Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 28 Settembre 2025
C’è un po’ un’impressione che si sia chiuso un periodo di opportunità creative individuali, non solo nei progetti giornalistici: forse non “chiuso”, ma che le cose si siano più normalizzate. Nei primi due decenni di questo secolo i cambiamenti tecnologici e digitali hanno travolto settori, azzerato competenze, creato spazi e modi di fare le cose completamente diversi nei quali sono nate possibilità nuove anche per chi non avesse esperienze e risorse economiche precedenti e articolate. Anzi, spesso buone idee e sensibilità personali sulle innovazioni in corso hanno permesso a singoli aspiranti autori o imprenditori di avviare progetti competitivi e addirittura vincenti nei confronti di grandi strutture radicate e apparentemente solide: e questo è avvenuto anche con le imprese e i progetti giornalistici, grandi e piccoli.
Negli ultimi anni, però, il panorama è diventato affollatissimo, l’offerta enorme, gli spazi sono stati occupati da ricostituiti grandi poteri economici e commerciali, e il tempo a disposizione degli utenti potenziali è rimasto lo stesso (internet ha reso infinito lo spazio, ma non il tempo). Una intuizione preveggente e brillante oggi è più facile che venga sviluppata dentro Google, Meta o al New York Times piuttosto che in un garage o in un blog. E questo scenario sta entrando nelle consapevolezze delle generazioni più giovani, che a differenza di quelle che le hanno precedute non si trovano davanti mondi da inventare e opportunità inedite da sfruttare ma una situazione simile a quella di quarant’anni fa: in cui ambizioni e creatività possono svilupparsi quasi soltanto al servizio di progetti e strutture esistenti e forti. Sono progetti e strutture diversi, ma hanno ricostruito una condizione di forza che per un periodo era stata terremotata, e sulle cui macerie erano cresciute non solo imprese impensate, grandi e piccole, ma una sensazione di poter sperimentare, costruire, inventare, con grandi libertà e autonomie. L’inclinazione a inventarsi cose proprie e inesistenti si è attenuata, per saturazione e perché molte acque si sono richiuse. Niente di drammatico: il mondo era così anche prima, e anzi, c’è da rallegrarsi di avere attraversato una ricreazione tanto straordinaria e fertile. E poi magari succederà di nuovo, di nuovo imprevisto.
Fine di questo prologo.
domenica 21 Settembre 2025
La Stampa ha ospitato nella pagina dei commenti una celebrazione di un festival a Bra scritta da uno degli organizzatori del festival in questione, e l’indomani una pagina di articoli dedicati allo stesso festival: il festival aveva acquistato pubblicità sulla Stampa nei giorni precedenti.
Anche il Corriere della Sera – come già Repubblica due settimane prima – ha dedicato un articolo a un evento dell’azienda Hermès dopo che questa aveva comprato diverse pagine di pubblicità sul giornale per promuovere l’evento in questione.
Sempre il Corriere della Sera ha ospitato nelle pagine dell’Economia, venerdì, un articolo a sostegno delle richieste al governo dell’azienda Arvedi: per comunicare le stesse richieste Arvedi aveva comprato una pagina di pubblicità sul Corriere il giorno prima.
Sabato Repubblica ha pubblicato in prima pagina un articolo intitolato “Elogio del pranzo della domenica”, in promozione di un’iniziativa con quel nome del ministero della Cultura, che aveva per questo acquistato pagine sul giornale nei giorni precedenti (l’articolo mostrava la stessa immagine usata per le pubblicità).
La stessa iniziativa, invece, è più liberamente presa in giro oggi in un commento sulla prima pagina del Corriere della Sera, che pure aveva venduto una pagina della stessa pubblicità.
(Charlie riceve spesso segnalazioni di questo genere, e grazie. Capita che alcune delle testate maggiori distribuiscano gli articoli di promozione occulta – poco occulta, come si vede – su altre testate dello stesso gruppo editoriale: qui segnaliamo solo quelle più vistose e contigue).
domenica 21 Settembre 2025
Un articolo di commento sul Fatto di oggi, domenica, ha criticato le richieste di sovvenzioni europee da parte degli editori italiani di giornali, sostenendo – benché con le formule inutilmente polemiche e offensive che spesso limitano la credibilità di quel giornale – che a beneficiarne siano sempre le aziende giornalistiche più grandi e ricche, e che le suddette sovvenzioni andrebbero invece destinate a quelle piccole e indipendenti.
domenica 21 Settembre 2025
Anche il quotidiano Repubblica ha proposto questa settimana una formula di abbonamento digitale che permette l’accesso per un anno anche al New York Times, come aveva fatto l’anno passato il Corriere della Sera. L’abbonamento costa 69 euro, permette l’accesso ai contenuti del sito Repubblica.it e “l’accesso illimitato” al New York Times.
domenica 21 Settembre 2025
Un limitato sviluppo dei giorni scorsi ha portato i giornali italiani e internazionali a scrivere di nuovo della scomparsa in Portogallo della bambina inglese Madeleine McCann, che fu molto seguita e raccontata nel 2007 e negli anni seguenti. Anche in questi giorni molti titoli e articoli hanno chiamato la bambina “Maddie”, malgrado i genitori abbiano spiegato già molti anni fa che quello non è il suo nome e che nessuno in famiglia lo usava. L’insistenza dei media sull’invenzione si spiega con un meccanismo utile a capire come sui criteri dell’informazione spesso influiscano fattori non giornalistici a scapito dell’accuratezza: in questo caso la maggior praticità del nome più breve rispetto allo spazio a disposizione nella titolazione, e probabilmente l’inclinazione di molte testate a sfruttare gli elementi emotivi e suggestivi della storia attraverso un nomignolo ulteriormente vezzeggiativo e commovente.
Nel libro che scrisse sulla loro storia, la stessa madre di Madeleine McCann, Kate, affrontò la questione del nome: «Madeleine era la prima a correggere chiunque facesse l’errore di accorciare il suo nome, “non sono Maddie, sono Madeleine!”. Ed è così. Spesso viene fatto inavvertitamente o per un tentativo benintenzionato di suonare più familiari e amichevoli, ma i giornali sanno bene qual è il suo nome, eppure insistono a chiamarla Maddie o Maddy. Per me è molto irrispettoso. Purtroppo è quello che succede se hai un nome troppo lungo per i loro titoli, e ce ne sono stati tantissimi».
domenica 21 Settembre 2025
Il Washington Post ha licenziato una sua “columnist” per le cose che aveva scritto sul social network Bluesky criticando Charlie Kirk, nei giorni successivi alla sua uccisione in un attentato a Orem, Utah. Karen Attiah ha 39 anni ed era al giornale da undici. Ha raccontato lei il suo licenziamento dicendo che le è stato comunicato senza nessuna possibilità di confronto.
La newsletter Status ha pubblicato il testo della comunicazione ad Attiah da parte del giornale, in cui si diceva anche che ci fossero stati dei precedenti di indisciplina discussi con Attiah, che è afroamericana: «I suoi commenti pubblici sui social media a proposito della morte di Charlie Kirk violano le regole sui social media del Washington Post, danneggiano l’integrità della nostra organizzazione e mettono potenzialmente in pericolo l’incolumità fisica del nostro staff […] I suoi post su Bluesky sugli uomini bianchi in risposta all’omicidio di Charlie Kirk non obbediscono alle nostre politiche. Per esempio, ha scritto che “rifiutare di stracciarmi le vesti e cospargermi il capo di cenere in un’esibizione di lutto per un uomo bianco che promuoveva violenza non è uguale alla violenza” e che “parte di quello che rende l’America così violenta è insistere sul fatto che le persone debbano avere attenzioni, vuote bontà e indulgenze per gli uomini bianchi che sostengono odio e violenza”».
domenica 21 Settembre 2025
Carlo De Benedetti è stato l’editore del quotidiano Repubblica per gran parte della sua storia, prima di lasciare la società che ne era editrice ai propri figli, e di contestare la loro successiva scelta di venderla alla multinazionale Exor della famiglia Agnelli Elkann. In reazione a quella scelta De Benedetti decise di creare e finanziare un nuovo quotidiano, Domani, che nei giorni scorsi ha compiuto cinque anni, celebrandoli con diverse pagine e con un parziale ridisegno della propria homepage. Negli stessi giorni De Benedetti ha annunciato pubblicamente la sua intenzione – già presa e condivisa da tempo – di lasciare la proprietà di Domani.
