Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 30 Marzo 2025
Esasperato dalla stupidità di una domanda, un anziano politico italiano ha risposto goffamente e infantilmente a una giornalista televisiva e le ha incredibilmente preso in mano una ciocca di capelli. Due giorni dopo un importante responsabile del partito di governo ha proclamato che non avrebbe parlato coi giornalisti fino a che tra loro ci fosse stato “questo pezzo di merda”, riferendosi a un giornalista che di recente ha avuto grandi visibilità per aver pubblicato in un libro le chat private tra i leader di quel partito. Passano altri due giorni e un conduttore televisivo suggerisce nel suo programma di “andare a fare in culo” a due colleghi.
Intanto negli Stati Uniti (vedi sotto) importanti leader dell’amministrazione hanno coperto di insulti il direttore di un giornale colpevole di avere rivelato la sciatteria e l’inadeguatezza della loro gestione di segreti militari nazionali.
Questa è una newsletter sul dannato futuro dei giornali e cerca di occuparsi di scenari e tendenze di maggior respiro, ma quando le piccole stupidità, le piccole vanità, le incapacità di tenersi a bada dei singoli umani affollano il presente con tanta frequenza, diventano a loro volta uno scenario e una tendenza. E abbassano l’asticella per tutti, contagiando, stabilendo modelli di comportamento, legittimando reazioni equivalenti e ulteriori perdite del senso della misura. Il declino degli standard di intelligenza, qualità umana e culturale, rispetto e dignità è un fattore che influisce su tutto, e anche sul dannato futuro dei giornali.
Fine di questo prologo.
domenica 23 Marzo 2025
La rassegna stampa del Post, “I giornali spiegati bene”, sarà a Peccioli in Toscana sabato e domenica, nel programma del festival Pensavo Peccioli.
domenica 23 Marzo 2025
Tra i “format” di contenuti e titoli nei quotidiani e siti di news italiani c’è spesso la citazione di un articolo da cui sarabbe nato un “caso” o un “dibattito”: i quotidiani cercano di mostrare ai lettori che da un proprio contenuto sarebbe nata una questione, a volte forzando un po’ le origini e i percorsi delle notizie. È il caso della scelta di oggi, sul Corriere della Sera, di attribuire la genesi delle polemiche di questi giorni sul “Manifesto di Ventotene” a un articolo pubblicato sul Corriere persino dieci anni fa, nel 2015 (peraltro non la prima occorrenza storica di una critica del Manifesto in questione).

domenica 23 Marzo 2025
Il sito Lettera43 ha raccontato che ci sarebbero state delle divisioni e conflitti all’interno del Consiglio di amministrazione del Sole 24 Ore per via di una scelta di conti e bilancio interessante per capire le delicate questioni che possono riguardare le aziende giornalistiche e le cause legali che le riguardano.
“I fatti risalgono alla vendita, nel 2019, della 24 Ore Business School al fondo Palamon, successivamente ceduta nel luglio del 2023 alla Digit’Ed del fondo Nextalia guidato da Francesco Canzonieri. Con le attività di formazione il banchiere ha anche ereditato una causa da oltre 60 milioni di euro che Palamon aveva intentato al Sole 24 Ore perché nel frattempo la casa editrice di Confindustria era tornata sul mercato con una nuova società, Sole 24 Ore Formazione, insieme alla Multiversity posseduta dal fondo inglese Cvc. Per Palamon, inglese pure lui, il nome “Sole 24 Ore Formazione” poteva ingenerare confusione sul mercato, così come riconosciuto da un primo pronunciamento della magistratura che ha definito il marchio contraffattivo. Detto in soldoni, le due diciture erano simili al punto da confondere i potenziali clienti. Ma dove sta il problema per l’editore del quotidiano rosa cipria? Nel fatto che a fronte della richiesta di indennizzo nulla è stato accantonato a bilancio, come è di prassi di fronte a un potenziale rischio economico”.
domenica 23 Marzo 2025
Il sabato è il giorno in cui la sezione “Liberi tutti” del Corriere della Sera offre agli inserzionisti che hanno comprato pagine pubblicitarie articoli di promozione, soprattutto a quelli nel settore della moda e del “tempo libero”. Ieri per esempio l’azienda di gioielli Van Cleef & Arpels ha ottenuto un articolo dedicato a un suo festival londinese dopo aver investito nei giorni precedenti sull’acquisto dell’ultima pagina del giornale. Nella stessa pagina un altro articolo era dedicato al brand Tagliatore, acquirente di una pubblicità qualche giorno prima. Alla pagina successiva l’articolo maggiore era per Garatti, altro brand di gioielleria che aveva comprato una pubblicità nei giorni precedenti.
domenica 23 Marzo 2025
Il Giornale ha annunciato martedì l’inizio della collaborazione da parte di Giovanni Orsina, stimato e noto politologo, che ritorna a scrivere per il Giornale dopo un lungo periodo come autore alla Stampa.
domenica 23 Marzo 2025
Sling è un servizio americano di diffusione dei programmi televisivi via internet. Nelle scorse settimane ha diffuso uno spot pubblicitario che mostra la tradizionale scena americana – nota anche da noi per via di film e serie tv – della consegna dei giornali alle porte di casa da parte di un giovane “rider” in bicicletta. Solo che i destinatari gli restituiscono i giornali lanciati alla porta, scaraventandoglieli addosso, e dichiarando di non averne più bisogno perché si informano tramite Sling. Erik Wemple, media reporter del Washington Post, si è molto arrabbiato: “A great deal of stupidity, it turns out, fits in a 30-second spot”.
domenica 23 Marzo 2025
La newsletter Datamediahub, curata da Pierluca Santoro e dedicata al settore dei media e della pubblicità, ha approfondito domenica scorsa la questione a cui avevamo accennato qui sui controlli annunciati dal sottosegretario all’Editoria nei confronti dei contributi pubblici distribuiti ai giornali.
“A seguito degli ultimi controlli effettuati sono emerse delle irregolarità a causa di documenti “non veritieri, sulla base dei quali erano stati erogati i contributi”. A fronte di queste irregolarità, il Dipartimento avrebbe annullato i provvedimenti che avevano garantito agli editori interessati di ricevere quei contributi.
Per quanto riguarda il 2023 si tratta di due quotidiani locali del Sud: la Gazzetta del Sud e Il Quotidiano del Sud, per i quali la richiesta del contributo viene definita “in corso d’istruttoria”.
Il Dipartimento starebbe cercando di recuperare forzatamente circa 37 milioni di euro, ma un’altra parte dei contributi ricevuti a sproposito sarà restituita a rate dai soggetti interessati o detratta da contributi successivi. Sono stati anche aperti dei “procedimenti penali per l’accertamento di ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato”, dice il Dipartimento.
Uno dei quotidiani che riceve i maggiori finanziamenti è Libero. Quotidiano di proprietà dell’imprenditore della sanità, immobiliarista e politico, Antonio Angelucci, che controlla la società Editoriale Libero attraverso la Finanziaria Tosinvest, sul cui sito capeggia in bella mostra il logo del giornale in questione, ma che grazie allo stratagemma di “affittare” la testata alla Fondazione San Raffaele, riconducibile di fatto sempre agli Angelucci, riesce appunto ad ottenere cospicui contributi statali.
La Fondazione San Raffaele non pubblica i bilanci, è un ente non profit, gestisce alcune attività sanitarie e controlla al 100% l’Editoriale Libero che prende in affitto la testata “Opinioni Nuove-Libero Quotidiano”. Lo schema fondazione + testata beneficiaria dei contributi dà appunto accesso ai fondi per l’editoria.
Tuttavia lo statuto della Fondazione dice che l’ente, “apolitico e apartitico”, ha lo scopo di contribuire all’ «esplorazione di nuove strade nella ricerca … nel trattamento di ogni forma di disabilità […] disporre liberalità con finalità assistenziale e/o di ricerca» ecc. Ed è categorico nell’affermare che “la Fondazione non potrà svolgere alcuna altra attività se non quelle previste dallo statuto”. Nel quale non c’è una sola parola che faccia riferimento anche lontanamente all’editoria o a quote di società editoriali. Eppure il 9 novembre 2020 la Fondazione ha comprato dalla Finanziaria Tosinvest per 7,8 milioni [rate fino al 2025] un ulteriore 40% dell’Editoriale Libero di cui già possedeva il 60%. Oggi Libero rappresenta una fetta preponderante del patrimonio della Fondazione
Così facendo, dal 2003 al 2023, Libero ha ricevuto la bellezza, si fa per dire, di circa 111 milioni di euro di finanziamenti diretti. Questo nonostante nel 2011 e 2012 non abbia ricevuto tali contributi poiché prima sono stati posti sotto sequestro giudiziario 20 milioni proprio alla famiglia dell’editore Angelucci, che in seguito è stato condannato a un anno e 4 mesi di reclusione per falso e tentata truffa nell’ambito di un processo legato ai contributi pubblici percepiti.
