Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 16 Novembre 2025
A margine di uno dei più grandi eventi mondiali dedicati all’innovazione digitale, il Web Summit di Lisbona, si è tenuta lunedì scorso una giornata di incontri dedicati al giornalismo, un convegno a cui hanno partecipato circa 150 persone, compresi i direttori, direttrici, CEO e massimi dirigenti di alcune delle maggiori aziende giornalistiche mondiali: tra gli altri Guardian, Atlantic, Le Monde, Time, NPR, Süddeutsche Zeitung, Al Jazeera, Sky News, Economist, Axios, Independent, Kyiv Post, Axios.
Sei di questi tredici sono donne. Il programma si è aperto con un “panel” i cui partecipanti hanno rispettivamente 32, 23 e 40 anni. Non c’era nessuno di un giornale italiano, a parte l’inviato di questa newsletter.
Negli stessi giorni degli incontri di Lisbona in Italia è stato promosso un convegno sul giornalismo dal titolo “Editoria e informazione: carta, digitale, e poi?”. Il convegno era organizzato dal quotidiano Corriere dell’Umbria del gruppo Polimedia della famiglia Polidori, la quale deve le sue fortune alla formazione professionale (CEPU) e che ha comprato la testata nel 2022 dalla famiglia Angelucci (che possiede tuttora i quotidiani Libero, Giornale e Tempo). Il convegno si è tenuto giovedì a Città di Castello, nella sede dell’università privata posseduta dei proprietari del quotidiano, e ha ospitato diversi direttori di giornali e amministratori delegati di aziende giornalistiche. Nel manifesto promozionale comparivano 52 nomi: 45 uomini e 7 donne. Solo tre di loro avevano meno di 50 anni: il frate Giulio Cesareo (47), la conduttrice radiofonica Ema Stokholma (41) e l’amministratore delegato del sito di news Lettera43 Marco Feriolì (32). L’età media complessiva dei partecipanti era di 61 anni. Accanto agli ospiti giornalisti e dirigenti di aziende giornalistiche erano elencati un sottosegretario, un senatore, un prefetto, due presidenti di regione, tre rettori, due presidenti del Corecom, un presidente dell’Agcom. Il panel “La sfida di raccontare il futuro” era affidato a sei giornalisti maschi (Maurizio Belpietro della Verità, Tommaso Cerno del Tempo, Pietro Senaldi di Libero, Luca Telese del Centro, Claudio Rinaldi della Gazzetta di Parma, Massimo Martinelli del Messaggero) tutti sopra i cinquant’anni.
Fine di questo prologo.
domenica 9 Novembre 2025
Il sito del New Yorker ha pubblicato un breve documentario sull’eccezionale storia di quando il governo britannico guidato da Margaret Thatcher decise di vietare ai mezzi di informazione di trasmettere le voci dei dirigenti e dei militanti dell’organizzazione nordirlandese IRA, che cercava di ottenere l’indipendenza dell’Irlanda del Nord attraverso la lotta armata, e del partito Sinn Fein che difendeva quella scelta. La tesi del governo era che non dovesse essere data occasione di difendere o legittimare le azioni violente dell’IRA, senza arrivare a una censura vera e propria nei confronti dell’informazione.
La conseguenza persino comica fu che le televisioni iniziarono ad assoldare degli attori per doppiare le dichiarazioni – creando un prezioso indotto nel settore della recitazione – e la cui resa ebbe una tale qualità da diventare controproducente rispetto alle intenzioni del divieto: le persone del Sinn Fein sembravano troppo affascinanti e parlavano troppo bene, quindi fu chiesto ai doppiatori di peggiorare un po’ il loro lavoro.
Il divieto fu annullato dopo sei anni, nel 1994, quando l’IRA dichiarò un cessate il fuoco, da cui proseguì un lungo e ancora accidentato percorso verso gli accordi di pace del 1998 e il disarmo dell’IRA nel 2005.
domenica 9 Novembre 2025
Un anno e mezzo fa la stessa redazione del Corriere della Sera si disse imbarazzata dell’insistenza con cui il giornale trovava spazi di promozione del proprio editore, spesso esibendone fotografie nei contesti più vari. La richiesta di maggiore moderazione, per evitare “che tale frequente presenza possa nuocere all’immagine del giornale ed esporlo a critiche gratuite”, continua a non essere ascoltata: questa settimana immagini e dichiarazioni di Urbano Cairo sono state pubblicate dal Corriere della Sera martedì, giovedì e ancora giovedì. Sabato poi una delegazione dell’azienda editrice RCS è stata accolta in Vaticano, e questo ha suggerito al Corriere di pubblicare altre tre foto di Cairo, una delle quali in prima pagina.
