Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 26 Ottobre 2025
Proteggere Sigfrido Ranucci è una priorità e un’intenzione ovvia e condivisa. Ritirare le denunce per diffamazione che lo riguardano è una scelta che in questo momento esprimerebbe solidarietà nei suoi confronti e aiuterebbe una persona che è vittima di un attacco infame. Mentre far diventare quello che è successo un precipitoso stravolgimento delle regole sulla diffamazione sarebbe l’ennesimo caso di reazione superficiale ed emotiva a un fatto di cronaca. Non succederà, naturalmente, e tutto il dibattito in corso serve solo ad alimentare le polemiche partigiane quotidiane e le demagogie di una parte della politica e dei giornali. Inoltre, per quello che sembra finora, l’attentato a Ranucci confermerebbe che le minacce reali alla libertà di informazione in Italia vengono dalla criminalità comune o organizzata, piuttosto che dalla politica: ma ogni giorno si litiga sulla seconda e ci si occupa poco della prima, che non offre sufficienti occasioni di litigio.
Quindi si potrebbe provare a rendere un po’ più sensato e lucido il dibattito.
Ci ha provato sul Corriere della Sera, martedì, Caterina Malavenda, illustre avvocata che è spesso ospitata su quel giornale per via della sua esperienza da difenditrice dei suoi giornalisti in cause di diffamazione (quest’anno ci ha scritto un libro). Malavenda accantona la proposta ad personam che riguarda Ranucci (per ragioni di efficacia più che di correttezza) e ne fa un’altra, che sintetizza così: “Ed allora ecco una proposta semplice e risolutiva: limitare la diffamazione penalmente rilevante e i conseguenti danni risarcibili alla sola diffusione volontaria di fatti falsi, punendola severamente”.
Una prima perplessità è generata dall’espressione “fatti falsi”: la diffamazione infatti non implica la falsità di quello che è diffamante, né che si tratti di “fatti”. Si può infatti diffamare anche pubblicando fatti veri e soprattutto pubblicando opinioni, e questa definizione di Malavenda esime da responsabilità chi scriva giudizi infamanti anche molto pesanti e inaccettabili contro qualcuno. La condanna contro la prima pagina di Libero che definì “Patata bollente” Virginia Raggi non sarebbe possibile; idem per la condanna di chi chiamò Antonio Scurati “uomo di M”: difficile chiamare “fatti” – veri o falsi – quelle espressioni. Può darsi che questa sia un’intenzione di Malavenda, ma la protezione fino a questi punti della libertà d’espressione meriterebbe una discussione maggiore. Se invece quello che propone è di sottrarre a giudizi “penali” questo genere di cause, destinandole solo ai tribunali civili, la proposta ha una sua ragionevolezza: a patto che dopo non arrivi un nuovo allarme per l’uso delle richieste di risarcimenti esagerati nelle cause civili. Qualche strumento di difesa i diffamati devono conservarlo.
Perché può darsi che Malavenda abbia voluto esporre l’idea nella sbrigativa sintesi di un articolo e che ne abbia pensieri in realtà più articolati (tra l’altro, a suo onore, la sua idea le farebbe probabilmente perdere un sacco di lavoro): però la sua proposta è fin troppo “semplice e risolutiva”. E non sembra tenere conto di almeno due cose. La prima è la difficoltà del riconoscimento di cosa sia una “diffusione volontaria di fatti falsi”: che si immagina significhi la consapevolezza della loro falsità (tutte le diffusioni di fatti sono volontarie, sui giornali). Consapevolezza che sarebbe piuttosto difficile verificare e dimostrare in tribunale.
E qui c’entra anche la seconda cosa: ed è che un fattore rilevantissimo dei contenuti potenzialmente o realmente diffamanti pubblicati dai giornali italiani, o di quelli falsi (le due cose sono distinte, come abbiamo detto, ma con estese sovrapposizioni), è quella che si chiama “negligenza”. Che è un limite peculiare della cultura giornalistica nazionale, rispetto agli altri paesi (compresi gli Stati Uniti che Malavenda cita a esempio nel suo articolo, e che la negligenza la contemplano e perseguono): sono negligenza la trascuratezza nel pubblicare, la limitatezza delle verifiche, la scarsa prudenza, le scelte impulsive per ottenere attenzioni e click. C’è una frequente “irresponsabilità” nel lavoro giornalistico italiano, che deriva dalla sua storia e dalla scarsa sedimentazione di rigori presenti in altri paesi. E le regole sulla diffamazione sono anche un argine – modesto – alle conseguenze di questa irresponsabilità: che vengano usate spesso a scopo intimidatorio – soprattutto da politici, grandi aziende e magistrati: “potenti” di vario genere – è un problema da affrontare, ma limitarne la disponibilità per i realmente diffamati, e il beneficio per i lettori con aspettative di correttezza e accuratezza, non sarebbe una gran soluzione.
Fine di questo lungo prologo.
domenica 19 Ottobre 2025
Domenica scorsa abbiamo imperdonabilmente confuso degli yuan con degli yen, come ci avete fatto notare in molti. Dovremmo piantarla coi titoli che vogliono fare gli spiritosi.
domenica 19 Ottobre 2025
Il Post ha annunciato nei giorni scorsi l’uscita di due nuovi libri – di argomento molto distante tra loro – nel suo progetto editoriale di informazione giornalistica “Altrecose”, in collaborazione con l’editore Iperborea. Il reportage da Gaza dello storico francese Jean-Pierre Filiu e la ricca selezione di consigli musicali di Luca Sofri, peraltro direttore editoriale del Post.
Intanto il settimanale Internazionale – che ha già una lunga tradizione di esperimenti di prodotti cartacei collaterali – ha presentato una collana di libri destinati a pubblicare reportage giornalistici “troppo lunghi” per essere pubblicati sul giornale: chiamandoli per questo “Extra Large”, con ironica allusione alla dimensione invece ridotta per essere dei libri.
domenica 19 Ottobre 2025
Il giornalista di cronaca nera Salvatore Garzillo ha raccontato – e disegnato – sul Post il lavoro suo e dei suoi colleghi nel seguire un’indagine di grandi attenzioni da parte dei media come quella sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco.
“I giornalisti “da riporto” sono quelli che non hanno una notizia esclusiva, in mancanza di una fonte valida, e che quindi seguono il collega che ha la dritta, che ha “la carta” (l’ordinanza, per esempio), che è amico di quel generale o di quel pm.
Sono come gli stormi di storni nei cieli di Roma: sono spettacolari per i loro movimenti repentini e compatti, tuttavia sai che produrranno molta cacca, quindi meglio stargli lontano o trovare un riparo per non sporcarsi.
Spesso non c’è dolo in questa incapacità, è il frutto della frenesia della fabbrica delle notizie che impedisce a tanti di formarsi su un tema, studiare una vicenda, specializzarsi in un settore. Oggi segui l’omicidio di un boss del narcotraffico e domani la signora salvata dal suo gatto mentre la casa andava a fuoco, il giorno dopo la scritta antisemita sul muro dell’università e quello successivo i trend della fashion week”.
domenica 19 Ottobre 2025
Come ormai avviene con frequenza, alcuni degli inserzionisti pubblicitari sui due maggiori quotidiani italiani ottengono – acquistando pagine pubblicitarie – anche articoli redazionali dedicati alle campagne pubblicitarie stesse. Questa settimana è capitato sul Corriere della Sera per dare ulteriore visibilità – a distanza di due giorni – a una pubblicità dell’azienda Moncler.
domenica 19 Ottobre 2025
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (abitualmente chiamata antitrust) ha aperto un’istruttoria che ipotizza delle violazioni da parte delle comunicazioni pubblicitarie dell’azienda Philip Morris sui propri prodotti alternativi alle sigarette del brand Iqos. La notizia è stata ripresa da molti giornali e siti di news, e ha generato in molti casi lo stesso tipo di anomala reazione che aveva riguardato la settimana precedente l’inchiesta nei confronti dell’azienda Tod’s: ovvero un inconsueto spazio dedicato alle ragioni degli accusati rispetto agli argomenti dell’indagine.
Scelta rispettabile, ma che si nota essere presa soprattutto quando gli indagati sono importanti inserzionisti pubblicitari (o persino soci di un quotidiano): Philip Morris ha acquistato spesso pagine pubblicitarie, nei mesi passati, per sovvenzionare molti quotidiani (soprattutto quelli vicini alla maggioranza di governo). L’azienda non può infatti pubblicizzare i propri prodotti, per legge, e le sue pubblicità sui giornali sono dedicate a campagne di buon comportamento (venerdì, all’indomani della notizia, su Repubblica). Il testo che il quotidiano Il Giornale ha dedicato alla reazione dell’azienda è tra quelli che più permettono di notare questa accoglienza.
