Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 2 Marzo 2025
Il direttore e la redazione dei quotidiani del gruppo NEM ( creato per acquisire dal gruppo GEDI diversi importanti quotidiani locali del Nordest) hanno protestato per l’esclusione di un proprio giornalista dai cantieri delle opere previste per le Olimpiadi invernali a Cortina, esclusione che attribuiscono ad alcuni articoli sgraditi alla società pubblica che gestisce i lavori. Dalla redazione si ritiene che le motivazioni addotte dalla società siano delle scuse risibili per occultare il fastidio rispetto al racconto del presunto “sabotaggio” di un cantiere.
“Soprattutto quando sono in gioco soldi dei cittadini e opere al servizio della collettività – e a maggior ragione per una vetrina globale come l’Olimpiade – compito di un giornale è vigilare passo passo sulla progressione dei lavori. È quello che facciamo dall’inizio del cammino olimpico, cercando informazioni, verificandole, chiedendo riscontro agli interessati. Può capitare di rilevare problemi, ritardi, discrepanze rispetto ai piani, ma il giornalismo serve esattamente a questo: a vigilare e a raccontare ciò che succede” .
domenica 2 Marzo 2025
Infine un’ultima cosa, in questa successione di cronache dalle involuzioni trumpiane, lunga ma necessaria in una newsletter che si occupa del futuro dei giornali (e soprattutto della sua dannazione). Avevamo scritto due settimane fa della peculiare condizione del Wall Street Journal, che sta conservando – da posizioni conservatrici – un’autonomia di giudizio rara, e alternando editoriali di apprezzamento di alcune iniziative della nuova amministrazione Trump ad altri fortemente scettici o preoccupati, soprattutto sulle cose più importanti. E avevamo scritto di come Trump evidentemente non sapesse come muoversi di fronte a una testata che non è di certo tra quelle che giudica della parte avversa ma che lo critica con frequenza.
Ecco, alla fine ha sbottato anche contro il Wall Street Journal, con un post metà rispettoso, e metà deluso, in cui si mostra tradito da quelli che si aspetta che siano dalla sua e conferma la sua incapacità di capire che un giornale possa giudicare i fatti senza pregiudizio o partigianeria: «Non riesco a capire l’editorial board del Wall Street Journal », dice, «a volte mi vengono inaspettatamente in soccorso, e lo apprezzo, altre volte prendono delle totali cantonate».
domenica 2 Marzo 2025
Il New York Times ha pubblicato un ottimo articolo, con l’occasione degli interventi repressivi di Trump, per spiegare ai lettori cosa sia e come funzioni il “press pool”, ovvero il limitato gruppo di giornalisti che a rotazione giornaliera seguono Donald Trump avendo accesso ai suoi discorsi e iniziative alla Casa Bianca, ai suoi viaggi, a gran parte dei suoi spostamenti e giornate. Il press pool fu creato settant’anni fa, durante la presidenza Eisenhower, per affrontare il problema delle troppe richieste di accesso allo Studio Ovale, all’aereo presidenziale, e ad altri contesti ufficiali: alcuni giornalisti scelti tra un numero molto esteso di testate, a cui si chiedono credenziali e garanzie stringenti, vengono inseriti nel “press pool” e hanno l’opportunità e la responsabilità di compilare delle cronache giornalistiche destinate agli altri giornali. Il press pool è gestito dalla White House Correspondents’ Association (qui c’è una lunga e affascinante guida di comportamenti per i suoi appartenenti) e comprende tre giornalisti di agenzie, due di giornali cartacei o online, uno della radio, quattro fotografi e una troupe televisiva. I costi di partecipazione al press pool sono tutti a carico delle testate giornalistiche, e possono essere molto onerosi, soprattutto quando si tratta di seguire il presidente nei viaggi: la partecipazione è completamente addebitata ai giornali coinvolti (è la ragione per cui qualcuno dubita ora che i nuovi invitati da Trump possano permetterselo). Ogni volta che il presidente si sposta, che sia per viaggi all’estero o anche per movimenti cittadini, nella colonna di auto che lo segue c’è anche il van che ospita i giornalisti del press pool.
domenica 2 Marzo 2025
Lo sviluppo complementare e parallelo alle scelte dell’amministrazione Trump su chi siano gli amici e chi i nemici nei giornali, è quello dei giornali che cercano di loro iniziativa di entrare nella prima categoria. Del Washington Post e dei suoi tormenti iniziati con la famigerata cancellazione dell’articolo di endorsement per Kamala Harris abbiamo parlato spesso: da alcuni mesi la proprietà e la dirigenza del giornale sembrano volerlo riposizionare, e trasformarlo dalla più aggressivamente antitrumpiana delle grandi testate nazionali in un giornale più condiscendente, meno critico, o “più equilibrato”, secondo le loro parole.
Mercoledì è stato lo stesso editore, Jeff Bezos, a intervenire di persona per annunciare un’altro cambiamento eccezionale: la definizione della sezione delle opinioni e dei commenti non più come uno spazio aperto a varie e diverse opinioni (poi di fatto soprattutto progressiste, ma senza preclusioni dichiarate e senza una “linea” comune) e dedicato ad aprire o contribuire a dibattiti, ma come un organo con un obiettivo politico definito, di “difesa delle libertà personali e del libero mercato”. Espressioni assai meno generiche di quanto sembrino, che rappresentano i principi rivendicati da uno specifico pensiero liberista e conservatore: di fatto, sono praticamente la definizione della sezione analoga del Wall Street Journal, quotidiano del capitalismo liberista americano e mondiale (“Liberi mercati e liberi popoli”). Tanto che lo stesso “editorial board” del Wall Street Journal ha pubblicato un editoriale tra il meravigliato e il divertito dalla svolta del Washington Post: svolta a cui ha dato il benvenuto, ricordando però chi c’era già da prima, in quello spazio.
“Vedremo se la svolta di Mr. Bezos riveli un cambiamento più esteso nella battaglia delle idee. Ma sarà un bene avere un alleato nella lotta. Quanto ai nostri avveduti lettori, il nostro rispettoso consiglio è: diffidate dalle imitazioni. Provate la concorrenza ma poi tornate da quelli veri”.
Nel frattempo le reazioni invece desolate e indignate verso il proclama di Bezos sono state numerose: il direttore della sezione dei commenti ed opinioni si è dimesso immediatamente. L’illustre e quasi leggendario precedente direttore del Washington Post, Marty Baron, lo ha dichiarato un tradimento: «Non potrei essere più triste e disgustato». Sono anche già circolate voci ancora non confermate di nuove grandi quote di disdette degli abbonamenti al giornale, come era già successo a ottobre.
domenica 2 Marzo 2025
Gli stravolgimenti che la vittoria di Donald Trump sta portando nelle scelte delle aziende giornalistiche, da una parte, e nelle regole civili sull’informazione, dall’altra, continuano a crescere, ed è chiaro che avranno conseguenze importanti e improbabili rimedi. Anche questa settimana sono successe alcune cose grosse.
Piuttosto che scendere a patti con le richieste di Associated Press – i cui giornalisti erano stati esclusi dalle iniziative della Casa Bianca per ritorsione contro una scelta editoriale dell’agenzia di stampa – la Casa Bianca stessa ha rilanciato e ha prima escluso altri giornalisti e poi annunciato una cosa senza precedenti nell’ultimo secolo: ovvero che toglierà a un istituto giornalistico apposito (la White House Correspondents’ Association, WHCA) la scelta di quali giornalisti partecipino agli incontri e ai viaggi del presidente, e si darà invece il potere di sceglierli (più sotto spieghiamo un po’ meglio cosa sia e come funzioni il “press pool”). Le prime scelte sembrano tutte orientate verso l’esclusione di storiche e autorevoli testate maggiori a favore di nuovi progetti digitali o personali molto “opinionated” a favore del presidente (era uno di questi il giornalista che nel famigerato incontro con Volodymyr Zelensky lo ha rimproverato di non essersi messo un abito). Ci sono state grandi proteste da parte delle associazioni giornalistiche e dei giornali stessi, con frequenti paragoni con le simili imposizioni dei regimi autoritari, a cui i responsabili della comunicazione della Casa Bianca hanno risposto a male parole.
E i giornalisti più esperti si chiedono come potranno essere sostituite l’esperienza e la struttura della WHCA nella complessissima e delicata gestione di cui è stata responsabile finora.
Nel frattempo un giudice (nominato da Trump) aveva respinto il ricorso di Associated Press di immediato annullamento del divieto che la riguarda, rimandando a una successiva decisione.
domenica 2 Marzo 2025
I partiti della maggioranza parlamentare italiana stanno lavorando per abolire un intervento deciso a suo tempo dal primo governo Conte e che è compreso in una serie di leggi che era stata enfaticamente chiamata “Decreto dignità”. Nome a parte, quel decreto conteneva tra le altre cose la decisione di vietare la promozione e la pubblicità delle aziende di scommesse, per limitare i danni e le vite rovinate da quel genere di attività, danni riconosciuti e su cui ci sono frequenti allarmi. In sostanza, la decisione era simile a quelle adottate molto tempo fa nei confronti del fumo, e ritenute ormai indiscutibili.
Comprensibilmente le aziende di scommesse non avevano apprezzato e, come avevano fatto a suo tempo le aziende produttrici di sigarette, negli ultimi sette anni hanno legittimamente fatto pressioni perché quel divieto di pubblicità venisse cancellato, e hanno costruito nel frattempo strumenti di promozione alternativi e indiretti. Ma a essere interessate alla sua cancellazione sono anche le società calcistiche e diversi enti legati al mondo dello sport, che degli investimenti pubblicitari delle aziende di scommesse – assai ricche – possono beneficiare, o per cui sono previsti fondi che sarebbero trattenuti da questi investimenti. Le ragioni con cui l’attuale maggioranza motiva il progetto di abolire il divieto sono tutte economiche, e in questi giorni in cui se ne parla sono completamente trascurate le solidissime ragioni sociali e sanitarie alla base di quel divieto, condivise da altri paesi europei che hanno adottato limitazioni simili. Ragioni che prescindono dalla distinzione tra “gioco legale” e “gioco illegale”: la ludopatia se ne frega, della differenza.
Perché scriviamo di questo nel prologo di una newsletter dedicata ai giornali? Perché anche i giornali hanno ovviamente grande interesse nell’abolizione del divieto, che offrirebbe anche i loro spazi alle promozioni delle aziende di scommesse e ai loro investimenti. E questo spiega come – con eccezioni assai minoritarie – molti giornali stiano raccontando il progetto dei partiti di governo con toni molto solidali e interessati, trattenendosi dall’informare i propri lettori sulle gravi controindicazioni dell’abolizione del divieto. Gli articoli relativi sono invece quasi tutti dedicati a raccontare quanto il sistema dello sport ne beneficerebbe (“Un aiuto al calcio”), trattando quella parte del “Decreto dignità” come una scelta casuale e sventata, a cui sarebbe saggio rimediare: aggiungendo accorte foglie di fico come “progetti di educazione e prevenzione contro la ludopatia”. Ovvero quello che è la norma nel decreto che si vuole abolire.
Il conflitto di interessi – conflitto tra una buona e completa informazione e una preziosa fonte di ricavo – è palese: addirittura raddoppiato nel caso degli editori di giornali che sono anche proprietari di squadre di calcio.