Vicende che definire torbide è un eufemismo. Ma non c’è solo questo, ahinoi.
Secondo gli ultimi dati Audipress, aggiornati a fine 2024, Libero avrebbe 242 mila lettori nel giorno medio del quotidiano nella versione cartacea e/o della “replica digitale”. Erano 312 mila a fine 2013. In calo del 22.4%.
Ancora peggio le vendite del quotidiano diretto da Sechi. Stando ai dati ADS, nel 2013 Libero ha venduto più di 84 mila copie nel giorno medio. A fine 2024 sono diventate circa 18 mila copie. In calo di ben il 78.4%.
Eppure i contributi statali al giornale, che stando alla normativa dovrebbero [il condizionale è d’obbligo] basarsi anche sulle copie cartacee distribuite e vendute, come mostra il prospetto da compilare sotto riportato, era pari a 5,4 milioni nel 2013. Ed è esattamente di 5,4 milioni nel 2023″.
domenica 23 Marzo 2025
Il Post ha spiegato cos’è Voice of America, e come è diventato uno degli ultimi obiettivi dell’impegno dell’amministrazione Trump contro l’informazione giornalistica.
“Voice of America (VoA) e le altre sono storiche emittenti pubbliche americane fondate tra gli anni Quaranta e Cinquanta per rispondere alle propagande nazista e sovietica. Pur essendo controllate dal governo americano, erano tenute a rispettare stretti criteri giornalistici, e soprattutto nel caso di VoA avevano un alto grado di indipendenza editoriale. Nel corso della Guerra Fredda il loro lavoro trasmesso all’estero fu essenziale per portare informazione in paesi governati da regimi dittatoriali o autoritari e dove i media erano censurati: nell’Europa dell’est, per esempio, furono l’unico modo con cui milioni di persone riuscivano a evadere la censura sovietica”.
domenica 23 Marzo 2025
Il Fatto ha rinnovato la grafica e l’impostazione del proprio sito web. Tra le altre scelte annunciate è interessante – che si tratti di fare di necessità virtù, o no – la rivendicazione di non voler personalizzare i contenuti rispetto alle esigenze degli utenti (pratica a oggi inesistente sui siti dei maggiori quotidiani): “pur avendo organizzato le notizie in aree tematiche omogenee, non abbiamo voluto dare il via alla personalizzazione della pagina in base alle esperienze di navigazione. Gli utenti, insomma, troveranno tutti la stessa home: potranno scegliere di chiudere temporaneamente le sezioni che non interessano, certo, ma abbiamo voluto evitare l’effetto “bolla” tipico dei social network, che propongono sempre più contenuti dello stesso tipo in base alla profilazione e all’esperienza dell’utente. Il Fatto si caratterizza per le sue battaglie e per le sue scelte controcorrente, sarebbe stato un controsenso favorire l’appiattimento dei contenuti sui gusti dell’utente”.
domenica 23 Marzo 2025
Alessandro Gilioli, già vicedirettore dell’ Espresso e direttore di Radio Popolare, ha approfondito le riflessioni “sull’ottima idea di marketing” che è stata per il quotidiano Repubblica la promozione della manifestazione per l’Europa di una settimana fa (aveva accennato allo stesso risultato anche il direttore del Post), proposta dal giornalista Michele Serra dapprima nella sua newsletter Ok Boomer! e poi su Repubblica stessa.
“E tuttavia l’operazione editoriale c’è stata ed è pure riuscita. In un’epoca in cui “giornali non contano più niente” un giornale ha invece svolto un ruolo politico trainante forte.
Questo ci aiuta anche a capire perché i grossi imprenditori si comprano o si tengono stretti i giornali, pure se ci perdono un sacco di soldi. Servono non solo per il rapporto di forza nei meccanismi relazionali di potere, per il lobbying e per il washing, ma anche come soggetti di indirizzo politico”.
domenica 23 Marzo 2025
Questa settimana non c’è stato nessun nuovo sviluppo nelle tormentate vicende del Washington Post, e del conflitto tra l’editore e la gran parte della redazione intorno all’indirizzo meno anti trumpiano imposto dall’editore stesso: se non un articolo del New York Times che ha rivelato come due importanti ex responsabili della redazione del Washington Post abbiano scritto a Bezos, l’editore, per chiedergli di licenziare Will Lewis, CEO dell’azienda ritenuto esecutore del mandato di Bezos con modi che non sarebbero più accettabili dai giornalisti.
domenica 23 Marzo 2025
Ma facciamo un piccolo riassunto della questione di cui sopra, a costo di essere noiosi per i più assidui lettori di questa newsletter, per poter dare un aggiornamento di questa settimana. La principale questione intorno ai destini dei giornali tradizionali in questi anni digitali è stato il conflitto tra gli editori e le piattaforme digitali suddette, in particolare Google e Meta. Queste ultime si sono molto arricchite, mentre le aziende giornalistiche si sono molto impoverite: le due cose sono in parte in relazione e in parte no, ma le aziende giornalistiche hanno forzato il rapporto di causa ed effetto per sostenere che le piattaforme digitali debbano loro un compenso. La tesi è che Google e Meta guadagnino dalla circolazione sulle proprie pagine di contenuti prodotti dai giornali, e che quindi siano “in debito”. Google e Meta sostengono invece di aiutare a promuovere e far circolare i contenuti giornalistici, e quindi di aiutare già le aziende giornalistiche. Ma siccome queste ultime hanno un potere di lobbying ancora piuttosto forte nei confronti delle istituzioni legislative democratiche (ma come diciamo sopra, le cose stanno cambiando, almeno negli Stati Uniti), a un certo punto Google e Meta hanno accettato di offrire alle aziende giornalistiche (soprattutto alle più potenti) dei compensi, motivandoli come un proprio benevolo sostegno al giornalismo e non come una retribuzione. Le richieste però sono proseguite, e Google e Meta hanno allora iniziato a rispondere con le cattive, minacciando di eliminare i contenuti giornalistici dalle proprie pagine, o arrivando a farlo, in alcuni paesi.
In questo contesto lo scorso novembre Google ha avviato un esperimento in alcuni paesi europei, che avevamo raccontato su Charlie: ” Per verificare quanto i contenuti di news siano importanti per gli utenti di Google e fornire dei dati alle istituzioni europee, Google cancellerà dai risultati delle ricerche stesse, da Google News e dall’aggregatore di news Discover gli articoli prodotti in paesi dell’Unione Europea, per un campione di utenti: l’uno per cento degli utenti in Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.
L’esperimento servirà a valutare come porsi rispetto alle crescenti richieste di compensi economici da parte dei giornali per il traffico generato dai loro contenuti su Google”.
Adesso Google ha annunciato dei risultati di quell’esperimento, e – non ci si meraviglia – sono dei risultati che dicono: “i contenuti dei giornali sono insignificanti per i nostri ricavi”. E che sottintendono: “piantatela col chiedere soldi che non vi dobbiamo”. E che aggiungono: “vi daremo ancora dei soldi, ma lo decidiamo noi e solo perché siamo buoni”.
” Ecco i risultati: i contenuti di notizia europei nella Ricerca non hanno alcun impatto misurabile sui ricavi pubblicitari di Google.
In base allo studio, con la rimozione di questo tipo di contenuti non ci sono stati cambiamenti nelle entrate pubblicitarie derivanti dalla Ricerca Google e l’utenza ha registrato un calo inferiore all’1% (0,8%), il che indica che qualsiasi utilizzo perso è stato dovuto a query che hanno generato entrate minime o nulle. Oltre a questo, lo studio ha evidenziato che le entrate pubblicitarie combinate tra le proprietà di Google, inclusa la nostra rete pubblicitaria, sono rimaste invariate.
Le persone utilizzano Google per numerose attività, dalla ricerca di un fiorista alle previsioni del tempo, fino alla prenotazione di un volo. Questo studio ha dimostrato che questa tendenza rimane invariata, anche quando l’utilità di Google è ridotta rispetto alla ricerca di notizie. In ogni caso, supportiamo da tempo l’ecosistema delle notizie nella sua trasformazione digitale come parte del nostro impegno per un ecosistema di contenuti vivace e sano. Continueremo a collaborare con gli editori per aiutarli a raggiungere il loro pubblico in un panorama tecnologico in rapida evoluzione ” .
(la traduzione fa un po’ schifo, ma è di Google: l’originale è qui)
domenica 23 Marzo 2025
Negli scorsi anni le contese tra le aziende giornalistiche tradizionali e le piattaforme digitali avevano visto le prime recuperare qualche risultato: la politica dei paesi occidentali continua a essere più legata al potere dei giornali e dei grandi editori, ed è andata loro in soccorso con interventi legislativi che hanno parzialmente compensato la sproporzione di ricavi di cui Google, Meta e altre grandi aziende digitali hanno beneficiato in questo secolo con le loro innovazioni.