“Philip Morris non è rimasta muta davanti alle accuse e, immediatamente, ha risposto spiegando che, “con riferimento al provvedimento avviato da parte dell’Autorità garante in merito all’utilizzo dell’espressione senza fumo in comunicazioni legate alla nostra visione aziendale e ai nostri prodotti privi di combustione, Philip Morris Italia ritiene di aver agito sempre nel rispetto della disciplina vigente ed è convinta che la propria comunicazione sia fattuale, veritiera e pienamente coerente con la normativa italiana ed europea che associano l’assenza di fumo all’assenza di combustione”.
Effettivamente, guardando alle norme italiane, nello specifico al decreto legislativo 6/2016 che ha recepito la direttiva europea 2014/40/UE, all’articolo 2, comma 5 il prodotto del tabacco non da fumo (smokeless tobacco product nella versione in lingua inglese della Direttiva), è descritto come un prodotto del tabacco che non comporta un processo di combustione, proprio come nelle Iqos.
In questo quadro, Philip Morris è aperta a continuare a collaborare con l’Autorità nel corso del procedimento per fare emergere la piena legittimità del proprio operato. Ma non accetta giudi [sic] a priori sul fatto”.
domenica 19 Ottobre 2025
È stato molto ripreso e citato l’intervento del direttore della Stampa, Andrea Malaguti, che ha appassionatamente dissentito da una serie di oratori che lo avevano preceduto durante un convegno organizzato a Roma dall’Unione delle comunità ebraiche, in un dibattito su “La guerra raccontata dai media”. Prima di Malaguti avevano parlato altri giornalisti con posizioni, abitualmente esibite, vicine alla maggioranza di destra, e avevano accusato parte del lavoro giornalistico italiano su Gaza di indulgenze nei confronti di Hamas.
domenica 19 Ottobre 2025
Ha annunciato la “sospensione” delle pubblicazioni il fondatore e direttore del settimanale satirico livornese Il Vernacoliere, che ebbe originalità e popolarità locali soprattutto alla fine del secolo scorso ma è tuttora conosciuto anche oltre i confini toscani per le locandine di rivendicata volgarità esposte dalle edicole in molte città. Oltre alle motivazioni comunicate, non si può non notare che molti dei linguaggi polemici e offensivi che diedero attenzioni e popolarità al Vernacoliere sono stati col tempo fatti propri da diversi quotidiani nazionali: l’editoriale di prima pagina del Fatto, venerdì, era titolato “E una fettina di culo”; il titolo maggiore di Libero parlava di “bordello” ed esibiva una vignetta satirica (qualche giorno fa sempre Libero aveva preso in giro in prima pagina l’aspetto di una persona e la sua parrucchiera); il Tempo aveva un’immagine volgare simile, e un editoriale del direttore sull'”Ave Marijuana”.
domenica 19 Ottobre 2025
Sono continuate le tensioni tra la redazione e l’azienda al Tirreno di Livorno, questa settimana: la redazione ha scioperato per un secondo giorno anche lunedì, come aveva minacciato in assenza di risposte soddisfacenti da parte dell’editore. Nel frattempo il consiglio comunale di Pisa si è ufficialmente detto solidale con la redazione (il Tirreno è il maggiore quotidiano cartaceo di tutta la Toscana costiera, con redazioni in diverse città).
domenica 19 Ottobre 2025
I più fedeli lettori di Charlie ricorderanno la cinematografica storia della relazione tra la giornalista Olivia Nuzzi e l’attuale ministro della salute statunitense Robert F. Kennedy: un film non è ancora in programma ma un libro sì, e lo ha scritto lei. Nelle redazioni americane ci sono già curiosità e timori.
domenica 19 Ottobre 2025
Da oltre una settimana il quotidiano Repubblica sta approfittando della già buona intuizione – ne scrivemmo nella scorsa newsletter – di riproporre ai suoi lettori un testo che lo scrittore Alessandro Baricco aveva pubblicato sulla piattaforma Substack. Repubblica sta chiedendo quotidianamente ad autori e autrici più o meno noti di rispondere alle riflessioni di Baricco, creando così una sorta di “dibattito” che, a prescindere dalle variabili qualità degli interventi, dà una continuità all’argomento e diventa un contenuto originale del giornale a partire da uno spunto esterno.
domenica 19 Ottobre 2025
C’è stata un’improvvisa agitazione nella redazione del Sole 24 Ore , venerdì, dovuta all’annuncio della pubblicazione di una lunga intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, condotta da Maria Latella, giornalista di discreta notorietà televisiva e collaboratrice esterna del giornale. La redazione sostiene che l’intervistatrice sia stata scelta dall’intervistata, e che i propri giornalisti siano stati esautorati dal loro ruolo, e ha deciso di scioperare immediatamente, sospendendo l’aggiornamento del sito: ma la direzione ha comunque pubblicato il quotidiano del sabato con un ridotto numero di pagine. La protesta è stata spiegata in un primo comunicato sabato.
“Le giornaliste e i giornalisti del Sole 24 Ore sono in sciopero e denunciano la grave azione anti-sindacale compiuta dalla direzione che il 18 ottobre ha comunque fatto uscire in edicola il quotidiano, seppure in forma ridotta, in opposizione a quanto deliberato all’unanimità dall’assemblea.
Sabato 18 ottobre il sito web non sarà aggiornato e per le 16 è convocata una nuova assemblea. L’agitazione interviene a tutela delle professionalità della redazione. Venerdì 17 ottobre, giorno di approvazione della legge di bilancio in consiglio dei ministri, infatti è improvvisamente comparsa sulle pagine del giornale un’intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni scritta da una collaboratrice esterna. Vicenda che si era già verificata in passato e che avevamo stigmatizzato con uno sciopero delle firme.
Episodi analoghi, in altri campi, accadono anche con altri interlocutori. In questo modo si approda a una deriva distopica nella quale gli intervistati si scelgono gli intervistatori con il beneplacito del direttore”.
Sabato, poi, la redazione ha deciso di proseguire lo sciopero e oggi il quotidiano non è stato pubblicato.
“Domenica 19 ottobre il Sole 24 Ore non sarà in edicola e il suo sito web non sarà aggiornato. L’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti è tornata a riunirsi per affidare al Cdr un pacchetto di sei giorni di sciopero e un più ampio piano di agitazione che sarà declinato a partire dalla prossima settimana.
Tutto questo per protestare contro la grave condotta anti-sindacale della direzione che ha inteso far uscire comunque il numero di sabato 18 ottobre, nonostante lo sciopero proclamato all’unanimità il giorno precedente. Un fatto senza precedenti nei 160 anni di storia del Sole 24 Ore, oggi più volte e incongruamente celebrati. Un numero che conteneva l’intervista fiume alla premier Giorgia Meloni scritta ancora una volta dalla collaboratrice esterna Maria Latella, circostanza che si verifica per la seconda volta in due anni, a danno delle professionalità interne della redazione, ancora una volta mortificate”.
Nelle edizioni di domenica dei rispettivi quotidiani, le redazioni di Domani e di Repubblica si sono battaglieramente dette solidali con i loro colleghi del Sole 24 Ore.
domenica 19 Ottobre 2025
La copertura delle manifestazioni politiche di grande partecipazione è un frequente oggetto di conversazioni tra la redazione del Post e alcuni suoi lettori e lettrici. Spesso questi ultimi considerano la citazione delle suddette manifestazioni non come un servizio di informazione e comprensione della realtà, ma come una dovuta sanzione della loro presunta importanza: una sorta di ulteriore accessorio alla dimostrazione del loro successo, anche in assenza di fatti o sviluppi relativi. Mentre i criteri che il Post cerca di applicare in questi casi sono ancora giornalistici, riferendo quello che costituisce una notizia e che aggiunge informazioni alla conoscenza della realtà o genera reali o potenziali conseguenze al di fuori di una prevista e conclusa manifestazione di piazza. Un aspetto che è poi peculiare di ogni copertura giornalistica di simili manifestazioni sono i dati sulla partecipazione, oggetto da tempo persino di rituali battute, e di scetticismi sulla loro validità e credibilità.