Fine di questo prologo.
domenica 23 Febbraio 2025
Nel marzo 2023 era stato annunciato un accordo tra il Dipartimento per l’informazione e l’editoria del governo e la Guardia di finanza, per rendere più efficienti i controlli sull’erogazione dei contributi pubblici all’editoria. I contributi vengono concessi alle aziende giornalistiche che ne fanno richiesta, che devono documentare la propria corrispondenza ai criteri richiesti dalla legge e fornire una serie di informazioni sulla base delle quali calcolare la misura dei finanziamenti.
Una forma di controllo è prevista dal 2010, e per rinforzarli il Dipartimento per l’informazione firma dal 2013 dei “protocolli d’intesa” con la Guardia di finanza. Né le documentazioni fornite dagli editori di giornali, né i calcoli fatti dal Dipartimento, né i risultati dei controlli sono pubblici, e un portavoce del Dipartimento ha sostenuto di non poterne dare informazione a Charlie.
Ma ha confermato che a seguito degli ultimi controlli effettuati sono emerse delle irregolarità a causa di documenti “non veritieri, sulla base dei quali erano stati erogati i contributi”. A fronte di queste irregolarità, il dipartimento avrebbe annullato i provvedimenti che avevano garantito agli editori interessati di ricevere quei contributi.
Il Dipartimento starebbe cercando di recuperare forzatamente circa 37 milioni di euro, ma un’altra parte dei contributi ricevuti a sproposito sarà restituita a rate dai soggetti interessati o detratta da contributi successivi. Sono stati anche aperti dei “procedimenti penali per l’accertamento di ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato”, dice il Dipartimento. Proprio perché potrebbero andare a processo, i nomi delle imprese editrici che avrebbero commesso queste irregolarità restano riservati.
domenica 23 Febbraio 2025
Per completare i resoconti che pubblichiamo ogni mese intorno ai dati ADS di diffusione dei quotidiani italiani di carta, oggi ci occupiamo con maggiore attenzione dei quotidiani locali: ovvero quelli che hanno una distribuzione limitata al massimo a poche regioni. Tra questi ci sono casi molto diversi tra loro: testate locali ma di città molto grandi e assai più piccole, giornali che servono numeri diversi di province, o anche più regioni.
Ricordiamo che quello che consideriamo è il dato più paragonabile e il più indicativo della scelta attiva dei lettori di comprare il giornale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera).
Di seguito i primi venti giornali locali in Italia per diffusione media quotidiana a dicembre, con la differenza rispetto a un anno prima tra parentesi:
Resto del Carlino (Bologna): 46.345 (-11,8%)
Messaggero (Roma): 40.816 (-11,0%)
Gazzettino (Venezia): 31.300 (-9,3%)
La Nazione (Firenze): 30.723 (-10,5%)
L’Edicola (Bari): 26.963 (-)
Dolomiten (Bolzano): 26.729 (-8,9%)
Messaggero Veneto (Udine): 22.354 (-10,6%)
Eco di Bergamo: 20.225 (-10,8%)
Unione Sarda (Cagliari): 20.166 (-9,8%)
Secolo XIX (Genova): 18.830 (-11,4%)
Giornale di Brescia: 18.472 (-6,6%)
Gazzetta di Parma: 16.719 (-5,8%)
Adige (Trento): 16.357 (-8,4%)
Nuova Sardegna (Sassari): 16.206 (-11,8%)
Arena (Verona): 15.678 (-10,2%)
Tirreno (Livorno): 15.194 (11,7%)
Giornale di Vicenza: 14.876 (-9,0%)
Mattino (Napoli): 14.445 (-10,5%)
Il Giorno (Milano): 13.620 (-14,0%)
Libertà (Piacenza): 13.010 (-5,7%)
Esclusa l’ Edicola dal conteggio per la sua condizione eccezionale (di cui abbiamo parlato la settimana scorsa), la perdita media delle prime dieci testate è stata del 10,1%, un dato in linea con quello delle più importanti testate nazionali.
Tra i giornali locali che vanno molto meglio della media ci sono il Tempo di Roma, unico giornale ad essere cresciuto (+11,4%), e la Gazzetta di Parma (-5,8%), che negli ultimi mesi ha superato per copie vendute l’Adige di Trento e la Nuova Sardegna di Sassari.
Vanno peggio del solito Dolomiten, quotidiano di Bolzano in lingua tedesca, che questo mese ha avuto un calo del 9% (mentre di solito la sua perdita è fra il 5 e il 6%), e la Nuova Sardegna di Sassari, che è calata del 11,8% rispetto all’anno scorso, mentre a inizio anno perdeva fra il 3 e il 5%.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali, l’ordine delle prime dieci testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per alcune testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: l’ Eco di Bergamo ne dichiara più di 6mila e la Provincia di Como più di 2mila). Come per le testate nazionali, anche per i giornali locali i progressi sono molto limitati.
Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese, e di seguito la differenza rispetto a un anno fa.
Gazzettino: 5.712 (+11) -8,72%
Messaggero: 5.525 (+76) -8,74%
Adige: 4.204 (+7) -11,92%
Giornale di Brescia: 2.561 (-41) -0,16%
Dolomiten: 2.559 (+22) +18,58%
Mattino: 2.423 (-17) -8,81%
Arena: 2.046 (+10) -2,80%
Giornale di Vicenza: 1.934 (-4) -2,77%
Messaggero Veneto: 1.903 (+45) -21,20%
Nuova Sardegna: 1.835 (-70) -28,90%
Anche per i quotidiani locali i dati sugli abbonamenti digitali sono molto altalenanti e per nulla rassicuranti, fatta eccezione per Dolomiten, i cui abbonati sono cresciuti di quasi un quinto rispetto all’anno scorso.
Nel caso dei giornali locali però, gli abbonamenti digitali rappresentano una percentuale molto più piccola delle copie vendute rispetto ai giornali nazionali. Per esempio, gli abbonamenti digitali del Gazzettino di Venezia rappresentano il 18% di tutte le copie vendute, mentre per il Messaggero la quota si abbassa al 13%. Nei giornali nazionali, per esempio, il 28% delle copie vendute del Corriere della Sera e il 27% di quelle di Repubblica sono copie digitali. In questo contesto, l’unica eccezione è l’ Adige – il quotidiano più diffuso nella provincia di Trento – le cui copie vendute sono per un quarto digitali.
domenica 23 Febbraio 2025
Tra le molte sovrapposizioni di contenuti giornalistici e pubblicitari sui maggiori quotidiani italiani, quelle che riguardano le grandi banche sono assai frequenti: perché le grandi banche comprano molta pubblicità sui giornali, e perché le banche sono spesso creditrici e in relazioni con i giornali stessi. E anche perché le pagine dell’Economia consentono di presentare la pubblicazione di comunicazioni evidentemente richieste ai giornali dagli uffici stampa delle banche, facendole percepire come notizie di economia (a un comunicato stampa su un’offerta di una catena di alberghi è più difficile trovare uno spazio, anche se non impossibile). È per questo che le coincidenze che a volte citiamo su Charlie per mostrare la dipendenza delle redazioni dagli inserzionisti pubblicitari riguardano spesso le banche.
Giovedì il Corriere della Sera ospitava nello stesso giorno una pagina pubblicitaria della banca Unicredit e un breve articolo su un’iniziativa della stessa banca, così descritta: “I patrimoni delle famiglie imprenditoriali crescono e Unicredit si attrezza per trovare loro rendimenti interessanti investendo nelle medie aziende. La banca guidata dal ceo Andrea Orcel ha firmato un accordo strategico con QuantICO, piattaforma che fa capo al presidente Paolo Langè, al ceo
Antonio Da Ros e ad Angelo Busani che investe in club nelle aziende per sostenerne la crescita. Saranno coinvolti i family office e le principali famiglie imprenditoriali italiane clienti di UniCredit con l’obiettivo di investire in 10-12 operazioni in un arco di 4-5 anni, con un equity ticket tra i 30 e gli 80 milioni per operazione”.
Sempre nelle pagine dell’Economia del Corriere della Sera, martedì erano affiancati un articolo assai celebrativo dei nuovi “BTP Più” emessi dal ministero dell’Economia, e un’inserzione pubblicitaria a favore dei BTP Più, acquistata dal ministero stesso. Altri articoli assai positivi sull’iniziativa sono stati pubblicati nei giorni seguenti.
Sabato nelle pagine della Moda il Corriere della Sera ha intervistato il CEO dell’azienda Loro Piana, che aveva acquistato diverse pagine pubblicitarie nei giorni precedenti.
Venerdì nella sezione della Cultura il Corriere della Sera ha celebrato con un’intervista al suo direttore generale il centenario dell’Enciclopedia Treccani, che poche pagine prima era promosso con una pagina a pagamento acquistata da Treccani.
Il sito Prima Comunicazione ha riferito nei giorni scorsi di un accordo tra editori di giornali e pubblicitari, a proposito del quale il presidente degli editori Andrea Riffeser “ha ribadito il ruolo centrale della stampa come unico mezzo che, al netto della pubblicità, offre contenuti interamente dedicati all’informazione”.
domenica 23 Febbraio 2025
Questa settimana è morto a 84 anni un apprezzato giornalista britannico, Tim Radford, a lungo nella redazione del Guardian dove è stato a lungo responsabile della Scienza ma ha avuto anche altri incarichi. Con l’occasione è circolata sui social network una sua vecchia ma tuttora preziosa lista di consigli per giornalisti, pensata in gran parte per attenuare la tendenza di alcuni di loro a scrivere per sé piuttosto che a immaginare la funzione pubblica del loro lavoro.
“Nel dubbio, supponi che chi legge non sappia niente. Ma non fare mai l’errore di pensare che chi legge sia stupido. L’errore classico del giornalismo è di sopravvalutare quel che il lettore sa e sottovalutare la sua intelligenza”.
domenica 23 Febbraio 2025
La settimana scorsa, raccontando dello sciopero al Piccolo – il quotidiano di Trieste – questa newsletter aveva citato una descrizione del confronto con l’editore riferita dal sito Professione Reporter. Ma il Comitato di redazione dei quotidiani del gruppo NEM – a cui appartiene il Piccolo – ha smentito quella ricostruzione.
“Il Cdr dei giornali veneti del gruppo Nem, letto l’articolo a riguardo dello stato di agitazione pubblicato da Professione reporter smentisce totalmente la ricostruzione dei fatti relativa alla trattativa sul welfare, e la gravissima quanto infondata illazione relativa alle minacciate ritorsioni che sarebbero stata fatte dall’azienda in caso di sciopero.
Il Cdr, rammaricandosi di non essere assolutamente stato contattato in merito, ritiene che simili uscite siano lesive e ne chiede immediata smentita.
Il Cdr dei giornali veneti del gruppo Nem”
domenica 23 Febbraio 2025
Ogni mese ci sono procedimenti per diffamazione contro giornali, giornalisti e direttori responsabili. Solitamente non ne abbiamo notizie, perché nella gran parte dei casi i giornali non hanno naturalmente interesse a raccontare di eventuali condanne, e si accontentano dello scampato pericolo in caso di assoluzione o di archiviazione, o preferiscono non maramaldeggiare nei confronti della parte avversa, o non complicare ulteriormente le rispettive relazioni. O semplicemente non ritengono che si tratti di notizie rilevanti o eccezionali (il Post, per esempio, è stato assolto in un processo per diffamazione due mesi fa).
