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  • Venerdì 12 settembre 2014

Come sarebbe la Scozia indipendente?

Quale sarebbe la sua moneta? Quanto debito pubblico dovrebbe accollarsi? La bandiera del Regno Unito che fine farebbe? E l'esercito? Qualche risposta, a 6 giorni dal referendum

Republican writing supporting the Yes vote in the Scottish Referendum on a mountain in West Belfast, Northern Ireland, Monday, Sept. 8, 2014. Scotland is due to vote on September 18th in a referendum on Scottish independence and many people in Northern Ireland will be watching closely on its outcome. (AP Photo/Peter Morrison)
Republican writing supporting the Yes vote in the Scottish Referendum on a mountain in West Belfast, Northern Ireland, Monday, Sept. 8, 2014. Scotland is due to vote on September 18th in a referendum on Scottish independence and many people in Northern Ireland will be watching closely on its outcome. (AP Photo/Peter Morrison)

Scozia, sondaggiManca meno di una settimana al referendum che si svolgerà in Scozia per decidere l’indipendenza politica dal Regno Unito. I sondaggi pubblicati giovedì 11 settembre, condotti dall’istituto YouGov per il quotidiano britannico Times, mostrano che il 52 per cento degli elettori e delle elettrici scozzesi intervistati negli ultimi tre giorni vuole rimanere con il Regno Unito. Nel sondaggio precedente, invece, erano in vantaggio di un punto gli indipendentisti. Insomma, la situazione è molto equilibrata e incerta: secondo gli ultimi dati, la percentuale dei “sì” ha guadagnato quasi dieci punti rispetto all’inizio di agosto.

Quella dell’indipendenza della Scozia è una questione piuttosto complicata che potrebbe avere importanti conseguenze politiche, non solo per le nazioni direttamente coinvolte: potrebbe infatti portare a richieste simili anche nel resto dell’Europa e, dovesse andare a buon fine, avrebbe un impatto economico e conseguenze sull’intera Unione Europea. Molte di queste sono ancora complicate da prevedere esattamente, e sono al centro del dibattito pubblico nel Regno Unito e in Scozia.

Elisabetta II resterebbe regina di Scozia?
Il referendum si basa sull’Atto di Unione del 1707 con il quale il parlamento scozzese e quello inglese votarono la fusione tra Inghilterra e Scozia e decisero la nascita di un nuovo stato, il regno di Gran Bretagna. Il referendum però non rimette in discussione l’Unione delle Corone: dal 1603, infatti, con Giacomo I, Inghilterra e Scozia condividevano la monarchia pur mantenendo parlamenti sovrani.

La Scozia, indipendente o meno, resterà quindi una monarchia: nella bozza di Costituzione presentata lo scorso giugno dal partito che ha promosso il referendum si afferma il mantenimento della regina Elisabetta come capo di Stato. La Costituzione è in realtà solamente temporanea. Entrerebbe cioè in vigore se la Scozia diventasse indipendente dal 24 marzo 2016, ma verrebbe poi sostituita da una Carta definitiva che sarebbe redatta da una assemblea costituente. C’è quindi la possibilità che si decida di svolgere una nuova consultazione per abolire la monarchia (lo hanno proposto alcuni deputati dell’SNP), ma l’opinione pubblica probabilmente sarebbe contraria.

La regina Elisabetta resterà quindi molto probabilmente il capo del nuovo stato con una funzione simile (e dunque solo simbolica) a quella svolta in Canada, in Australia e negli altri Paesi del Commonwealth che facevano parte delle ex colonie dell’impero britannico. La regina, in tutti questi mesi, non ha espresso alcun giudizio sul referendum per non influenzare il voto.

La Scozia aderirà all’Unione Europea?
La Scozia indipendente vorrebbe entrare a far parte dell’Unione Europea. Alex Salmond, primo ministro scozzese, socialdemocratico e sostenitore dell’indipendenza, ha vantato il diritto di restare membro dell’UE anche dopo l’indipendenza, ma non ci sono precedenti di questo tipo. La Scozia dovrebbe dunque seguire la normale procedura per l’ingresso nell’UE, che non sarebbe né semplice né immediata.

Lo scorso febbraio l’ex presidente della Commissione europea Barroso, in un’intervista alla BBC, aveva detto che l’ingresso della Scozia dell’Unione sarebbe stato molto difficile se non impossibile. «Nel caso di un nuovo Stato che nasce da un attuale paese membro, questo dovrà fare richiesta e, cosa molto importante, la domanda di adesione e l’adesione all’Unione Europea dovrà essere approvata da tutti gli altri Paesi membri». La posizione del Regno Unito in questo caso potrebbe non essere favorevole, e così anche quella di altri paesi che rischiano di trovarsi nella stessa situazione del Regno Unito. Non è un caso che la Spagna (dove a novembre potrebbe svolgersi un referendum consultivo per l’indipendenza della Catalogna) abbia bloccato l’ingresso nell’UE del Kosovo: proprio per non incoraggiare la scissione catalana. Il nuovo presidente Juncker ha fatto sapere che rispetterà il risultato del referendum, aggiungendo però che «non si diventa un membro dell’UE scrivendo una lettera» e che rispetto a quanto già dichiarato da Barroso non ha «nulla da aggiungere».