Questioni diffuse non solo in Italia, e in occasione delle manifestazioni di sabato contro Donald Trump il New York Times ha riportato in homepage una spiegazione di come le ritenga poco significative, e di come si voglia dedicare piuttosto alla descrizione di quello che le manifestazioni sono nei fatti.
“Estimating the size of a gathering is an inexact science. There are techniques and best attempts that may approach accuracy, but determining how many people are attending an open event is difficult. And, typically that is not the focus of our reporting”.
domenica 19 Ottobre 2025
ItalyPost è una società che attraverso diversi suoi brand e aziende pubblica alcuni siti di news soprattutto veneti, si occupa dell’organizzazione di eventi pubblici e convegni, di servizi alle imprese, e ha di recente acquistato una storica rivista di libri ed editoria, L’indice dei libri del mese. La società ha dichiarato un fatturato di 3 milioni e 300mila euro nel 2024 e un utile lordo “che supera il milione”: la sua maggioranza è di proprietà del fondatore Filiberto Zovico. La maggioranza del ramo che si occupa di eventi e festival, Post Eventi, è invece stata acquisita un anno fa dal gruppo editoriale NEM, lo stesso di cui si parla abbondantemente qui sopra (la vendita ha contribuito cospicuamente all’utile).
Tre settimane fa ItalyPost ha annunciato l’intenzione di creare un nuovo quotidiano, con lo stesso nome, di cui Zovico sarà direttore. Il primo numero dovrebbe uscire il 14 gennaio 2026.
“Il 14 gennaio 2026 debutterà ItalyPost, il nuovo quotidiano nazionale che si propone come voce autorevole per raccontare l’economia reale e i territori italiani. La testata sarà disponibile in versione digitale, PDF sfogliabile e cartacea da 32 pagine, con l’obiettivo di offrire ogni giorno – dal lunedì alla domenica – analisi approfondite, inchieste e prospettive capaci di aiutare imprenditori, manager, professionisti, accademici e giovani leader a interpretare i grandi cambiamenti in corso.
Il quotidiano avrà una distribuzione nelle principali edicole di tutto il Centro-Nord del Paese con una tiratura di 12.000 copie e punta a 4.000 abbonamenti annuali, di cui 2.000 già garantiti dalla rete di imprenditori che ItalyPost ha costruito in questi anni […] L’abbonamento annuale sarà proposto a 399,99 euro, con un obiettivo iniziale di 2.000 sottoscrittori. L’edizione cartacea punta a una diffusione in edicola di almeno 1.000 copie al giorno; sul fronte pubblicitario si punterà a circa 50 inserzionisti, con un investimento medio di 20.000 euro, per un totale di circa un milione di euro annui“.
p.s. malgrado la scelta di un nome simile, le attività di ItalyPost non hanno niente a che fare col giornale online i l Post, responsabile tra le altre cose di questa newsletter.
domenica 19 Ottobre 2025
NEM è l’azienda editrice della Tribuna di Treviso, del Mattino di Padova, della Nuova Venezia, del Messaggero Veneto di Udine, del Corriere delle Alpi di Belluno e del Piccolo di Trieste. I quotidiani sono riuniti sotto un’unica direzione, affidata due anni fa – al momento del loro acquisto da GEDI – a Luca Ubaldeschi, ex direttore del Secolo XIX di Genova. I risultati del suo lavoro non sono stati giudicati soddisfacenti e Ubaldeschi si è dimesso giovedì scorso. L’assemblea dei giornalisti del gruppo ha pubblicato un comunicato molto preoccupato.
“Nonostante le assicurazioni dell’Azienda sulla piena copertura dei posti vacanti in organico, le dimissioni del direttore rappresentano un altro duro colpo inferto a un progetto che nel corso di questi quasi due anni ha già subito diversi scossoni e che si trovava ora nella necessità di completare la riorganizzazione interna. Interventi, peraltro, richiesti dalle rappresentanze sindacali almeno dallo scorso giugno. E mai effettuati”.
L’azienda ha risposto esibendo serenità. Nel frattempo il più importante tra i soci di NEM, l’imprenditore Enrico Marchi, ha concluso una proficua operazione riguardante la proprietà dell’aeroporto di Venezia.
domenica 19 Ottobre 2025
Sulla vendita del gruppo GEDI – l’editore di Stampa, Repubblica, HuffPost, Radio Deejay e Radio Capital – si infittiscono gli articoli, ma è sempre tutto a livello di voci e ipotesi, senza nessun dato concreto da fonti coinvolte. Il riassunto sulle voci e sull’avanzamento presunto delle trattative è questo: a Repubblica e alle radio sarebbe interessato un gruppo greco di cui nel frattempo il quotidiano Domani ha raccontato presunti legami sauditi; all’acquisto della Stampa sarebbe interessata la società NEM, creata da un gruppo di imprenditori veneti, che ha già acquistato da GEDI un gruppo di quotidiani veneti (dove ci sono altri sommovimenti, vedi sotto); sullo HuffPost sono state pubblicate notizie di trattative con l’azienda pugliese che ha creato da poco il quotidiano L’Edicola. Nelle notizie su quest’ultimo interlocutore è stata citata anche la vendita dell’ultimo quotidiano locale rimasto a GEDI – dopo le cessioni di tutti gli altri negli anni passati – la Sentinella del Canavese di Ivrea: che però dice di avere ottenuto smentite dall’azienda (le smentite dell’azienda non hanno più grandi credibilità, dopo essere state spesso a loro volta smentite in questi anni). La redazione dello HuffPost ha pubblicato un comunicato di “stupore e rammarico” e timore di “operazioni avventuristiche”.
La redazione della Stampa ha chiesto sabato – con altrettanta preoccupazione – un incontro urgente con l’azienda.
domenica 19 Ottobre 2025
Che è il nome che l’amministrazione Trump vuole dare al ministero della Difesa, noto anche col nome dell’edificio che lo ospita, il Pentagono. A conferma di quanto dicevamo qui sopra, la principale notizia nel giornalismo americano questa settimana è il rifiuto di quasi tutte le testate giornalistiche di obbedire alle regole censorie e restrittive imposte dal ministro Hegseth al lavoro dei giornalisti al Pentagono.
domenica 19 Ottobre 2025
Questa newsletter, dedicata alla spiegazione del funzionamento dei mezzi di informazione e ai loro cambiamenti e prospettive, riferisce storie, fatti, tendenze che in parte riguardano i media italiani e in parte quelli internazionali, soprattutto americani: perché i secondi sono sempre di più strumenti di informazione usati anche in Italia, e perché in molti casi gli eventi che li riguardano sono utili a capire andamenti o opportunità che si applicheranno anche ai primi.
Nelle ultime settimane, però, le riflessioni, le innovazioni, le trasformazioni nelle aziende giornalistiche americane sono un po’ stagnanti: perché in quel mercato il maggior fattore di adattamento e dibattito in questi mesi è rappresentato dall’amministrazione Trump, e anche nelle discussioni e negli sviluppi sul giornalismo le sue scelte occupano quasi tutto lo spazio. Per questa ragione, lo avrete notato, Charlie sta riportando meno del consueto quello che si dice e che succede rispetto al “dannato futuro del giornalismo” negli Stati Uniti: perché è quasi tutto Trump.
domenica 19 Ottobre 2025
È assolutamente nei diritti delle aziende decidere di pubblicizzare i propri prodotti sui giornali o no, e su quali giornali farlo. Il vittimismo delle aziende giornalistiche che a volte protestano per il ritiro di questo o quell’investimento pubblicitario è del tutto pretestuoso: le aziende hanno i loro interessi, e se sono insoddisfatte di come vengono trattate, è legittimo che investano in altro modo le proprie risorse economiche. Non sta scritto da nessuna parte che gli inserzionisti debbano sovvenzionare l’informazione giornalistica. E ci sono stati casi famosi in cui hanno deciso di non farlo.
Questa legittimità e libertà non sollevano però da un giudizio morale nei confronti delle aziende che si adattano o che incentivano un modello di relazione coi giornali che non ha niente a che fare con il promuovere i propri prodotti o servizi presso il pubblico. C’è una cospicua parte di investimenti pubblicitari che è dedicata di fatto a una “corruzione” delle testate destinatarie, per ottenerne la disponibilità nel pubblicare comunicazioni interessate o nel trattenere notizie indesiderate. O persino per ottenere la disponibilità di parti politiche vicine a quelle testate. Un conto è dire che la pubblicità non è tenuta a sostenere la buona informazione, altro è contestare che sostenga quella cattiva, plagiata dai suoi interessi.