A volte capita che in una condanna per diffamazione il giudice decida la pena accessoria di pubblicare – a spese dei condannati – la sentenza su alcuni giornali, in modo da compensare i soggetti diffamati e dare informazione delle loro ragioni. Anche se quei box a pagamento non sono particolarmente attraenti e visibili per i lettori, è in questi casi che di solito possono venire a conoscenza di una di queste sentenze.
Altre volte invece, soprattutto con le testate più polemiche, di alcune sentenze viene data notizia, quando le testate sono state assolte contro “nemici” consolidati, o quando altre testate “nemiche” sono state condannate e la vittoria è stata di “amici”.
È probabilmente così che si spiega che il Fatto, e solo il Fatto tra i quotidiani maggiori, abbia scelto di dare evidenza venerdì alla condanna di Repubblica in un processo per diffamazione dopo la denuncia della ex ministra del M5S Fabiana Dadone. Ma la sentenza ha in effetti dei toni molto severi rispetto a una serie di articoli di Repubblica del 2022: «Le notizie contenute negli articoli si sono rivelate prive di contenuti, visto che le varie indagini su cui è stato sollevato il “polverone” (così definito dalla stessa “La Repubblica”) non hanno portato a nulla. Non solo è quindi emerso che la Dadone nulla avesse a che fare con la vicenda, ma che altresì i soggetti realmente coinvolti non avevano commesso alcun illecito». Il tribunale di Cuneo ha condannato Repubblica a un risarcimento di 50mila euro nei confronti di Dadone.
domenica 23 Febbraio 2025
Da lunedì scorso il Quotidiano del Sud ha cambiato nome in Il Quotidiano l’Altravoce . L’ Altravoce è edito a Cosenza da Edizioni Proposta Sud srl, di cui è socio unico la Fondazione Mario Dodaro; in sostanza, il giornale è di proprietà di Francesco Dodaro, imprenditore che ha iniziato la sua carriera nel settore dei salumi e che dal 1995 è diventato editore.
Il cambio di nome fa parte del nuovo piano editoriale promosso da Alessandro Barbano, ex direttore del Mattino e del Messaggero, che lunedì è diventato direttore editoriale di tutte le testate dell’ Altravoce.
Barbano ha annunciato dei cambiamenti significativi soprattutto per l’edizione nazionale del quotidiano, che era stata fondata nel 2019 con il nome l’Altravoce dell’Italia dall’allora direttore editoriale del Quotidiano del Sud Roberto Napoletano (già direttore del Sole 24 Ore, oggi direttore del Mattino di Napoli), che voleva creare un’edizione nazionale che raccontasse e spiegasse i fatti nazionali «con gli occhi del Sud». Questa edizione nazionale, inizialmente venduta anche a Milano, Roma, Bologna e Napoli, dal 2020 era invece venduta solo in abbinamento alle edizioni locali in Calabria e Basilicata.
Con Barbano l’edizione nazionale del Quotidiano del Sud cambierà linea editoriale e ambizioni, oltre al nome. Barbano ha detto a Charlie che la versione nazionale dell’ Altravoce sarà un «quotidiano generalista nazionale», a differenza della precedente versione di Napoletano, che trattava soprattutto temi economici concentrandosi molto sul divario fra Italia del Sud e del Nord: «adesso meno Mezzogiorno, sarà un’operazione più complessiva. Vogliamo essere voce non solo del Mezzogiorno, ma del Paese intero, senza però tradire la nostra matrice meridionalista». Barbano ha anche confermato la presenza di «nuovi collaboratori», ma il direttore dell’edizione nazionale rimane Stefano Regolini, in carica dal 2024 e al Quotidiano del Sud da sei anni.
Da questa settimana l’edizione nazionale del giornale è quindi tornata ad essere distribuita e venduta a Roma, e si proverà ad aumentare la diffusione della testata grazie ad abbinamenti con altre e a eventi come il Festival dell’economia a Napoli, da tre anni promosso dal giornale. Il giornale sta anche valutando la «necessità di una transizione digitale», dice Barbano. Al momento, il sito web del quotidiano ha solo cambiato nome, senza altre modifiche significative.
domenica 23 Febbraio 2025
Il sito americano NiemanLab, che si occupa di giornalismo e media, ha riferito i soddisfacenti risultati della trasformazione delle sezioni dei commenti nel sito dello Spiegel, storico e rispettato settimanale tedesco. Per affrontare i tradizionali problemi di gestione dei commenti dei lettori (qualità insoddisfacente, litigiosità alta, pesante e stressante carico di lavoro per i responsabili della moderazione, rischi sulle responsabilità dei contenuti pubblicati), lo Spiegel ha chiuso gli spazi relativi, come molte altre testate internazionali, ma ha aperto un anno fa delle pagine di discussione – Debatte – intorno a determinati argomenti, scelti da un gruppo di moderatori. Possono partecipare gli abbonati al giornale, ma la lettura è possibile per chiunque si registri gratuitamente. NiemanLab descrive Debatte come “una specie di pagina di Reddit, molto concentrata”. Gli argomenti possono essere discussi per 24 ore, e i commenti possono essere solo apprezzati con un cuore, ma non “disliked”, per limitare le inclinazioni polemiche che spesso prevalgono in forum simili o sui social network, e incentivare le critiche argomentate (il Post ha di recente introdotto nuove regole, con simili intenzioni).
Le discussioni di Debatte diventano spesso dei contenuti tra i più visibili e più letti sulla homepage dello Spiegel, e sono più utili dei commenti tradizionali per dare alla redazione un’idea delle sensazioni e delle opinioni dei lettori.
domenica 23 Febbraio 2025
Con una scelta piuttosto infrequente, cinque mesi fa è diventato direttore del quotidiano locale abruzzese Il Centro Luca Telese, giornalista di 54 anni con una carriera e una visibilità nazionale e anche televisiva (Telese ha lavorato con diverse testate tra cui il Messaggero, il Foglio e il Fatto e condotto diversi programmi in tv, oltre ad avere diretto un quotidiano nazionale di breve durata nel 2012). Il Centro è il giornale locale più diffuso in Abruzzo, ha sede a Pescara e ha quattro edizioni, una per ogni provincia della regione. L’anno scorso la redazione aveva avuto una serie di scontri con la proprietà e con il precedente direttore.
La scelta di Telese di dirigere un quotidiano locale è insolita per un giornalista che ha lavorato per più testate nazionali e ha una discreta notorietà televisiva, ma prima di arrivare al Centro Telese aveva già avuto modo di conoscere l’Abruzzo come inviato per il Messaggero . Grazie poi ad un accordo con l’editore, Telese è diventato direttore del Centro potendo continuare a fare i suoi programmi televisivi a Roma: è a Pescara dal martedì al venerdì e nei giorni restanti lavora al giornale a Roma da remoto, con un coinvolgimento continuo e impegnato, riferiscono persone che seguono il lavoro del giornale.
Per più persone dentro e fuori il quotidiano, Telese ha cambiato molto il giornale e ha riportato maggiori motivazioni in redazione . A supporto degli articoli Telese ha iniziato a usare molto le illustrazioni, che secondo lui «agevolano la lettura e danno anche una spiegazione in più dei fatti», dato che in un quotidiano locale «su molte notizie non si hanno sempre delle immagini a caldo». C’è anche una percezione diffusa che, rispetto a prima, il Centro sia più aperto verso i propri lettori e al rapporto con la città e con le sue istituzioni. Il giornale si è molto impegnato a favore del referendum per il passaggio della provincia di Isernia in Abruzzo.
Con la nuova direzione, il Centro ha anche investito più risorse nel digitale: per raggiungere entro la fine del 2025 l’obiettivo dichiarato di mille lettori online, negli ultimi mesi il giornale ha offerto in omaggio un tablet alle prime 500 persone che sottoscrivessero un abbonamento annuale digitale e ha assunto tre giornalisti che lavorano solo ai contenuti web della testata.
Tuttavia, le principali fonti di guadagno e di investimento per il giornale rimangono ancora la pubblicità e le copie cartacee. Su queste ultime, Telese ha detto a Charlie che in un giornale locale «si lotta ogni giorno per 10 copie», e che «un inserto o uno speciale possono ancora fare la differenza», soprattutto tra i lettori che non hanno l’abitudine di acquistare il giornale tutti i giorni.
Nonostante i cambiamenti, sembra che alcuni problemi tra la redazione stessa e l’editore siano rimasti, tra cui il mancato rinnovo di più contratti a termine, sui quali gli editori continuano a fare affidamento per contenere i costi. Gli stessi dati ADS, poi, non mostrano un aumento significativo delle copie diffuse dal Centro negli ultimi mesi (media giornaliera a dicembre, 6.389 copie pagate), registrando anzi un piccolo calo (- 8,2% in un anno) che però riguarda quasi tutti i quotidiani.
domenica 23 Febbraio 2025
Nelle redazioni americane si è parlato molto di due ricchi articoli usciti quasi simultaneamente su due importanti testate (Atlantic e New York Times) e dedicati alle contese interne alla famiglia Murdoch, che possiede una delle più grandi multinazionali editoriali del mondo: a cui appartengono tra le altre il Wall Street Journal, il New York Post, la tv Fox News, il Times di Londra, il tabloid britannico Sun, molte testate australiane, la casa editrice HarperCollins. Oltre al ruolo pubblico conseguente a queste proprietà nei media, il fondatore Rupert Murdoch e i suoi figli sono stati protagonisti negli ultimi mesi di rinnovate attenzioni per via di una contesa giudiziaria sulla proprietà delle società di famiglia (ne avevamo scritto su Charlie). Contesa che è tornata a far ricordare le similitudini tra la realtà e la serie tv Succession, che in molte occasioni è stata giudicata ispirata proprio alla famiglia Murdoch. I due lunghi articoli usciti questa settimana hanno approfondito molto la storia, e quello dell’ Atlantic ha in particolare ottenuto le versioni del figlio di Murdoch in conflitto col padre e con le posizioni dei giornali del gruppo, James.
domenica 23 Febbraio 2025
Un incidente di notizia falsa data da RaiNews giovedì è utile a raccontare due fattori assai frequenti nell’informazione italiana contemporanea.
Il primo, più recente, è una ulteriore sudditanza dell’informazione della tv di stato nei confronti della maggioranza di governo: inclinazione che c’è sempre stata, per definizione stessa di cosa è la Rai e di come vengono scelti e nominati i suoi dirigenti e le sue priorità (dal parlamento e dal governo), ma che durante questa legislatura ha superato molti pudori. E quindi l’informazione Rai tende a promuovere positivamente le attività del governo e ad attenuare assai le sue inadeguatezze.
Il secondo fattore è più interessante perché è più radicato nelle abitudini di tutti i mezzi di informazione, ma a sua volta è diventato ancora più influente negli ultimi anni. È, fra tutte le fragilità del giornalismo italiano che riguarda le questioni della giustizia, l’intensificazione delle notizie che riguardano i successivi passaggi legali delle vicende giudiziarie. Da quando i meccanismi dell’informazione online e le necessità di ottenere attenzioni e clic hanno moltiplicato le notizie pubblicate dai siti di news, e spinto ad esaltare ed enfatizzare notizie interlocutorie, parziali e a volte persino insignificanti, i giornali tendono a dare spazio e titolazioni forti a tutti i vari e precari sviluppi delle inchieste e dei processi: aperture di fascicoli, avvisi di garanzia, notizie di indagati, richieste di rinvio a giudizio, rinvii a giudizio, apertura di processi, richieste dell’accusa, sentenze di primo grado, vengono tutte annunciate con lo stesso rilievo ed enfasi: in spregio alla presunzione di innocenza, ma anche alla comprensione di chi legge le relative titolazioni come condanne definitive o quasi.