La nuova amministrazione Trump sta facendo invertire questa tendenza, per ora almeno negli Stati Uniti: il nuovo favore che le grandi aziende digitali hanno cercato e ottenuto negli scorsi mesi presso il nuovo presidente sta dando loro la forza per avanzare richieste inedite e spavalde. Nelle ultime due settimane c’è stato prima un appello perché siano attenuate le limitazioni all’uso di contenuti coperti da copyright per “addestrare” le intelligenze artificiali, e poi una richiesta di intervenire contro le regole stabilite dall’Australia a favore delle compensazioni economiche per i giornali da parte delle piattaforme.
domenica 23 Marzo 2025
Il quotidiano il Foglio ha avuto un’idea spiritosa, questa settimana, nel solco di una sua lunga storia di invenzioni che a volte ne fanno un giornale di satira più che di informazione. L’idea è stata presentata come “il primo giornale fatto interamente con l’intelligenza artificiale”: per un mese insieme alla normale edizione del giornale sarà allegato un supplemento di quattro pagine i cui testi sono stati scritti da un software di “intelligenza artificiale”, a partire da istruzioni e domande create ancora da una redazione di umani.
Il risultato è molto somigliante a una abituale copia del Foglio, a conferma delle capacità di imitazione delle intelligenze artificiali. E aiuta a ridimensionare un po’ gran parte del dibattito intorno alle capacità sovversive delle AI in questione negli usi giornalistici. A oggi, infatti, quasi tutto quello di cui si parla, quando si parla di AI e di giornali, è l’affidamento ai software suddetti della scrittura di testi simili a quelli che i giornali pubblicano abitualmente. Lo stesso esperimento del Foglio non è “un giornale fatto con l’intelligenza artificiale”, ma un giornale tradizionale fatto da una redazione che ha fatto scrivere gli articoli automaticamente da un software, con buoni risultati di fedeltà a un giornale tradizionale.
Il potere rivoluzionario delle AI e delle nuove tecnologie non può limitarsi a essere di fare in minor tempo le stesse cose che si facevano prima. Parlando di rivoluzioni, internet sì che ha cambiato il giornalismo, ne ha creato formati nuovi, progetti nuovi, linguaggi nuovi, ha persino trasformato il modo con cui le persone si relazionano con l’informazione. Le AI finora non hanno generato nessuna sovversione e innovazione di queste misure: saranno probabilmente in grado di farlo, e molte persone esperte ci stanno lavorando, sullo sfondo. È la parte interessante della storia, ma sulla scena, invece, stiamo tutti solo facendoci scrivere degli articoli (dei titoli, dei compiti scolastici, delle proposte…) al posto nostro: facciamo con meno sforzo le solite cose di sempre.
Fine di questo prologo.
domenica 16 Marzo 2025
Gli abbonati al Post (ovvero voi) possono già acquistare e ricevere a casa il quinto libro pubblicato da Altrecose, la “casa editrice dentro una casa editrice” creata dal Post assieme a Iperborea per promuovere informazione e giornalismo nei libri: Leggere gli alberi è quello che dice il titolo, una guida piacevole e divulgativa alla comprensione degli alberi e a quello che spiegano, che ha avuto molto successo nel Regno Unito dove era stato pubblicato l’anno scorso.
domenica 16 Marzo 2025
Soprattutto sui due maggiori quotidiani italiani, gli articoli delle pagine della Moda sono quasi sempre dedicati ad aziende che sono anche inserzioniste dei giornali stessi, e sempre concepiti in termini positivi e promozionali, attingendo a comunicazioni arrivate dalle aziende stesse. Un format particolare, e che sovrappone ulteriormente il lavoro delle concessionarie pubblicitarie a quello delle redazioni, è l’articolo dedicato a sua volta a una campagna pubblicitaria ospitata sullo stesso giornale. Succede con sempre maggior frequenza, e questa settimana un esempio è stato su Repubblica per l’azienda Falconeri, venerdì e sabato: “immagini che raccontano un lifestyle garbato che si sposa con la morbidezza del cashmere Ultrafine e prezioso”.
domenica 16 Marzo 2025
Giovedì il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha comunicato la lista degli editori di giornali e periodici che potranno ricevere una parte dei contributi pubblici straordinari relativi alle copie vendute nel 2022 e che sono previsti dal “ Fondo straordinario a sostegno dell’innovazione nell’editoria ” per il 2023. Questo fondo, con una dotazione di 140 milioni di euro, è stato creato per erogare contributi straordinari a edicole, editori e emittenti radiotelevisive, per aiutarli a superare le difficoltà economiche aggravate dalla pandemia di COVID-19. Tali contributi sono definiti “straordinari” per distinguerli dai contributi pubblici ordinari che il Dipartimento eroga annualmente ad alcuni editori.
La comunicazione di giovedì fa riferimento a uno solo dei contributi pubblici previsti dal fondo. Quest’ultimo aveva infatti riservato un tetto massimo di 60 milioni di euro per aiutare gli editori di quotidiani e periodici a coprire le spese della carta: negli ultimi mesi, dunque, gli editori italiani hanno potuto richiedere un contributo straordinario pari a 10 centesimi per ogni copia venduta nel 2022. Il Dipartimento ha comunicato di aver ricevuto 81 richieste per l’erogazione di questo contributo, e di averne approvate 80, per un totale di più di 67 milioni di euro richiesti. Tuttavia, dato il tetto massimo di 60 milioni di euro, per garantire a tutte le testate l’accesso al contributo l’importo richiesto è stato ridotto proporzionalmente per tutti, assegnando a ciascuna testata l’89,2% di quanto richiesto.
Di seguito la lista dei primi dieci editori di quotidiani che hanno ricevuto i maggiori contributi, con a fianco l’importo netto che sarà erogato a ciascuno. Hanno poi ricevuto contributi maggiori gli editori di soli periodici, come Cairo Editore o Mondadori Media.
domenica 16 Marzo 2025
Si è temporaneamente attenuata la frequenza delle notizie – quasi mai buone – che negli scorsi mesi avevano riguardato la società automobilistica Stellantis, e che aveva costretto i quotidiani Repubblica e Stampa (che appartegono alla stessa holding di Stellantis, Exor) a gestioni un po’ faticose del loro conflitto di interessi, che avevano generato anche pubbliche tensioni tra la redazione e il direttore di allora.
Adesso le pagine di Economia sono tornate alla routine in cui gli affari della società collegata e la persona dell’editore sono semplicemente promossi con regolarità, e Repubblica in queste ultime settimane lo ha fatto più spesso di quanto abbia fatto col suo, di editore, il Corriere della Sera, che in passato ha avuto periodi di eccezionale assiduità in questo senso.
(nove fusi orari e diversi standard giornalistici più in là, al Los Angeles Times questa settimana c’è stata una grossa polemica e protesta perché un podcast del giornale ha citato un articolo promozionale a favore dei business dell’editore)
domenica 16 Marzo 2025
Avevamo spiegato di nuovo la settimana scorsa come diversi giornali abbiano costruito dei sistemi di ricavo accessori attraverso la vendita di viaggi organizzati coi propri giornalisti. Adesso il Giornale ha introdotto una nuova declinazione a questa offerta, proponendo una bellicosa e cinematografica comunicazione (“Frontline Academy”) di un viaggio a Sarajevo con un suo reporter, proposto come una sorta di spedizione tra i bombardamenti, malgrado Sarajevo sia da un quarto di secolo una pacifica e moderna città europea.

domenica 16 Marzo 2025
In Italia sempre meno fotografi freelance collaborano con i giornali: questi ultimi hanno un budget sempre più ristretto per le foto e preferiscono affidarsi ad abbonamenti forfettari con grandi agenzie di stampa piuttosto che acquistare singole foto o servizi. Per questo oggi molti più freelance lavorano nelle riviste, dove le foto hanno ancora un valore maggiore e i compensi sono più alti.
I fotografi freelance si possono appoggiare comunque ad agenzie come Reuters o Contrasto, che inseriscono le loro foto nei loro database e le distribuiscono ai clienti, oppure collaborano direttamente con le redazioni. Se un fotografo lavora tramite agenzia, guadagna tra il 50% e il 65% dalla vendita di una sua singola foto. Tuttavia, se la foto viene invece inclusa nell’offerta in abbonamento forfettario (è il caso quando le foto non siano particolarmente eccezionali), il fotografo guadagna per la pubblicazione circa 10 euro, ma in alcuni casi è capitato che una foto scaricata in questo modo da un giornale venisse pagata anche solo 30 centesimi.