E se questa newsletter segnala spesso dimostrazioni di questo tipo di relazione per spiegare i meccanismi che orientano alcune scelte dei giornali, questo non significa che le aziende siano estranee a quei meccanismi. C’è qualcosa di avvilente, nel “comprare” promozioni posticce mascherate da giornalismo. E questo tipo di uso degli investimenti pubblicitari è promosso e richiesto dagli stessi inserzionisti. Nella “corruzione” ci sono corrotti e corruttori. E non è nemmeno esente da valutazione – ognuno faccia la propria – il tipo di giornalismo che gli inserzionisti sostengono: l’alibi del “pluralismo” nel giornalismo italiano ha fatto parecchi danni, giustificando (e persino sovvenzionando) progetti di informazione di pessima qualità e peggiorativi della convivenza civile e del funzionamento della democrazia. E oltre certi livelli di falsificazione gli inserzionisti non si possono chiamare fuori da una responsabilità. I “discorsi d’odio” e la disinformazione – quando sono trasmessi sui giornali – li permettono gli inserzionisti pubblicitari.
Fine di questo prologo.
domenica 12 Ottobre 2025
Per martedì 28 ottobre il Post ha organizzato a Milano, assieme a Fondazione Mondadori, un incontro con il direttore del settimanale Internazionale, Giovanni De Mauro, per raccontare come si sono formate e sviluppate le redazioni dei due giornali. Assieme a De Mauro ci saranno Luca Sofri, direttore editoriale del Post, e Ginevra Falciani della redazione del Post. Pietro Formenton racconterà il premio della Fondazione Mondadori destinato a sostenere un workshop/stage al Post.
domenica 12 Ottobre 2025
Il quotidiano Repubblica ha pubblicato domenica scorsa una fotografia a proposito della manifestazione romana in difesa di Gaza a piazza San Giovanni, che è risultata essere in realtà di una manifestazione di diversi anni prima su altri argomenti. La scelta ha fatto molto arrabbiare diversi fotografi.
(ne hanno poi scritto con compiacimento i quotidiani di destra)
domenica 12 Ottobre 2025
Qualche conflitto di interesse si è visto sui quotidiani intorno alle accuse contro l’azienda Tod’s di sfruttamento del lavoro, dentro una serie di inchieste sui brand di moda dell’ultimo anno. Tod’s non solo appartiene a un gruppo che è un frequente inserzionista pubblicitario sulle maggiori testate italiane (che nei giorni delle notizie in questione hanno ospitato le sue pubblicità con maggiore frequenza), ma il suo fondatore e proprietario è uno dei maggiori azionisti di minoranza dell’azienda editrice del Corriere della Sera, di cui è consigliere di amministrazione. E le sue reazioni all’inchiesta hanno avuto assai più spazio su alcuni quotidiani rispetto a quelle consuete degli indagati, e sul Corriere della Sera sono state ospitate in prima pagina, sabato.
domenica 12 Ottobre 2025
Continua la riduzione delle uscite cartacee – per ragioni di risparmio – da parte di molti quotidiani statunitensi: questa settimana l’editore Lee ha annunciato che diverse sue testate (St. Louis Post-Dispatch, Omaha World-Herald , Lincoln Journal Star) non pubblicheranno più l’edizione del lunedì.
domenica 12 Ottobre 2025
Il podcast del direttore del Post Francesco Costa, Wilson, ha dedicato la sua ultima puntata a “Da che parte stanno i giornali? “, ovvero al dibattito sul ruolo del giornalismo rispetto alla difesa di valori e principi e condivisi.
“Quando succedono fatti molto drammatici, eventi che ci dividono e ci preoccupano, qualcuno non si accontenta più che i giornali informino e vuole invece che si schierino, che prendano posizione. Che dicano da che parte stanno. Che ragioni ha questa richiesta, e cosa succede quando i giornali effettivamente “si schierano”? Un discorso su cosa possiamo davvero pretendere da un giornale che voglia esserci utile. E su come cambiare il nostro pezzetto di mondo”.
domenica 12 Ottobre 2025
La ricerca di formulazioni che evitino la ripetizione dei soggetti (o dei complementi) è un’attività che viene insegnata già a scuola, e che genera sforzi e acrobazie spesso degni di miglior causa, soprattutto nella scrittura giornalistica: dove conosce tutta una sua buffa arte nel giornalismo sportivo (“la compagine scaligera”, “la squadra partenopea”) o in quello musicale (“il menestrello di Duluth”, “i quattro scarafaggi di Liverpool”, “il duca bianco”, “il principe di Minneapolis”). Non è una debolezza solo italiana: un account di Twitter, “Second Mentions“, raccoglie le costruzioni simili – spesso assai involute – nei media inglesi e le ha da poco pubblicate in un libro (“L’arte di evitare le ripetizioni”).
Uno dei casi più visibili di questo vorticare di alternative, che finiscono spesso per superare in frequenza l’uso del nome originale, è quello delle titolazioni degli articoli che riguardano il presidente americano Donald Trump sul quotidiano Domani . Nei mesi scorsi il termine “tycoon” (che ha peraltro un significato non esattamente aderente a quello del personaggio in questione) era arrivato ad essere usato fino a quattro volte in quattro titoli di articoli diversi, e giovedì è tornato per due volte nei titoli della stessa pagina.

domenica 12 Ottobre 2025
Il nuovo papa sta decorosamente limitando molto i suoi interventi pubblici, ma giovedì ha parlato a un convegno romano di agenzie di stampa internazionali, e ha esplicitamente parlato di “click bait”, il primo capo della storia della chiesa cattolica a occuparsene. Il papa ha aggiunto che i principi giornalistici “purtroppo non sono sempre condivisi”, per via della ricerca di modelli di sostenibilità economica che li contraddicono.
“Occorre infatti liberare la comunicazione dall’inquinamento cognitivo che la corrompe, dalla concorrenza sleale, dal degrado del cosiddetto click bait. Le agenzie di stampa sono in prima linea, chiamate ad agire nell’attuale contesto comunicativo secondo principi – purtroppo non sempre condivisi – che coniugano la sostenibilità economica dell’impresa con la tutela del diritto ad una informazione corretta e plurale”.
domenica 12 Ottobre 2025
Il quotidiano Repubblica ha ripreso dalla piattaforma Substack, giovedì, il testo integrale di una estesa riflessione dello scrittore Alessandro Baricco sui tempi e sulle manifestazioni per Gaza. Lo stesso Baricco aveva concluso il suo testo invitando a diffonderlo, e Repubblica ha premesso al testo una nota che dice che “è di libera circolazione e appartiene a tutti”.
L’intuizione del valore e dell’interesse del testo, pur essendo esterno alla produzione del giornale, è un raro ma ottimo esempio di una consuetudine creata in questo secolo dai progetti giornalistici online, di selezionare e “aggregare” contenuti di qualità che possano interessare i lettori, provenienti anche da altri contenitori o testate (quando avviene nel rispetto del copyright e delle correttezze).
Intanto domenica Repubblica è invece tornata a ospitare il suo peculiare format di “intervista a Giuliano Amato su qualunque cosa”, da parte di una giornalista sistematicamente deputata a questo.
domenica 12 Ottobre 2025
Il Washington Post ha pubblicato un’approfondita inchiesta sull’algoritmo e sul comportamento di TikTok, e sulla sua capacità di assorbire le attenzioni e il tempo degli utenti. Se la citiamo in questa newsletter non è tanto perché “le persone si informano su TikTok” (espressione che ingannevolmente implica una scelta attiva da parte degli utenti) ma perché la capacità dei giornali di conservare o guadagnare lettori è fortemente limitata dal tempo che i social network sottraggono a qualunque altra attività, a cominciare dalla lettura e dalla fruizione di contenuti giornalistici.
domenica 12 Ottobre 2025
Un esempio vistoso della differenza di toni e convinzione che alcuni quotidiani mettono tra le notizie potenzialmente allarmanti e impressionanti per quanto incerte, rispetto al loro ridimensionamento, si è potuto vedere questa settimana – in sole 24 ore – intorno a un caso di cronaca avvenuto in Spagna e riguardante dei cittadini italiani. L’ipotesi tutta da confermare di un omicidio è stata promossa con grande certezza ed enfasi, mentre la sua smentita è stata riportata tra virgolette, attribuendola a singole fonti, e con evidente disillusione.