domenica 9 Novembre 2025
C’è stata una piccola e puntuale polemica tra la presidente del Consiglio e il quotidiano Repubblica, valevole di menzione – rispetto alle altre più generiche polemiche tra un governo e un giornale antigovernativo – perché la sua concretezza permette più facilmente di farsi un’idea sull’accuratezza delle ricostruzioni dell’una e dell’altra parte, e sulle ragioni e i torti. Repubblica ha riferito di alcuni operai al lavoro su un ponteggio senza il rispetto delle norme di sicurezza richieste: l’edificio su cui lavoravano ospita degli uffici del governo. “A parere dell’ex direttore dell’Ispettorato nazionale, «basterebbe vigilare per scoprire che la regola è non essere in regola. Ma a far mettere un casco basta poco, se si vuole». Per il governo, ieri pomeriggio nessuno vigilava”, concludeva l’articolo. Giorgia Meloni ha risposto che l’edificio non è di proprietà del governo, che è estraneo ai lavori in corso, e che “dispiace constatare, ancora una volta, la decisione di alcuni organi di informazione di pubblicare notizie senza fondamento e che accusano il Governo di gravi violazioni di legge”. Repubblica ha quindi controrisposto che “Abbiamo denunciato la violazione – peraltro senza mai attribuirla all’inquilino di palazzo Chigi – di norme sulla prevenzione degli infortuni”.
domenica 9 Novembre 2025
Un articolo del New York Times ha indagato e descritto alcuni dei modi con cui le redazioni americane stanno usando i software di “intelligenza artificiale”. Quello che emerge dall’articolo è l’attuale difficoltà di trovare un equilibrio tra opportunità di ottimizzazione delle risorse ed efficienza da una parte, e conservazione delle qualità del lavoro umano (ma anche di conservazione dei posti di lavoro) e diffidenze degli utenti dall’altra.
domenica 9 Novembre 2025
La società automobilistica BYD ha comprato pagine pubblicitarie su alcuni quotidiani, nei giorni scorsi: tra questi il Corriere della Sera, che due giorni dopo ha pubblicato un’intervista alla vicepresidente di BYD. Sempre il Corriere della Sera ha ospitato martedì un’intervista di una pagina all’amministratore delegato della società petrolifera ENI, a poche pagine di distanza da un’inserzione pubblicitaria di ENI (che è forse il maggiore inserzionista pubblicitario sui principali quotidiani nazionali, e ne riceve ininterrotte e acritiche disponibilità).
domenica 9 Novembre 2025
Nelle scorse settimane tutti i mezzi di informazione hanno molto raccontato (ne ha parlato lateralmente anche lo scorso Charlie) il polemico e agguerrito confronto tra la trasmissione televisiva Report – con la assidua alleanza del quotidiano Il Fatto – e il Garante per la protezione dei dati personali, con la assidua alleanza della maggioranza di governo. Un aspetto della storia di questi ultimi giorni, che riguarda il giornalismo, è l’accusa di conflitto di interessi che il Fatto ha rivolto sabato a uno dei componenti del collegio del Garante, Guido Scorza: accusa effettivamente sfuggente, molto vivace nella titolazione e più cauta e confusa nell’articolo (che a un certo punto arriva a riassumere la storia raccontata con la frase “Sicuramente è tutto regolare e trasparente”). Scorza (che ebbe un blog sul Fatto) ha ribattuto nel suo podcast nel merito, contestando molto gli approcci dell’articolo e chiedendo scuse al giornale.
domenica 9 Novembre 2025
La ex responsabile della sezione delle lettere del Washington Post – Alyssa Rosenberg – ha scritto un lungo e affascinante consuntivo della sua esperienza, per il sito di news Notus, creato due anni fa da Robert Allbritton, fondatore del sito Politico (che nel 2021 ha venduto alla multinazionale editoriale tedesca Axel Springer). Rosenberg inizia il suo racconto dalla quota numerosissima di reazioni che il Washington Post ricevette quando il suo editore Jeff Bezos decise di non pubblicare un articolo di endorsement per la candidata alle elezioni presidenziali Kamala Harris, un anno fa: ma poi spiega molto altro, e soprattutto l’impressione che “gli americani soffrano la sensazione di non essere ascoltati”.