“L’imprenditore Carlo De Benedetti ha detto che in futuro lascerà la proprietà del quotidiano Domani a una fondazione creata appositamente. De Benedetti aveva già detto che lo avrebbe fatto una volta che il giornale fosse stato in grado di sostenersi economicamente da solo, ma non è chiaro quando questo avverrà. In un’intervista al sito specializzato sulla stampa Primaonline ha detto che Domani perde ancora circa un milione di euro all’anno, ma che conta di raggiungere il pareggio di bilancio entro un anno. La fondazione avrà una dote iniziale di 4 milioni di euro”.
Tra le ipotesi di ulteriori mezzi di sostenibilità c’è quella di ottenere i contributi pubblici destinati alle imprese giornalistiche con regimi di questo tipo.
domenica 21 Settembre 2025
Il Tribunale civile di Milano ha ritenuto il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, colpevole di diffamazione assieme al giornale che dirigeva nel 2022, Libero. La denuncia nei suoi confronti era stata fatta da parte dello scrittore Antonio Scurati, a proposito di un articolo di Sallusti e del suo titolo pubblicati allora su Libero, in cui Scurati veniva criticato per una sua intervista e definito ripetutamente “Uomo di M”. Il giudice ha ritenuto che non ci fosse possibilità di equivoco sul gioco di parole che si riferiva al titolo di un libro di Scurati di grande successo (“M, l’uomo del secolo”) per definire palesemente Scurati un “uomo di merda”, e che questa intenzione fosse sottolineata da Sallusti stesso. E, sostiene sempre la sentenza, che niente del diritto di critica esercitato nell’articolo giustificasse o rendesse coerente con quel diritto un simile insulto, ampiamente ripreso sui social network.
Di conseguenza la sentenza impone a Sallusti e a Libero (il cui editore è editore anche del Giornale) il pagamento a Scurati di un compenso di 30mila euro per danni e di una sanzione di 5mila euro a carico del solo Sallusti, a cui si aggiunge il risarcimento delle spese legali, quasi 7mila euro. E ordina a Libero di pubblicare l’estratto della sentenza.
domenica 21 Settembre 2025
Il sito americano di news Daily Beast ebbe un momento di attenzioni e propolarità come uno dei più precoci progetti di giornalismo digitale nativo, ma ebbe poi declini di qualità e cambi di proprietà che l’hanno portato a un ruolo piuttosto marginale nell’informazione statunitense. L’anno scorso ha avuto una nuova ristrutturazione, ma nei giorni passati ha dovuto rimuovere un articolo e chiedere scusa alla first lady Melania Trump per avere sostenuto falsamente che la sua conoscenza con suo marito Donald fosse nata dalle rispettive relazioni con Jeffrey Epstein, famigerato protagonista di recenti scandali. La stessa Melania Trump ha citato la ritrattazione su Twitter.
domenica 21 Settembre 2025
Nella sua rubrica quotidiana sul quotidiano Repubblica, Michele Serra è tornato a commentare criticamente un formato pubblicitario effettivamente discutibile ospitato da molti giornali online (in una misura selezionata lo ospita anche il Post): quello dei rimandi ad altre pagine che si trovano spesso in coda all’articolo principale, e che mescolano contenuti dello stesso sito ad articoli promozionali gestiti da piattaforme esterne. La scelta che è in particolare criticata da Serra è quella di accogliere tra questi ultimi articoli anche contenuti falsi, ingannevoli, calunniosi o pericolosi (questo il Post non lo fa).
“Molti di questi banner non sono riconoscibili come contenuti esterni: sono travestiti da notizie di cronaca. E magari si potrebbe fare qualcosa di più per far capire a chi legge che non si tratta di contenuti del giornale, separando drasticamente quanto il medium-vettore certifica essere di sua fattura, quanto invece è appannaggio di soggetti esterni la cui tecnica comunicativa è spesso quella degli imbroglioni.
Ma non è poi questo — non solamente questo — il punto. Il punto è la paurosa moltiplicazione del falso come tecnica di comunicazione corrente. La balla non più come effrazione o come espediente, ma come metodo, come linguaggio ordinario, così che l’intera comunità mediatica si abitui per assuefazione a considerare normale credere, e far credere, che i trichechi seducano le bagnanti, Caio sia rovinato e Tizia sfigurata: che l’intera realtà, comprese le persone, sia merce disponibile a qualunque manipolazione e abuso di immagine”.
domenica 21 Settembre 2025
Alle molte intimidazioni e repressioni dell’amministrazione Trump nei confronti dei media critici nei suoi confronti o vissuti come tali, si è aggiunta questa settimana una nuova denuncia con richiesta di danni enorme nei confronti del New York Times, per una serie di articoli pubblicati durante la campagna presidenziale del 2024 e che Trump sostiene fossero diffamatori e avessero messo a rischio la sua elezione. Ma in soli tre giorni un giudice federale della Florida ha respinto la richiesta degli avvocati di Trump accusandoli di avere presentato un testo inutilmente lungo e ridondante in cui il merito della denuncia era affrontato solo brevemente e alla fine dopo avere esibito presunti meriti e successi di Trump per decine di pagine. Trump ha quattro settimane per riformulare la denuncia obbedendo alla richiesta di maggior correttezza formulata dal giudice.
domenica 21 Settembre 2025
L’ Economist è un illustre e noto settimanale britannico, l’unico magazine di un altro paese a competere internazionalmente a livello di diffusione e autorevolezza con le più famose riviste americane. Esiste da 182 anni e la sua maggioranza è di proprietà della multinazionale Exor, ovvero il gruppo controllato dalla famiglia Agnelli Elkann che ha tra le sue proprietà la società automobilistica Stellantis, l’azienda Ferrari, la squadra calcistica della Juventus, e – tramite la società GEDI -diverse testate giornalistiche italiane ( Repubblica, Stampa, HuffPost) assieme a Radio Deejay e Radio Capital. Exor ha acquistato dieci anni fa il 43% dell’ Economist, mentre le restanti quote sono divise tra altri azionisti maggiori e decine di piccoli azionisti, tra cui molti dipendenti ed ex dipendenti. Il 21% è della famiglia Rothschild, che ha antiche relazioni con la testata ma che ora – attraverso la titolare Lynn Forester de Rotschild, vedova americana del discendente diretto della famiglia che fu presidente della società nel secolo scorso – ha deciso di vendere la sua partecipazione. Secondo Bloomberg il valore potrebbe essere tra i 200 e i 400 milioni di sterline. L’Economist è una società con altre attività oltre alla pubblicazione della rivista, e nell’ultimo anno ha avuto profitti per 48 milioni di sterline.
domenica 21 Settembre 2025
La polemica-politica-italiana-di-24-ore di mercoledì è stata intorno a un saluto del ministro Salvini all’ambasciatore russo a Roma. Polemica insignificante come molte, perché le simpatie di Salvini per la dittatura russa sono note e spesso rivendicate, e perché come ogni polemica-politica-italiana-di-24-ore è durata anche questa il tempo di una giornata senza lasciare nessuno strascico o avere nessuna conseguenza; seguita dalla successiva, eccetera. Ma in ogni caso è interessante notare come in tutte quelle 24 ore nessun articolo dedicato all’accaduto abbia saputo spiegare di cosa si stesse discutendo, permettendo da una parte a Salvini di dire che un saluto nei confronti di un ambasciatore è un normalissimo atto di cortesia umana e diplomatica, e dall’altra ai suoi critici di dire che abbracciare il rappresentante di una dittatura che ha aggredito militarmente una democrazia europea è una scelta vergognosa. E lasciando l’impressione ai lettori che potessero avere entrambi delle ragioni, grazie al fatto che nessuno intanto aveva saputo spiegare quale fosse stata la misura del saluto (una stretta di mano? una stretta di mano calorosa? una stretta di mano con conforto di altra mano sul braccio? un abbraccio vero e proprio, con corpi che affondano l’uno nell’altro? baci, persino?). L’articolo originario di Repubblica l’aveva messa così: ” «Baci e abbracci tra i due», riportano alcuni presenti, contattati da Repubblica”. Fonti piuttosto generiche e descrizione dei fatti piuttosto generica (che Repubblica ha ritenuto di non indagare e capire meglio), soprattutto a fronte del fatto che né Salvini né nessun altro ha poi parlato di baci né di abbracci, ma solo di un saluto. Ma nessun giornale dei molti che hanno riportato poi la questione e le reazioni – prima che scadessero le 24 ore – ha verificato cosa fosse stato esattamente il fatto riportato, permettendo così che le rispettive narrazioni riguardassero cose differenti, e senza dare a chi leggeva il modo di giudicare sulla base dei fatti. Ed è un piccolo e irrilevante esempio di quello che avviene di 24 ore in 24 ore.