I freelance che invece collaborano direttamente con i foto editor delle redazioni possono guadagnare in modi diversi. I compensi più elevati derivano dalla vendita di servizi o reportage realizzati autonomamente dal fotografo, che vengono acquistati più spesso dai settimanali che dai quotidiani. Sebbene il fotografo abbia teoricamente la libertà di definire il prezzo del suo servizio, nella pratica questa decisione è spesso influenzata dalle tariffe generalmente applicate dalle testate. Ad esempio, Internazionale paga in media circa 1800 euro per un servizio, mentre L’Espresso in passato arrivava a pagare anche 5000 euro, ma il budget è drasticamente diminuito. Sono cifre che devono coprire i costi e il lavoro autonomo del fotografo per ottenere quelle immagini.
I fotografi freelance possono essere ingaggiati direttamente dai giornali per coprire eventi che non prevedano spese di viaggio. In media un servizio giornalistico di una giornata viene pagato dai 60 ai 200 euro dai quotidiani. Se un servizio dura più giorni, i giornali non pagano a giornata ma propongono una cifra fissa. In confronto, all’estero i compensi sono più alti: in Francia si parte da 250 euro al giorno, in Olanda da 350, in Svizzera da 450, mentre il New York Times paga persino l’equivalente di 700 euro al giorno.
Nel caso delle singole foto vendute dai fotoreporter ai giornali, evento raro ma possibile, i costi variano a seconda dell’utilizzo e della diffusione del giornale. Per il cartaceo i giornali più grandi pagano circa 300€ per una foto di copertina, 150-200€ per la foto di un articolo sulle prime pagine, 100€ per una mezza pagina, 50€ per un quarto di pagina e 10-20€ per un trafiletto. Se la foto viene usata solo online, il prezzo varia tra 10 e 50€. Ma rimane un caso raro: come abbiamo detto i giornali online attingono soprattutto alle offerte delle agenzie con cui hanno un abbonamento.
domenica 16 Marzo 2025
Come era stato facile ipotizzare, il numero di pagine della nuova versione di Repubblica si è rapidamente ridimensionato a numeri più consueti, una volta estinti i contenuti migliori preparati per il “lancio” e le tante pagine pubblicitarie che gli inserzionisti comprano più volentieri nei giorni in cui viene inaugurato un progetto nuovo. Dalle eccezionali 80 pagine dei primi giorni, questa settimana il quotidiano ne ha avute tra le 40 e le 50, numeri analoghi a quelli usuali del concorrente Corriere della Sera e simili a quelli pre redesign (tra le 36 e le 44 nei giorni precedenti). Nel suo articolo di presentazione, il direttore aveva associato all’annuncio dell’aumento di prezzo della singola copia l’indicazione che “All’interno troverete più pagine, più notizie, più opinioni”: qualche lettore affezionato si è lamentato sui social network.
Nel frattempo il giornale questa settimana ha continuato a usare efficacemente come mezzo di promozione la manifestazione per l’Europa proposta da Michele Serra sul Post e poi ripresa da Repubblica stessa, dedicandole molte pagine ogni giorno, facendola propria, e offrendo come allegato agli acquirenti del giornale di sabato una copia del “Manifesto di Ventotene”.
domenica 16 Marzo 2025
Il “manuale di stile” è la raccolta delle regole di scrittura e linguaggio che un giornale si dà, per proprie scelte di efficacia e correttezza e per uniformare gli approcci linguistici dei suoi giornalisti e autori. Ad applicare le regole nei giornali americani – dove questi codici sono più frequenti che da noi: in Italia ne ha uno il settimanale Internazionale – sono soprattutto gli “editor”, ovvero quei giornalisti che lavorano in redazione alla progettazione e alla confezione del giornale e dei suoi articoli, intervenendo sui testi prodotti dai “reporter”. Non tutti i giornali hanno un proprio manuale di stile, e molti fanno proprio quello dell’agenzia Associated Press, ritenuto il più accurato e completo. Ma naturalmente le scelte di linguaggio e di scrittura non sono una scienza esatta con regole assolute e universali, quindi ogni testata ha suoi cospicui margini di scelta.
Il settimanale New Yorker, in coerenza con la raffinata autorevolezza della testata, è stato spesso accusato in passato di ricercatezza e capricciosità nel conservare certe proprie tradizioni e nell’applicazione del proprio manuale di stile. Questa settimana ha però annunciato infine alcuni piccoli cambiamenti, spiegando che la decisione di modifiche simili avviene solo quando si è sicuri che saranno durevoli e consolidate, e non passeggere. Tra le nuove istruzioni citate ci sono “internet” con la “i” minuscola e “website” tutto attaccato. Il New York Times ha commentato le novità con un proprio articolo, notando che il New Yorker manterrà quello che è ritenuto altrove il suo più peculiare capriccio, ovvero la dieresi su una delle due vocali identiche successive quando siano da pronunciarsi distinte, come in “reëxamination” .
domenica 16 Marzo 2025
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di gennaio 2025.
I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 156.478 (-6%)
Repubblica 84.869 (-8%)
Stampa 57.959 (-13%)
Sole 24 Ore 49.873 (-8%)
Resto del Carlino 46.409 (-10%)
Messaggero 40.986 (-10%)
Gazzettino 30.936 (-9%)
Nazione 30.486 (-11%)
Dolomiten 26.231 (-4%)
Giornale 24.838 (-8%)
Fatto 24.341 (-11%)
Messaggero Veneto 22.083 (-10%)
Unione Sarda 21.701 (-11%)
Verità 19.675 (-10%)
Eco di Bergamo 19.449 (-13%)
Secolo XIX 18.635 (-9%)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.455 (-7%)
Avvenire 14.068 (-7%)
Manifesto 13.609 (+8%)
ItaliaOggi 5.924 (0%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
La media dei cali percentuali anno su anno delle prime dieci testate a gennaio è un po’ più contenuta del solito, 8,5%. Rispetto a questo dato continua ad andare meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera, mentre Repubblica è vicina alla media, che considerati i suoi risultati negativi degli ultimi anni è un progresso. Si sono intanto normalizzati i declini dei quotidiani di destra (Giornale, Verità, Libero), che erano stati molto maggiori l’anno passato. Continua a crescere nei suoi numeri il Manifesto , che beneficia probabilmente dell’occupare uno spazio politico a sinistra poco coperto da altre testate e molto attuale.
Il gran risultato del quotidiano pugliese L’Edicola del mese scorso si è ridimensionato sensibilmente, probabilmente a causa della volatilità delle vendite in “panino” (allegato a Sorrisi e Canzoni e al Sole 24 Ore).
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 47mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 27mila, Repubblica quasi 14mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 45.676 +2,8%
Sole 24 Ore 21.901 -4,3%
Repubblica 21.862 -9,3%
Manifesto 7.024 +8,3%
Stampa 6.687 -21,2%
Fatto 6.184 -4,5%
Gazzettino 5.634 -9,6%
Messaggero 5.436 -9,4%
I dati mensili sono molto alterni per ogni testata, crescono o calano discontinuamente, suggerendo una grande volatilità degli abbonamenti di durata mensile, spesso comprati in prova e poi non confermati. Ma come si vede i progressi annuali degli abbonamenti digitali non sono rassicuranti per nessuno salvo che per il Manifesto e per il Corriere della Sera (che però non compensa lontanamente le perdite delle copie cartacee). Però bisogna ricordare che le stesse testate hanno anche quote cospicue di abbonati che pagano abbonamenti scontati, qui non compresi.
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente molto più economici – ai contenuti dei loro siti web.
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali maggiori le perdite sopra la media rispetto a un anno fa questo mese sono per la prima volta dell’ Eco di Bergamo (-13,2%), poi ancora del Tirreno di Livorno (-12,4%), del Giorno di Milano (-12,3%), del Piccolo di Trieste (-12,1%) e della Nuova Sardegna di Sassari (-11.9%).
(Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
* Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.
domenica 16 Marzo 2025
Il quotidiano britannico Guardian ha comunicato ai propri lettori che si aggiungerà alla maggioranza delle testate maggiori nel permettere ai propri lettori di rinunciare a essere profilati dai “cookie” solo attraverso un abbonamento, ma creando un abbonamento economico dedicato specificamente a questo. L’abbonamento costa 5 sterline al mese, rispetto a quello che ne costa 12 e offre maggiori servizi (il Guardian non ha paywall sui propri articoli online, che restano accessibili e gratuiti anche senza abbonamento).
La questione era nata rapidamente più di due anni fa – anche in Italia – con l’introduzione di nuove procedure imposte da alcuni browser che obbligano i siti a permettere ai propri lettori di rifiutare i cookie: ovvero i file che vengono scaricati sui computer degli utenti e che aiutano a tracciarne la navigazione per consentire agli inserzionisti pubblicitari di conoscerli e raggiungerli meglio secondo i loro interessi.
