La moda non è più sexy

Gli abiti sono sempre più lunghi, larghi e coprenti, e gli stilisti all'avanguardia disegnano collezioni eccentriche, sportive, poco sensuali

di Arianna Cavallo – @ariannacavallo

Due ragazze con scarpe e pantaloni alla moda al Festival di Cannes, 11 maggio 2018
(Emma McIntyre/Getty Images)
Due ragazze con scarpe e pantaloni alla moda al Festival di Cannes, 11 maggio 2018 (Emma McIntyre/Getty Images)

Una delle convinzioni su cui poggia il mondo occidentale è che il sesso faccia vendere: è una regola applicata per anni nella pubblicità, nei giornali, nella tv, nei libri e ovviamente nella moda, che ha sempre proposto donne con vestiti sensuali e pubblicità erotiche al limite del porno. Negli ultimi anni però, perlomeno nella moda femminile, le cose stanno cambiando.

La moda recente promuove l’immagine di donne che non si vestono per piacere ed essere sexy ma per sentirsi a proprio agio; così come gli stilisti di maggior successo, per esempio Gucci, Balenciaga, Praga e Vetements, non sono interessati a inseguire la sensualità nelle loro collezioni. Non che pizzi, scollature e shorts miscoscopici non si vedano più – soprattutto tra le adolescenti – ma gli abiti che si trovano nei negozi sono diventati più larghi, lunghi e coprenti, la figura del corpo è fluida e quasi infagottata, vanno sempre più di moda lo stile androgino e lo streetwear – rilassato, pieno di sneaker, felpe e pantaloni comodi – e gli stilisti più innovativi lavorano sulla mescolanza dei generi, come fa John Galliano da Maison Margiela.

 

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Nel corso della storia il mondo della moda ha anticipato e accompagnato i grandi cambiamenti culturali e sociali, ridefinendo il ruolo della donna nella società e la sua stessa identità. Questa tendenza recente era iniziata già con la moda hipster, che trovava la seduzione nell’ironia e nell’eccentricità, e con l’athleisure, cioè l’indossare magliette, felpe e scarpe da ginnastica nella vita di tutti i giorni per sentirsi più comode. Ora, anche grazie alla crescente popolarità di idee e movimenti femministi, si sta diffondendo l’immagine di una donna nuova, che mette al primo posto le proprie esigenze e che è poco compiacente verso il mondo maschile. Questo si riflette anche negli abiti e nelle scarpe che vengono scelti, prima di tutto perché comodi e pratici – il mezzo tacco ha superato il tacco a spillo mentre vanno di moda le scarpe basse e brutte – e nel disdegno verso capi che, un tempo sexy, sono ora considerati volgari, frivoli e compassati.

Per esempio, nella biancheria intima il tanga e il pizzo hanno lasciato il posto a una nuova idea di sexy fatta di culotte, mutandone hipster, come quelle indossate da Kendall Jenner e Kim Kardashian per Calvin Klein, e da boxer, come quelli di Beyoncé nel video 7/11.

Victoria’s Secret, l’azienda di lingerie sexy per eccellenza, sta perdendo terreno, mentre crescono marchi come Savage X Fenty di Rihanna o Aerie, che vestono anche corpi lontani dall’idea di bellezza canonica (cioè magrissima).

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Accade anche nel mondo dei pantaloni e in particolare dei jeans, dove la morte più volte annunciata del modello skinny, cioè quello aderente, sembra finalmente arrivata. Marc Bain segnalava a settembre su Quartz un macro-cambiamento nelle proporzioni e nella figura, paragonabile all’imporsi dei pantaloni a zampa negli anni Settanta o appunto degli skinny jeans dal 2006: ora i negozi sono pieni di pantaloni a vita alta che si allargano a forma di A. È una moda iniziata due anni fa dai marchi più innovativi, come Off-White di Virgil Abloh, Gucci e Vetements, e ora diventata di massa: da luglio ad agosto 2018 le vendite di questi modelli sono aumentate del 32 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017. Funzionano perché sono più comodi, sono proposti dagli stilisti che contano, comunicano un’idea di donna consapevole di sé in modo più raffinato, e infine si accordano bene alle sneaker, ormai diventate imprescindibili per chi vuole essere alla moda.