Fine di questo prologo.
domenica 14 Settembre 2025
Sabato alcuni quotidiani italiani hanno riferito di trattative in corso tra il giornalista televisivo Sigfrido Ranucci, conduttore del programma di inchieste Report su Rai 3, e la rete La7, posseduta dall’imprenditore Urbano Cairo, editore anche del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, e proprietario di grossi gruppi con molte attività diverse. E di cui è nota e spesso discussa l’inclinazione a compiacere gli inserzionisti pubblicitari sulle testate di sua proprietà. Nel riferire la notizia, il Sole 24 Ore, abitualmente più sobrio di altri quotidiani nel fare simili allusioni, ha esplicitamente commentato che a La7 “Ranucci potrebbe trovare qualche freno a mano tirato su inchieste che riguardano aziende che si pubblicizzano sulla concessionaria del gruppo Cairo”.
domenica 14 Settembre 2025
I modi di dire nei giornali italiani sono duri ad adeguarsi al presente, malgrado l’adeguamento al presente dovrebbe essere un’attitudine del giornalismo: e tra gli esempi più vistosi c’è la abusatissima definizione di “Ohio d’Italia”, attribuita a questa o a quella regione praticamente a ogni elezione, per via di una peculiarità elettorale dell’Ohio che è ormai scomparsa da anni. Lo spiegò il Post l’anno scorso in un articolo, e il suo direttore Francesco Costa sulla rivista del Post “Cose spiegate bene”.
“Il riferimento all’Ohio nasce nei primi anni Duemila, quando nelle elezioni presidenziali statunitensi era considerato il più decisivo e indicativo degli swing state, gli “stati in bilico”, quelli in cui non esiste una chiara e consolidata maggioranza di elettori Repubblicani o Democratici. Per il particolare sistema elettorale degli Stati Uniti, era in quegli stati che spesso si decidevano le elezioni. Da almeno una decina d’anni, però, l’Ohio non è più il più conteso degli stati americani. Non è più nemmeno fra gli swing state, gli stati in bilico, e i suoi elettori sono diventati decisamente conservatori”.
Se torniamo a parlarne, è perché – indifferenti all’attualità – i quotidiani italiani da settimane stanno applicando la definizione alle Marche, stavolta. E il caso di Repubblica di venerdì è doppiamente esemplare, perché ci permette anche di tornare sui virgolettati inventati nei titoli degli articoli: nell’intervista infatti il presidente delle Marche non afferma quel che gli attribuisce il titolo* (“le Marche sono il nostro Ohio”) ma “avrei sentito la pressione pure se non ci avessero definiti l’Ohio d’Italia”.
*non che non l’abbia detto pure lui, in passato.

domenica 14 Settembre 2025
La “radio pubblica” americana, NPR (National Public Radio), ha scelto un nuovo direttore. NPR è più esattamente un’organizzazione finanziata tra le altre cose anche da un fondo di denaro pubblico, che fornisce programmi e contenuti a un estesissimo network di stazioni radio statunitensi in maggioranza possedute da non profit o strutture pubbliche. Ed è un’istituzione molto seguita e importante nella diffusione di servizi di informazione e prodotti culturali: suo malgrado protagonista di una delle recenti ritorsioni dell’amministrazione Trump – che ne ha annullato i finanziamenti pubblici – contro i progetti di informazione ritenuti critici nei confronti del presidente. L’anno scorso c’era stata una polemica con vistose conseguenze sulle posizioni della radio accusate di eccessiva partigianeria antitrumpiana, e la radio aveva arruolato Thomas Evans per guidare una revisione dei processi contestati.
Ora Evans è diventato il nuovo editor in chief, ha 49 anni, e fino al 2024 aveva avuto per vent’anni diversi ruoli in CNN, soprattutto in sedi internazionali.
domenica 14 Settembre 2025
Il sito Professione Reporter, che si occupa di vicende e questioni del giornalismo soprattutto italiano, ha pubblicato un commento critico di un articolo del Corriere della Sera che descriveva i rapporti effettivamente poco professionali e molto complici tra Giorgio Armani e i giornalisti e le giornaliste che si occupano di moda. La particolare e unica condizione del giornalismo di moda, dedicato spesso alla promozione e al sostegno dei prodotti di cui si occupa, è stata raccontata su Charlie in passato in più di un’occasione.
“Sul Corriere del 7 settembre nel pezzo su Armani e il suo buen retiro sull’isola di Pantelleria si dice che fra “Claudia Cardinale, Lauren Hutton ed Eric Clapton, che di notte suonava nel silenzio della baia” era “immancabile un manipolo di giornaliste di moda col partner. Armani le accoglieva personalmente all’aeroporto in jeep e le portava dentro quella bolla di bellezza e anche di disciplina”. Al mattino si leggevano i settimanali e una di queste giornaliste ospiti ricorda che “Giorgio sfogliava le pagine di moda e criticava tutto e noi zitte, come scolarette”. Per tutte “naturalmente il dilemma era come vestirsi”. Questo sito – Professione Reporter – è un po’ rigido sul tema pubblicità/informazione e vorrebbe sempre rispettate le regole che impongono la distinzione netta fra i due mondi. E si sa che il mondo della moda è fra quelli più a rischio in tal senso. Ma certo l’immagine delle direttrici e delle firme della moda che fanno le vacanze con mariti e compagni da re Giorgio (che quando a fine giornata si sdraiava sul prato a guardare le stelle diventava “solo Giorgio”), e tacciono quando critica le pagine dei giornali fa un po’ impressione. Armani era un grande inserzionista per tutti i media”.
domenica 14 Settembre 2025
Graydon Carter è stato uno dei giornalisti più famosi e memorabili nei media americani a cavallo del millennio: per il suo ruolo nel dirigere per 25 anni – fino al 2017 – il mensile Vanity Fair, e per una costante e vivace presenza nel panorama dello spettacolo e delle celebrities americane. Nel 2019 Carter creò una newsletter, Air Mail, con cospicui investimenti e autorevoli collaboratori, intenzionata a rivolgersi a un jet-set contemporaneo e novecentesco insieme, ma che non ha mai avuto grandi protagonismi. Ora sarà forse acquistata da Puck, una testata creata nel 2021 da un ex giornalista di Vanity Fair, Jon Kelly, che pubblica una serie di prodotti giornalistici dedicati a simili ambienti del potere e dello spettacolo americani.
domenica 14 Settembre 2025
Le testate italiane fanno – per molte diverse ragioni – scelte differenti da quelle americane rispetto alla pubblicazione di termini volgari o giudicati potenzialmente offensivi, e non sono per esempio solite usare quelle formule “la parola con la effe” frequenti negli Stati Uniti. È più abituale, nel caso di parole volgari, citarne solo una parte, come nei frequenti “vaffa…” o “str” (ma Repubblica ha di recente ardito mettere uno “stronzate” in prima pagina). Per una piccola notizia che riguardava una criticata maglietta, questa settimana, i vari siti di news si sono mossi con asterischi disseminati in modi diversi.

domenica 14 Settembre 2025
Il quotidiano Domani ha pubblicato giovedì un articolo di una pagina a proposito dei presunti progetti di vendere il gruppo editoriale GEDI da parte della società Exor che lo possiede. Exor è di proprietà della famiglia Agnelli Elkann e ha al suo interno molte altre imprese (l’azienda automobilistica Stellantis, su tutte), mentre GEDI è la società dei quotidiani Repubblica e Stampa, del sito di news HuffPost, delle radio Deejay e Capital. Da diversi mesi l’ipotesi che Exor voglia vendere circola molto, soprattutto in conseguenza delle insoddisfazioni della proprietà sul business dei giornali e sulla complicata gestione della testata maggiore, Repubblica.