Le due tendenze descritte, l’una insieme all’altra, hanno generato giovedì a mezzogiorno questo titolo pubblicato da RaiNews: “Assoluzione per Delmastro”. La storia era quella della divulgazione da parte del sottosegretario Delmastro di informazioni coperte dal segreto d’ufficio. Accusa per la quale, però, Delmastro non solo non era stato ancora giudicato (e quindi assolto) ma sarebbe stato condannato alcune ore dopo. A mezzogiorno quello che si sapeva era che il pubblico ministero aveva “chiesto l’assoluzione”, ma sarebbe stato poi contraddetto dai giudici che hanno ritenuto Delmastro colpevole.
Il direttore di RaiNews ha sostenuto – dopo avere ricevuto estese critiche – che si trattasse di una inevitabile e normale sintesi di titolazione rispetto alla richiesta del pubblico ministero. Sintesi in questo caso ingannevole e falsificatrice, e scusa del tutto fragile: le parti civili avevano chiesto la condanna di Delmastro, ma RaiNews non ha titolato per sintesi “Condanna per Delmastro” (giustamente).
Qui c’è un giudizio del Foglio sulla vicenda, assai critico.
(gli articoli successivi pubblicati sul sito di RaiNews illustrano ulteriormente la prima tendenza assolutoria: in uno, a fronte della stessa ammissione di Delmastro e della sentenza si dice che “Delmastro avrebbe rivelato…”)
domenica 23 Febbraio 2025
Lo sviluppo di questa settimana dell’esteso attacco dell’amministrazione Trump contro i giornali non abbastanza generosi nei suoi confronti è stata la richiesta anche alle istituzioni nazionali all’estero, ambasciate e consolati, di cancellare gli abbonamenti ai giornali, e ad alcune testate in particolare (Economist, New York Times, Politico, Bloomberg News, Associated Press e Reuters). Col risultato di lasciare senza fonti di informazione spesso indispensabili il lavoro di quegli uffici, così come era già stato imposto a diversi enti pubblici nazionali.
Nel frattempo venerdì Associated Press ha annunciato di avere denunciato i tre funzionari della Casa Bianca (tutti e tre responsabili importanti) che hanno finora impedito ai giornalisti dell’agenzia di stampa di accedere alle comunicazioni e agli incontri del presidente, per ritorsione contro la scelta di AP di non usare la denominazione “Golfo d’America” per il Golfo del Messico.
Un ultimo aggiornamento: sembrano rientrate le tentazioni di CBS News di accettare di risarcire Trump dopo una sua avventata denuncia sul montaggio di un’intervista a Kamala Harris. Ipotesi di risarcimento che alcuni avevano giudicato una “corruzione”, avendo la società che possiede CBS News, Paramount, interessi a un’indulgenza del governo su un suo progetto di fusione. Lo Hollywood Reporter, importante giornale che si occupa di spettacoli e media, ha scritto che adesso invece Paramount starebbe preparando una agguerrita reazione legale alla richiesta.
domenica 23 Febbraio 2025
Quindici giorni fa, nella sua newsletter sui media americani che spesso citiamo su Charlie, l’ex giornalista di CNN Oliver Darcy ha criticato quello che secondo lui è un atteggiamento non sufficientemente combattivo contro gli interventi repressivi delle libertà e dei diritti da parte di Donald Trump, nelle maggiori redazioni del suo paese. Il suo commento mostra bene quali sono le due “correnti di pensiero” sul ruolo del giornalismo in tempi di attacchi alla democrazia e ai diritti. “Siamo chiari: i giornalisti sul campo fanno quello che possono nel caos che sta definendo il secondo mandato di Trump, in mezzo a licenziamenti e tagli che stanno lacerando il business dei giornali. Potete trovare ottimi articoli in giro, e pezzi che verificano quello che Trump e la sua amministrazione sostengono. Basta cercare su Google”. Ma Darcy dice che chi governa e dirige i giornali: “sta largamente abdicando ai propri doveri. Non è che le loro testate non stiano coprendo il secondo mandato di Trump, è che le leadership di quelle testate non stanno decidendo di presentare le azioni di Trump come una esplicita emergenza che avrà estese conseguenze sulla vita e sulla democrazia americane.
La maggior parte dei direttori dei giornali non sta ordinando dei titoli urlati a caratteri cubitali. Nei telegiornali non si superano i consueti 30 minuti di news. E si lascia che i talk show in tv mantengano l’irresponsabile criterio di “ascoltare entrambe le parti”, come se una di queste parti non stesse violando la legge, distruggendo regole consolidate, e minacciando i principi fondamentali del paese. Notizie eccezionali vengono raccolte da un sistema costruito per dare titoli normali”.
Darcy non è un pericoloso estremista, come si dice: è l’autore di una delle più seguite newsletter sui media, proveniente da CNN. Quello che predica e chiede è rappresentativo di un’idea molto diffusa su come debba comportarsi il giornalismo in contesti di crisi democratica: all’interno di un dibattito che era iniziato già durante il primo mandato di Trump. È un’idea a cui si oppone quella di chi invece ritiene che il ruolo del giornalismo sia proprio non diventare anch’esso emergenziale, non uscire dalle proprie regole e dai propri rigori, nemmeno quando altri lo fanno e arrivano a minacciare la democrazia e il giornalismo stesso. Anzi, soprattutto, quando questo avviene. Attribuendosi il ruolo di riportare fatti e notizie con correttezza, completezza e affidabilità, e mantenendo così la credibilità necessaria presso i lettori, in tempi in cui la demolizione della credibilità dei mezzi di informazione è una delle priorità di chi sta minacciando la democrazia. E ritenendo che le “battaglie in difesa della democrazia” si conducano facendo buona informazione e creando le condizioni per cui i lettori si formino delle opinioni informate e reagiscano di conseguenza, piuttosto che indicando loro le opinioni e le reazioni da avere. Ma Darcy e chi la pensa come lui sostengono che questa sia una posizione debole e perdente, e che rischi di trovarsi a essere indulgente e complice, pavida: anche quando sia in buona fede.
Questa discussione è stata molto divisiva in questi anni, e il suo maggiore esempio è quello del New York Times, che dopo vivaci conflitti interni ha scelto col suo ultimo direttore di tornare decisamente sul secondo approccio.
La discussione è ulteriormente interessante vista da qui. In Italia le scelte predicate da Darcy sono la norma, non l’eccezione: la grande maggioranza dei giornali adotta esattamente quei modi di informare emergenziali e battaglieri. Che si tratti di criticare governo e poteri, o di difenderli, o anche di raccontare altro. Titoli urlati a grandi caratteri e a tutta pagina, toni aggressivi, insistenza sulle minacce, sugli allarmi, sui pericoli. Quelli che li hanno adottati soprattutto contro le maggioranze di centrodestra e le presunte minacce alla democrazia, in questi decenni, non sembrano però avere ottenuto grandi risultati, anzi. E al contrario della situazione americana, da noi quell’approccio sembra diventato ordinario per quasi tutti: non generato da un’emergenza, ma viceversa tenuto a generare emergenze quotidiane per giustificare i toni. Col risultato di perdere credibilità e di spostare le proprie attrattive per i lettori soprattutto sull’appartenenza identitaria a un fronte o a un altro (ormai ci sono “fronti” rispetto a quasi ogni genere di notizia).
Ma la discussione americana è comunque interessante, per chi voglia capire e giudicare gli equilibri e le scelte diverse nel lavoro dei giornali, a prescindere dai singoli casi nazionali. È una discussione che riguarda anche molti altri ambiti, per primo quello della politica: quanto le situazioni eccezionali impongano deroghe eccezionali alle regole, quanto il fine giustifichi i mezzi, quanto “à la guerre comme à la guerre”. E quindi quando decidere che c’è davvero una guerra, perché se lo si fa ogni giorno tutto è una guerra e niente è una guerra.
E qui di nuovo torna familiare questa discussione, in un paese dove si dichiarano emergenze e deroghe da decenni, e le emergenze e le deroghe sono la norma, quotidiana .
Fine di questo lungo prologo.
domenica 16 Febbraio 2025
Il quotidiano il Fatto ha tra le sue impostazioni principali quella di mobilitare l’indignazione e la rabbia dei propri lettori – e spesso di costruirla – nei confronti degli obiettivi più vari, e tra questi hanno un ruolo efficace da molto tempo i quotidiani italiani maggiori, chiamati spesso sprezzantemente “giornaloni”, e i loro autori. Nelle ultime settimane il direttore del Fatto ha attaccato con frequenza Francesco Merlo, noto giornalista di Repubblica e titolare della rubrica di lettere dei lettori.
La novità di questa settimana è stata che – diversamente da una vecchia abitudine dei giornalisti di Repubblica di trattare con sufficienza questi attacchi trascurando di rispondere pubblicamente e tenendo il proprio risentimento nelle conversazioni private – Merlo ha ritenuto per una volta di citare esplicitamente il direttore del Fatto (che fu giornalista di Repubblica) pubblicando la lettera di una lettrice che prendeva in giro con equivalenti volgarità il titolo di un suo noto libro (“Slurp”).
domenica 16 Febbraio 2025
Da alcuni anni ormai il Corriere della Sera sta investendo molto su una fonte di ricavi ulteriori, costituita da un’offerta molto ricca e continua di viaggi organizzati guidati da giornalisti del Corriere, e gestiti in collaborazione col mensile Dove, appartenente allo stesso gruppo editoriale: ne avevamo scritto quattro anni fa.
Il sito Professione Reporter ha raccontato sabato che la redazione ha iniziato a lamentarsi della sottrazione di forze al lavoro giornalistico e delle ingerenze del marketing, scontrandosi con la meraviglia del direttore Luciano Fontana per la protesta.
“Secondo il Cdr è ora, dopo tanti anni di “Viaggi”, di introdurre regole che siano garanzia per tutti. Il Cdr vuole controllare che le nuove iniziative non producano sofferenze nelle redazioni (se un collega si assenta per più giorni, altri devono coprire i suoi turni). In secondo luogo vuole regole di ingaggio trasparenti su chi è chiamato o chiede di partecipare ai “Viaggi”. Conclusione: “L’invito all’evento di presentazione dei ‘Viaggi 2025’, un pacchetto confezionato senza alcuna condivisione, in un momento in cui è in corso un dibattito sul tema, non ci pare il modo migliore per avviare un confronto sereno e costruttivo”. Il Cdr dice al Direttore di attendere una convocazione a breve termine”.
domenica 16 Febbraio 2025
Il quotidiano Domani ha ospitato la replica della sociologa Franca Beccaria a un proprio articolo sull’abuso di alcolici da parte dei giovani. Beccaria sostiene che su questo argomento ci siano una pigrizia e un conformismo da parte dei giornali, che privilegiano i loro criteri di allarmismo piuttosto che studiare i dati reali.
