domenica 7 Aprile 2024

P.Q.M.

Il quotidiano Libero ha pubblicato sabato a pagina 14 un estratto del dispositivo di una sentenza di condanna per diffamazione per lo stesso giornale e per il suo ex direttore Maurizio Belpietro (oggi direttore del quotidiano La Verità). È una pratica non infrequente che i giudici di cause civili che ritengono che il risarcimento dei querelanti debba comprendere anche la diffusione delle loro ragioni aggiungano alle disposizioni anche quella della pubblicazione su uno o più giornali della sentenza. Questo avviene soprattutto nelle cause per diffamazione contro un giornale, con l’intento di attenuare le conseguenze della pubblicazione delle notizie ritenute diffamanti e di informare i lettori che lo erano, diffamanti: e quindi i giudici scelgono innanzitutto che la pubblicazione avvenga sul giornale condannato (ma a volte non solo su quello), a spese dei condannati.

In questo caso il giudice della sezione civile del tribunale di Potenza ha dato ragione a Patrizia Todisco, magistrata che si era occupata delle questioni dell’ex Ilva di Taranto, e che per i suoi interventi era stata descritta in un articolo di Libero, il cui titolo era “Patrizia Todisco, gip: la zitella rossa che licenzia 11mila operai Ilva”. Libero e il suo allora direttore Belpietro sono stati condannati al pagamento di un risarcimento di 25mila euro e a un rimborso delle spese sostenute da Todisco di circa 6mila euro. La sentenza è stata pubblicata sbrigativamente anche sul sito del giornale.
Il dato che fa più impressione è che il procedimento con cui – a torto o a ragione: secondo il giudice a ragione – una persona diffamata da un giornale ha ottenuto risposta da un tribunale civile si sia concluso quasi dodici anni dopo il fatto in questione e la denuncia relativa.

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