L’ipotesi sostenuta da Domani è di un possibile acquirente greco, ed era stata anticipata dal Foglio due mesi fa. L’articolo prova anche a immaginare il valore di GEDI.
“Se Elkann sembra disponibile a vendere una quota d’ingresso del 10-15 per cento per poi eventualmente lasciar salire Kyriakou nel futuro prossimo venturo, il gruppo greco vorrebbe infatti comprare subito la maggioranza degli asset di Gedi, da Repubblica alle radio.
Ma ha però qualche remora sull’acquisto dello storico quotidiano torinese. Dati di bilancio alla mano, nel 2024 La Stampa ha fatturato 74 milioni di euro (nel 2023 erano 137), chiudendo in rosso per 1,3 milioni. La cosiddetta divisione quotidiani e periodici di Gedi, che dopo le vendite dei vari giornali locali è oggi costituita praticamente solo da Repubblica e dai suoi allegati, l’anno scorso ha invece fatturato 167,5 milioni, dieci in meno rispetto all’anno prima, con una perdita netta di 7,5 milioni (l’anno prima era stata di 48, frutto anche di una serie di svalutazioni effettuate). Nel consolidato Gedi per il 2024 mostra nel complesso un fatturato di 386 milioni (-18,2 per cento sul 2023) e una perdita netta di 35,9 milioni.
Se dunque alla fine Kyriakou deciderà davvero di comprare, bisognerà capire che prezzo sarà disposto a sborsare. Perché in casa Gedi, nonostante i tagli del personale – alla fine dell’anno scorso i dipendenti, compresi quelli con contratto a termine, erano 1.343, 204 in meno rispetto all’anno prima – le soddisfazioni finanziarie al momento arrivano solo dalle radio. Deejay, Capital, m2o e One Podcast insieme hanno generato un fatturato di 63,5 milioni, in aumento del 4,3 per cento, con un risultato operativo di 10 milioni (+13,5 per cento sul 2023).
Ma, alla fine dei conti, quanto vale Gedi? Difficile calcolarlo. I numeri mostrano un patrimonio netto valutato 71 milioni, ma, come detto, il giro d’affari complessivo continua a calare e le perdite aumentano. Così come i debiti: circa 220 milioni. Tant’è che Exor – principale finanziatore del gruppo con un’esposizione di quasi 150 milioni – a dicembre 2024 ha rinunciato a 40 milioni di crediti, di fatto effettuando un’iniezione di capitale”.
Un articolo successivo di Domani ha riportato la smentita di Matteo Renzi di avere messo in contatto le società in questione.
domenica 14 Settembre 2025
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di luglio 2025. I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 157.769 (-7%)
Repubblica 77.664 (-14%)
Stampa 54.094 (-12%)
Sole 24 Ore 47.805 (-8%)
Resto del Carlino 44.791 (-12%)
Messaggero 40.180 (-10%)
Gazzettino 30.303 (-8%)
Nazione 29.195 (-14%)
Dolomiten 24.551 (-8%)
Fatto 23.739 (-13%)
Giornale 23.349 (-12%)
Messaggero Veneto 22.136 (-7%)
Unione Sarda 19.855 (-13%)
Verità 18.125 (-14%)
Secolo XIX 17.914 (-8%)
Eco di Bergamo 17.799 (-11%)
Altri giornali nazionali:
Libero 16.557 (-13%)
Manifesto 13.749 (+1%)
Avvenire 13.723 (-4%)
ItaliaOggi 5.419 (-2%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
La media dei cali percentuali anno su anno delle prime quindici testate a luglio è addirittura del 10,6%, come già a giugno: assai più alta che nei mesi precedenti. Rispetto a questo dato continua quindi ad andare assai meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera (che però questo mese ha avuto il secondo calo maggiore dell’ultimo anno) e un po’ meglio anche il Sole 24 Ore. Mentre Repubblica è tornata da tre mesi a perdite assai maggiori della media, e a luglio per la prima volta nella storia è scesa sotto la metà delle copie del rivale Corriere. Vanno ancora male i quotidiani del gruppo Monrif (Nazione e Resto del Carlino), che possiede anche il Giorno, a sua volta in calo dell’15%. E sono tornati a grosse perdite i quotidiani sostenitori della maggioranza di governo, Giornale, Libero e Verità. Mentre nel suo piccolo il Manifesto continua a fare eccezione, con crescite piccole ma costanti che a luglio lo hanno portato a superare di una manciata di copie Avvenire.
Il mese precedente l’Unione Sarda, quotidiano di Cagliari, era sceso per la prima volta sotto le 20mila copie. Tra i giornali locali continua a perdere di più il Tirreno di Livorno (-13%), che in soli due anni ha perso il 29% delle copie individuali pagate, superato in questo confronto solo dal quotidiano economico milanese ItaliaOggi (-32% rispetto a luglio 2023) mentre il miglior risultato sui due anni è del Manifesto (+8%).
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che come diciamo sempre dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 40mila, il Sole 24 Ore più di 32mila, il Fatto più di 28mila, Repubblica più di 16mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa, e quelle tra parentesi sono invece le variazioni degli abbonamenti superscontati di cui abbiamo detto.
Corriere della Sera 47.685 +3,7% (-10,6%)
Sole 24 Ore 21.249 -4,2% (-1,5%)
Repubblica 18.199 -12,1% (+1,3%)
Manifesto 7.580 -1,6% (non offre abbonamenti superscontati)
Stampa 6.561 +4,4% (-9,9%)
Fatto 6.114 -5,6% (+12,7%)
Gazzettino 5.608 -4,9% (+8,5%)
Messaggero 5.356 -5,8% (+8,8%)
I dati sono piuttosto discontinui, ma ancora piuttosto deludenti rispetto alle necessità e opportunità di crescita di questa fonte di ricavo: la più promettente tra le testate internazionali negli ultimi anni. Pur nell’ambito di crescite piccole e lontane dal compensare le perdite di copie cartacee, anche qui va meglio di tutti il Corriere della Sera, a cui anche questo mese si aggiunge con un dato positivo solo la Stampa. In entrambi i casi a costo di maggiori abbandoni tra gli abbonamenti superscontati. Le perdite annuali persino degli abbonamenti digitali sono compensate in alcuni casi dalle crescite degli abbonamenti molto scontati: il cui valore è impossibile da sintetizzare, data la varietà delle promozioni e degli sconti: ci sono in questo dato abbonamenti pagati anche 150 euro come altri in offerte a pochi euro.
È quindi migliore di altri il dato del Fatto, che da mesi sta facendo crescere i suoi abbonamenti scontati (che non raggiungono i prezzi quasi inesistenti di altri giornali, e un ricavo lo generano).
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente ancora più economici – ai contenuti dei loro siti web.
(Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
* Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore più grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.
domenica 14 Settembre 2025
La notizia più grossa della settimana, l’assassinio del giovane attivista americano Charlie Kirk, ha generato diverse reazioni discutibili e discusse anche sui mezzi di informazione, e anche su quelli italiani. In un paio di piccoli casi le scelte valgono la pena di essere citate. Il direttore del quotidiano Il Giornale, con l’intenzione – condivisa con altre testate vicine alla maggioranza di governo – di attribuire responsabilità dell’omicidio persino a una “retorica” italiana sulla Resistenza ha scritto sabato all’inizio del suo editoriale in prima pagina che chi ha ucciso Kirk avrebbe preso “alla lettera” la canzone Bella ciao dove questa direbbe – secondo il direttore del Giornale – «Una mattina mi son svegliato e ho sparato all’invasor». Naturalmente “la lettera” della canzone è un’altra, ed è strano che il direttore del Giornale non la conosca, quando ne scrive, e con accuse di questo peso.
Sempre sabato, a proposito della stessa storia del testo di quella canzone scritto su una cartuccia abbandonata nell’attentato, il settimanale l’Espresso ne ha pubblicato un’immagine falsa, creata con un software di “intelligenza artificiale”: che sia stata segnalata come tale non ha risparmiato al giornale molte critiche, e la creazione del precedente è in effetti rilevante.