“Da oltre 30 anni studio il fenomeno del bere da un punto di vista sociologico, con particolare attenzione ai giovani. Per questa ragione faccio un salto sulla sedia ogni volta che vedo un titolo di giornale sul tema. Poi, con rassegnazione, leggo sapendo già cosa mi aspetta. L’articolo apparso su Domani lo scorso 22 gennaio è perfettamente in linea con i toni allarmistici usati dai media negli ultimi 20 anni. Chi sui giornali scrive di giovani e alcol sembra si senta sempre in dovere di usare espressioni quali “pandemia alcolica”, “generazione alcolica”, “allarme alcol”, “teneri alcolisti” e fare gran uso di percentuali piegate a supporto della tesi di partenza: cresce l’allarme alcol tra i giovani. Non è difficile, basta scegliere un numero, un dato puntuale, senza neppure grattare oltre l’etichetta per interrogarsi cosa quel numero misuri realmente. Ed è così che, ad esempio, dal rapporto della Commissione europea (Oecd, 2024) si riporta che, in linea con i dati Usa, oltre il 30 per cento dei 15enni si è ubriacato più di una volta nella vita, concludendo che anche in Italia il trend sarebbe cambiato, ovviamente in peggio.
Tuttavia basterebbe leggere con un minimo di attenzione il rapporto per mettere in dubbio queste certezze: «Osservando le tendenze a lungo termine, si è registrata una significativa diminuzione della percentuale di adolescenti che riportano episodi ripetuti di ubriachezza negli ultimi due decenni. Nel 2002, il 39 per cento dei ragazzi di 15 anni nei paesi dell’Ue dichiarava di aver vissuto episodi ripetuti di ubriachezza, ma questa percentuale è scesa al 23 per cento nel 2022».
È dunque vero che adolescenti e giovani bevono sempre di più? Secondo i dati relativi al 2022 riportati dall’ultima relazione al parlamento sull’alcol, il trend degli ultimi 10 anni è in diminuzione in tutte le fasce di età giovanili (11-24 anni), tranne tra le ragazze di 18-24 anni. La riduzione è significativa tra gli 11-17enni, sia maschi sia femmine. Anche il dato sulla cosiddetta abbuffata alcolica (binge drinking) è in diminuzione, tranne tra le ragazze, andamento confermato dallo studio europeo Espad (2023)” .
domenica 16 Febbraio 2025
Nella propria sezione di Economia, Repubblica ha dedicato martedì un’intervista al fondatore e presidente dell’azienda Iliad, azienda che ha comprato una pagina di pubblicità su Repubblica, pubblicata venerdì.
Sulle pagine locali milanesi di alcuni giornali si è scritto nei giorni scorsi del minacciato sciopero della fame da parte del fondatore di un museo privato milanese, per protesta contro la decisione del Comune di Milano di non rinnovare la concessione degli spazi in cui il museo è ospitato. Nelle settimane scorse la proprietà del museo ha comprato molte pagine pubblicitarie sul Fatto per protestare contro la decisione. Venerdì il Fatto – che già l’aveva sostenuta in occasioni precedenti – ha dedicato alla protesta un articolo molto solidale nelle pagine nazionali.
domenica 16 Febbraio 2025
Il direttore del sito americano di news Semafor, Ben Smith, ha intervistato Steve Bannon, l’ex consigliere di Donald Trump ritenuto l’ispiratore di parte dell’iniziativa di comunicazione di Trump in questo primo mese di presidenza. Bannon spiega come la strategia di Trump coi giornali – considerati avversari politici – è di sfruttare le loro debolezze e pigrizie bombardandoli di notizie e dichiarazioni nuove prima che possano concentrarsi sulle precedenti, costringendoli a inseguire e indebolendo ogni reazione e indignazione sulle singole decisioni. Finora sta funzionando, commenta Smith: Trump “controlla la narrazione”; il rischio è che questa strategia – che forse sopravvaluta l’importanza dei media – diventi la strategia, e prenda priorità a danno dell’esecuzione di progetti reali e della loro pianificazione, limitandoli.
domenica 16 Febbraio 2025
Il rapporto tra i mezzi di informazione giornalistici e le aziende editrici di libri è unico e anomalo, ma così radicato da non farcene percepire l’anomalia. Gli editori di libri sono appunto aziende commerciali come le altre, che come le altre producono prodotti molto diversi tra loro, destinati a clienti molto diversi tra loro, di qualità e valore molto diversi tra loro. Però, in nome di una parzialmente giustificata ragione di servizio pubblico culturale che attribuiamo ai loro prodotti, questi prodotti stessi hanno trattamenti e promozioni che sarebbero impensabili per altre aziende.
Dal punto di vista dei giornali (o dei programmi radiotelevisivi e podcast di informazione), poi, c’è un triplo interesse: uno è appunto quello del valore “morale” ed educativo della promozione della lettura dei libri; un altro è nello stesso ruolo dei mezzi di informazione, ovvero di dare notizia di argomenti e pubblicazioni potenzialmente rilevanti nell’attualità.
Un terzo, infine, è che i libri sono un “contenuto” di grande disponibilità, gratuito, e duttile (e a volte di autori attraenti per chi legge). A differenza di un piatto pronto surgelato o di un nuovo smartphone – per fare altri esempi di prodotti commerciali – un libro può riempire spazio e contenitori giornalistici con il suo stesso contenuto, appunto, che sia scritto, letto, riassunto. Ed è un contenuto libero da limitazioni d’uso, perché gli editori lo offrono volentieri alle opportunità di promozione generate dai contenitori in questione (quando poi si tratta di autori legati all’attualità, come alcuni leader politici, capita che gli uffici stampa degli editori offrano estratti diversi che i diversi quotidiani pubblicano lo stesso giorno; o che ai due quotidiani più importanti siano spartite l’anticipazione del libro e l’intervista con l’autore).
Questo rapporto di mutuo interesse si concretizza sempre più spesso su alcuni quotidiani, in questi anni di riduzione delle risorse e necessità dei suddetti contenuti a buon mercato. È molto più frequente che vengano ospitati “estratti” o “anticipazioni” di libri (ma anche trascrizioni di interventi pubblici, prefazioni, testi di convegni), che riempiono ormai non solo le pagine della Cultura. Il quotidiano Domani è una delle testate che ospitano più sovente testi estratti dai libri nelle sue appena sedici pagine quotidiane; ma giovedì Repubblica ne ha addirittura pubblicati due uno dopo l’altro, nella stessa edizione di giovedì (dai libri in uscita di Elena Stancanelli e – la prefazione di Romano Prodi – di Sylvie Goulard).

domenica 16 Febbraio 2025
Abbiamo raccontato in passato di come sia più evidente e conosciuta nei giornali americani – rispetto a quelli italiani – la differenza tra due ruoli che qui chiamiamo con lo stesso nome, quello di “giornalisti”. Nelle redazioni statunitensi li chiamano invece editors e reporters (o semplicemente writers), sancendo che fanno due cose diverse: per sintetizzare, i primi lavorano in redazione alla progettazione del giornale, prendono le decisioni, intervengono sugli articoli, confezionano il risultato finale; i secondi fanno il lavoro di produzione degli articoli stessi, la raccolta di informazioni e la scrittura. Firmano gli articoli, diventano più famosi.
Il primo dei due ruoli è stato celebrato la settimana scorsa in un istruttivo articolo del New Yorker – illustre settimanale che sta festeggiando i suoi cent’anni – su quello che fanno gli editor, e sul loro paziente rapporto coi reporter.
domenica 16 Febbraio 2025
È un’antica domanda, da cui circa vent’anni fa si intensificò il dibattito proseguito fino a oggi sul destino generale dei giornali. Allora uno studioso dei media immaginò che se fossero proseguiti proporzionalmente i cali di diffusione dei giornali americani, nel 2043 non ci sarebbero stati più lettori di giornali. Naturalmente le variabili in ballo sono molte (nel frattempo siamo diventati lettori di giornali online), e ipotesi di questo genere sono assai approssimative. Però danno un’idea della dimensione dei cambiamenti, e poiché ogni mese raccontiamo su Charlie i cali di diffusione dei giornali di carta, che sono mediamente del 10% ogni anno, vi semplifichiamo un calcolo di cosa succederebbe tra dieci anni ai numeri attuali delle testate di carta se questi cali proseguissero analoghi.
Un quotidiano che oggi vende 150 mila copie, nel 2035 ne venderà 47mila, uno che ne vende 100mila ne venderà 31mila, uno che ne vende 80mila ne venderà 25mila, uno che ne vende 50mila ne venderà 15mila, uno che ne vende 30mila ne venderà 9mila, uno che ne vende 20mila ne venderà 6mila, uno che ne vende 10mila ne venderà 3mila.
Poi le cose cambiano, ma dieci anni passano in fretta.
domenica 16 Febbraio 2025
Il quotidiano pugliese L’Edicola è entrato nella classifica delle diffusioni ADS di dicembre con una variazione del +141% rispetto al mese precedente (e un anno prima non esisteva). L’Edicola è un giornale locale di Puglia e Basilicata di proprietà dell’editore Ledi che da giugno ha cambiato nome (era nata nel 2021 e allora si chiamava l’ Edicola del Sud) e strategie editoriali per provare a diventare un quotidiano nazionale, come ha detto a Charlie il direttore Ciriaco Viggiano.
Ledi è una società che si occupa di “attività editoriali e tipografiche di qualunque genere, nonché di attività radiotelevisive e pubblicitarie”. Appartiene a una holding, Finlad, che controlla tutte le attività facenti capo ai fratelli Ladisa, due imprenditori pugliesi il cui successo deriva principalmente dal settore della ristorazione, dove l’omonima società Ladisa srl (anch’essa parte di Finlad) opera dal 1940, gestendo soprattutto servizi di catering, bar e mense per scuole, università e per istituzioni come ministeri e forze dell’ordine.
Ledi era nata nel 2020 come editore rivolto all’acquisizione e al rilancio di testate in difficoltà, soprattutto in Puglia e Basilicata. Proprio alla fine del 2020 Ledi aveva ottenuto per sei mesi la gestione della Gazzetta del Mezzogiorno, che era in regime di concordato preventivo per il fallimento della precedente proprietà. Ledi aveva cercato di acquistare definitivamente il giornale, proponendo un piano per il rilancio e per l’acquisizione dello storico palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno in via Scipione a Bari. Ma alla fine dei sei mesi, intuendo che un altro editore si sarebbe aggiudicato la testata, restituì al tribunale fallimentare la Gazzetta del Mezzogiorno, che fino all’inizio del 2022 non sarebbe più stata pubblicata.
Nel frattempo, alla fine del 2021 Ledi ha fondato L’ Edicola del sud, oggi L ’Edicola, definita “società soggetta a direzione e coordinamento di fondazione Donata Carella”, che è la madre dei fratelli Ladisa. Affidare la gestione della testata a una terza società non profit è solitamente un modo per i giornali per ottenere finanziamenti pubblici.