Il fatto che una quota cospicua di lettori scelga di rifiutare fa perdere valore pubblicitario ai siti, e quindi ricavi. Ma quasi subito si era diffusa una soluzione discussa ma ormai consolidata su tanti siti di news (vi sarà familiare), di trasformare la richiesta in una specie di paywall: se non accettate i cookie di profilazione, non potete accedere a quelle pagine, a meno di abbonarvi e quindi generare un ricavo alternativo per il giornale (anche maggiore e più prezioso).
Ormai è pratica diffusa, il Guardian si è adeguato ma rendendola più esplicita: l’abbonamento “lite” serve soltanto a non essere profilati.
domenica 16 Marzo 2025
L’episodio di questa settimana al Washington Post – travolto da cinque mesi dalle nuove ingerenze nel giornale del suo editore Jeff Bezos – sono state le dimissioni di una sua “columnist” (ovvero l’autrice di articoli di opinione) dopo che un suo commento sull’ultima di queste ingerenze di Bezos era stato rifiutato da parte del capo dell’azienda, il CEO Will Lewis.
Due settimane fa Bezos aveva promulgato una nuova “linea” per la sezione delle opinioni del giornale: tra i molti dissensi c’era stato quello di Ruth Marcus, al giornale da più di quarant’anni, già vicedirettrice della sezione stessa, e ora autrice fissa, la quale la settimana scorsa ha scritto un articolo di dissenso (molto prudente e rispettoso, spiega lei) che appunto non è stato pubblicato per intervento di Lewis. Marcus si è quindi dimessa e ha spiegato la storia di questi anni di rapporto con Bezos in un articolo sul New Yorker, che descrive l’evoluzione da un grande rispetto per l’autonomia del giornale a una presenza e una censura divenute a suo dire inaccettabili.
domenica 16 Marzo 2025
Trovare il modo giusto per rivolgersi ai lettori, capire con che idea considerarli, è un lavoro che i giornali dovrebbero fare con molto impegno e studio. Non per ragioni demagogiche o per le retoriche sui “lettori unici padroni del giornale”: chi fa i giornali deve prendersi la responsabilità di decidere – a partire dal proprio ruolo – cosa raccontare e come, e sapere che “quello che i lettori vogliono” non è sempre coincidente con le priorità supreme dell’informazione e del giornalismo per il bene delle comunità. Ma questo non significa che lettori e lettrici non vadano compresi, ascoltati, e immaginati: e spesso si ha l’impressione che nelle loro comunicazioni alcuni giornali si rivolgano a chi li legge con condiscendenza, paternalismo, artificiosità strumentali, poco sincere. Che chi cura queste comunicazioni immagini i lettori diversi da sé, e non si rivolga a loro come farebbe coi propri vicini di scrivania.
Negli ultimi anni però progressi in questo senso se ne sono fatti, e un esempio di dieci giorni fa sul New York Times permette di isolare un approccio forse sensato, che suona sincero nel rivendicare la propria autonomia senza essere scostante rispetto alle richieste di chi legge il giornale. L’esempio è un articolo composto rispondendo a una serie di domande su come il New York Times si stia comportando nel riferire della nuova ed eccezionale amministrazione Trump: che quindi dà assoluta dignità alle domande e alle curiosità in questione, e risponde aggiungendo informazioni che chi è al di fuori della redazione inevitabilmente non conosce e condividendo alcune delle riflessioni che vengono fatte all’interno della redazione.
Chi è dentro i giornali è nella posizione di saperla più lunga rispetto al proprio lavoro, come accade in ogni lavoro: chi è fuori può essere portato a giudizi frettolosi e incompleti dovuti appunto alla sua inevitabile ignoranza di quello che succede a monte di ciò che viene pubblicato. I modi peggiori di reagire sono offendersi quando questi giudizi diventano offensivi, o all’opposto far credere che i lettori abbiano sempre ragione. In mezzo c’è spiegarsi, il modo migliore.
Fine di questo prologo.
domenica 9 Marzo 2025
Il Post ha presentato la terza edizione di uno dei suoi eventi destinati soprattutto agli abbonati e alle abbonate, ma non solo: il weekend di concerti a Peccioli, in Toscana, nato dal seguito della newsletter Le Canzoni e che dall’anno scorso ha arricchito il suo programma con una serie di incontri intorno alla musica e alle news con la redazione. I due concerti del 2025 saranno della band scozzese/irlandese dei Waterboys e del cantautore italiano Vasco Brondi, mentre il programma completo degli incontri sarà annunciato nelle prossime settimane.
domenica 9 Marzo 2025
Dopo qualche mese di assenza, Repubblica è tornata a ospitare il suo anomalo format di ben due pagine in cui destina una sua giornalista a intervistare l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato su qualunque argomento dell’attualità.
domenica 9 Marzo 2025
Artribune è un giornale online di arte e cultura fondato nel 2011 da Massimiliano Tonelli, che ne è direttore. Il giornale è edito da Artribune srl, di proprietà di Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso ed ex direttore dell’EUR.
Artribune ha sempre affiancato alla sua attività online la pubblicazione di un giornale freepress bimestrale, distribuito con una tiratura di decine di migliaia di copie in oltre 700 punti in tutta Italia (musei, librerie indipendenti o fiere d’arte, soprattutto). Tonelli ha detto a Charlie che “una rivista lascia degli spazi per articolare un contenuto in maniera diversa rispetto al web, con mappe, approfondimenti, infografiche e illustrazioni che funzionano meglio sulla carta”. La freepress di Artribune rappresenta all’incirca il 15% del fatturato del giornale (che si avvicina al milione e mezzo di euro) ed è sostenuto da pubblicità e collaborazioni con grandi uffici internazionali turistici o culturali. Proprio rispetto a queste collaborazioni, Tonelli ritiene il giornale uno strumento più elastico: “il web è talmente complesso e costoso dal punto di vista tecnico che fare un progetto editoriale su carta è molto più veloce ed economico. Se poi vediamo che su un numero abbiamo meno pubblicità e rischia di andare in perdita, possiamo optare per una foliazione più bassa”.
La principale fonte di costi e di ricavi di Artribune è però il sito web, che è stato recentemente rinnovato con un investimento di 110mila euro, parzialmente finanziato tramite fondi europei. Pur essendo convinto che il futuro del giornalismo sia rappresentato dagli abbonamenti, Tonelli ha detto che a livello economico gli abbonati (poco più di mille) rimangono qualcosa di molto marginale per Artribune, anche perché finora un abbonamento permette solamente di ricevere a casa il giornale e non dà accesso a nessun contenuto digitale dedicato. Anche il sito, quindi, si sostiene principalmente grazie agli inserzionisti, che sono per metà i grandi clienti di Artribune, come la banca Intesa Sanpaolo o alcuni brand di moda, e per l’altra metà un gruppo numeroso di piccole associazioni culturali e università.
Negli ultimi anni, Artribune ha puntato anche su altre fonti di ricavo, come la formazione, emulando altri giornali che se ne occupano da tempo, e la consulenza per i grandi sviluppatori immobiliari che vogliono riqualificare edifici abbandonati attraverso l’arte pubblica.
domenica 9 Marzo 2025
Chora Media è la società italiana che possiede la società di podcast Chora e il progetto di news che opera soprattutto su Instagram che si chiama Will, che ha ottenuto negli scorsi anni grandi visibilità e attenzioni soprattutto da parte di un pubblico giovane. Will è nato nel 2019 e nel 2022 è stato acquisito da Chora, che è stata creata nel 2020 ed è la maggiore produttrice di podcast in Italia. Mentre Will era riuscito a ottenere una sostenibilità economica piuttosto presto, grazie alla produzione di contenuti sponsorizzati (nel 2023 ha aggiunto un progetto di abbonamenti), le maggiori lentezze di Chora a generare profitti sono state molto osservate e commentate in questi anni, perché il business dei podcast non ha ancora rivelato un modello di ricavo convincente. Anche Chora deve i suoi ricavi soprattutto ai prodotti creati per aziende e brand, e l’intenzione iniziale di vendere i diritti a progetti televisivi più remunerativi non si è ancora concretizzata quanto sperato.
Questa settimana Mario Calabresi, direttore di Chora Media (ed ex direttore dei quotidiani Stampa e Repubblica), ha annunciato al Corriere della Sera che la società “è uscita dalla fase di startup”, aggregando i risultati dei due brand in un dato positivo: ma a Charlie ha spiegato che entrambi hanno concluso l’anno in attivo. E ha citato alcune produzioni televisive in lavorazione come un’ulteriore direzione promettente.