Quale sarà la moneta scozzese? E che ne sarà del debito pubblico?
La questione monetaria è una delle più complicate e rischiose di tutta questa storia ed è stata usata da entrambe le parti come argomento a favore o sfavore delle rispettive posizioni. Le ipotesi principali sono tre: il mantenimento della sterlina (con un accordo formale con il resto del Regno Unito o con nessun accordo formale), l’adesione all’euro o l’introduzione di una nuova moneta.

Alex Salmond, primo ministro scozzese, socialdemocratico, e sostenitore dell’indipendenza, ha promesso che se vinceranno i sì intende mantenere la sterlina e negoziare con la Banca d’Inghilterra e il Regno Unito un’unione monetaria, cosa che rassicurerebbe i mercati. Una commissione del governo scozzese di cui fanno parte due premi Nobel – Joseph Stiglitz e James Mirrlees – ha infatti confermato che tra le varie opzioni la migliore risulterebbe proprio la condivisione della sterlina, nell’interesse sia della Scozia che dell’Inghilterra. I tre principali partiti britannici (conservatori, liberaldemocratici e laburisti) si oppongono però a questa ipotesi. Inoltre, solo qualche giorno fa la Banca d’Inghilterra ha fatto sapere che la proposta scozzese di continuare a usare la sterlina sarebbe «incompatibile con la sovranità». L’unione monetaria richiederebbe infatti complessi accordi di frontiera sulla tassazione, sulla spesa e sulle regole bancarie, «tutte cose che al momento non sono attuabili».

Alex Salmond ha risposto però che se la Scozia indipendente resterà senza la sterlina si rifiuterà anche di farsi carico di parte del debito pubblico della Gran Bretagna (che è in totale di circa 1.200 miliardi di sterline): teoricamente la Scozia dovrebbe assumere poco più dell’8 per cento di tale importo (111 miliardi di sterline), in proporzione alla sua popolazione, ma nulla stabilisce che sia legalmente tenuta a farlo.

Se la Scozia sceglierà (o sarà costretta a scegliere) una propria valuta nazionale, questa secondo i nazionalisti avrebbe comunque una propria forza garantita dalla solidità commerciale della Scozia e sostenuta dalle esportazioni di petrolio e gas nel Mare del Nord (questa nuova moneta potrebbe “fluttuare” liberamente sul mercato o essere agganciata alla sterlina). L’adesione all’euro sarebbe fattibile eventualmente solo se la Scozia diventasse membro dell’Unione Europea: ma questa adesione, come abbiamo visto, non sarebbe semplice e comunque non sarebbe immediata, mentre una moneta servirebbe da subito.

Di chi sarà il petrolio del Mare del Nord?
Se vincessero i sì, la Scozia otterrebbe quasi tutti i proventi derivanti dai giacimenti di petrolio del Mare del Nord che si trovano nelle sue acque territoriali. Gli antindipendentisti sostengono che la produzione di petrolio sia in calo da almeno quindici anni, e così le entrate fiscali. I separatisti invece dicono che il miglioramento delle tecniche di perforazione porterà a un aumento della produzione nei prossimi due o tre anni. Inoltre le riserve a ovest della Scozia, finora inutilizzate a causa di condizioni climatiche avverse, diventeranno progressivamente più accessibili. Questo garantirebbe entrate fiscali al nuovo stato pari a 57 miliardi di sterline. Resta da vedere se l’estrazione del petrolio diventerà però più costosa.

La Scozia avrà un suo esercito?
Anche questa questione dovrà essere negoziata con il Regno Unito. Nell’attuale sistema istituzionale, infatti, il Parlamento scozzese non può decidere su questioni militari. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Difesa citati dal Guardian, 14.510 persone lavorano in Scozia per l’esercito: 3.910 sono civili e 10.600 sono militari. Di questi 4.210 sono in marina, 3.690 nell’esercito e 2.700 nell’aeronautica. Questi numeri rappresentano il 7,5 per cento del personale militare di tutto il Regno Unito.