(è d’obbligo citare una scelta del Post che quest’ultima cosa ci ha richiamato alla memoria: al suo terzo mese, quando la direzione e il ruolo del Post erano ancora acerbi e più disinvolti, ci permettemmo un’idea di illustrazione con un intento umoristico e una falsificazione piuttosto palesi, ma sui cui rischi di ingannevolezza saremmo diventati da lì a poco assai più prudenti: la conservammo come memoria storica anche di quel periodo di sperimentazione, e monito a non avere più simili leggerezze)
domenica 14 Settembre 2025
C’è stata nei giorni scorsi una piccola polemica che riguarda il giornalismo, intorno al progetto della cosiddetta “Global Sumud Flotilla”, ovvero il gruppo di barche partite in direzione di Gaza con l’intenzione di portare aiuti e sostegno alle persone di Gaza vittime dei bombardamenti israeliani. Venerdì una giornalista della Stampa ha raccontato sul suo giornale di essere stata esclusa – con toni e modi sgradevoli – dal gruppo che avrebbe seguito il viaggio, perché accusata di “avere violato le regole” pubblicando alcune informazioni che l’organizzazione aveva chiesto di non pubblicare. Informazioni in realtà non particolarmente segrete. La stessa portavoce dell’organizzazione è sembrata non condividere la reazione rigida ed esagerata in un’intervista al Fatto. Nel frattempo la storia è stata molto ripresa sui quotidiani (naturalmente quelli pregiudizialmente contrari al progetto le hanno dato esteso polemico risalto), in alcuni casi con eccessi corporativi di vittimismo da parte dei colleghi, in altri con ragionevoli critiche sull’accaduto. Tra queste critiche, la stessa Stampa ha riportato una frase di Lucia Annunziata, giornalista abbastanza esperta da far sospettare che la frase fosse incompleta, o che sia stata formulata sbrigativamente: ma è utile per ricordare invece la validità del suo contrario. La frase è: «Non esiste neppure per ragioni di sicurezza quello che si può dire o che non si può». E non è vera.
Esistono e sono sempre esistite molte ragioni di sicurezza – si chiamano “di sicurezza” per quello – per limitare la pubblicazione di fatti e informazioni anche veri. Sono anche codificate e regolate nelle legislazioni dei vari paesi democratici, e sancite da sentenze e giudici nei casi in cui la pubblicazione di determinate informazioni crei dei rischi per le persone, per le comunità, per le democrazie stesse; ma persino per le libertà personali dei singoli (Solo per citare due dei molti limiti accettati: a cosa serve il “segreto di Stato”? O c os’è il diritto alla privacy, se non una ragione di sicurezza per “non dire”? V enerdì una grande testata ha pubblicato online i documenti del testamento di Giorgio Armani e per la fretta di arrivare prima non ha rimosso gli indirizzi di casa personali degli eredi, persone molto esposte e note; se poi è intervenuta tardivamente con delle pecette è proprio perché anche in quel caso “esistono ragioni di sicurezza per non dire”). Nessuna libertà è mai assoluta e ognuna trova dei compromessi con altre libertà e altri diritti, compresa quella di informazione. È utile ricordarlo, in tempi in cui la pretesa di poter pubblicare qualunque cosa è spesso esibita a seconda degli interessi del caso.
Fine di questo prologo.
domenica 7 Settembre 2025
Giovedì prossimo comincia la nuova edizione delle “10 lezioni sul giornalismo“, il ciclo di incontri con la redazione del Post dedicati a raccontare quello che abbiamo imparato sul giornalismo contemporaneo e sui suoi cambiamenti. Ci si può iscrivere fino a mercoledì.
Invece sabato prossimo al Circolo dei lettori di Torino torna la rassegna stampa del Post, “I giornali spiegati bene”, stavolta con Luca Sofri e Nicola Ghittoni. La faranno invece Luca Sofri e Francesco Costa sabato 20 a Faenza durante il festival del Post, “Talk”.
domenica 7 Settembre 2025
A novembre dell’anno scorso un articolo di Selvaggia Lucarelli sul Fatto aveva raccontato il caso dell’inserimento a pagamento di ristoranti in una guida offerta dall’edizione italiana della rivista Forbes e non presentata come un’operazione pubblicitaria. Quella particolare storia ha poi avuto sviluppi e il mese scorso il Garante per la concorrenza ha sanzionato l’editore di Forbes, BFC Media, per “pubblicità occulta”, ordinandogli il pagamento di 150mila euro
domenica 7 Settembre 2025
Il direttore del quotidiano che si chiama Il Riformista, Claudio Velardi, ha criticato la giornalista del Foglio Cecilia Sala rinfacciandole di aver diffuso sui social network una fotografia di Gaza artefatta. La foto era invece autentica, estesamente verificata, e distribuita dalla agenzia Associated Press. Dopo qualche ora di assurdi attacchi contro Sala sui social network, Velardi ha ammesso l’errore e di aver “fatto le necessarie verifiche” in ritardo: senza aggiungere riflessioni su quanto il suo intervento fosse esattamente un esempio di quello che contestava.
L’articolo originale con la falsa accusa sulla foto è tuttora online sul sito del Riformista, senza alcuna segnalazione ai lettori della sua infondatezza.
domenica 7 Settembre 2025
La società editrice del quotidiano romano Il Tempo (che possiede anche le testate nazionali Giornale e Libero) è stata condannata dal Tribunale di Roma ad assumere e risarcire una giornalista che era stata pagata inadeguatamente per il suo lavoro. Ne ha scritto il Fatto.
“Gli articoli sul Tempo e poi su iltempo.it, facendo i conti a spanne, a volte erano pagati anche meno di tre euro. Lordi, s’intende. Al massimo si arrivava a 10, sempre lordi. Erano tanti, fino a 160 e perfino 220 in un mese: sport, costume, tv, ma pure la politica, il Covid e l’Ucraina”.
domenica 7 Settembre 2025
Una storia con conseguenze sgradevoli e immeritate per i suoi protagonisti ha mostrato ancora una volta il mese scorso i rischi dell’abitudine dei quotidiani italiani a comporre titoli con virgolettati inventati e mai pronunciati dai protagonisti. La storia è di una coppia padovana (lei assessora) che ha affisso dei fiocchi arcobaleno per comunicare la nascita del proprio figlio Aronne: scelta che per come è stata riferita dai media ha generato attacchi e critiche da esponenti politici di destra (compreso il ministro Salvini) e aggressioni online nei confronti dei genitori.
Parte degli attacchi è derivata da una frase usata nel titolo dell’articolo del Corriere della Sera, che in una desolata risposta l’assessora e madre ha definito “una dichiarazione non riportata correttamente” (“Deciderai tu”, rivolto al nascituro a proposito dei colori, è stato trasformato in “Deciderai tu chi essere”). Nel citare la risposta il Corriere della Sera ha omesso la frase che accusava il proprio titolo.
Un altro incidente su un virgolettato inventato in un titolo era accaduto ad agosto su Repubblica, invece.
domenica 7 Settembre 2025
Giovedì è stata messa online negli Stati Uniti la prima stagione della nuova serie televisiva The Paper, ambientata nella redazione di un quotidiano americano. È uno spin-off della versione statunitense di The Office, il finto documentario di metà anni Duemila che continua a essere una delle serie tv comiche più amate e citate ancora oggi. Il quotidiano protagonista di The Paper si chiama Toledo Truth Teller.
domenica 7 Settembre 2025
Con il riavvio del campionato di Serie A si è già riproposto visibilmente il conflitto di interessi al Corriere della Sera tra le priorità giornalistiche e quelle di tutela dell’immagine dell’editore Urbano Cairo, che è anche proprietario della squadra di calcio del Torino. Il Torino ha da tempo risultati insoddisfacenti e Cairo è assiduamente contestato dai tifosi che gli chiedono maggiori investimenti (le qualità di imprenditore di Cairo durante tutta la sua carriera si sono dimostrate soprattutto sulla capacità di riduzione dei costi nelle aziende che possiede). E ormai gli chiedono soprattutto di vendere la squadra. Ma i due quotidiani maggiori di cui Cairo è editore – Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport – eludono sistematicamente queste critiche e proteste, descrivendo le prestazioni della squadra in toni sempre più rosei e celebrativi rispetto alla realtà e dando grande spazio alle esibizioni di soddisfazione del presidente. Alla seconda giornata del campionato – dopo una sconfitta alla prima – il Torino ha pareggiato in casa: Repubblica ha riferito di “una dura contestazione” contro Cairo e contro la squadra, la Stampa ha titolato “Fischi sul toro”. Il Corriere invece “Il Torino riparte con un bel pareggio contro la Fiorentina”, le parole soddisfatte del presidente e nessuna notizia delle proteste.