“A influire sui ricavi di Chora Media, per il 70% sono i contenuti social & podcast branded. Solo il 7% arriva dalla pubblicità che, secondo Calabresi, «non dà ancora la giusta considerazione a un settore in crescita a fronte di un calo di quello radiofonico. Nel 2025 lavoreremo molto su questo». Le stime prevedono che il mercato della pubblicità podcast in Italia raggiungerà i 42,16 milioni di euro nel 2025 contro gli oltre 2 miliardi di dollari negli Stati Uniti.
C’è poi la New Media Academy, con corsi podcast e giornalismo digitale che nel 2024 ha visto la nascita della versione inglese, Academy europea We Pod grazie alla vittoria di un bando Ue: sono state 236 le candidature ricevute di cui 35 dall’Ucraina”.
domenica 9 Marzo 2025
Il Post ha raccontato la storia delle edicole di alcuni paesi del Lazio in cui i quotidiani non arrivano più.
“La società che distribuisce i giornali in tutta la provincia di Rieti, la Tirreno Press, ha deciso che dal primo aprile non rifornirà le edicole di Antrodoco e di altri 14 comuni dell’alto Lazio: da Cittaducale, alle porte di Rieti, ad Accumoli, che si trova 60 chilometri a nord-est del capoluogo. In totale le edicole che rimarranno senza giornali sono 18. La diciannovesima, a Leonessa, un comune di 2mila abitanti a quasi mille metri di altitudine, nel frattempo ha già chiuso alla fine di gennaio”.
domenica 9 Marzo 2025
Il giornalista del Corriere della Sera Federico Fubini ha raccontato su Twitter la causa civile per diffamazione che ha vinto in appello (con la smentita di una sentenza opposta in primo grado) contro il direttore del Fatto Marco Travaglio: la sentenza dice che l’affermazione di Travaglio su quanto aveva scritto Fubini in un articolo era “oggettivamente, ma soprattutto scientemente, falsa” e in “malafede evidente” , una “aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione”.
Il Fatto, che aveva riferito della sentenza di primo grado, non ha dato notizia della condanna del proprio direttore.
domenica 9 Marzo 2025
Marco Zavagli, direttore del sito di news ferrarese Estense.com, è stato assolto in un processo per diffamazione seguito alla denuncia del sindaco di Ferrara, Alan Fabbri. La denuncia era stata presentata nel 2020 durante il primo mandato di Fabbri, rieletto nel 2024, contro un editoriale intitolato “La propaganda, l’industria che funziona meglio a Ferrara” e firmato dallo stesso Zavagli.
Già nel 2022 il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, ma il giudice per le indagini preliminari aveva imposto lo stesso il processo accogliendo la richiesta di Fabbri. Dopo l’assoluzione di Zavagli, Fabbri ha diffuso comunicazioni ancora molto battagliere che alludono a possibili ulteriori ricorsi.
domenica 9 Marzo 2025
Dal primo marzo la società ItalyPost ha acquisito il 51 per cento delle quote dell’ Indice dei libri del mese, una rispettata rivista mensile fondata a Torino nel 1984 che ospita recensioni di libri e articoli di cultura. Dal 2019 il mensile è venduto ogni quattro mesi con il Mignolo, un inserto dedicato alla letteratura per bambini e ragazzi.
ItalyPost è un’azienda fondata dall’imprenditore Filiberto Zovico, che coordina diverse attività nel settore dell’editoria, della comunicazione e dei servizi alle imprese. Nacque dieci anni fa con VeneziePost, una testata online che offre un’informazione specializzata sull’economia e sulla politica locale del Triveneto e oggi esiste soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia, dove controlla tre testate online (VeneziePost, LombardiaPost ed EmiliaPost). ItalyPost collabora con il Corriere della Sera e con il gruppo NEM, editore di diversi quotidiani del Nordest.
L’acquisto delle quote di maggioranza dell’ Indice era già stato annunciato a dicembre. Zovico ha detto a Charlie che è stata la rivista a contattare ItalyPost: la direzione aveva capito di aver bisogno di una guida manageriale più esperta soprattutto nella gestione dei costi e degli abbonamenti. La chiusura del 2023 aveva mostrato una perdita di 320mila euro.
Il nuovo editore ha assicurato che i soci storici manterranno il loro ruolo nel consiglio di amministrazione, che alla redazione dell’ Indice sarà garantita piena autonomia e che non ci saranno recensioni influenzate da inserzionisti pubblicitari. lI nuovo progetto editoriale prevede un investimento di circa 500mila euro in tre anni, che saranno usati per la promozione di eventi, per creare una parte digitale più ricca di contenuti per i lettori, a partire dalla realizzazione di un archivio online accessibile agli abbonati. Attualmente, infatti, l’abbonamento annuale all’ Indice offre solo la versione cartacea e digitale del mensile o, a un prezzo inferiore, il solo PDF. Ma il nuovo piano editoriale di ItalyPost prevede soprattutto l’organizzazione di nuovi eventi legati al mensile, come i “Circoli dell’Indice”, ovvero gruppi di lettura e approfondimento organizzati in librerie indipendenti (il primo evento si svolgerà in una libreria di ItalyPost), il “Festival dell’Indice”, che si terrà in autunno, nonché una partecipazione al Salone Off, cioè a uno degli eventi esterni alla sede principale del Salone del libro di Torino.
Oggi l’ Indice ha circa 960 abbonati e vende in media 1000 copie in edicola al mese. L’obiettivo di ItalyPost è quello di arrivare a 6mila acquirenti mensili.
L’acquisto dell’ Indice si inserisce in una strategia più ampia di ItalyPost, che punta a rafforzare la propria presenza in Piemonte. Nei prossimi mesi ItalyPost aprirà una nuova libreria in Piemonte e a settembre sarà attiva online la testata PiemontePost. Tra qualche mese, dice Zovico, sarà attiva anche la testata locale ToscanaPost.
domenica 9 Marzo 2025
Sono usciti questa settimana due articoli su come andrebbero le cose nelle redazioni dei due maggiori quotidiani vicini alla maggioranza di centrodestra, Giornale e Libero, di proprietà del deputato leghista Antonio Angelucci, imprenditore che deve le sue ricchezze alla proprietà di cliniche private. Secondo il Fatto al Giornale ci sarebbero malumori legati alle riduzioni di costi imposte dall’editore (che ha acquistato il quotidiano nel 2023). Mentre il Foglio ha sostenuto che ci siano insoddisfazioni tra i compagni di partito di Angelucci per le posizioni troppo meloniane dei suoi giornali.
domenica 9 Marzo 2025
Il Corriere della Sera ha ulteriormente aumentato le sue attenzioni nei confronti degli animali, che nell’ultimo decennio si sono rivelati un argomento di interesse per molti lettori (e possessori di animali domestici) e per un ricco settore di inserzionisti pubblicitari che vendono prodotti alimentari e non solo dedicati agli animali. Il precedente più noto è la sezione “La Zampa” della Stampa (poi adottata anche da Repubblica), ma già prima di rinominare “Animali” la propria sezione questa settimana, e di dedicarle un giornalista a tempo pieno, Alessandro Sala, anche il Corriere aveva dato in questi anni molto spazio ai temi relativi agli animali domestici e non, e in particolare alle attività della deputata Michela Vittoria Brambilla, particolarmente impegnata su questi argomenti.
domenica 9 Marzo 2025
La Commissione Cultura del Senato ha approvato la risoluzione che propone di abolire il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo. Come avevamo spiegato la settimana scorsa, è una scelta che obbedisce alle insistenti pressioni delle società di scommesse e delle società calcistiche che riceverebbero parte degli investimenti, oltre a benefici economici accessori previsti da una nuova legge. Ma che è molto ben vista anche da tutti gli altri destinatari di pubblicità, compresi i giornali: è la ragione per cui sulle implicazioni sociali e sanitarie dell’abolizione del divieto la gran parte dei quotidiani e siti di news è silenziosa, e alcuni persino promuovono i benefici economici “per il calcio” (in molti aderiscono poi alla buona idea di propaganda e marketing delle società di scommesse di chiamare “gioco” il gioco d’azzardo, equiparandolo alle altalene e alla pallavolo). Tra le testate che invece hanno spiegato dubbi e conseguenze ci sono state questa settimana Avvenire e il Fatto.
domenica 9 Marzo 2025
Alcuni quotidiani italiani negli anni passati hanno creato un modello commerciale parallelo che aiuta a compensare le difficoltà del business giornalistico tradizionale: quello dei viaggi organizzati assieme ai giornalisti. Quello che ne ha fatto un’impresa più grossa è il Corriere della Sera, che approfitta delle esperte strutture legate alla rivista Dove dello stesso editore, mentre altri devono collaborare con agenzie di viaggi esterne.
Adesso si è messo in questi affari anche il settimanale Internazionale, forte delle proprie attenzioni ed esperienze sugli Esteri e sulla divulgazione dei luoghi della Terra. I viaggi di Internazionale sono riservati agli abbonati, e creano così una seconda opportunità economica oltre a quella del ricavo diretto (pur trattandosi di gruppi di massimo 20 persone). Il primo viaggio proposto è a Marsiglia per cinque giorni, al prezzo di 640 euro, voli esclusi: qui ci sono i dettagli.