domenica 12 Ottobre 2025
Il quotidiano livornese Il Tirreno ha deciso sabato uno sciopero immediato, che impedirà l’uscita del giornale oggi, giornata di elezioni regionali in Toscana. Le ragioni dello sciopero, spiega un comunicato, riguardano “la contestazione disciplinare a un componente del Comitato di redazione, per una situazione che lo vedeva impegnato nelle sue prerogative sindacali. Provvedimento gravissimo e del tutto ingiustificato”. La redazione del Tirreno è da alcuni anni protagonista di una successione di scontri con la società che nel 2020 ha comprato il giornale, SAE. La redazione farà uscire il Tirreno lunedì, ma minaccia di tornare a scioperare quel giorno se le sue richieste non verranno accettate.
“L’assemblea dei redattori de “Il Tirreno”, all’unanimità (con 46 voti su 46), ha approvato una seconda giornata di sciopero per lunedì 13 ottobre revocabile solo nel caso in cui l’azienda revochi il provvedimento disciplinare emesso a carico del componente del Cdr entro la mezzanotte di domenica 12 ottobre. Sono richieste inoltre: 1) la pubblicazione del presente comunicato sul sito web de Il Tirreno fin da subito; 2) la pubblicazione del presente comunicato sul quotidiano in edicola lunedì 13 ottobre. L’Assemblea si è inoltre espressa a favore dell’indizione di uno stato di agitazione, del blocco degli straordinari e dello stop alla produzione degli inserti. Le giornaliste e i giornalisti del Tirreno sono fortemente preoccupate e preoccupati non solo per il provvedimento disciplinare minacciato, ma anche per le prospettive di nuovi e pesanti tagli e per una possibile riorganizzazione che potrebbe avere gravi conseguenze per la tenuta del giornale a fronte di mancati investimenti e di un piano di rilancio. Tutto questo in un quadro di delegittimazione della rappresentanza sindacale”.
Nella sua risposta SAE ha negato che i provvedimenti contro il giornalista in questione abbiano a che fare con ritorsioni verso le sue attività sindacali.
domenica 12 Ottobre 2025
C’è una nazione governata da una dittatura autoritaria, repressiva dei diritti umani e civili, censoria con la libertà d’espressione e persecutrice delle minoranze. Un regime, insomma, di quelli che le nostre società democratiche tratterebbero con sanzioni e con pressioni per ottenere maggiori aperture democratiche. Invece, per ragioni di interesse economico, la Cina viene trattata in Italia – anche da ambienti che si dicono progressisti – come un prezioso interlocutore politico e culturale, come un “paese amico”, le cui condotte antidemocratiche e liberticide vengono del tutto perdonate e ignorate. È ancora più impressionante che questo girarsi dall’altra parte avvenga nell’ambito delle aziende giornalistiche, che delle censure sull’informazione e delle ingerenze della propaganda dovrebbero essere le più preoccupate. Invece per le stesse ragioni – di interesse economico – sempre più spesso agenzie di stampa e testate giornalistiche italiane fanno accordi che garantiscono loro entrate in cambio di aperture nei confronti delle comunicazioni controllate dal regime comunista. Sabato, per esempio, sono state con orgoglio esibite dall’editore del gruppo Class Editori, in un editoriale sul quotidiano ItaliaOggi (parlando di un incontro col ministro Tajani).
“Ha anche avuto interesse a sapere delle nostre (di Class Editori) tre partnership con tre grandi gruppi della comunicazione cinese e cioè Xinhua News, la prima news agency del Paese che in passato si chiamava Agenzia nuova Cina, con cui produciamo un notiziario settimanale per lo sviluppo del business; China media Group, la prima televisione (e non solo) cinese con cui produciamo molti informazione fra cui il programma Cargo che va in onda in Italia su Class Cnbc; e la più recente delle partnership, quella con il Quotidiano del popolo (3 mila giornalisti) con il quale ci scambiamo 4-5 pagine per 12 o più volte nell’anno dedicate alla illustrazione di aziende e attività economiche dei rispettivi paesi”.
Il Quotidiano del Popolo – per esempio – è l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, sistematicamente criticato nelle democrazie occidentali per le sue narrazioni strumentali e inaffidabili, e per partecipare ai tentativi del regime di infiltrare l’informazione internazionale: ovviamente attaccò le manifestazioni di Tienanmen, sostenne che il Covid fosse sopravvalutato e non fosse originario della Cina, nega le persecuzioni degli uiguri, eccetera.
domenica 12 Ottobre 2025
Un altro format che Charlie cita spesso, a proposito della permeabilità tra i contenuti giornalistici e quelli pubblicitari, sono le pagine vendute dalle concessionarie dei giornali agli inserzionisti, e che vengono presentate senza indicazioni per cui i lettori le possano distinguere da quelle prodotte in autonomia dalla redazione. Anche questo modello si è esteso oltre ai due quotidiani maggiori (dove è indicato coi titoli “Guide”, “Eventi” o “Orizzonti”), con denominazioni diverse ma sempre ingannevoli. Nel caso di Libero, sotto la denominazione “Speciali”, mercoledì è stata pubblicata una pagina promozionale di un’iniziativa intorno all’ecologia e all’emergenza climatica: argomenti che il giornale – quando non si tratta di pubblicità – è solito irridere e definire sopravvalutati.
domenica 12 Ottobre 2025
Charlie mostra spesso casi in cui contenuti presentati come giornalistici sui maggiori quotidiani sono in palese relazione con la promozione di aziende o istituzioni che hanno anche comprato pubblicità a pagamento sui medesimi quotidiani. I casi sono frequenti soprattutto sui due quotidiani a più grande diffusione non per una maggiore capacità di indipendenza degli altri, ma soprattutto perché i primi sono destinatari della maggioranza degli investimenti pubblicitari, e i secondi hanno minori necessità di accontentare gli inserzionisti.
In queste settimane la società Webuild ha comprato pagine su molti quotidiani per promuovere una sua mostra, che è stata recensita in un articolo molto entusiasta (che ha adottato le stesse espressioni della pubblicità) sul quotidiano Domani, uno dei destinatari dell’investimento pubblicitario.
Intanto venerdì anche Repubblica – come già il Corriere della Sera la settimana precedente – ha dedicato l’abituale articolo all’azienda Van Cleef & Arpels, che aveva comprato nei giorni precedenti delle pagine pubblicitarie.
domenica 12 Ottobre 2025
Le presunte trattative per la vendita dell’azienda editoriale GEDI da parte della multinazionale Exor (la cui maggioranza è della famiglia Agnelli Elkann) continuano ad avere la forma di “voci” nelle redazioni e spiccioli di indizi, che circolano assai, alimentandosi di se stessi. All’inizio della settimana una nuova ipotesi – confermata almeno come ipotesi da diverse fonti – è stata quella della cessione separata del quotidiano La Stampa all’azienda veneta NEM. Che sarebbe un’ulteriore notizia nella notizia, perché altre versioni ritenevano che invece il quotidiano torinese potesse essere l’unica cosa da cui la famiglia Agnelli Elkann non si sarebbe voluta separare, data la lunga storia della loro proprietà. NEM è la società creata da un gruppo di ricchi e potenti imprenditori veneti per comprare i quotidiani della loro regione che appartenevano a GEDI.
Martedì ne ha scritto il quotidiano ItaliaOggi , giovedì il Fatto, riprendendo ItaliaOggi, sabato ancora il Fatto con maggiori certezze ma nessun dettaglio maggiore.
(questi sono il genere di articoli che si pubblica quando si vuole “esserci” su una storia, anche quando non si hanno notizie o conferme nuove)
domenica 12 Ottobre 2025
Un incidente legato all’uso sbrigativo delle “intelligenze artificiali” sui giornali è molto circolato sui social network nei giorni scorsi, mostrato da un utente di Instagram. Il quotidiano La Provincia di Civitavecchia (destinatario di 1,2 milioni di contributi pubblici, il cui fondatore ed ex direttore è stato vicesindaco e si è poi candidato a sindaco alle ultime elezioni per il centrodestra, perdendo al ballottaggio) ha pubblicato sulle sue edizioni cartacee e digitali un articolo che si concludeva con una formulazione rivelatrice della creazione dell’articolo stesso da parte di un software di “AI”. Evidentemente il testo non era stato sottoposto a nessuna verifica o persino rilettura, e semplicemente pubblicato con un copia incolla. Le versioni online sono state emendate successivamente del finale traditore.