domenica 7 Settembre 2025
Nel 2001 furono accorpati in una sola testata due grandi e antichi quotidiani di Atlanta – una delle più importanti città statunitensi, in Georgia – l’ Atlanta Journal e l’ Atlanta Constitution: il giornale si chiama da allora Atlanta Journal-Constitution, e il prolungarsi delle crisi che riguardano il settore ha spinto la proprietà ad annunciare che smetterà di essere stampato alla fine del 2025, mantenendo solo l’edizione digitale, su cui sono stati fatti grossi investimenti negli ultimi anni in quest’ottica. Il giornale ha 115mila abbonati di cui 75mila solo all’edizione digitale.17
domenica 7 Settembre 2025
In un numero speciale dedicato al proprio centenario, il settimanale americano New Yorker ha raccontato storia e aneddoti della propria rinomata redazione di fact-checking.
“I turned in this piece with seventy-nine errors. Anna, the fact checker who fixed them, has been a member of The New Yorker’s checking department for six years. I enjoy working with Anna, which is good, because being checked by Anna involves maybe a dozen hours on the phone. We talk mainly about facts, and occasionally about foraging for chanterelles, which is her passion. People sometimes ask Anna if she finds many errors. In the eighties, one checker found that an unedited issue of the magazine contained a thousand of them. (This figure itself wouldn’t survive a fact-check, but never mind.) My contribution to the trash heap, in this piece alone, included misspelling several proper nouns (Colombia, alas, is not Columbia), inventing, it seems, a long-ago interaction between a fact checker and the deputy Prime Minister of Israel, and writing about a bird’s kidney when I should have been writing about its liver. I’m sure no errors remain, but I won’t declare it categorically. That kind of thing makes a checker squirm”.
domenica 7 Settembre 2025
Charlie ha spiegato spesso in passato il peculiare formato – tra i molti con cui alcuni quotidiani italiani confondono giornalismo e pubblicità – delle doppie pagine che Repubblica e Corriere della Sera chiamano “Guide” o “Eventi” o “Orizzonti”: che ospitano articoli promozionali dedicati a prodotti o progetti commerciali senza nessuna segnalazione della natura pubblicitaria di quegli articoli. Il formato si è rivelato proficuo – agli inserzionisti ovviamente interessa molto una presentazione celebrativa dei loro prodotti e attività che sembri spontanea e disinteressata, da parte del giornale – ed è stato imitato in occasioni meno frequenti da altre testate maggiori, con altre titolazioni ma sempre nessuna indicazione che si tratti di pubblicità.
Giovedì e venerdì ce n’è stata una particolare esecuzione in cui sia Repubblica che Corriere hanno dedicato quello spazio allo stesso prodotto, un’automobile della azienda Audi.
(il Corriere aveva già usato due pagine allo stesso modo lunedì per promuovere un festival milanese, mercoledì per promuovere l’evento Vicenzaoro e giovedì per promuovere le attività dell’Università San Raffaele).
domenica 7 Settembre 2025
L’illustre rivista di moda americana Vogue ha una nuova direttrice, dopo le dimissioni di Anna Wintour, leggendaria responsabile della rivista per 37 anni. Il titolo esatto di Chloe Malle sarà in realtà “capa dei contenuti editoriali”, considerato il ruolo di comando che Wintour mantiene come direttrice editoriale di tutte le edizioni del brand. Malle ha 39 anni ed è figlia dell’attrice statunitense Candice Bergen e del regista francese Louis Malle. Finora aveva diretto il sito della testata, Vogue.com, e aveva co-condotto un podcast settimanale di moda e cultura prodotto sempre dalla rivista.
Vanessa Friedman, che è l’importante responsabile della moda nella redazione del New York Times , ha scritto un articolo per spiegare che il vecchio primato di Vogue nella promozione di tendenze e di brand si è molto ridimensionato negli ultimi anni.
Venerdì il New Yorker (che appartiene allo stesso gruppo editoriale, Condé Nast) ha pubblicato una lunga intervista del direttore David Remnick con Anna Wintour.
domenica 7 Settembre 2025
C’è stato un altro caso di palesi invadenze degli interessi pubblicitari nel giornalismo del Corriere della Sera che ha fatto traboccare il vaso della tolleranza della sua redazione. Un’intervista a Jannik Sinner ha generato una protesta presso il direttore, e un intervento del presidente dell’Ordine dei giornalisti. Tra i grandi quotidiani il Corriere della Sera è quello che da diversi anni – beneficiandone in termini di sostenibilità economica – dà le maggiori priorità allo sfruttamento del giornale come strumento di raccolta pubblicitaria: gli effetti sono visibili, e a volte irritano gli stessi giornalisti. Le pagine in discussione sono state così descritte sul sito specializzato Prima Comunicazione.
“Subito nelle prime righe il lettore viene informato che il numero uno del mondo di tennis è “vestito Gucci, al polso due orologi Rolex (due dei suoi sponsor)”. Ed è reduce, venerdì sera, da una festa al club “The Core”, dove è stato celebrato “come ambasciatore delle crociere Explora Journeys”. Su Explora Journeys c’è un pezzo apposito, sotto l’intervista. Titolo: “E Jannik Sinner scopre la crociera con Explora Journeys. Il campione a bordo, un ace di ‘sport e benessere’”.
L’articolo spiega che Explora Journeys, brand di viaggi oceanici di lusso del Gruppo Msc delle famiglie Aponte e Vago ha annunciato venerdì sera a New York una partnership con Jannik Sinner e racconta come la Presidente di Explora Journeys, Anna Nash, e il campione saliranno a bordo di una nave Explora “in modo da contribuire a mettere a punto rituali di benessere che potranno poi essere goduti dagli ospiti”. Nash precisa: “Vogliamo che la presenza di Jannik sia infusa nella nave”. Sinner, ragazzo di montagna, rivela di non essere mai salito su una nave e definisce tutto questo “un sogno””.
Per completezza e perché non paia una commistione visibile solo sul Corriere della Sera, va citata la pagina che Repubblica ha dedicato sabato a un’intervista al direttore creativo della azienda Hermès per promuovere un’iniziativa dell’azienda stessa che due giorni prima era stata pubblicizzata a pagamento sul giornale. In questo caso l’azienda sponsor dell’articolo ha investito nel giornale, invece che nell’intervistato dal giornale.
domenica 7 Settembre 2025
Nelle scorse settimane si sono molto intensificati i dati e gli indizi che confermano un sensibile calo di traffico verso i siti di news determinato dai nuovi servizi di “intelligenza artificiale” sulle pagine del motore di ricerca di Google (i testi chiamati “AI Overview”). Come era stato ampiamente previsto, quelle informazioni – che fanno definitivamente e indiscutibilmente di Google un “editore” – risparmiano a tanti utenti di cliccare sui siti risultati della ricerca: le conseguenze riguardano tutti i siti, ma naturalmente in modo sensibile quelli che forniscono informazioni per definizione, i giornali online.
In risposta alle molte analisi e previsioni che suggeriscono questa tendenza, Google ha sostenuto che i loro metodi sarebbero fallaci e che il traffico che arriverebbe ai siti sarebbe ora “di maggior qualità” (ovvero con più tempo speso sui siti dopo il clic), perché chi clicca avrebbe sviluppato maggiori curiosità e necessità di approfondimento dopo aver consultato le risposte sintetizzate dal software di “AI”. Risposta che ha convinto pochi: ormai si parla molto di un uso di Google “zero click”, ovvero in cui la ricerca si esaurisce senza che l’utente clicchi su nessun link.