“Leggere Internazionale è un po’ come girare il mondo attraverso gli articoli della stampa straniera. Ora abbiamo deciso di fare un esperimento e portare lettori e lettrici di persona alla scoperta del mondo, insieme ai giornalisti e alle giornaliste di Internazionale”.
domenica 9 Marzo 2025
Le televisioni americane sono molto in crisi da diversi anni, soprattutto a causa della concorrenza dei servizi di streaming e delle piattaforme digitali, e delle mutate abitudini del pubblico. Su questa newsletter abbiamo parlato più spesso di CNN, che è una rete “all news”, ma le difficoltà riguardano altre grandi reti tradizionali. Questa settimana la grande corporation Disney ha annunciato 200 licenziamenti, soprattutto ad ABC News, la rete televisiva di cui è proprietaria. Le riduzioni di fatto compromettono il lavoro di diversi settori e redazioni. Ed è stato chiuso 538, già FiveThirtyEight, il sito di analisi politiche che era stato uno dei progetti di nuova informazione più celebrati una quindicina di anni fa, fondato dall’analista Nate Silver e poi acquistato prima dal New York Times e poi da ESPN e ABC. Il sito è già stato rimosso.
domenica 9 Marzo 2025
Ha avuto un proprio “restyling” anche il magazine settimanale di Repubblica, il Venerdì. Tra le novità c’è anche la fine della rubrica delle lettere curata da diciassette anni proprio da Michele Serra: la rubrica resta, ma se ne occuperà Massimo Giannini.
domenica 9 Marzo 2025
Nel progetto di ripensamento di Repubblica nato con la nomina del nuovo direttore, Mario Orfeo, lo scorso ottobre, c’è anche l’evidente intenzione di riavvicinare il giornale alla sua identità più antica e familiare ai lettori: lo stesso cambio di direzione era nato, tra le altre ragioni, dalla consapevolezza che l’idea di trasformazione del giornale proposta dal precedente direttore – attenuando la esibita identità di opposizione politica e di giornale dei progressisti – fosse stata un insuccesso, con sensibili perdite di diffusione e di ruolo del giornale, e insoddisfazioni all’interno della redazione stessa.
Un caso rivelatore di questa intenzione di ricostruzione è l’investimento che Repubblica ha scelto di mettere nel progetto di una manifestazione di sostegno all’Europa che uno dei suoi collaboratori storici, Michele Serra, aveva proposto nella sua newsletter sul Post lo scorso 10 febbraio. Registrati i consensi a quell’idea da parte dei lettori di quella newsletter, e dopo che Serra l’aveva citata anche nella sua rubrica su Repubblica, il direttore di Repubblica ha chiesto a Serra di ripetere la proposta offrendole la prima pagina del giornale, creando uno speciale online e delle grafiche specifiche, e facendola propria con pagine che ogni giorno raccolgono adesioni e raccontano sviluppi. Investimento che si spiega con l’opportunità offerta di mostrare, ai lettori di Repubblica rimasti più fedeli e affezionati al vecchio modello “militante” del giornale, che quel modello esiste ancora, e che lo dimostra una iniziativa di uno degli autori del giornale più amati e significativi.
(per gli interessi di questa newsletter è il caso di notare, senza sorpresa, che i giornali più insofferenti di Repubblica hanno iniziato subito a pubblicare interventi critici o scettici nei confronti della proposta di Serra, accodandosi a loro modo al rilievo dell’iniziativa di Repubblica )
domenica 9 Marzo 2025
Mercoledì è uscita la nuova versione di Repubblica, con un redesign grafico del quotidiano importante e vistoso, curato dagli art director Angelo Rinaldi e Francesco Franchi, e qualche riorganizzazione nella distribuzione dei contenuti: nei primi giorni ci sono state più pagine di Economia, soprattutto, con articoli più autonomi dalle comunicazioni delle aziende. Il giornale ha raggiunto le ottanta pagine, ma questo dipende anche dal grande numero di inserzionisti che le concessionarie pubblicitarie riescono a coinvolgere quando viene promosso un progetto nuovo: soltanto le pagine intere di pubblicità sono state più di 25, in questi primi giorni. E il prezzo del giornale cartaceo è aumentato a un euro e 90 per copia, nei giorni senza supplementi (il Corriere della Sera costa un euro e 50).
L’aspetto grafico è più curato ed elegante, con pagine meno affollate e più elementi diversi, e sarà interessante vedere se potrà essere mantenuto con continuità rispetto ai tempi concitati di confezione quotidiana del giornale: l’impressione è che sia un design di molte opportunità, ma che hanno bisogno di attenzioni e tempo per essere sfruttate ogni giorno e adattate agli sviluppi delle news.
domenica 9 Marzo 2025
Il nuovo intervento di Jeff Bezos sulla “linea” del Washington Post di cui avevamo detto la settimana scorsa ha avuto molte reazioni e commenti, anche sui media italiani, con qualche equivoco e approssimazione, per cui è il caso di tornarci.
Bezos aveva annunciato dieci giorni fa che la sezione dei commenti e delle opinioni del giornale avrebbe subito un “cambiamento” e citato “una nuova direzione” e “un nuovo capitolo”: e che avrebbe abbandonato la tradizione di “coprire tutti i punti di vista” e di essere una “ampia sezione”. Per queste cose ormai ci sono i social network, aveva scritto, spiegando che invece d’ora in poi la sezione si occuperà di difendere “le libertà individuali e il libero mercato”.
Approccio che va chiaramente nella direzione di un pensiero liberista e conservatore, e che vuole provare a cambiare l’identità progressista e antitrumpiana del giornale (un giornale “per tutta l’America” è lo slogan fatto circolare in redazione): e che Bezos propone o per sue sincere opinioni o per tutelare i suoi interessi economici, ma forse ambedue. Ma è un approccio che per come è manifestato non è certo un approccio trumpiano: se c’è uno che si sta opponendo al libero mercato in queste settimane è Donald Trump, per esempio (e lo ha ricordato un articolo sullo stesso Washington Post). È improbabile che a questa “nuova direzione” proposta da Bezos seguano quindi improvvisamente editoriali a sostegno di Trump (poi in futuro può succedere qualunque cosa: come vediamo un po’ ovunque).
Le notizie quindi sono due, e non sono “il Washington Post diventa filo Trump” (basta guardarlo, ed è ancora un giornale molto molto critico con Trump): una è che Bezos lavora perché il Washington Post diventi un giornale meno aggressivamente progressista e anti Trump, come si era iniziato a vedere da qualche mese; l’altra è che l’editore del Washington Post sta dando la linea al giornale e intervenendo nell’indipendenza delle opinioni che ospita. È una cosa che gli editori fanno, ma in misure più caute e discrete, e Bezos non l’aveva fatto per undici anni.
domenica 9 Marzo 2025
Martedì scorso la sezione degli editoriali e dei commenti del Wall Street Journal ha pubblicato un articolo dell’ex direttore del giornale Gerard Baker, giornalista di opinioni assai conservatrici, spesso criticabili e ancora più spesso criticate. Ma in quell’articolo prevaleva una riflessione generale sulla perdita di influenza dei giornali e del giornalismo, ovvero delle limitatissime conseguenze del loro lavoro di critica e indagine sulle malefatte del potere: Baker è uno di quelli secondo i quali “costringere i potenti a rispondere dei loro comportamenti, riferendo cose che i potenti non vogliono vedere riferite è il ruolo più importante del giornalismo”, giudizio trasversale e condiviso anche da molti giornalisti progressisti. Secondo Baker questo non succede più, perché la fiducia dei lettori è così calata che “se oggi qualche grande testata svelasse il Watergate, al massimo ci sarebbero qualche indignato editoriale e un paio di audizioni al Congresso”. Baker aggiunge l’esempio maggiore che a suo tempo aveva commentato anche il Post in diversi incontri pubblici e rassegne stampa: il fallimento delle testate statunitensi più autorevoli nell’opporsi all’elezione di Trump. Che sta nella stessa storia dei fallimenti dei giornali italiani aggressivamente antiberlusconiani prima, e antimeloniani oggi. Che condividiate o no le loro posizioni, è impossibile negare che quelle battaglie le abbiano perse e continuino a perderle: al massimo organizzano manifestazioni, mentre le loro accuse non hanno nessuna conseguenza.
Poi è vero che per quei giornali quelle battaglie sono state e sono dei successi commerciali, ma allora appunto è come dice Baker: “Quello che è successo è che le aziende giornalistiche sono cambiate nel loro carattere e nel loro scopo: sono passate da essere da quasi istituzioni legali a quasi istituzioni religiose […] Breviari per congregazioni di credenti. Il loro scopo è confortare la fede dei devoti offrendo rassicurazioni e impartendo lezioni morali”.