Date le nuove ambizioni, sin da giugno la testata ha proposto in edicola diversi abbinamenti: in quasi tutta la Puglia chi acquista il Sole 24 Ore o Sorrisi e Canzoni riceve anche una copia dell’ Edicola, e una volta al mese l’abbinamento con Sorrisi e Canzoni è valido a livello nazionale. Gli abbinamenti hanno avuto ottimi risultati per la diffusione dell’ Edicola sin da giugno, e il giornale ha quindi aumentato la tiratura negli ultimi mesi dell’anno per sfruttare ancora meglio le opportunità. Gli eccezionali numeri di vendita dell’ Edicola registrati quindi a novembre (11mila copie) e a dicembre (quasi 27mila) sono spiegati dall’aumento della tiratura, che è passata dalle 6mila copie di ottobre alle 35mila di dicembre, grazie a una maggiore sicurezza di vendita garantita proprio da questi abbinamenti obbligatori.
domenica 16 Febbraio 2025
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di dicembre 2024.
I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 158.072 (-6%)
Repubblica 83.834 (-11%)
Stampa 58.482 (-14%)
Sole 24 Ore 50.760 (-10%)
Resto del Carlino 46.345 (-12%)
Messaggero 40.816 (-11%)
Gazzettino 31.300 (-9%)
Nazione 30.723 (-11%)
L’Edicola 26.963 (-)
Dolomiten 26.729 (-9%)
Giornale 24.900 (-9%)
Fatto 24.580 (-39%)
Messaggero Veneto 22.354 (-11%)
Unione Sarda 20.166 (-10%)
Eco di Bergamo 20.225 (-11%)
Verità 19.586 (-13%)
Secolo XIX 18.830 (-11%)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.447 (-9%)
Avvenire 14.427 (-3%)
Manifesto 13.317 (+4%)
ItaliaOggi 5.857 (-12%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
La media dei cali percentuali delle prime dieci testate a dicembre è tornata a essere assai alta: 10,1%. Novembre era stata insomma un’eccezione, con il suo 8,4%. Rispetto a questo dato continua ad andare meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera, e continuano ad andare peggio i quotidiani del gruppo GEDI, Repubblica e Stampa .
C’è però il caso particolare del Fatto, che confonde un po’ le cose e alza la media detta. Spieghiamolo di nuovo: a gennaio dell’anno scorso il Fatto ha aumentato il prezzo del giornale, e di conseguenza alcune delle sue offerte digitali più scontate si sono trovate a essere conteggiate nella categoria che qui chiamiamo “scontatissime” (ovvero sotto il 10% del prezzo di copertina) e che non consideriamo* in questi numeri, per nessuna testata. Dal mese prossimo il dato del Fatto tornerà a essere paragonabile con quello di un anno fa, ma già adesso possiamo vedere che confrontandolo con quello di undici mesi fa il suo calo è di circa il 10%, in linea con le medie.
Poi non sfuggirà a nessuno dei lettori abituali di questi dati l’eccezionale caso dell’ Edicola, di cui scriviamo qui sotto.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 47mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 27mila, come detto sopra, Repubblica quasi 14mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese, e poi la variazione percentuale rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 44.907 (-226) +3,8%
Repubblica 22.842 (+1461) -4,2%
Sole 24 Ore 22.079 (-109) -3,7%
Manifesto 7.036 (+19) +0,3%
Stampa 6.808 (+130) -20,9%
Fatto 6.247 (-99) -68,3%
Gazzettino 5.712 (+11) -8,7%
Messaggero 5.525 (+76) -8,7%
I dati mensili sono molto alterni per ogni testata, crescono o calano discontinuamente, suggerendo una grande volatilità degli abbonamenti di durata mensile, spesso comprati in prova e poi non confermati. Ma come si vede i progressi annuali degli abbonamenti digitali non sono rassicuranti per nessuno salvo che per il Manifesto e per il Corriere della Sera (che però non compensa lontanamente le perdite delle copie cartacee). Il dato del Fatto, come già detto, è imparagonabile ancora per un mese. Il dato mensile positivo di Repubblica è probabilmente legato a delle conversioni di abbonamenti molto scontati (che sono molto diminuiti questo mese: possono essere promozioni o vendite “multiple” ad aziende arrivate a scadenza).
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente molto più economici – ai contenuti dei loro siti web.
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali meno piccoli le perdite maggiori rispetto a un anno fa questo mese sono del Giorno di Milano (-14%), del Piccolo di Trieste (-13%) della Nuova Sardegna di Sassari (-12%) e del Tirreno di Livorno (-12%).
(Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
*Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.
domenica 16 Febbraio 2025
Nel frattempo, per aggiornare la serie di scontri fra Trump e i più importanti giornali e reti televisive del suo paese (e del mondo in alcuni casi), il caso più teatrale e assurdo di questa settimana ha invece coinvolto Associated Press, famosa e rispettata agenzia di stampa internazionale. Ai cui giornalisti è stato negato l’accesso a una serie di iniziative pubbliche del presidente in ritorsione – esplicitamente dichiarata – contro la scelta di Associated Press di mantenere la denominazione “Golfo del Messico” nei suoi articoli che menzionano il – beh – Golfo del Messico. Che invece Trump ha dichiarato chiamarsi d’ora in poi Golfo d’America, ottenendo per esempio l’immediata adesione dei servizi di mappe di Google e di Apple.
L’esclusione si è ripetuta un’altra volta sabato, e Associated Press non è stata ammessa sull’aereo presidenziale.
domenica 16 Febbraio 2025
Nel concitato e agguerrito confronto tra il presidente statunitense Donald Trump e alcune delle maggiori e più autorevoli testate giornalistiche del suo paese, c’è una condizione del tutto particolare del Wall Street Journal, uno dei giornali più importanti del mondo e uno dei quattro quotidiani “nazionali” americani.
A differenza dei suoi maggiori concorrenti – il New York Times e il Washington Post – il Wall Street Journal è un quotidiano più conservatore e che è stato meno agguerrito contro Trump, ma che è riuscito a sottrarsi allo schiacciamento sulle sue scelte che ha invece coinvolto gran parte della parte Repubblicana del paese. In particolare, è interessante notare che la stessa redazione dei commenti e delle opinioni del Wall Street Journal – quella tradizionalmente più di destra e spesso in conflitto con posizioni più progressiste all’interno della redazione principale (ricordiamo questa distinzione presente nelle testate americane) – sta pubblicando commenti molto scettici su diverse delle iniziative di Trump di queste settimane. Quello che si chiama “Editorial Board” – il gruppo di giornalisti che guida la sezione – ha firmato solo negli ultimi giorni una serie di editoriali che hanno criticato le scelte dei nuovi membri dell’amministrazione (quella di Robert Kennedy jr. in particolare), l’approccio di Trump alla “pace” in Ucraina, le sue dichiarazioni sui dazi, i suoi attacchi ai giornali.
Ma accanto a questi giudizi ce ne sono di più allineati con le posizioni conservatrici dell’Editorial Board, che invece accolgono come promettenti altri progetti della nuova amministrazione, o contestano alcune critiche liberal nei confronti di Trump. Un approccio “laico”, di critica da destra, che si garantisce una certa credibilità in tempi in cui la credibilità a destra sembra seppellita dal sostegno incondizionato nei confronti di Donald Trump.
E lo stesso Trump – considerato anche che il Wall Street Journal è di proprietà dell’editore miliardario e reazionario Rupert Murdoch – ha fino a oggi praticamente escluso il giornale dalle citazioni quotidiane dei suoi amici e nemici, citandolo con rispetto ma lamentandosi di non esserne trattato bene.
domenica 16 Febbraio 2025
La redazione del Piccolo, storico quotidiano di Trieste, ha scioperato ieri proseguendo una protesta che avevamo raccontato due settimane fa contro le scelte della nuova proprietà. Il Piccolo era stato acquistato un anno fa dalla società NEM, creata apposta da un gruppo di importanti imprenditori veneti, assieme ad altri quattro quotidiani veneti e friulani ceduti da GEDI, il grande gruppo editoriale che pubblica Repubblica e Stampa. Il breve comunicato della redazione dice: “La decisione della redazione, sancita mercoledì in assemblea, arriva al termine di un confronto sindacale con Nordest Multimedia, nel quale l’azienda non ha ritenuto di dare risposte positive alle richieste delle rappresentanze sindacali in termini di tutela del perimetro d’organico e autonomia della testata”.
Tra le altre lamentele di cui la redazione aveva già scritto, il sito Professione Reporter ne riferisce anche una sulla discriminazione delle donne:
” Le giornaliste hanno redatto un documento in cui lamentano “la pesante disparità di ruoli, funzioni e conseguente trattamento economico tra giornalisti e giornaliste” delle testate venete, così come pure “la mancanza d’una ‘voce femminile’ ad ampio spettro” oltre a segnalare una generale carenza su “presenza, ruoli e avanzamento di carriera delle giornaliste”, constatando per altro “l’alta propensione di questo gruppo dirigente ad avere una trazione maschile nei ruoli di vertice”, tant’è che “i ruoli apicali restano saldamente nelle mani dei colleghi”, un fenomeno per altro “potenziato” in seguito alle due assunzioni nelle due sezioni Cultura e Sport.
Non mancano i calcoli dettagliati in proposito: le redattrici nelle quattro redazioni venete “sono in tutto 26, i colleghi 40, per un totale di 66 unità” e le giornaliste rappresentano quindi solo “il 39,39% del totale”. “Sei hanno qualifiche che non superano il ruolo di caposervizio” (una soltanto ricopre il ruolo apicale di caposervizio, tre vice caposervizio e due redattrici esperte), a fronte “di 23 redattori maschi con qualifica per un totale che porta il numero a 29”, se si include anche la direzione di testata”.
(La questione dei ruoli delle donne nelle posizioni decisionali e di maggior visibilità riguarda in realtà la quasi totalità dei quotidiani italiani)
domenica 16 Febbraio 2025
Il Garante per la privacy ha informato la società editrice del Fatto (SEIF) di un provvedimento un po’ confuso nell’esposizione (non si capisce bene cosa ordini, cosa stabilisca e cosa invece ipotizzi) a proposito di eventuali violazioni delle regole sulla privacy nella recente pubblicazione del libro “Fratelli di chat” del giornalista Giacomo Salvini (pubblicato dalla casa editrice Paper First, appartenente a SEIF). Il libro raccoglie e mostra il contenuto di conversazioni su Whatsapp tra esponenti del partito Fratelli d’Italia, compresa la presidente del Consiglio Meloni, e ha fatto subito notizia per alcune di queste conversazioni inedite dedicate al ministro Matteo Salvini.
La decisione del Garante potrebbe essere interessante per capire l’equilibrio e il compromesso che lo stesso garante considera accettabile tra diritto di cronaca e diritto alla privacy.
SEIF ha risposto contestando il provvedimento, e definendosi anzitempo “condannata e intimata”.
domenica 16 Febbraio 2025
Avevamo raccontato, due anni e mezzo fa, cosa sia quella scelta importantissima – nella trasmissione di una realtà ai lettori – che gli americani chiamano “framing”. La sintesi è che non solo non esiste la semplice e sbrigativa divisione “tra fatti e opinioni”, ma che il modo in cui vengono “confezionati” e “incorniciati” i fatti li può trasformare molto di più di quanto non facciano delle opinioni.
Il “framing” più semplice e banale riguarda la scelta delle titolazioni, e cosa citare e cosa omettere, in una notizia. Un esempio da scuola di questa settimana riguarda un fatto apparentemente indiscutibile e senza possibilità di interpretazione come la sentenza di un tribunale. Ma anche con quella, è tutta una questione di “framing”, che può ribaltare il modo in cui quella notizia è percepita dai lettori. Ma come dicevamo, l’esempio è palese confrontando la notizia nella versione dei due maggiori quotidiani, Corriere della Sera e Repubblica.
