimi giorni, così gli spiego per bene come devono fare. A Carlo d’Inghilterra invece non rispondo fino a che non torna nell’Ue. Si dia una mossa.

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Casa, dolce casa, cara casa. In affitto o da comperare, nelle grandi città non è più alla portata delle persone giovani – anche di quelle che guadagnano benino. Ne ho parlato qui un mese fa, ma ancora arrivano mail che parlano del problema; e parlandone, si capisce che stanno parlando della propria vita.

“Nasco da una famiglia povera del Meridione, cresco in un paesino ormai fantasma, mio padre è un artigiano in rovina, spende quel poco che ha in vizi; mia madre una casalinga con tanta voglia di riscatto: mette in vendita un pezzettino di terra pur di farmi studiare. Studio a Bologna, tra lavoretti e borse di studio mi laureo in Medicina, mi specializzo in Cardiologia. Sono assunta in Ospedale, ho 32 anni, un compagno, uno stipendio, tanta voglia di riscatto. Alla mia età si aspettano tutti che compri casa e metta su famiglia. Ed è qui che arriva l’amaro scontro con la realtà: la città a cui devo tutto, la città in cui voglio vivere, mi sta tradendo. Bologna ha un mercato immobiliare fuori dalle mie possibilità, persino in periferia. Il mio stipendio, un tempo associato a ricchezza e prestigio, non mi consente di acquistare un appartamento senza un mutuo trentennale, senza una rata insostenibile e senza sacrificare ancora una volta la possibilità di vivere una vita più serena.
Il boccone più amaro arriva quando mi sento dire sempre più spesso: ‘non c’è alcuna necessità di stare in città, si vive benissimo anche in provincia’. Io credo che per ogni età ci sia un posto in cui vivere. La periferia e la campagna mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita e sono sicura, se il fato vorrà, che saranno estremamente gradite nella mia vecchiaia. Io credo nel diritto alla casa ma anche nel diritto ‘alla città’. Ognuno ha il diritto di vivere dove si sente a casa. È nella città che c’è stimolo culturale, è la città dove si fa il cambiamento. È la città il posto in cui investire le proprie forze mentali, finché sarà possibile. Le città non devono essere un privilegio per pochi”.
Una tua lettrice anonima

“Mi chiamo Elena, ho 28 anni, sono nata e cresciuta a Milano dove ho anche fatto l’università. Sono rimasta a Milano finché non è stato il momento di cercare lavoro e diventare indipendente. A quel punto ho dovuto affrontare la realtà: le opzioni erano limitate. Avrei potuto imbarcarmi in lunghi anni in cui sarei stata sottopagata e avrei vissuto con la mia famiglia; oppure condividere un piccolo appartamento e non mettere da parte molto; o ancora trasferirmi all’estero e cominciare quello che mi sembrava un cammino sociale e lavorativo più promettente. Ho scelto la terza opzione, che mi ha anche fatta sentire più responsabile e indipendente. Non giudico nessuno dei miei coetanei rimasti a Milano, semplicemente non era la strada per me. Ho vissuto esattamente quello che lei ha descritto: non mi sono mai sentita parte del gioco.
Sono tornata a casa per Natale e molte emozioni si sono fatte sentire, perché a volte Milano mi manca e di tanto in tanto provo anche un certo senso di colpa per essere andata via, come se avessi lasciato indietro qualcosa o qualcuno senza averci provato con più impegno. Anche il mio ragazzo (non milanese, ma che ha vissuto a Milano) vive un po’ di tormenti, ma lui si sente soprattutto lasciato indietro dalla società e per questo tradito. Ora viviamo in Germania e qui la maggior parte dei nostri coetanei non ha mai avuto nessuna delle preoccupazioni sociali o economiche che i giovani italiani devono superare. Loro viaggiano tanto e tornano sempre indietro, trovano facilmente un lavoro ben retribuito e hanno progetti a lungo termine per il futuro. I miei genitori vivono a Milano e possiedono un modesto appartamento che fu acquistato dai miei nonni, proprio come successe a lei. Nel frattempo, io spero di vedere un giorno i giovani e i miei vecchi amici di nuovo in gioco, e magari sentirmi anch’io parte della corsa”.
Elena

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Le Zanzare di questa settimana, molto ricche, si aprono con un refuso che definirei “armonico”. Perfino migliorativo. Lo segnala Francesca dal sito di Repubblica. Nel lungo titolo tutte le parole finivano per A. Il refuso ha provveduto alla più lunga, ottenendo una straordinaria armonia di genere.