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A commento della Settimana della moda di Milano, terminata il 24 settembre, la giornalista di moda del Guardian Jess Cartner-Morley ha scritto un articolo intitolato: «La scollatura è finita: perché i vestiti sexy non hanno più fascino». Anche secondo lei è cambiato il modo in cui ci vestiamo e «c’è una tendenza verso abiti più lunghi e larghi. Fino a qualche tempo fa in Regno Unito una gonna al ginocchio era considerata sobria e adatta all’ufficio, a un colloquio di lavoro, o per incontrare i suoceri. Ora c’è una nuova lunghezza standard che finisce più o meno a metà polpaccio e la gonna al ginocchio è una misura più corta della media, non più lunga. Lo stesso vale per le braccia»: fino a qualche anno gli abiti da cerimonia lasciavano tutti braccia e spesso spalle scoperte, mentre ora non è più così.

Secondo Cartner-Morley il cambiamento più importante è che «i vestiti sono diventati più larghi e i tacchi più bassi. La moda mostra il corpo sempre di meno, le donne non vogliono essere giudicate in base al loro essere attraenti e disponibili. Se preferisci un paio di sneaker a un paio di tacchi la tua priorità è la tua comodità: quello che il tuo corpo è per te, non quello che è per qualcun altro».

Le esigenze delle donne sono riflesse, o vanno di pari passo, con le ambizioni degli stilisti nelle passerelle. Già lo scorso marzo il Washington Post titolava un articolo sulla Settimana della moda di Parigi (dedicata quindi alle collezioni autunno/inverno ora nei negozi) «Niente sesso, per favore: per l’autunno la moda è solo lavoro». Scriveva che «sentirsi a proprio agio è stata la parola d’ordine della stagione. Sentirsi a proprio agio, non sexy, non seducenti, non appassionate».

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E così è avvenuto anche nelle sfilate di questi giorni, quando le aziende hanno presentato a New York, Milano, Londra e Parigi le loro collezioni per la prossima primavera. Vanessa Friedman ha stroncato sul New York Times la collezione di Anthony Vaccarello per Saint Laurent, definendola conservatrice e rivolta al passato, per la sfilza di modelle magrissime e seminude, coperte solo da pantaloncini minuscoli e da trasparenze: «Difficile non pensare che le donne siano andate oltre e così dovrebbero fare i vestiti che ne esprimono la fisicità. Mostrare le gambe, la scollatura, le trasparenze poteva essere qualcosa di rivoluzionario nel Ventesimo secolo ma non è particolarmente interessante o rilevante nel Ventunesimo secolo».

Una modella sfila per Saint Laurent, Parigi, 25 settembre 2018 (Pascal Le Segretain/Getty Images)

Sempre Cartner-Morley ha commentato le collezioni presentate a Milano, solitamente il centro della moda sexy e glamour, dicendo che Versace è stata un po’ sotto tono, forse anche in previsione dell’annuncio della vendita; Paul Surridge, il nuovo stilista di Roberto Cavalli, ha cercato di allontanarsi dall’immagine ormai volgare del marchio; Salvatore Ferragamo ha proposto una collezione elegante e di buon gusto; i pantaloni comodi e lunghi alla caviglia si sono visti ovunque, da quelli tagliati splendidamente di Giorgio Armani a quelli più stravaganti di Marni. Max Mara ha fatto sfilare col velo la modella Halima Aden, che nel febbraio 2017 era stata la prima a indossarlo a una sfilata importante, quella di Yeezy a New York: allora provocò stupore e centinaia di articoli, stavolta il velo è stato a malapena notato. E quest’anno Milano ha ospitato la sua prima sfilata di moda “modesta”, cioè quella solitamente portata da donne musulmane, ebree o cattoliche che vogliono coprire il corpo e nascondere le forme.

La Settimana di Milano ha confermato che le aziende più interessanti e che vendono di più non si preoccupano degli abiti sexy. Prada – che è sempre stata un’eccezione a Milano, con il suo stile cerebrale, castigato, ribelle e ugly-chic, cioè chic in quanto brutto – anche questa volta ha mescolato golfini grigi, camicine bianche, gonnelline da liceo, calze sotto il ginocchio, facendo derivare la sensualità dall’anticonformismo e dall’indifferenza a piacere.

Una modella sfila per Prada, Milano, 20 settembre 2018
(ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Da Gucci, il direttore creativo Alessandro Michele – talmente osannato da ricordare ormai il guru di una setta – ha fatto sfilare il suo solito abbinamento di vestiti e accessori eccentrici, contrastanti, ricercatissimi e al limite del kitsch. «A volte diventa una cosa da geek», scrive Cartner-Morley, «a volte è sontuoso, altre sportivo, altre sembra fare costumi. Sexy è l’unica cosa che non è mai. Non ricordo nessuna azienda di moda così alla moda com’è ora Gucci, e così deliberatamente non sexy».

 

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