Fine di questo prologo.
domenica 9 Febbraio 2025
Ripetendo una formula che ha garantito finora buona parte della sostenibilità commerciale del progetto, il Post ha offerto questa settimana ai propri abbonati di acquistare e ricevere tempestivamente a casa – prima dell’uscita in libreria – il tredicesimo numero della sua rivista Cose spiegate bene, dedicato questo mese a storie, spiegazioni e descrizioni di oggetti e manufatti i più diversi.
domenica 9 Febbraio 2025
Ogni mese su Charlie citiamo i risultati di ADS, una società che certifica e pubblica mensilmente i dati relativi alla diffusione dei quotidiani e delle riviste italiane che decidono di esservi iscritte: il Foglio e Domani, per esempio, hanno scelto di non essere conteggiati da ADS. Probabilmente è perché la loro raccolta pubblicitaria è molto limitata e basata su isolate relazioni dirette, e quindi ritengono di non avere bisogno di dati certificati da presentare agli inserzionisti, e al tempo stesso i loro numeri sarebbero probabilmente piuttosto esigui tra le testate nazionali e non una buona comunicazione (abbiamo contattato i responsabili dei due giornali senza ottenere spiegazioni ufficiali).
I dati sulla “diffusione totale” servono infatti agli editori soprattutto come promozione per gli inserzionisti, per aumentare dunque i ricavi pubblicitari.
Su Charlie, però, quando parliamo di come sono andati i giornali ogni mese, non facciamo riferimento alla generica e ampia “diffusione totale”, ma al dato fornito da ADS che consideriamo più rappresentativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, escludendo quindi le copie distribuite gratuitamente, quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera).
Ma oltre agli sconti e alle copie omaggio, le testate possono inserire nei propri numeri anche altre vendite di ambigua definizione. Per esempio, alcuni editori fanno ricorso agli abbinamenti promozionali tra due testate – di solito una locale e una nazionale, non necessariamente dello stesso editore – vendute al costo di una o poco più (a volte sono chiamati “panini”). In questo modo chi compra paga un solo giornale, ma quell’acquisto viene poi comunicato come due copie ad ADS. E la testata “allegata” ottiene anche di raggiungere potenziali lettori nuovi. È una pratica poco apprezzata dai rivenditori : i guadagni degli edicolanti a fronte di questi accordi sono tuttora definiti da un vecchio accordo del 2005, che limita il valore economico di queste iniziative per chi le vende.
Per esempio, la Gazzetta del Mezzogiorno sembra aver beneficiato ultimamente del sistema: nonostante la crisi del giornale, il calo di vendite si è fermato a giugno, cioè da quando la Gazzetta del Mezzogiorno e la Gazzetta dello Sport sono vendute assieme al prezzo di un euro e 70 centesimi.
Nel 2023 invece, in Umbria, tre quotidiani locali – il Corriere dell’Umbria, la Nazione e il Messaggero – furono abbinati rispettivamente alla Gazzetta dello Sport, a Tuttosport e al Corriere dello Sport. Se guardiamo i dati territoriali di ADS – che riportano il numero di copie cartacee dichiarate dai giornali come diffusione, ripartiti per regioni e province –, nello stesso anno la diffusione media in Umbria delle tre testate sportive nazionali era aumentata notevolmente rispetto al 2022: la Gazzetta dello Sport era passata da una media di circa 3600 copie dichiarate a più di 6100, Tuttosport da 1170 a 3930 e il Corriere dello Sport da quasi 2700 a più di 6000.
Un’altra condizione che aiuta la diffusione di alcuni giornali rispetto ad altri è la presenza o meno di canali di distribuzione preferenziali. Per esempio, molte copie dichiarate da Avvenire, che è il quotidiano della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, sono acquistate dalla rete delle organizzazioni e delle strutture ecclesiastiche, che diventano un rivenditore aggiunto che manca al resto delle testate giornalistiche italiane. Queste copie, però, sono specificate da ADS come tali e possono essere più facilmente scorporate dal totale nei dati che Charlie pubblica ogni mese.
domenica 9 Febbraio 2025
Alcuni siti italiani e account sui social network hanno pubblicato di nuovo questa settimana una voce già fatta circolare dagli stessi siti un anno fa, sull’imminente passaggio di Claudio Cerasa, direttore del Foglio, alla direzione del Messaggero, e ancora più avventate ipotesi sulla sua sostituzione al Foglio. Solitamente Charlie non riferisce di questo genere di voci quando non sono circostanziate in nessun modo – le chiacchiere nelle redazioni ne hanno ogni settimana, e il cimitero delle previsioni è affollato – ma lo facciamo ogni tanto solo per ricordare la loro fragilità e ripetitività, a chi ci si imbattesse.
(un altro elemento della routine è che nelle rare occasioni in cui una di queste ipotesi infine si verifichi, dopo anni, qualcuno dirà “l’avevamo detto”: che è come avere pronosticato la vittoria di Trump nel 2020).
domenica 9 Febbraio 2025
Lo scorso giugno descrivemmo su Charlie la crescente inclinazione di una parte del giornalismo italiano a scegliere titolazioni con giochi di parole piuttosto che informative, e le implicazioni relative in termini di perdita del ruolo di informazione giornalistica a favore di quello di intrattenimento: l’abitudine è condivisa solo con i più screditati tabloid di altri paesi, mentre da noi ha contagiato molte testate (compresa la politica: questa settimana la leader del maggiore partito di opposizione non ha fatto notizia per i suoi argomenti critici contro il governo, ma per aver usato l’espressione “presidente del coniglio”).
Vale quindi la pena notare un caso di ulteriore spericolatezza, nella titolazione dell’editoriale del direttore del Fatto, mercoledì.

domenica 9 Febbraio 2025
La società di certificazione ADS, che citiamo ogni mese per i dati di diffusione dei quotidiani, ne fornisce anche per i periodici, settimanali e mensili. Gli ultimi pubblicati sono quelli di novembre 2024 e li abbiamo messi a confronto con quelli di cinque mesi prima, a giugno. I settimanali italiani iscritti ad ADS hanno perso in media il 9% delle copie dichiarate come vendute. Le riviste che hanno perduto più copie sono Sportweek (-21,98%) e soprattutto quelle che si occupano di moda e bellezza, cosiddette, tra cui Grazia (-46,80%), Elle (-22,88%), F (-19,91%) e VanityFair (-17,58%). Il dato è ulteriormente indicativo, visto che nel mese di giugno Grazia aveva pubblicato un numero in meno rispetto a novembre, mentre VanityFair e Elle persino due numeri in meno rispetto a novembre.
Questi sono dati di diffusione “complessiva”, che comprendono anche le copie promozionali e omaggio (più di 72mila per Ell , 41mila per Sportweek , 30mila e 5mila per Donna Moderna e Panorama del gruppo editoriale del quotidiano la Verità : quasi tutte copie digitali), quelle a prezzi scontatissimi (47mila ciascuno per Sette e Io Donna ) o quelle vendute in quantità “multiple” ad aziende o istituzioni.
Naturalmente alcuni settimanali beneficiano rispetto ad altri dell’essere venduti allegati a un quotidiano, come il Venerdì di Repubblica.

domenica 9 Febbraio 2025
Il New York Times ha riferito di avere aggiunto altri 350mila abbonati al suo ricco capitale (11,4 milioni) nell’ultimo trimestre del 2024. Il giornale è in una prolungata fase di successo di lettori e di profitti ( chiude il 2024 con 912 milioni di dollari “in cassa”, erano 709 un anno prima), legata al suo precoce investimento sul prodotto giornalistico online e sugli abbonamenti digitali. Nel suo rapporto sui risultati si dice infatti che i ricavi pubblicitari sono rimasti uguali nel 2024, e che stanno continuando gli abbonati all’edizione cartacea: a conferma che le aziende giornalistiche più in salute nel mondo sono quelle che hanno spostato le proprie priorità dalla carta e dalla pubblicità a internet e agli abbonati.
Circa un terzo degli abbonati digitali (3 milioni e 450 mila) sono abbonati a prodotti definiti “non news”: giochi, sezione di consigli sui prodotti, cucina, audio e sport.
domenica 9 Febbraio 2025
La newsletter Mediastorm ha pubblicato un’interessante sintesi in due tabelle di come siano cambiati dal 2014 al 2023 i ruoli – misurandone la diffusione – di alcuni quotidiani in alcune delle maggiori città italiane. I dati attingono ai consuntivi sulla diffusione dei quotidiani nelle province e nelle regioni di cui avevamo scritto qui.
domenica 9 Febbraio 2025
L’uso delle fotografie da parte dei giornali è finito fuori controllo nei decenni dei social network e di internet: la paternità dei diritti sulle immagini è trascuratissima, e la loro facile circolazione e riproduzione online ha generato un “liberi tutti”, attenuato solo dai rigori etici in alcune redazioni o da un nuovo indotto di “riscossione crediti” da parte di agenzie più o meno serie. La stessa immagine falsa raccontata qui sopra non è stata per giunta attribuita a nessun autore da chi ha scelto di pubblicarla ritenendola vera, e quindi di non pagarla (in alcuni casi veniva citata la insignificante fonte “Twitter”).
Le cose si complicano ulteriormente in molti casi singolari, come quello di una foto della giovane iraniana Mahsa Amini, uccisa dalla polizia religiosa nel 2022 a Teheran. Il tabloid britannico Daily Mail ha ricevuto una richiesta di compenso da parte di un’agenzia che sostiene di avere ottenuto i diritti dell’immagine di Amini (richiesta esigua: 1110 sterline, considerando le perdite subite per la circolazione non autorizzata della foto). Il Daily Mail sostiene però che l’agenzia dovrebbe dimostrare di avere i diritti esclusivi e di essere la fonte unica di diffusione della foto, che il giornale dice di avere trovato ampiamente pubblicata su internet. L’agenzia risponde che citare la fonte da cui avrebbe ricevuto l’immagine può mettere in pericolo quella fonte – trattandosi dell’Iran – e che l’immagine pubblicata dal Daily Mail contiene sullo sfondo una foglia in più, applicata digitalmente dall’agenzia per tracciare chi usasse la sua foto.
domenica 9 Febbraio 2025
Una foto falsa ma suggestiva che mostrava insieme Donald Trump, Elon Musk e Benjamin Netanyahu è stata pubblicata da molti dei maggiori giornali italiani, sulle edizioni cartacee ( Domani, il Fatto, tra gli altri) o sui loro siti, e mostrata in alcuni telegiornali Rai. A farla considerare vera – malgrado una serie di particolari piuttosto visibili che rivelavano fosse artefatta – è stata soprattutto la sua diffusione da parte dell’agenzia Ansa. L’errore è stato notato anche all’estero: qui ne ha parlato BBC News, con esplicito riferimento ai media italiani.
Ansa ha successivamente rimosso la foto e corretto il testo, senza però informare che la foto precedentemente diffusa fosse falsa.