Attualmente quattro sottomarini nucleari che fanno parte del programma Trident si trovano nella base navale di Clyde, vicino a Glasgow. Secondo un recente sondaggio, il 46 per cento degli scozzesi si oppone al possesso di armi nucleari, contro il 37 per cento che invece lo sostiene. Anche a seguito di questi dati, nel caso la Scozia diventasse indipendente è stato dichiarato dal governo che il paese abbandonerà il programma entro il 2020. La Scozia potrebbe anche richiedere di entrare a far parte della NATO ma dovrebbe impegnarsi a rispettare alcuni criteri di adesione, tra cui spendere il 2 per cento del PIL per la Difesa.

Che fine farà la bandiera del Regno Unito, la Union Jack?
Non è una questione da poco. La bandiera del Regno Unito è conosciuta in ogni angolo del pianeta ed è frutto della sovrapposizione delle bandiere dell’Inghilterra e della Scozia. La perdita della Union Jack qualora la Scozia votasse a favore dell’indipendenza non avrebbe solo un grande impatto emotivo. L’Independent scrive che secondo diversi economisti ed esperti di marketing anche l’economia e le esportazioni ne risentirebbero: «Il dinamismo del rosso, del bianco e del blu sono riconosciuti immediatamente e ovunque. La Union Jack è anche un simbolo di solidità e fiducia nel mondo degli affari: aiuta le società britanniche a commerciare all’estero e trovare porte aperte».

Nel febbraio del 2014 il Flag Institute, il più importante centro di ricerca e documentazione sulle bandiere al mondo, ha pubblicato alcune proposte per modificare la Union Jack. Il direttore dell’istituto, Charles Ashburner, ha spiegato che «una delle proposte più popolari è semplicemente sostituire il blu della croce scozzese di sant’Andrea con il nero della croce gallese di san David». Altre inseriscono il drago gallese o si ispirano alla bandiera del Commonwealth. Alcune si possono vedere qui.

La Scozia avrà una squadra olimpica?
Se ai Giochi del Commonwealth i 53 stati membri indipendenti che precedentemente (eccetto qualcuno) facevano parte dell’Impero britannico partecipano ognuno per conto proprio, comprese le nazioni del Regno Unito, alle ultime Olimpiadi di Londra partecipò un’unica squadra, rappresentata dalla bandiera della Union Jack e organizzata dalla British Olympic Association, la federazione olimpica britannica. In caso di indipendenza gli atleti scozzesi avrebbero la possibilità di scegliere per quale stato competere. Il famoso tennista Andy Murray, nato a Glasgow, ha già detto che molto probabilmente preferirebbe la Scozia. La mezzo fondista Lynsey Sharp, originaria di Dumfries, rimarrebbe invece con il Regno Unito. Comunque è improbabile che la Scozia, in caso di vittoria dei sì, abbia il tempo di costruire una propria squadra olimpica prima dei Giochi di Rio, che si svolgeranno nel 2016. Per quanto riguarda il calcio (ma anche il rugby) non ci sarà alcun problema: questi sport prevedono già quattro nazionali diverse per il Regno Unito.

Ok, ma tutto questo perché?
L’indipendentismo scozzese arriva da lontano: lo Scottish National Party (SNP), il partito promotore del referendum, fu fondato nel 1934 e per larga parte della storia recente scozzese ha esteso il suo consenso elettorale sottraendolo alle emanazioni locali dei due maggiori partiti britannici, chiedendo più autonomia e poteri per la regione. Nel 1979 l’SNP riuscì a organizzare un referendum per la formazione di un parlamento scozzese, ma non raggiunse il quorum (avrebbe dovuto votare per il sì almeno il 40 per cento dell’elettorato, ma l’affluenza fu piuttosto bassa).

(La storia dell’indipendentismo scozzese)

Fu un secondo referendum sul tema tenuto nel 1997 a portare alla formazione di un parlamento locale scozzese, la cui prima seduta si tenne il 12 maggio del 1999. Negli ultimi anni, anche grazie alla vittoria elettorale dell’SNP alle politiche del 2011, si è posta con maggiore insistenza la questione di un’indipendenza completa dal Regno Unito: nell’ottobre del 2012 il primo ministro inglese David Cameron e quello scozzese Alex Salmond – che è anche l’attuale capo dell’SNP, che complessivamente si trova su posizioni più vicine a quelle dei Labour che dei Conservatori – si accordarono per un referendum sull’indipendenza da tenere nell’autunno del 2014.

I tempi
Il referendum si svolgerà il prossimo 18 settembre. Il quesito a cui gli elettori e le elettrici risponderanno sarà:

“Siete d’accordo che la Scozia diventi una nazione indipendente?”

Se alla fine dovessero vincere i “sì”, la Scozia diventerebbe indipendente dal Regno Unito il 24 marzo del 2016. Ma in molti sostengono che un anno e mezzo sia una previsione ottimistica, viste le tante questioni ancora da chiarire e risolvere.