domenica 12 Ottobre 2025
Martedì, per il secondo anniversario delle stragi di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023, una “Associazione Setteottobre” ha comprato una pagina su diversi dei maggiori quotidiani italiani per ricordare le stragi del “terrore jihadista” e denunciare i rischi di comunicazioni e propagande violente “mentre il terrorismo si arma di nuovo”. L’Associazione Setteottobre si impegna contro la diffusione dell’antisemitismo ed è stata creata – assieme ad alcune persone importanti della storia politica e culturale soprattutto milanese – da Stefano Parisi, manager dall’importante carriera, tecnico in alcuni passati governi nazionali, ed ex consigliere comunale a Milano e consigliere regionale nel Lazio. Da tempo Parisi sostiene che ci sia un problema di indulgenza nei confronti dell’antisemitismo da parte di alcuni mezzi di informazione (in un intervento pubblico citò il Sole 24 Ore e la rivista MicroMega).
Il testo dell’annuncio pubblicitario diceva tra le altre cose che “l’ideologia della violenza e dell’odio ogni giorno si infiltra nelle piazze delle città italiane e nei social media. E sta permeando i luoghi dove si forma il pensiero: le scuole, le università, la cultura. E i mezzi di informazione”. Queste ultime parole hanno irritato molto le redazioni di Repubblica e Stampa, due dei giornali che hanno ospitato la pagina a pagamento: che si sono sentite chiamate in causa, oppure hanno ritenuto di difendere complessivamente tutto il comparto dei mezzi di informazione. E hanno pubblicato un comunicato di protesta.
“Questo è offensivo verso tutte e tutti noi e verso il nostro lavoro, improntato su equilibrio e professionalità, in condizioni mai facili. […] Crediamo infine che gli editori debbano permettere la pubblicazione di messaggi coerenti con il nostro lavoro: i quotidiani non sono delle semplici buche delle lettere, neanche a pagamento”.
Tre giorni dopo la pagina è stata pubblicata una seconda volta, e i comitati di redazione dei due quotidiani sono tornati a contestarla: “l’accusa ai mezzi di informazione di fomentare la violenza è inaccettabile e va respinta al mittente” (non si può non notare, al di là del caso in questione, che la necessità di “abbassare i toni” anche sui giornali viene esposta abitualmente da molte fonti). Stavolta sono intervenuti anche i direttori di entrambi i giornali, rivendicando la scelta di non censurare questo genere di messaggi pubblicitari (il direttore della Stampa lo ha comunque criticato, mentre quello di Repubblica ritiene che il suo giornale non abbia ragioni per esserne chiamato in causa).
L’impressione è che alcuni nelle redazioni si siano ritenuti direttamente accusati dal messaggio o che ne abbiamo considerato le caute allusioni come dirette a tutti i giornali (“la chiamata in causa dell’intero mondo dell’informazione”, dice il comunicato della Stampa, che cita anche un virgolettato che non esiste nell’annuncio): ma sotto le attuali direzioni sia Repubblica che la Stampa hanno estesamente denunciato sia l’antisemitismo recente che la distruzione di Gaza.
È vero che, rispetto all’annuncio, Parisi è stato più esplicito e universale nelle sue accuse in un’intervista a Libero, giovedì, contestando vivacemente i giornali che parlano di “genocidio” su Gaza: che sono ormai, inevitabilmente, la maggioranza.
domenica 12 Ottobre 2025
Tra i giovani giornalisti e aspiranti giornalismi americani è circolato assai nei giorni scorsi il testo del discorso che Marisa Kabas, 38enne giornalista freelance, ha tenuto agli studenti di un’università dello Iowa. È un lungo racconto sulla sua esperienza, il suo lavoro, e le scelte che l’hanno portata a trovare un proprio ruolo e dei risultati nel giornalismo contemporaneo, facendo i conti con strutture e consuetudini tradizionali ma anche con opportunità e approcci nuovi. E tra le altre cose ne dice una preziosa, che somiglia a quello che al Post abbiamo spesso consigliato ai giovani in cerca di pareri su come trovare spazi nei sempre più limitanti contesti del giornalismo: non imitate quello che c’è già, non aspettate che le macchine esistenti – in crisi – vi dicano cosa fare. Fate di testa vostra, inventate cose, cercate soluzioni nuove ai problemi, risposte alle domande inevase.
“That’s why I was taken aback when the Executive Editor asked me, “How do you think we can monetize our website?” I really wanted to say “how the fuck should I know?” and also “why are you asking me?” In retrospect it should’ve been a glaring red flag that the adults in charge had no idea what they were doing and that it would be up to me and my peers to figure it out. But that’s something I wouldn’t realize until much later on, after years of expecting someone else to fix it. Until I realized I was the adult”.
“A lesson it took me much too long to learn is that you don’t have to wait for anyone to give you the opportunity to be a writer or reporter. You simply start writing and reporting. In many ways that’s never been easier, and it’s basically what I did. I started a newsletter and just started writing, knowing it was possible my work would never go far beyond my family and friends. I think there’s this old idea that you need to be ASSIGNED a story, or given permission to pursue something, when in reality all you need is to be a nosy bitch with a smartphone”.
domenica 12 Ottobre 2025
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di agosto 2025. I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 157. 906 (-7%)
Repubblica 78.837 (-14%)
Stampa 53.383 (-1 3 %)
Sole 24 Ore 47. 101 (- 9 %)
Resto del Carlino 44. 242 (-1 1 %)
Messaggero 40. 906 (-10%)
Gazzettino 30. 124 (-8%)
Nazione 28.949 (-14%)
Dolomiten 25.681 (-8%)
Fatto 24.465 (-10 %)
Giornale 23. 686 (-12%)
Messaggero Veneto 22. 648 (- 4 %)
Unione Sarda 20.466 (-1 2 %)
Verità 18. 623 (-1 3 %)
Eco di Bergamo 17. 918 (-11%)
Secolo XIX 17. 648 (- 10 %)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.418 (- 9 %)
Manifesto 14.312 (+1 0 %)
Avvenire 13.7 08 (- 3 %)
ItaliaOggi 5.4 15 (+5 %)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
La media dei cali percentuali anno su anno delle prime quindici testate ad agosto è del 10,4%, dato simile a quello degli ultimi mesi e assai più alto che nei precedenti. Rispetto a questo continua quindi ad andare assai meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera e poco meglio anche il Sole 24 Ore. Mentre Repubblica è tornata da quattro mesi a perdite assai maggiori della media, ed è di nuovo sotto la metà delle copie del rivale Corriere: nel gruppo GEDI continua ad andare male anche la Stampa: simili dati nel gruppo Monrif per la Nazione, mentre Resto del Carlino e Giorno sono nella media. Intanto il Manifesto continua a fare eccezione, anche se l’eccezionale crescita di questo mese si deve in realtà a un agosto 2024 più debole. Dal mese scorso ha comunque superato Avvenire. Tra oscillazioni contenute nell’ultimo anno, il quotidiano ItaliaOggi cresce questo mese rispetto a un anno fa.
Tra i giornali locali continua a perdere di più il Tirreno di Livorno (-13%), che in soli due anni ha perso il 29% delle copie individuali pagate.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che come diciamo sempre dovrebbero essere “la direzione del futuro” – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 40mila, il Sole 24 Ore più di 32mila, il Fatto quasi 29mila, Repubblica più di 16mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa, e quelle tra parentesi sono invece le variazioni degli abbonamenti superscontati di cui abbiamo detto.
Corriere della Sera 47.529 + 4,3 % (-1 3,8 %)
Sole 24 Ore 21.295 – 3,7 % (- 2,1 %)
Repubblica 18. 082 -1 4,5 % (+ 2,8 %)
Manifesto 8.085 + 1 4,4 % (non offre abbonamenti superscontati)
Stampa 6.607 +4, 5 % (- 12,3 %)
Fatto 6.212 – 3,1 % (+1 1,2 %)
Gazzettino 5.527 – 1,8 % (+ 6 ,5%)
Messaggero 5.301 – 2,9 % (+8,8%)
I dati sono piuttosto discontinui, ma ancora piuttosto deludenti rispetto alle necessità e opportunità di crescita di questa fonte di ricavo: che è invece la più promettente tra le testate internazionali negli ultimi anni. Pur nell’ambito di crescite piccole e lontane dal compensare le perdite di copie cartacee, anche qui va meglio di tutti il Corriere della Sera a cui anche questo mese si aggiunge con un dato positivo solo la Stampa (entrambi però perdono una quota considerevole degli abbonamenti superscontati). C’è poi il caso unico e ammirevole del Manifesto, che rispetto a un anno fa aumenta gli abbonamenti digitali di una misura che rassicurerebbe qualunque testata. Le perdite annuali degli abbonamenti digitali sono compensate in alcuni casi dalle crescite degli abbonamenti molto scontati: il cui valore è impossibile da sintetizzare, data la varietà delle promozioni e degli sconti: ci sono in questo dato abbonamenti pagati anche 150 euro come altri in offerte a pochi euro.