Quello che è realistico e reale, è che per questo e altri fattori il traffico da clic più occasionali stia molto diminuendo e che la sostenibilità dei siti di news dovrà dipendere sempre di più dai lettori più fedeli e dagli abbonamenti, e sempre meno dal pubblico intercettato sui social network o tramite le ricerche.
domenica 7 Settembre 2025
È un prologo semplice e ombelicale quello con cui Charlie torna dalle vacanze, approfittando dell’indulgenza dei suoi lettori e lettrici, che speriamo altrettanto riposati. Perché nel frattempo la newsletter ha compiuto cinque anni. E se sulla questione con cui la inaugurammo allora non è purtroppo cambiato niente, ci permettiamo invece l’impressione che Charlie abbia nel frattempo cambiato qualcosa, allargandosi in uno spazio che era molto vuoto, quello del “media reporting”, come lo chiamano i giornali angloamericani che ci si dedicano abitualmente. E per questo ringraziamo abbonati e abbonate del Post: in questi cinque anni Charlie è diventata la lettura domenicale di persone interessate a capire un pezzo importante di come si forma la nostra conoscenza della realtà e delle notizie – e quella delle persone che ci circondano – ma anche la lettura domenicale delle persone che lavorano nelle redazioni e nel sistema dei media, che hanno spesso manifestato il loro interesse e il loro consenso per Charlie, anche offrendosi come fonte di notizie e informazioni utili, o di curiosità diffuse. Permettendo a Charlie di conservare il suo equilibrio e la sua intenzione di far capire a tutti quali fattori influenzano la costruzione del sapere condiviso – o non condiviso – senza voler essere soltanto uno strumento per “addetti ai lavori”. Ma naturalmente il mondo dei media è ricchissimo di storie e di sviluppi, e di ambiti che non siamo ancora riusciti a seguire adeguatamente. Proveremo a farlo di più, con consapevolezza che certi mezzi di informazione hanno influenze maggiori di altri – dirette o indirette – e che certe novità e cambiamenti sono più indicative di altre. Intanto, grazie di legittimare questo sforzo col vostro interesse. Per il Post è, anche in questo caso, il piacere di condividere le cose che impariamo in mezzo a tanti cambiamenti.
Fine di questo prologo.
domenica 27 Luglio 2025
Questa è l’ultima newsletter prima di una sospensione estiva. La prossima vi arriverà domenica 7 settembre, con tutti gli aggiornamenti necessari a recuperare tumulti, tendenze, colpi di mano, fenomeni e notizie che abbiano riguardato i giornali nel frattempo. Un frattempo in cui smettere un po’ di pensarci farà bene a tutti, ma se invece volete approfittarne, c’è Cose spiegate bene sui giornali. Ciao.
domenica 27 Luglio 2025
Un articolo del corrispondente del New York Times da Parigi ha raccontato “l’ultimo strillone in Francia”, un uomo di origine pakistana che per decenni ha venduto quotidiani per strada a Parigi, e continua a farlo. Naturalmente non esiste più nessuna struttura che distribuisca i quotidiani agli strilloni (per i meno anziani: è il nome che si dava ai venditori ambulanti di giornali, che ne “strillavano” i titoli in cerca di attenzione), e Ali Akbar compra i giornali all’edicola vendendoli poi al doppio del prezzo grazie a una popolarità raccolta tra i parigini e tra i turisti.
domenica 27 Luglio 2025
Sul Fatto di sabato è stato pubblicato un articolo assai diffidente sul prezzo pagato dalla società Toto Holding per acquistare il 40% del quotidiano romano Il Tempo dalla società Tosinvest della famiglia Angelucci (che ne mantiene il 60% e possiede anche i quotidiani Libero e Giornale). Toto possiede interessi nelle costruzioni, nell’energia (con l’azienda Renexia, che in queste settimane ha investito molto in pubblicità sui quotidiani degli Angelucci) e nelle autostrade. L’ipotesi del Fatto è che la valutazione del Tempo sia stata esagerata e che questo possa essere in relazione con una decisione del governo favorevole a Toto (Angelucci è deputato della maggioranza), ma l’articolo stesso mostra diversi dati che contraddicono questa ipotesi.
domenica 27 Luglio 2025
È in corso una trattativa che fa pochi progressi per il rinnovo del contratto giornalistico, tra la federazione degli editori e il sindacato dei giornalisti. Per noialtri osservatori e commentatori di quello che capita ai giornali è interessante perché mostra due letture distanti di quello che è successo alle aziende giornalistiche e al mondo negli anni dall’ultimo adeguamento del contratto, nel 2016. Il sindacato sostiene che l’aumento dell’inflazione richieda una revisione degli aspetti economici del contratto, e che gli utili prodotti dalle aziende giornalistiche italiane (da alcune di loro, nei fatti) grazie ai contributi pubblici e alle riduzioni dei costi debbano essere in parte ridistribuiti verso i giornalisti e verso investimenti su nuove assunzioni e sulla riduzione del precariato. Gli editori, invece, sostengono che tutto sia cambiato – sia in termini di disponibilità di risorse che di funzionamento del lavoro e del sistema dell’informazione – e sia necessario attenuare alcune norme che loro ritengono rigidità eredi di periodi più floridi e assai diversi. In più, c’è un singolare dissenso sulla regolamentazione dell’uso delle “intelligenze artificiali”, regolamentazione che gli editori temono di vedere presto superata e che limiti delle opportunità. Due contrapposti e polemici comunicati sono stati pubblicati su alcuni maggiori quotidiani sabato.
domenica 27 Luglio 2025
Abbiamo raccontato altre volte il declino dell’illustre newsmagazine Time, travolto dalle crisi della gran parte delle riviste e dal non essersi riprogettato adeguatamente rispetto ai tempi digitali. Il giornale non è più un settimanale – esce una settimana sì e una no -, ha ancora contenuti giornalistici di discreta qualità, ma non competitivi nell’affollato e vivace contesto dell’informazione contemporanea. I suoi articoli non fanno più notizia, e ha avuto una serie di passaggi di proprietà: ora è di un famoso imprenditore, Marc Benioff, recente ammiratore di Donald Trump.
Il capitale di visibilità maggiore che resta a Time sono le sue copertine, e in particolare quella dedicata alla “Persona dell’anno” (l’ultima volta dedicata a Donald Trump): non perché abbiano un valore particolare, ma perché le tradizioni mantengono un valore e il pubblico dei giornali tradizionali invecchia, portando con sé una fedeltà a quelle tradizioni. Oggi finire su una copertina di Time non ha maggior significato che finire su quella di un qualunque periodico americano, e ne ha meno che finire su quella di altri periodici rimasti autorevoli e importanti, come il britannico Economist o l’ Atlantic.
In più, nei mesi passati Time ha fatto circolare sui social network delle immagini di copertine efficaci e condivise, che però non sono state prodotte come reali copertine del giornale: sempre per sfruttare l’attenzione che le copertine di Time ricevono ancora.
Giovedì il sito di Time ha mostrato un’anteprima di una sua copertina su Giorgia Meloni e ha pubblicato l’intervista relativa con la stessa Meloni. Niente di più, niente di meno: diversi quotidiani italiani l’hanno ripresa, naturalmente con maggior spazio e celebrazione quelli vicini alla maggioranza di governo (Libero l’ha usata per sostenere in un editoriale che esista un particolare riconoscimento internazionale per Meloni stessa).
domenica 27 Luglio 2025
Michele Serra, giornalista di grande visibilità ed esperienza, e autore tra le altre cose della rubrica quotidiana “L’amaca” su Repubblica e della newsletter settimanale “Ok Boomer!” sul Post, ha risposto ad alcune domande del direttore del Foglio Claudio Cerasa sul rapporto dei giornali con il racconto delle inchieste giudiziarie e dei processi.
“Ai media sarebbe richiesta indipendenza di giudizio e possibilmente serenità nel racconto delle cose. Io vedo soprattutto un gigantesco problema di linguaggio. Di certi titoli non vale nemmeno la pena parlare, per quanto sono urlati, o ammiccanti, o calunniosi. Peggio ancora, più subdolo e tossico, è che in quasi tutte le cronache sul malaffare, quello vero e quello presunto, ogni casa diventa una ‘lussuosa villa’ anche se è una villetta a schiera, ogni vacanza una ‘vacanza da favola’, anche se è un weekend a Pinarella di Cervia, ogni retribuzione un ‘lauto stipendio’ anche se è una consulenza da cinquemila euro all’anno. L’idea di partenza è quella di una umanità ingorda, degenerata e disposta a qualunque cosa pur di arricchirsi. Se sei Balzac puoi permetterti di dirlo, se no è meglio attenerti ai fatti” .
domenica 27 Luglio 2025
La costruzione di progetti giornalistici dedicati ai bambini e ai ragazzi è un pensiero che attraversa le redazioni con frequenza. Ancora di più in questi anni di declino di interesse nei confronti dei giornali da parte dei lettori e delle lettrici giovani: ma se da una parte la tentazione di ricostruire un interesse nell’informazione prodotta dai giornali fin da età molto piccole è una tentazione affascinante, dall’altra il timore è che le ragioni dell’allontanamento siano solide e insuperabili. In più, giornali dedicati ai bambini o ai ragazzi si trovano nella particolare condizione di dover interessare i bambini e i ragazzi ma avere come potenziali acquirenti soprattutto i loro genitori: e quello che piace ai primi non è necessariamente quello che convince i secondi, o viceversa.