ORFANA UCRAINA DONA A PAPA FRANCESCA
BAMBOLA CON UNA SCHEGGIA DI BOMBA RUSSA

Sempre Repubblica (segnalazione di Antonio) saluta con giustificato entusiasmo la continua evoluzione del modello più popolare di casa Elkann:

PANDA: LA SUA FORZA È LA POSSIBILITÀ
DI AVERE MOTORI IBRIDI, A BENZINA E ALLA SPINA

Ben due segnalazioni di Luca dagli ultimi giorni lasciano intendere quanto la cronaca nera possa sorprenderci e appassionarci con accadimenti sempre nuovi e diversi. Dalla Provincia:

AGGREDITO CON UN TUBO
SI RIFUGIA IN UN KEBAB

e soprattutto, da Torino Cronaca:

MACABRO RITROVAMENTO NEL CENTRO DI TORINO.
DUE GALLINE MORTE ALLA FERMATA DEL TRAM

Su Repubblica.SM (siamo a San Marino) Enrico ha trovato questo allarmante titolo di prima pagina:

ALCOL AI MINORI DA 16 A 18 ANNI
NUOVA ERA PER LA TUTELA DEGLI ANIMALI

Si spera che si tratti di due provvedimenti diversi. Di tutela degli animali si avverte comunque l’urgenza dopo avere letto, su SondrioToday, questo titolo segnalato da Giulio:

POPOLARE DI SONDRIO NEL MIRINO DI BPER: LANCIA UN’OCA

A conferma che il male non conosce frontiere, Marco ha trovato su LiveSicilia questa impressionante parabola:

PALERMITANO COLPITO DA UNA BICI
LANCIATA A TORINO. CONDANNA A 16 ANNI

Infine, facendo un’eccezione, diamo spazio a un refuso nel testo di un articolo e non nel titolo. La qualità del refuso stesso lo meritava. Da Repubblica, segnalazione di Andrea, si apprende che la celebre inchiesta di Fanpage sulla gioventù meloniana ha “mostrato membri della gioventù melanzana dirsi fascisti”.
In effetti, le melanzane sono nere.

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Nevica. Qui nel selvaggio Appennino del nordovest è la seconda nevicata dell’anno a quote basse. Poca roba, dicono che un tempo tutto era bianco da metà dicembre ai primi di marzo, e dalle gronde pendevano i ghiaccioli come in alta montagna. Nevica molto di meno e fa più caldo, è il famoso cambiamento climatico veloce (quello lento c’è sempre stato, la differenza è nella repentina impennata delle temperature: in pochi anni una curva che un tempo richiedeva secoli). Ma ditelo a bassa voce sennò Trump si incazza e manda quelli con l’elmo cornuto a devastare qualche fondazione scientifica, a ripulire dagli ambientalisti menagramo qualche università, e a interrompere a suon di sberle le previsioni meteo più disfattiste.

In ogni modo è bello, bellissimo guardare fuori, ed è verissimo, per niente retorico e anzi quasi scientifico, dire che ad ogni nevicata si torna bambini. Un’euforia ingenua, fisica, irresistibile. In città si perde, della neve, il candore persistente, e quella vaghezza di connotati che assume il paesaggio e fa sentire immersi nel nulla – solo il faggio davanti alla cucina conserva la sua sagoma impavida. È un albero tosto, lo ammiro assai, nel gelo se la ride, nell’afa aspetta paziente che passi e si fa ombra da solo.
Alla prima schiarita tutto tornerà nitido e andrò fuori a cercare le tracce degli animali, sono passati sicuramente i caprioli, forse la volpe. C’è una certa gazzarra a pochi metri da me, intorno alle ciotole di semi che lascio per gli uccellini. Alle cince, ai pettirossi, ai fringuelli si è unito da un paio di giorni un gruppo di verdoni (Chloris chloris) piuttosto prepotenti. È la prima volta che vedo i verdoni arrivare qui da me e sono molto contento – certe volte basta davvero poco per essere contenti. Meno contente sono le cince, che vedono vacillare la loro egemonia. A fine marzo torneranno i cardellini per fare il nido nei cipressi, speriamo trovino un accordo di convivenza con i verdoni che mi sembrano intenzionati a installarsi. Proverò a fare da mediatore ma non so bene come affrontare la questione. Non parlo la loro lingua, conosco solo (alla perfezione!) quella del rigogolo. In alto i cuori.

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