È quindi migliore di altri il dato del Fatto, che da mesi sta facendo crescere i suoi abbonamenti scontati (che non raggiungono i prezzi quasi inesistenti di altri giornali, e un ricavo più sensibile lo generano).
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente ancora più economici – ai contenuti dei loro siti web.
(Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
*Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore più grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.
domenica 12 Ottobre 2025
Il Post ha messo in ordine e spiegato le nuove quote di contributi pubblici che sono state assegnate ai giornali che ne hanno fatto richiesta.
“Queste sono le prime quindici testate per contributo assegnato nella prima rata:
Dolomiten 3.088.498,01 euro
Famiglia Cristiana 3.000.000,00 euro
Avvenire 2.788.881,72 euro
Libero 2.703.559,99 euro
ItaliaOggi 2.031.266,98 euro
Il Quotidiano del Sud 1.848.080,44 euro
Gazzetta del Sud 1.743.166,34 euro
Il manifesto 1.569.621,95 euro
La Gazzetta del Mezzogiorno 1.521.715,17 euro
Corriere Romagna 1.109.178,49 euro
Cronacaqui.it (TorinoCronaca) 1.103.650,03 euro
Il Foglio 1.047.652,79 euro
Primorski dnevnik 833.334,04 euro
Editoriale Oggi (Ciociaria Oggi) 814.966,33 euro
Il Cittadino 712.049,40 euro”
domenica 12 Ottobre 2025
Una nuova ricerca del Reuters Institute ha raccolto le esperienze e le opinioni di circa 12mila persone in sei paesi del mondo a proposito dell’uso dei software di “intelligenza artificiale”. Ne sono uscite molte considerazioni ma quelle più rilevanti per il dannato futuro dei giornali sono due.
Una è che continua ad aumentare l’uso di simili servizi per la ricerca di informazioni di vario genere, e questo va a scapito dei siti di news, tradizionali fornitori di molte di queste informazioni. Ormai le prove di questa tendenza sono tante. Solo un terzo degli interpellati dice di cliccare con frequenza sui link dopo aver letto le sintesi offerte in testa alle pagine dei risultati di Google: un terzo dice di non farlo mai.
La seconda questione su cui riflettere è più complessa: a quanto pare sempre più persone usano abitualmente e serenamente i vari software di intelligenza artificiale per le proprie necessità, accettando il margine di insicurezza dei risultati in termini di qualità e accuratezza. Ma se si chiede alle stesse persone un giudizio sull’uso degli stessi software da parte dei giornali, una gran parte se ne dice critica e diffidente.
Le letture di questa contraddizione possono essere due. Una è che ci sia una specie di ipocrisia che ci rende severi contro l’uso delle AI da parte di altri, ma indulgenti se le usiamo noi. O una specie di supponenza che ci fa pensare di saper essere più prudenti o esperti degli altri: non da escludere, è una tendenza assai comune. Comunque sia, questa diffidenza resta piuttosto generica e superficiale: “usare l’intelligenza artificiale” può voler dire molte cose, e già adesso chi lavora e scrive usa molti strumenti tecnologici per perfezionare il proprio risultato (correttori automatici, archivi online, software di ritocco fotografico), per cui la diffidenza verso le “AI” è spesso più legata al loro nome e alla loro apparente novità. Dovremmo abituarci a valutare i risultati di un lavoro giornalistico (è accurato o no? è completo o no? svolge adeguatamente la sua funzione di informazione?) piuttosto che l’insignificante percorso della sua costruzione (ci sono testi prodotti dalle “AI” che hanno maggiore accuratezza di certi testi prodotti dagli umani, per dire).
La seconda – più apprezzabile – lettura della contraddizione è che le nostre aspettative nei confronti del lavoro giornalistico siano maggiori di quelle che abbiamo per noi stessi. E che laddove consentiamo alle nostre ricerche di informazioni un margine di mediocrità e approssimazione – non dando a quelle ricerche ruoli rilevanti: non scegliendo delle cure mediche, per esempio -, diamo una maggiore credibilità al lavoro giornalistico e lo assumiamo per farci un’idea più radicata e affidabile del mondo. È una pretesa lusinghiera per i giornali, ma che deve imparare a fare i conti col costo di quella differenza: e capire che un lavoro giornalistico, se lo si vuole migliore di quello che fa ChatGPT, ha dei costi a cui serve contribuire. Nessuno è obbligato, basta che poi non si pretenda che giornali in crisi di risorse economiche non ricorrano sciattamente alle “AI” (vedi sotto).
Fine di questo prologo.
domenica 5 Ottobre 2025
Come ha già mostrato in passato questa newsletter, tra gli inserzionisti che più spesso ottengono spazi di copertura giornalistica sul Corriere della Sera in concomitanza con i propri investimenti pubblicitari c’è il brand di gioielli Van Cleef & Arpels, una cui iniziativa è stata descritta in una pagina sabato, dopo che l’azienda aveva comprato delle pagine pubblicitarie nelle settimane precedenti.
domenica 5 Ottobre 2025
Il Fatto ha sostenuto martedì che il quotidiano genovese Secolo XIX sarebbe stato intenzionato ad affidare un ambizioso progetto di digitalizzazione del proprio archivio a una società fondata da Giovanni Toti, ex presidente della regione Liguria. Toti, che si era dimesso in conseguenza di un’inchiesta nei suoi confronti e aveva patteggiato le accuse di corruzione, aveva avuto scontri molto polemici col giornale a proposito di quell’inchiesta. Il Secolo XIX è stato nel frattempo venduto alla società di navigazione MSC da parte del gruppo GEDI che ne era proprietario. Sabato sempre il Fatto ha riferito di proteste e agitazioni all’interno della redazione rispetto al progetto di collaborazione con la società di Toti, e che “il direttore del quotidiano Michele Brambilla ha assicurato che non se ne farà niente”.
domenica 5 Ottobre 2025
Nelle ore in cui le barche della “Flotilla” venivano portate verso la costa israeliana è molto circolato sui social network un video di pescatori che raccoglievano reti cariche di pesce lungo una spiaggia, con l’indicazione che si trattasse di pescatori a Gaza che avevano “potuto tornare a pescare perché le navi militari israeliane erano impegnate con la Flotilla”. Benché sia vero che Israele ha vietato alle barche palestinesi di pescare, aggravando le già drammatiche condizioni di carestia nella Striscia, quelli che il video mostrava erano pescatori a riva, e non era quindi chiaro il rapporto con la presenza di navi israeliani in mare. E a una semplice ricerca si possono trovare molti video di operazioni di pesca simili anche nei mesi precedenti. Ma sia la storia sulla “distrazione” – di cui al momento non è chiara la fondatezza o meno – che il video sono stati pubblicati senza verifiche da molti siti di news italiani tra cui Repubblica, Stampa, Corriere della Sera, Fatto, Quotidiano Nazionale. Nel frattempo sui social network il video è stato identificato come risalente a febbraio, o forse all’anno scorso. Nel pomeriggio di sabato, poi, la pagina è stata rimossa da quasi tutti (il Corriere ha trasformato la versione iniziale).
domenica 5 Ottobre 2025
Benché si trattasse di una notizia di “Esteri”, il viaggio della “Flotilla” verso Gaza è stato seguito sui media italiani con spazi e investimenti di attenzione assai superiori rispetto a quelli degli altri paesi. La notizia ha avuto qualche maggiore visibilità sulle testate europee (pochissima su quelle americane) solo giovedì sera quando le barche sono state bloccate dalle navi israeliane ( Guardian, Le Monde e altre testate europee l’hanno tenuta in apertura delle loro homepage per diverse ore). Le spiegazioni di questa differenza di rilievo sono diverse, e la prima è naturalmente che la spedizione aveva una maggiore partecipazione da parte di persone, barche e politici italiani: il Post ne ha messe in ordine un po’ per rispondere a chi aveva notato la sproporzione. Per gli interessi di questa newsletter c’entrano anche due antiche consuetudini dei media italiani: quella di enfatizzare gli allarmi e le peggiori conseguenze di ogni evento, evocando in questo caso conclusioni drammatiche o persino tragiche della spedizione ( Repubblica aveva già messo in prima pagina il titolo “La Flotilla sotto attacco” un giorno prima che le barche raggiungessero l’area dove sono state fermate); e quella di promuovere ed esibire polemiche e divisioni, per cui anche i quotidiani critici sulla spedizione, o che ne hanno voluto contestare il valore, l’hanno tenuta in prima pagina per giorni, facendone un ulteriore veicolo identitario e commerciale nei confronti dei propri lettori.