domenica 9 Febbraio 2025
Il sito PressGazette ha intervistato Louis Dreyfus, presidente del Consiglio di amministrazione del gruppo Le Monde, che pubblica Le Monde, il più autorevole e venduto quotidiano francese (raccontato estesamente in uno dei capitoli di Cose spiegate bene sui giornali).
Il giornale ha avuto una grande crescita di abbonati e di ricavi negli ultimi anni, risultato di un deciso spostamento di priorità verso il digitale e di una coerenza nel garantire un prodotto giornalistico di notevole qualità.
Dreyfus dice che Le Monde ha chiuso il 2024 con 660mila abbonamenti, dei quali 580mila digitali. La versione in inglese introdotta due anni fa avrebbe raccolto 12mila abbonati fuori dalla Francia. Il 77% dei ricavi del giornale derivano dai lettori paganti, e più della metà dagli abbonati (la quota degli acquirenti della singola copia in edicola, più costosa, è quindi ancora rilevante). E Le Monde è in attivo da nove anni.
I ricavi degli abbonamenti digitali nel 2024 sono stati di 63 milioni di euro, a fronte di 72 milioni di costi per il personale giornalistico: Dreyfus conta di poterlo pagare completamente con gli abbonamenti digitali nel giro di due anni.
Ma tutta l’intervista contiene altre valutazioni interessanti per capire i successi del giornale.
domenica 9 Febbraio 2025
Lunedì 3 febbraio la redazione del Tirreno, quotidiano di Livorno di proprietà del gruppo SAE, ha votato il proprio gradimento nei confronti del nuovo direttore Cristiano Meoni, dopo che quest’ultimo aveva esposto il suo piano editoriale, come solitamente accade nei primi giorni dall’insediamento di un nuovo direttore: i voti contrari hanno superato quelli favorevoli, 23 contro 18. Risultato abbastanza anomalo per un direttore appena insediato e che non è percepito come un inserimento forzoso dall’esterno ma ha precedenti all’interno della redazione stessa. Ma al Tirreno ci sono da tempo forti insoddisfazioni nei confronti dell’editore e della sua mancanza di strategie (Meoni è il quarto direttore in quattro anni), e secondo le fonti ascoltate da Charlie il voto critico di oltre metà della redazione si deve ai dubbi sulla sua capacità di rassicurare verso nuove direzioni progettuali, al suo percepito allineamento con l’editore e all’assenza nel suo discorso d’insediamento delle questioni relative alla cassa integrazione e alle difficoltà affrontate da giornalisti e poligrafici negli ultimi anni.
La sfiducia nei confronti di un direttore da parte della redazione non ha conseguenze pratiche, ma è sempre un pessimo segnale delle relazioni tra redazione e direttore.
Meoni è diventato direttore del Tirreno dopo la decisione di Cristiano Marcacci di non rinnovare il suo contratto da direttore, in scadenza a gennaio: decisione in cui l’editore SAE sembra avere avuto un ruolo. La sua sostituzione con Meoni non dovrebbe avere avuto nuovi costi, Meoni aveva già un ruolo dirigenziale nel gruppo editoriale. Le dimissioni di Marcacci, al Tirreno dal 1991 e direttore da solo un anno, hanno sorpreso parte della redazione, con cui aveva un discreto rapporto: anche se nei suoi confronti c’era qualche malumore dovuto al fatto che, a novembre, Marcacci aveva comunque fatto stampare il giornale durante uno sciopero dei poligrafici e di una parte cospicua dei suoi giornalisti.
Marcacci, ufficialmente su richiesta di Meoni, rimarrà al Tirreno con il ruolo di vicedirettore (già ricoperto in passato): anche questa è un’anomalia, che un direttore lasci quel ruolo per assumerne uno sempre di dirigenza ma subordinato. Secondo una fonte della redazione ascoltata dal Post, Marcacci sarebbe stato invitato a dimettersi dall’editore con la garanzia di rimanere nell’organico con il ruolo di vicedirettore, grazie a una forma contrattuale irrituale stabilita a suo tempo.
Intanto giovedì le pagine dell’Economia del Corriere della Sera – spesso dedicate alla promozione di aziende o relazioni particolari – avevano pubblicato un articolo celebrativo di Alberto Leonardis, amministratore delegato di SAE. L’articolo non faceva nessuna menzione delle traversie del Tirreno e degli altri quotidiani del gruppo, citando prepensionamenti e cassa integrazione solo come fattori di una soddisfacente riduzione dei costi.
domenica 9 Febbraio 2025
Già nelle scorse settimane la nuova amministrazione Trump aveva annunciato una redistribuzione dei posti assegnati nella sala stampa della Casa Bianca, che limiterà le condizioni e le opportunità dei giornalisti delle testate più famose, e favorirà quelle dei rappresentanti di alcuni “nuovi media”, tutti più simpatizzanti o meno critici con il governo.
Poi si è saputo che il Pentagono toglierà ad alcuni grandi giornali gli spazi che i loro corrispondenti sulle cose militari possono usare all’interno dell’edificio del Pentagono stesso, anche in questo caso facendo spazio ad altri. Tra i “puniti” ci sono il New York Times, NBC News, Politico, NPR, il Washington Post, CNN. Al loro posto avranno degli uffici One America News Network, il tabloid New York Post, Breitbart News e lo Huffpost.
domenica 9 Febbraio 2025
Tra le altre limitazioni, attacchi e repressioni dei giorni scorsi contro alcune testate importanti e autorevoli, da parte dell’amministrazione Trump, c’è stato l’annuncio che gli enti di governo cancelleranno i propri abbonamenti a una serie di giornali, abbonamenti ovviamente preziosi per la raccolta di informazioni da parte degli enti suddetti, compresi quelli dedicati alla sicurezza. Trump e i suoi collaboratori hanno presentato questi abbonamenti come un indebito contributo pubblico ai giornali, accusando in particolare il sito Politico – la più importante e seguita testata dedicata alla politica di Washington e all’amministrazione pubblica – di beneficiare di 8 milioni di dollari. Politico ha risposto con aplomb rispetto alla perdita di quegli abbonamenti e quei ricavi, ma ha contestato una serie di falsità e ha spiegato che si tratta di abbonamenti regolarmente acquistati per l’uso dei dipendenti del governo.
“It is a professional subscription service used by companies, organizations, and, yes, some government agencies. They subscribe because it makes them better at their jobs — helping them track policy, legislation and regulations in real-time with news, intelligence and a suite of data products. At its core, POLITICO Pro is about transparency and accountability: Shining a light on the work of the agencies, regulators and policymakers throughout our vast federal government. Businesses and entities within the government find it useful as they navigate the chaotic regulatory and legislative landscape. It’s that simple”.
domenica 9 Febbraio 2025
Il caso più grosso nell’attacco da parte di Donald Trump contro i media critici nei suoi confronti è la causa avviata in campagna elettorale contro la rete televisiva CBS News. Trump sostiene da mesi che un normalissimo lavoro di montaggio di un’intervista con Kamala Harris – come viene fatto in qualunque intervista televisiva – sia stata una violazione deliberata e partigiana delle regole del giornalismo, e ha chiesto dieci miliardi di dollari di risarcimento in una causa contro Paramount Global, la grande multinazionale dei media che possiede CBS. La causa è ritenuta da tutti gli esperti del tutto avventata e senza reali possibilità, ma Paramount ha in ballo una fusione con un altro grandissimo gruppo dell’entertainment, Skydance, che richiede un consenso di una commissione del governo. Questa è la ragione riconosciuta apertamente da tutti per cui la maggiore azionista e presidente di Paramount, Shari Redstone, sarebbe incline a un accordo di risarcimento con Trump, piuttosto che opporsi nei tribunali alla sua richiesta e rischiarne le conseguenze per i suoi affari. Nei giorni scorsi CBS News ha diffuso le trascrizioni originali e complete dell’intervista con Harris, che smentiscono la tesi di Trump di un montaggio truffaldino, e dimostrano essersi trattato della pratica consueta in qualunque prodotto televisivo simile. L’intenzione di Redstone di “risarcire” Trump «è semplicemente corruzione», dicono molti commentatori, anche in questo agguerrito riassunto della questione da parte di Jake Tapper, famoso giornalista di CNN.
domenica 9 Febbraio 2025
In questi decenni giornali e giornalisti non hanno dato un buon esempio a proposito dell’uso strumentale e interessato del vittimismo, che ha ultimamente contagiato ogni contesto delle relazioni sociali, dalla politica ai rapporti sentimentali passando soprattutto per i social network. Mentre in molti luoghi del mondo, e persino dell’Italia, giornali e giornalisti rischiano davvero la vita per il loro lavoro, ad altre testate è sufficiente l’irritazione stupida di un politico o una querela senza prospettive per chiedere in prima pagina la protezione del pubblico, definirsi perseguitate, e farne uno strumento di marketing.
Questa premessa è necessaria per venire a un aggiornamento che vi avevamo promesso su cosa stia succedendo negli Stati Uniti fra Donald Trump e i giornali: non è più vittimismo con esagerazioni. Non è più la battaglia del primo mandato di Trump in cui diverse testate ottennero dalla loro opposizione alle politiche del presidente – opposizione benintenzionata e ben motivata – un forte capitale di consensi, lettori, abbonamenti, sostegno. A questo giro Trump li sta andando a prendere uno per uno, e stanno saltando molti strumenti di protezione, compresa la tenacia dei lettori, che appaiono sfiniti dalle vittorie del trumpismo.
I più avveduti tra gli editori – diciamo – avevano cominciato a disciplinarsi nei confronti del nuovo presidente già in campagna elettorale e subito dopo, come avevamo raccontato. Ma non è ancora passato un mese dall’insediamento e negli ultimi giorni Trump ha scatenato una serie di minacce del tutto credibili e una serie ulteriore di iniziative legali che pur nella loro spericolatezza stanno spaventando molti giornali e giornalisti: l’aria che tira – in tutte le sue scelte – è che Trump sia capace di tutto, in ritorsione e intimidazione, e che nella gragnuola di decisioni sovversive delle prime settimane ci sia molto impegno anche per la punizione dei giornali considerati nemici. Qui sotto elenchiamo un po’ dei principali casi recenti, perché il rischio è che a forza di gridare “al lupo” i giornali non siano più credibili nei loro allarmi. Alcuni lo hanno gridato quando non c’era (e ora provano a dire “vi avevamo avvisati”, vecchio trucco dialettico per giustificare notizie che non lo erano), alcuni ci hanno marciato, ma questo non toglie che quello che Trump sta creando è una repressione della libertà di stampa da regime autoritario.
Fine di questo prologo.
domenica 2 Febbraio 2025
I progetti di “formazione” a pagamento sono diventati in questi anni una delle più diffuse fonti accessorie di ricavo per le aziende giornalistiche. I progetti stessi possono essere molto diversi tra loro, e nella loro comunicazione a volte sono presentati come opportunità di sbocchi professionali, altre volte come ulteriori strumenti di informazione dei lettori, altre volte ancora come occasioni di appartenenza a una “community”. Alcuni giornali hanno costruito robuste strutture e solidi business collaterali (il Corriere della Sera su tutti, in Italia), altri si appoggiano a servizi di formazione e istruzione esterni. Tra questi ultimi è arrivato questa settimana il Foglio, che ha presentato un suo progetto in collaborazione con l’università online Pegaso su “Geopolitica e sicurezza globale”, in cui sono garantite “le testimonianze di alcune delle firme del Foglio“.