domenica 9 Novembre 2025
Abbiamo raccontato altre volte su Charlie del saldarsi di due consuetudini, quando i media stranieri parlano dell’Italia, entrambe poco utili all’accuratezza giornalistica e a un buon servizio di informazione. La prima è una quota variabile di superficialità e luoghi comuni: che troviamo ugualmente in una parte della copertura sugli esteri nei giornali italiani, e che solo in parte è legittimata da un lavoro di divulgazione presso un pubblico inevitabilmente più ignorante di quello italiano, sulle cose italiane. La seconda è un compiacimento provinciale dei soggetti citati dalla stampa internazionale, quando gli articoli sono di apprezzamento: compiacimento che a volte è appunto mal riposto, perché la competenza e il giudizio dei giornali stranieri possono essere obiettivi e lucidi come sbrigativi e incompetenti.
Quando poi gli elogi sono diretti a soggetti politici si muove tutta una macchina di propaganda interna che andrà promuovendo con esibito orgoglio gli elogi stessi e la loro presunta autorevolezza. Ma c’è poi anche una terza questione, a volte, a rendere ulteriormente strumentale e fragile questo meccanismo: ovvero il fatto che gli articoli in questione sono spesso degli articoli molto personali di autori esterni o di opinionisti, e indipendenti dalle più accurate analisi del giornale o dalla sua “linea”. È quello che è successo giovedì con un articolo ospitato sul quotidiano britannico Financial Times , e intitolato “L’Europa dovrebbe imparare dall’Italia”: l’articolo parla di politiche economiche ed è illustrato da una foto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ed è firmato dal professor Stefano Caselli, che accanto alle sue indiscutibili competenze è membro di un comitato del ministero delle Finanze del presente governo dedicato esattamente ai temi di cui scrive nel suo articolo, e corresponsabile – lo scrive – della progettazione di una legge sui mercati finanziari promossa nell’articolo stesso. C’è insomma una sensibile quota di conflitto di interessi nelle sue opinioni.
E prevedibilmente, dopo poche ore, i giornali vicini al governo (ma anche l’agenzia di stampa Agi, di proprietà della società ENI) hanno ripreso e celebrato l’articolo nei termini di un giudizio “del Financial Times“: “L’Italia che non ce l’avrebbe mai fatta, secondo le opposizioni nostrane, oggi viene indicata dal Financial Times, uno dei quotidiani economici più autorevoli al mondo, come modello per tutta l’Europa”.
domenica 9 Novembre 2025
L’agenzia di stampa Nova ha interrotto la collaborazione di un giornalista contestandogli di avere rivolto una domanda su Israele “tecnicamente sbagliata” alla portavoce della Commissione europea.
“Un paio di settimane dopo, il 27 ottobre, Nunziati ha ricevuto una lettera con cui Agenzia Nova interrompeva il rapporto di collaborazione. Intervistato da Fanpage, Nunziati ha detto che nei giorni successivi alla domanda aveva ricevuto diverse telefonate dai suoi capi, con toni che ha definito «abbastanza tesi». Il video della domanda nel frattempo aveva infatti iniziato a circolare molto online, ricondiviso da chi riteneva che mostrasse in maniera molto efficace la disparità tra come le due questioni – la guerra a Gaza e quella in Ucraina – vengono trattate dall’Unione Europea”.
domenica 9 Novembre 2025
Le tensioni che ribollono in diverse aziende giornalistiche internazionali intorno alle riduzioni di costi e di personale hanno avuto uno showdown piuttosto drastico nella sede newyorkese di Condé Nast, la grande multinazionale editoriale che pubblica molte famose riviste americane e le loro edizioni nazionali in altri paesi, Italia compresa. Un gruppo di dipendenti ha affrontato il responsabile delle risorse umane Stan Duncan davanti al suo ufficio per chiedergli spiegazioni sui licenziamenti in corso a Teen Vogue: Duncan si è rifiutato di parlarne, sostenendo di avere altri impegni e chiedendo che i suoi contestatori tornassero al loro lavoro. Il confronto si è chiuso così, piuttosto teso, ma l’azienda ha licenziato quattro dei partecipanti per “condotta impropria”: un fact checker del New Yorker, un giornalista di Wired, un’impiegata al digitale di Bon Appétit e uno della sezione video Condé Nast Entertainment. Le associazioni sindacali dei giornalisti hanno contestato la decisione, definendola illegale e sostenendo che sia diritto dei lavoratori chiedere spiegazioni su decisioni aziendali di quel rilievo, e lo scontro sta proseguendo.
