Patrizia Mirigliani

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I gemelli di Claudio Villa

«Mi è difficile, quasi mezzo secolo dopo, ricordare nitidamente la conversazione. Ma il nocciolo della questione lo ricordo bene. Claudio Pica da Trastevere era sì furibondo; ma soprattutto ferito dal mio riferimento ai gemelli “grossi come dischi volanti”. Mi piace riassumere il breve discorso che il Reuccio mi fece, seduti uno di fronte all’altro nella saletta della portineria dell’Unità di Milano, mentre il custode Giuseppe, con la coda dell’occhio, vegliava sulla mia incolumità: “Non me ne frega niente se non ti piace come canto. Ma non ti perdono di avermi preso per il culo per i miei gemelli sull’Unità, il giornale del popolo". Quello che per me era stato solo un dileggio occasionale, una noterella satirica sull’abbigliamento di un cantante, per lui era un attacco alla sua credibilità di “uomo del popolo”»

I gemelli di Claudio Villa

In giro per Milano con i poeti, come Raboni

«È morto vent’anni fa e sono fortunato perché, quando ce n'è stata l’occasione, non l’ho avvicinato, così adesso posso leggerlo dalla distanza che annulla il confine tra vivi e morti. Lo stesso sentimento che avverto ogni volta che torno e passo attraverso i luoghi che ho imparato con le poesie e che cambiano di mese in mese, eppure qualcosa resta. Resta via San Gregorio com’era, resta il neon di un’edicola di via Crescenzago di una poesia di De Angelis, resta il dialetto da masticare di Franco Loi, resta la via dove Pagliarani si copriva la faccia col giornale, resta San Siro a piedi di Vittorio Sereni, restano le corsie d’ospedale che racconta Raboni di quando andava a trovare Cattafi. Resta la possibilità di fingere, per cui salgo sul 9, m’invento che il numero sia preceduto da un 2 e seguo un po’ di quel percorso, una volta scendo in viale Monte Nero, altre poco più avanti, altre mi spingo fin dopo Porta Venezia sperando di sfiorare il tram che procede in senso opposto»

In giro per Milano con i poeti, come Raboni
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