silenzio

Il mistero dei saloni per unghie

«Ci vogliono ore e ore di manicure e momenti di silenzio condivisi perché sorga qualche piccola confidenza o un saluto più affettuoso degli altri con le ragazze cinesi che ci lavorano. Ma tra i due mondi rimane una distanza incolmabile. Anche se le pelli si toccano, le persone non si toccano mai per davvero. Un giorno però ho un colpo di fortuna inaspettato. Sara è impegnata. Mi farà le unghie Elena. Una ragazza nuova. Scopro che parla perfettamente l’italiano. E scopro anche, quasi subito, che il mistero è apparente, e scompare se appena guardiamo»

Il mistero dei saloni per unghie

Ayrton Senna, trent’anni fa

«Era una bella e calda giornata di primavera. Ricordo il viavai della gente, il rombo dei motori, le corse di classi minori prima di pranzo. Per la gara trovammo posto attaccati alla rete, subito prima della Villeneuve, in fondo al rettilineo dopo il Tamburello. Mi sembra di sentirlo ancora adesso – sulle braccia, negli orecchi, nello stomaco – il frastuono delle macchine al giro di ricognizione, l’eccitazione di vedere per la prima volta la Ferrari dal vivo. Poi quei cinque giri dietro alla safety car per il tamponamento di Lamy a JJ Lehto. Infine il rombo più acuto, la voce di Francesco che dice “ecco, sono ripartiti”, il grido dei motori che si avvicina. E quel proiettile, laggiù, che si schianta contro il muro, la scia della Ferrari di Berger che frulla l’alettone in aria come un coriandolo, il casco giallo reclinato, i soccorsi, l’elicottero in pista. E il silenzio. L’irreale silenzio. Un intero autodromo ammutolito»

Ayrton Senna, trent’anni fa

C’era una volta “C’era una volta in America”

«Ecco cosa c’è di universale, in Noodles. Non rifiuta di vendicarsi, ma vuole farlo a modo suo. E il suo “modo di vedere le cose” sono il silenzio e l’assunzione di responsabilità. Mi sembra che non ci sia niente di più universale della conquista di una simile consapevolezza. Questo mi ha insegnato Noodles. Il suo desiderio di riscatto, pur con tutte le ferite autoinflitte e impossibili da rimarginare, è alla base del meccanismo di identificazione che tanto mi ha stravolto dopo la prima visione del film. La ricerca della salvezza, l’accettazione del proprio destino, malgrado la paura e il dolore. L’innocenza si perde una volta sola – Dominic è già morto, per sempre –, e l’immobilità non impedisce al destino di bussare».

C’era una volta “C’era una volta in America”

Com’è fatta una guerra

«Alla maratona di Kiev il conflitto appare solo sotto forma di performance. Un militare che si prepara a correre con il suo giubbotto antiproiettile. Il minuto di silenzio per i difensori della patria impegnati al fronte. I veterani mutilati con protesi artificiali che inaugurano la gara con un giro simbolico. Per il resto potremmo essere a Londra, Berlino o Roma. Ruslan, neolaureato in ingegneria della sostenibilità, mi dice che quando leggeva Rainer Maria Rilke si chiedeva come facesse lo scrittore austriaco a indossare il frac e preoccuparsi del suo aperitivo nel pieno della Prima guerra mondiale. E aggiunge: "Ora ho capito"»

Com’è fatta una guerra

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Il 25 aprile di mio nonno, gerarca

«Non era una festa per tutti. La trascorrevamo nel silenzio selvatico delle montagne d’Abruzzo. Era la giornata della reticenza. Avrei scoperto solo alle medie, sul libro di storia, chi era stato il padre di mio padre, e la vera ragione per la quale non si presentasse mai all’uscita di scuola. Non era semplicemente “morto in guerra”. Eccolo lì il suo cadavere, le braccia penzoloni, la corda intorno agli stivali, il cognome a stampatello sulla pensilina di piazzale Loreto»

Il 25 aprile di mio nonno, gerarca
14/2