domenica 9 Novembre 2025
Questa settimana il New York Times ha annunciato un altro invidiabile risultato di crescita: 460mila nuovi abbonamenti nell’ultimo trimestre, per un totale di oltre dodici milioni, e un obiettivo di raggiungere i quindici nel 2027. Questi annunci si susseguono da tempo, da quando l’azienda ha dedicato il suo impegno alla “transizione digitale” soprattutto sulla propria sostenibilità economica (la transizione digitale viene a volte ancora citata – nei giornali italiani – come una transizione di contenuti: ma oggi è soprattutto una transizione di modello di business, dai ricavi pubblicitari della carta a quelli degli abbonamenti alle edizioni digitali e ai servizi online). E, forte della ricchezza e qualità uniche della sua offerta (che comprende attrattive sezioni non esattamente giornalistiche, come i giochi e la cucina), il New York Times continua a esibire crescite uniche e ad arricchire la propria azienda.
In quest’occasione, però, l’annuncio ha mostrato un elemento interessante su un aspetto spesso trascurato che riguarda le comunicazioni del numero degli abbonati alle edizioni digitali di un giornale. La newsletter americana che si chiama Breaker ha notato che nel comunicato stampa esteso del New York Times è spiegato molto marginalmente che gli abbonamenti “familiari” al giornale (accessibili a più persone in un’offerta di prezzo dedicata) sono stati contati come due abbonamenti. E secondo i numeri indicati si dovrebbe trattare di circa 240mila “abbonamenti” (una piccola quota dei quali era stata aggiunta già nel trimestre precedente) che sarebbero in effetti la metà.
L’indicazione è interessante perché fa notare che il New York Times – che è una società quotata – si ritiene costretto, per quanto molto in piccolo, a dare indicazioni precise sui criteri dei suoi conteggi. La stessa cosa non vale per molte delle aziende editoriali che offrono cicliche comunicazioni del numero dei propri abbonati, senza che quei numeri abbiano nessuna certificazione o spiegazione: non viene mai detto come siano distribuiti gli abbonamenti in termini di offerte e prezzi diversi, di durata, o anche semplicemente quanti di quegli abbonamenti contemplino il rinnovo automatico oppure andranno a scadenza in un futuro prossimo. E questo rende fragili le valutazioni sul valore reale dei numeri comunicati e gli eventuali paragoni tra i risultati di una testata e l’altra.
domenica 9 Novembre 2025
Lunedì una persona è stata ferita gravemente con un coltello in una piazza centrale e affollata di Milano. Lo spazio dato a questa storia dai giornali è un buono spunto per considerare i fattori che fanno considerare un fatto “una notizia”. Bisogna innanzitutto premettere che nessuna regola è mai universale ed esauriente: per un lavoro che si occupa di restituire la realtà e la sua complessità non si possono stabilire schemi; è un lavoro di eccezioni continue e di variabili decisive, di apparenti incoerenze, di pesi e misure diverse, per definizione. Detto questo, il grosso delle “notizie” è inseribile in due diverse tipologie di fatti: quelli che – eccezionali o normali – raccontano una storia più grande, fanno capire un fenomeno, una tendenza, una realtà; e quelli che non raccontano che se stessi, senza “significare” altro, ma la cui straordinarietà li rende una storia di per sé.
Il primo caso è quello che a volte smentisce il superficiale modo di dire del giornalismo per cui “cane morde uomo non è una notizia, uomo morde cane è una notizia”: molti fatti sono infatti una notizia proprio perché ripetuti, prevedibili, consueti, e in questa consuetudine c’è una descrizione di realtà più estese. Se poi a illustrare una realtà poco nota è un fatto inatteso e spiazzante, l’attenzione è ancora maggiore. Tra gli esempi degli scorsi giorni ci sono le indagini sulle attività e sulle chat delle sedicenti “femministe”: un’indagine singolare, con commenti e conversazioni impressionanti di per sé, che a loro volta sono dentro le questioni della “cancel culture”, della violenza sui social, persino delle derive di alcuni “femminismi”.
Ci sono poi singole storie che, invece, raccontano e mostrano soprattutto la loro eccezionalità. L’uccisione di una donna in cui un fattore decisivo è la cultura possessiva e violenta degli uomini ha per questo implicazioni diverse rispetto a molti omicidi per ragioni singolari e che non sono esemplari di niente, che pure ottengono attenzioni perché un omicidio è comunque un fatto eccezionale. Il furto del Louvre racconta ai francesi anche dei limiti di sicurezza al Louvre, ma per i lettori italiani non ha niente da spiegare sulla contemporaneità e sul mondo. Però è una storia.