domenica 5 Ottobre 2025
Charlie si è occupata saltuariamente del vivace dibattito sull’impatto delle cosiddette “intelligenze artificiali” sul giornalismo e sulle imprese giornalistiche, perché la materia è tuttora molto fluida e sfuggente, e il dibattito si riduce spesso a generalizzazioni piuttosto sommarie in un senso o nell’altro. E forse l’impatto più rilevante e bisognoso di attenzioni sarà quello sui destinatari del giornalismo, ovvero noi tutti, e sul nostro rapporto con la conoscenza della realtà e con l’accuratezza dell’informazione.
Si è scherzato spesso, in passato, sulla disponibilità di alcuni lettori e di alcuni giornalisti a trascurare il fatto che certe notizie fossero false in nome della loro attrattiva, o del fatto che dimostrassero una tesi che comunque non si voleva mettere in dubbio: e a rispondere “perché rovinare una bella storia con una smentita?”, oppure “comunque la sostanza del ragionamento non cambia”.
Adesso queste reazioni stanno cominciando a diventare la norma, e nelle considerazioni sul nuovo “social network” di OpenAI c’è molta impressione che la distinzione tra falso e vero possa diventare insignificante per una crescente quota di utenti. Non più insomma, il rischio che cose false siano prese per vere, ma che semplicemente non importi.
“Feeds, memes and slop are the building blocks of a new media world where verification vanishes, unreality dominates, everything blurs into everything else and nothing carries any informational or emotional weight”.
“For users, it’s not necessarily a question of “real” versus “fake,” but rather “fun to watch” versus “boring.” And with Sora’s “cameos,” which turn people into playable characters, your actual face is inside the artificial reality, so what’s “fake” anymore?”.
domenica 5 Ottobre 2025
Continuano a riaffiorare sui giornali italiani e tra le redazioni voci sulla presunta trattativa per la vendita dell’azienda editoriale GEDI, che pubblica tra le altre cose i quotidiani Repubblica e Stampa . Venerdì ne ha scritto il quotidiano ItaliaOggi, senza particolari conferme o aggiunte rispetto a quel che già era circolato.
“Tornano insistenti le voci di una prossima cessione del gruppo Gedi-Repubblica alla famiglia di armatori greci Kyriakou, con interessi in vari settori tra cui proprio quelle dei media attraverso la tv Antenna (Ant1). Secondo indiscrezioni di mercato, un accordo è dato in arrivo nelle prossime settimane, anche se non ci sono particolari scadenze temporali per chiudere il dossier. Tanto più che va definito il perimetro dell’operazione che comprende in particolare il sistema Repubblica, la Stampa e le radio (da Deejay a Capital). Ma, se le attese prevedono che il quotidiano torinese rimanga in casa Agnelli-Elkann e che Repubblica sia sulla via sicura della vendita, da confermare c’è per esempio il destino delle radio che possono interessare altri potenziali acquirenti”.
domenica 5 Ottobre 2025
Il sito del magazine americano Wired ha raccontato il lavoro di uno “youtuber” americano che parla abitualmente di viaggi, e che si è trovato a documentare e mostrare le storiche proteste in Nepal delle scorse settimane. La storia è interessante perché – nelle parole stesse usate nell’articolo – mostra quanto la definizione di buon giornalismo prescinda da chi ne sia autore o autrice: il giornalismo è un servizio, non una professione.
“After he started filming the protests, Jackson said in his videos and on social media that he does not consider himself a journalist, just a tourist filming what’s around him. «I don’t know what constitutes journalism and what doesn’t. I could be filming temples and asking people about temples; is that journalism? I went into this with the intention of being a YouTuber. I don’t have a journalist visa. I don’t have a journalism degree»”.
domenica 5 Ottobre 2025
Il sottosegretario all’editoria del governo italiano ha annunciato l’intenzione di distaccare dal fondo di contributi pubblici per i giornali una quota di investimenti per sostenere il lavoro dei giornalisti freelance nelle aree di guerra o pericolose, e proteggere la loro sicurezza. Per ora è solo l’annuncio di un’intenzione, ma la promessa è di renderla concreta già con la prossima legge finanziaria.
“Ecco perché il governo, spiega Barachini, sta pensando a un fondo ad hoc destinato ai freelance al lavoro in zone di guerra: «Prevediamo una voce specifica del Fondo unico per il pluralismo e l’innovazione digitale per la compartecipazione alle spese sostenute dagli editori per gli obblighi di protezione, formazione e assicurazione: è un passo concreto per dare più tutela al mondo dei giornalisti». Le risorse sono ancora da definire ma rientreranno nella prossima manovra economica. L’idea, dice Barachini è che l’80% sia a carico dello Stato e il 20% degli editori con un tetto massimo: chiediamo che sia un obbligo quello di curare la formazione dei colleghi e il costo assicurativo”.
Radio Radicale ha chiesto maggiori chiarimenti sul progetto intervistando il sottosegretario Barachini.
domenica 5 Ottobre 2025
CBS News è la testata giornalistica della grande rete radiotelevisiva americana CBS: che è di proprietà della società Paramount, da poco diventata Paramount Skydance dopo un’importante fusione con un altro grosso gruppo delle comunicazioni e dei media.
La fusione aveva avuto molte attenzioni – ed era stata raccontata anche su Charlie – per le implicazioni che aveva avuto sulla libertà di informazione dentro CBS News. Paramount aveva infatti ceduto a una implausibile e infondata richiesta di risarcimenti da parte di Donald Trump per non rischiare che il governo bloccasse per ritorsione il progetto di fusione. E altre decisioni all’interno di CBS News avevano mostrato un’intenzione di compiacere l’amministrazione Trump, tra molte proteste pubbliche.
La notizia che conferma questa direzione, e che solo pochi anni fa sarebbe suonata incredibile, è che Paramount avrebbe scelto Bari Weiss come nuova direttrice di CBS News . Weiss è una giornalista e opinionista di 41 anni diventata molto nota e seguita per le sue polemiche contro la presunta deriva “woke” del giornalismo americano: dopo aver lavorato al Wall Street Journal, aveva lasciato polemicamente il New York Times accusandolo di posizioni liberal sistematicamente pregiudiziali e di sudditanza nei confronti delle quote più aggressive e ricattatorie dei suoi lettori. I suoi critici la accusano di strumentalizzare queste accuse e fare del vittimismo a proprio favore e per promuovere la propria visibilità di polemista: e la notizia del suo nuovo ruolo – che sembra platealmente smentire le sue accuse che voci come la sua vengano censurate e silenziate – darebbe loro nuovi argomenti. Dal 2021 Weiss ha una sua newsletter molto seguita, che è cresciuta in un progetto di news più esteso (e che CBS News acquisirà pagandolo 150 milioni di dollari): e lei è diventata una peculiare rappresentante della categoria di commentatori che si definiscono moderatamente progressisti ma critici delle derive di estrema sinistra, e che vengono per questo adottati dal pubblico e dai giornali di destra, che diventano i loro maggiori sostenitori (e spesso ricevendone in cambio reciproche simpatie).
domenica 5 Ottobre 2025
Il Post ha raccontato le riflessioni in corso nelle istituzioni dedicate dell’Unione Europea sulle regole imposte ai siti web a proposito dei “cookie“, elemento centrale nelle opportunità pubblicitarie anche dei siti di news.
“Secondo Politico, la Commissione vuole risolvere il problema introducendo un numero di casi in cui i siti possono fare a meno di chiedere il consenso agli utenti. Un’altra opzione prevede che gli utenti possano impostare le loro preferenze riguardo ai cookies una sola volta (dalle impostazioni del loro browser) e non a ogni visita di un sito web. Secondo quanto rivelato da Politico, inoltre, la Commissione vorrebbe presentare a dicembre un testo con cui eliminare alcuni obblighi imposti agli editori digitali.
I funzionari della Commissione hanno, secondo Politico, incontrato alcuni rappresentanti dell’industria tecnologica per discutere di come cambiare la gestione dei cookies. L’iniziativa segue di pochi mesi la proposta del governo danese, che ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, di rimuovere l’obbligo di consenso sui cookies quando i dati vengono raccolti per «funzioni tecnicamente necessarie e semplici statistiche»”.