E insomma, le tentazioni rimangono quasi sempre tali. In Italia i due esperimenti principali e più longevi tra le testate maggiori sono il mensile Internazionale Kids (che ha anche un suo festival) e l’inserto settimanale del quotidiano Avvenire che si chiama Popotus.
A rendere più fragili ancora le prospettive di simili progetti è arrivata questa settimana la notizia – riferita dal giornalista Max Tani, che si occupa di media per il sito americano Semafor – che il New York Times chiuderà la sua sezione mensile “For Kids“, che esiste dal 2017.
domenica 27 Luglio 2025
Helen Lewis, giornalista del magazine americano Atlantic, ha scritto un commento a proposito del ruolo dei giornalisti nelle attuali polemiche sulla richiesta di informazioni pubbliche a proposito del “caso Epstein”. Ma qui lo citiamo perché contiene una considerazione critica e ragionevole rispetto a un luogo comune e a una frase fatta che attribuisce al giornalismo il ruolo di “fare domande”: luogo comune che legittima una estesa produzione giornalistica basata sul seminare sospetti e accuse presso i lettori, senza essere in grado di sostanziarli adeguatamente, e che consente a chiunque di chiamare “giornalismo” la diffusione di altrettanti sospetti e accuse online.
“Se lo scandalo Epstein ci insegna qualcosa, è che l’America ha bisogno di una categoria di persone dedicate e sostenute il cui lavoro sia non solo di fare domande, ma di ottenere risposte. Chiamiamoli giornalisti”.
domenica 27 Luglio 2025
Il sito americano Nieman Lab, che si occupa di giornalismo per un’istituzione dell’università di Harvard, ha pubblicato un articolo sui successi di traffico di alcuni siti locali di news statunitensi. L’articolo spiega come sembri essere stato lungimirante il precoce disinvestimento, da parte di alcune illustri testate giornalistiche locali, dalla carta verso il web: che all’inizio è sembrato una preoccupante riduzione di risorse e di ambizioni, e invece potrebbe avere costruito dei prodotti di informazione sostenibili e non ridimensionati.
Tra le altre scelte fatte di cui parla l’articolo, ce n’è una puntuale e interessante per la sua concretezza: ovvero quella di abbandonare sul web i nomi originali dei quotidiani – quasi sempre legati alla città dove hanno sede – per indicare esplicitamente regioni e pubblici più estesi: il sito del Newark Star-Ledger si chiama NJ.com (sigla del New Jersey), il sito del Patriot-News di Harrisburg si chiama PennLive (richiamando la Pennsylvania), e altri esempi simili. Un approccio che chiaramente cerca di attenuare il limite del ridotto bacino di utenza online di molte testate locali in tutto il mondo.
domenica 27 Luglio 2025
Il direttore del canale televisivo di news Sky Tg24, Giuseppe De Bellis, è stato nominato vicepresidente esecutivo per lo sport, le notizie e l’intrattenimento di Sky Italia. Il suo posto come direttore di Sky Tg24 è stato quindi affidato a Fabio Vitale, che ha 38 anni, è a Sky Tg24 dal 2007, e da allora è una presenza visibile e nota nei programmi della rete.
domenica 27 Luglio 2025
Invece questa è una diversa categoria di errori che compare spesso sui giornali italiani: quella delle traduzioni sbagliate rispetto alle fonti originali della notizia, che sono aumentate da quando le redazioni si affidano ai servizi di traduzione automatica.
La scorsa settimana molte testate italiane hanno riferito con grande allarme di “navi russe nel Mediterraneo”. Trascuriamo la mancanza di misura dell’allarmismo, in particolare nei titoli, anche qui. Ma molti di questi articoli citavano tra queste navi una o più portaerei. E il fatto è che la marina militare russa non possiede portaerei in grado di navigare: la sola esistente è ferma da un pezzo per riparazioni e ammodernamento nei cantieri di Murmansk. Quindi ovviamente non c’è nessuna portaerei russa nel Mediterraneo (e sia la “notizia” che l’errore non sono nuovi).
La spiegazione più realistica dell’errore è quella che permette di capire due funzionamenti delle redazioni. Uno è quello per cui lo sbaglio di una prima fonte viene ripreso senza verifiche da tantissimi altri (in questo caso può essere stata l’agenzia Ansa, o chissà). L’altro è quello per cui ci si affida appunto a sistemi di traduzione automatica delle fonti non italiane: e in questo caso la “notizia” era stata data da fonti ucraine in inglese con un termine (“carrier”) che il servizio di traduzione di Google sbaglia a tradurre, introducendo delle portaerei dove non ci sono.
domenica 27 Luglio 2025
Nella scorsa Charlie eravamo tornati con un esempio sulla questione di come i titoli degli articoli sui quotidiani, sui siti di news e sui social network vengano composti con criteri che si allontanano molto da una corrispondenza ai fatti raccontati o avvenuti. Col risultato – trattandosi del formato che raggiunge più persone e viene registrato di più, i titoli – di formare conoscenze, impressioni, opinioni, assai infondate o immotivate. Abbiamo ricevuto alcune mail su questo, quindi ci torniamo con altri esempi di questa settimana.
Qui il titolo di un articolo di Repubblica sul virus West Nile riferisce il presunto parere di un entomologo per cui «Con il caldo estremo zanzare più letali». In realtà l’entomologo intervistato dice il contrario, ovvero che «Il numero dei casi è nella norma», e che però « il ciclo vitale degli insetti con il riscaldamento del clima tende ad allungarsi».
Una settimana fa uno degli attori del Trovatore alla Royal Opera House di Londra si è presentato ai saluti finali sul palco con una bandiera palestinese. Un impiegato del teatro da dietro le quinte ha cercato di togliergliela di mano senza riuscirci ed è tornato dietro le quinte: è successo in un secondo, e la bandiera è poi rimasta esposta a lungo. Il Corriere della Sera ha titolato l’articolo relativo “Rissa sul palco per la bandiera palestinese”.
Nella sua rubrica di risposte alle lettere sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo ha scritto domenica dell’evaso di cui già parlammo che “la sua improbabile fuga iniziata con una festa di laurea è la conferma che il carcere non lo ha recuperato e quindi non sarebbe male se scontasse tutti gli undici anni e dieci mesi cui è stato condannato in via definitiva”. Il titolo dato alla sua risposta è “Quando il carcere non serve“.
Repubblica ha intervistato un viceministro sulla riforma della Giustizia. Nella prima domanda gli viene chiesto se è in corso “una crociata contro i magistrati” e lui risponde “assolutamente no”. Nella seconda domanda gli viene chiesto se la riforma metta “la magistratura sotto l’esecutivo” e lui risponde che questa è “una balla spaziale”. Nel virgolettato del titolo la risposta alla seconda domanda viene fatta corrispondere alla prima domanda: “Balla spaziale la crociata anti giudici”.
domenica 27 Luglio 2025
Il Wall Street Journal ha continuato a pubblicare nei giorni scorsi articoli sui documenti del “caso Epstein“: le sue rivelazioni sono assai poco significative e non dicono quasi niente di nuovo (lo ha ammesso persino un saggio editoriale dello stesso Wall Street Journal ), ma nel contesto agguerritissimo e ipersensibile di queste settimane intorno al caso Epstein ogni piccola cosa diventa un caso, ed evidentemente il Wall Street Journal ne vuole approfittare. E come avevamo detto una settimana fa, l’editore Rupert Murdoch non è uno che si fa spaventare da una denuncia con richiesta di risarcimento milionaria. Trump ha allora fatto ricorso a un’altra delle sue ritorsioni, e all’inizio della settimana ha escluso l’inviato del giornale dalla compagnia di giornalisti associata al suo viaggio in Scozia. E sta provando anche la consueta strategia diversiva – inventarsene altre per spostare le attenzioni – ma stavolta sta funzionando meno.