Quando decine di migliaia o centinaia di migliaia di abbonati al Washington Post decidono di cancellare l’abbonamento al giornale perché l’editore ha detto cose che non condividono, vuol dire che il non sentirsi più in sintonia con quello che quella chiesa predica è più importante per loro della qualità del giornale e del suo giornalismo (che è rimasta la stessa). E i giornali che non hanno la fortuna di essere posseduti da miliardari si comportano di conseguenza, evitando i rischi di scontentare i fedeli.
Fine di questo prologo.
domenica 2 Marzo 2025
Il quotidiano Repubblica sta annunciando in questi giorni “una nuova veste grafica e un nuovo modello digitale” dal prossimo 5 marzo. Repubblica ha un nuovo direttore, Mario Orfeo, dallo scorso ottobre. Il sito è stato rinnovato già a novembre.
domenica 2 Marzo 2025
Charlie ha raccontato in passato come la rivista Forbes – sia nell’originale edizione americana che in quella italiana – sia diventata soprattutto il contenitore di articoli a pagamento venduti ad aziende o imprenditori desiderosi di inserire quelle citazioni nella propria promozione, contando sull’autorevolezza percepita della testata.
Nelle settimane passate un articolo di un critico gastronomico di Forbes dedicato alla città di Andria è stato usato per intenzioni di propaganda da parte dell’amministrazione, con polemiche conseguenti, riferisce il quotidiano L’Edicola.
domenica 2 Marzo 2025
È un argomento delicato e la cui delicatezza è stata molto affrontata e discussa negli ultimi anni, con progressi di sensibilità e attenzioni. Esperti di salute mentale, psicologi, medici, hanno posto da tempo la questione che le notizie che coinvolgono suicidi possano generare dei rischi per le fragilità e le difficoltà eventuali di alcuni dei loro lettori e lettrici, soprattutto quelli di emulazione. Il Post aveva descritto il dibattito in questo articolo, ma molte altre trattazioni si trovano online e in molte redazioni le cautele e le consapevolezze sono aumentate.
Dal punto di vista giornalistico resta però che non sia possibile definire e applicare regole universali e immediate da seguire automaticamente in ogni caso. È un’altra delle tante occasioni in cui il ruolo dell’informazione deve conoscere dei limiti e dei compromessi con altre priorità, come avviene con la privacy, con la presunzione di innocenza, con la sicurezza pubblica, col rispetto del dolore, col diritto all’oblio, per fare alcuni esempi. E nel caso di notizie di suicidio sono ogni volta quindi da bilanciare la rilevanza della notizia, la rilevanza delle circostanze della morte di cui si parla, la notorietà delle persone coinvolte, e molti fattori di interesse giornalistico.
Questa settimana i quotidiani italiani hanno dato una notizia sulla morte del giovane figlio di un politico calabrese, scegliendo di alludere con sempre maggiore chiarezza (soprattutto dopo che lo aveva fatto lo stesso padre) alla sua depressione e al suicidio, ma senza mai menzionare la parola “suicidio”.
(Alcuni siti di news hanno però inserito la parola tra i “tag” dell’articolo, con scelta avventata, dal momento che i tag aiutano a far comparire le pagine relative tra i risultati di eventuali ricerche su Google).
Charlie ha parlato con alcune persone che si sono occupate di questi argomenti per raccogliere le loro impressioni.
Alberto Infelise, giornalista della Stampa, aveva riflettuto a suo tempo sugli approcci da adottare: «La scelta di non usare la parola “suicidio” è stata probabilmente causata dal completo ribaltamento del vecchio modo di parlare di suicidio sui giornali: fino a 15 anni fa, trattavamo i suicidi come qualsiasi altro evento di cronaca, facendo foto e spiegando tutto nei minimi dettagli. Credo che [non aver usato il termine sucidio] sia una forma di pietà nei confronti di chi si toglie la vita, perché è una parola che, soprattutto se usata nei titoli, esaspera e drammatizza la notizia. Forse è anche frutto di un eccesso di tutela, ma preferisco questo eccesso: tutti dovrebbero essere informati, ma è più importante che ci sia il rispetto della vita umana e questo caso, in particolare, è stato gestito bene».
Chiara Davico, psichiatra del progetto Papageno: «Mi sorprende che siamo passati all’estremo opposto, soprattutto dato il fatto che fino a poco tempo fa i casi di suicidio raccontati dai giornali in Italia raramente seguivano le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Credo che in questo caso la notizia sia stata gestita bene, ma non va bene nemmeno non usare il termine “suicidio”, che è una parola ancora molto stigmatizzata ma di cui non bisogna avere alcuna paura: usarla vorrebbe dire riconoscere che il problema è serio e va affrontato».
Paolo Piacenza, coordinatore delle attività redazionali del Master in Giornalismo dell’Università di Torino: «In questo caso ho notato una tendenza a fare più attenzione, che in altri casi non si è vista. Non è necessariamente negativo che non sia stata usata la parola “suicidio”, perché è ancora una parola potente. A volte la prudenza nell’usare questa parola può sembrare troppa, ma a me pare che in questo caso, magari per una forma di rispetto, siano state fatte scelte che vanno nella giusta direzione, anche se in modo un po’ casuale. Per esempio, va bene evitare di lanciare il termine suicidio nel titolo, ma usarlo nei tag nega quella prudenza per la ricerca di un click.
In casi come questi, poi, dove la rilevanza mediatica delle persone coinvolte è alta, può sembrare più facile fare questa scelta, ma il rischio di tutelare poco i diretti interessati è lo stesso. Sebbene oggi i giornali non siano più l’unica fonte d’informazione delle persone, mantengono la responsabilità di tutelare la dignità degli individui in situazioni sensibili come questa, anche a fronte del comportamento generalmente poco responsabile che prevale sui social».
Pasquale Quaranta, giornalista del gruppo GEDI e primo diversity editor d’Italia: «Giusto evitare di inserire la parola “suicidio”, soprattutto nel titolo. Questa cautela nell’uso del termine dimostra la volontà di cercare modi alternativi per informare senza alimentare discriminazioni o stigmatizzazioni. È un segnale positivo, che evidenzia come nei giornali si stia iniziando a riflettere su questo problema con maggiore responsabilità. Certo, le cose vanno chiamate con il loro nome, ma esistono molti modi per farlo. E se scegliere parole diverse può aiutare a prevenire l’effetto emulativo e, di conseguenza, a salvare vite, allora vale certamente la pena farlo»
domenica 2 Marzo 2025
Negli scorsi mesi questa newsletter ha citato più volte la newsletter Status di Oliver Darcy, divenuta rapidamente uno dei più seguiti e informati progetti di informazione su media e giornali degli Stati Uniti. Darcy aveva curato un’analoga newsletter per conto di CNN fino all’anno scorso, e poi ha lasciato la testata e se ne è costruita una propria sulla piattaforma Substack. Mercoledì Darcy ha annunciato che Status ha raccolto 75mila iscritti in sei mesi, e prevede di arrivare a un milione di dollari in abbonamenti per la fine del 2025: e che come è già successo in altri casi simili, il mettersi in proprio sta già diventando la ricostruzione di una piccola redazione, con l’arrivo di un altro ex collega di Darcy in CNN . Il Wall Street Journal gli ha dedicato un articolo.
domenica 2 Marzo 2025
Dolomiten è il principale quotidiano di Bolzano e dell’Alto Adige, e una sorta di istituzione locale, protagonista di una condizione peculiare per molte ragioni. È un quotidiano in lingua tedesca, e di conseguenza chiede e ottiene ogni anno una cospicua quota di contributi pubblici dedicati ai giornali rivolti a minoranze linguistiche: questo malgrado la sua proprietà – il gruppo Athesia, che possiede la gran parte delle testate maggiori della regione – disponga di grandi capitali e le condizioni del giornale siano assai più floride di altre. Il gruppo Athesia è infatti di una importante e potente famiglia di imprenditori e politici altoatesini, presenti quindi nel settore dell’informazione, della politica e dell’imprenditoria locale.
Questa settimana sono state annunciate le dimissioni del direttore di Dolomiten, Toni Ebner, dopo trent’anni dal suo insediamento. Ebner è figlio del precedente direttore del giornale; suo fratello Michl è editore del giornale (gli succederà quest’anno il figlio Georg), e come il padre è stato deputato al parlamento italiano oltre che a quello europeo per lo storico partito di governo altoatesino Südtiroler Volkspartei.
Il nuovo direttore di Dolomiten sarà Elmar Pichler Rolle, 65 anni, ex vicesindaco di Bolzano ed ex presidente del partito SVP, ma già nella redazione del giornale dal 1979.