Molti giornali cercano continuamente di configurare fatti di questo secondo genere in un contesto che li faccia diventare del primo: cercano di dire a chi legge “guardate che questa cosa è importante! Non è un fatto raro e singolare, deve mettervi in allarme, preoccuparvi, o stupirvi, perché mostra mondi e fenomeni che non conoscevate!”. Per molti giornali una parte del lavoro è creare attenzione, aumentarla, attirarla: individuare – a volte con ragioni, altre no – responsabilità, percorsi, problemi, evidenziati dalla singola storia.
L’aggressione a Milano è stata immediatamente incasellata nel “problema della sicurezza a Milano”, narrazione usata a scopo di propaganda da alcune parti politiche e a scopo di raccolta di attenzione da alcuni approcci giornalistici (non è importante qui il suo reale fondamento).
Quello che però è risultato quasi subito è che quella peculiare storia non racconta niente della sicurezza a Milano: può avvenire (e avviene, purtroppo) in qualunque altra città italiana che una persona con problemi di salute mentale sia violenta e pericolosa con estranei senza ragioni personali. Sarebbe stato corretto reindirizzare altrettanto allarme e spiegazioni verso i problemi di salute mentale e verso la loro cura, capire se l’eccezionalità del fatto possa essere ricondotta a comprendere meglio quegli ambiti. Qualcuno l’ha fatto, qualcuno molto poco, perché questo è un problema che purtroppo allarma meno, e non sembra riguardare tutti come la sicurezza pubblica: nel frattempo però era stato dato un contributo a una descrizione di realtà con cui quel fatto non ha niente a che fare.
Succede spesso, nella fretta di dare notizie e attrarre maggiori attenzioni, che ricostruzioni del loro percorso e contesto siano offerte a lettori e lettrici – interviste al sociologo, accuse contro determinate mancanze, analisi affrettate – prima di saperne abbastanza. Poi la notizia diventa un’altra cosa, ma quel racconto della realtà è stato assorbito.
Fine di questo prologo.
domenica 2 Novembre 2025
La rassegna stampa del Post, “I giornali spiegati bene” sarà il prossimo sabato al Circolo dei lettori di Torino con Luca Sofri e Luca Misculin.
domenica 2 Novembre 2025
Il quotidiano gratuito Metro aveva chiuso – nella sua edizione italiana – un anno fa, dopo 25 anni: vittima delle difficoltà delle testate il cui modello di ricavo è basato solo sui ricavi pubblicitari e che faticano a convertirsi in prodotti a pagamento.
Da un anno era in corso una trattativa economica con la redazione, che si è conclusa drasticamente questa settimana, come spiega un comunicato della redazione stessa.
“Si concretizza come un incubo nella notte di Halloween e si chiude nel modo peggiore – con il licenziamento collettivo dal primo novembre di tutte e tutti i giornalisti per “cessata attività” – la vertenza del quotidiano Metro. Le pubblicazioni erano state sospese a dicembre 2024, poi è seguita la liquidazione giudiziale della società editrice New Media Enterprise da parte del Tribunale di Roma e ora si sono esauriti gli ammortizzatori sociali. Da domani saremo in disoccupazione”.
domenica 2 Novembre 2025
La Columbia Journalism Review ha intervistato Isaac Chotiner, soprannominato nel titolo “l’intervistatore assassino” per la sua capacità di mettere in difficoltà gli intervistati e ottenere che dicano cose che a volte si ritorcono loro contro. Lo fa da sette anni al New Yorker, e da intervistato racconta qui diverse cose del suo lavoro da intervistatore. E tra l’altro si parla del formato “Q&A” (questions and answers) come una scelta peculiare, mostrando a noi lettori italiani come quello che conosciamo come praticamente l’unico modo di condurre le interviste (successione di domande e risposte) sia invece per il giornalismo americano il modo non prevalente di riportare le conversazioni, che di solito sono inserite dentro articoli più contestualizzati ed estesi.
domenica 2 Novembre 2025
Martedì l’edizione quotidiana del Corriere della Sera aveva una foliazione straordinariamente numerosa – 80 pagine – perché ben 42 erano occupate da un’inserzione a pagamento della società Terna dedicata alla comunicazione per legge degli interventi su un elettrodotto sardo e delle proprietà interessate da questi interventi. Il Corriere della Sera ha quindi rimandato al giorno successivo la pubblicazione di tutta la sezione settimanale chiamata “Buone notizie”.
domenica 2 Novembre 2025
Un nuovo annuncio a pagamento di un’iniziativa della “Associazione Setteottobre” è stato pubblicato sui quotidiani Libero e Giornale questa settimana, ma non è stato proposto alle testate che avevano pubblicato il precedente e le cui redazioni avevano protestato.
Setteottobre – il cui nome si riferisce alle stragi di cittadini israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre 2023 – si occupa di combattere l’antisemitismo in Italia e in occasioni passate il suo presidente Stefano Parisi aveva accusato una parte dei giornali di complicità nella sua diffusione. Un’allusione in questo senso era presente anche in una pagina a pagamento pubblicata su diversi quotidiani, che aveva generato irritate prese di distanza da parte delle redazioni dei quotidiani Stampa e Repubblica.
domenica 2 Novembre 2025
Il quotidiano londinese Times è stato vittima di un incidente di omonimia che nei giorni scorsi ha divertito buona parte delle redazioni statunitensi. Un giornalista del Times ha avuto la curiosità di conoscere un parere dell’ex sindaco di New York Bill de Blasio sui progetti del probabile prossimo sindaco di New York Zohran Mamdani: e ha così scritto una mail a un indirizzo contenente il suo nome (non si sa se indovinandolo o trovando quello sbagliato da qualche parte). La mail è stata però ricevuta da un commerciante di vini di Long Island che si chiama Bill DeBlasio: il quale ha intuito l’equivoco ma si è divertito a rispondere lo stesso, esprimendo i suoi dubbi sulla solidità dei piani economici di Mamdani. Il Times ha pubblicato l’articolo online, e le opinioni citate hanno avuto a New York reazioni – l’ex sindaco è un sostenitore della candidatura di Mamdani – che hanno fatto scoprire al giornale lo sbaglio, e rimuovere l’articolo stesso.
La cancellazione è stata notata, e indagata da altri giornali, che hanno dapprima raccolto la versione del Times per cui il proprio giornalista era stato “ingannato” da qualcuno che si era finto l’ex sindaco de Blasio, o che ne era un imitatore; poi è stato il sito di news Semafor a parlare con l’intervistato DeBlasio, il quale ha negato di avere mai detto di essere il sindaco e ha sostenuto di avere semplicemente risposto alle domande ricevute.
Giovedì un programma di CNN ha avuto allegramente ospiti in onda entrambi gli omonimi: tutti hanno commentato increduli che il Times non avesse fatto maggiori verifiche sull’autenticità delle risposte.
(Qualche anno fa uno sbaglio simile capitò al Fatto, in Italia).
domenica 2 Novembre 2025
Da diversi mesi il quotidiano milanese ItaliaOggi – che si occupa soprattutto di economia, finanza, imprese: sul modello del Sole 24 Ore – ospita praticamente ogni giorno alcuni articoli prodotti da due altre testate giornalistiche, Open e il Riformista. Open è un sito di news fondato dal direttore del Tg La7 Enrico Mentana e diretto da Franco Bechis, mentre il Riformista è un piccolo quotidiano che si occupa soprattutto di politica ed è tornato a esistere nel 2019, diretto da Claudio Velardi. La peculiare scelta di riprodurre alcuni articoli originariamente pubblicati dalle due diverse testate – quasi sempre firmati dai due direttori Bechis e Velardi – è stata spiegata a Charlie dal direttore di ItaliaOggi Pierluigi Magnaschi come “una collaborazione a titolo gratuito basata su rapporti personali tra direttori”.
domenica 2 Novembre 2025
Charlie ha raccontato in passato la crisi di ruolo e di vendite dell’ex settimanale Time (oggi quindicinale), un tempo “il più importante newsmagazine del mondo”. E di come la sua occasione maggiore di fare notizia sia ancora il numero di fine anno sulla “Persona dell’anno”: ultimamente però le sue copertine sono tornate ad avere qualche attenzione, soprattutto grazie allo sfruttamento dell'”effetto Trump”, che crea eccitazioni intorno a ogni cosa che riguarda il presidente degli Stati Uniti. Alcune indovinate copertine sono state citate da altri giornali americani e internazionali, malgrado a volte si tratti di immagini create solo per la promozione online e non effettivamente stampate: e, a diluire ulteriormente il loro valore, altre volte si tratta delle copertine delle edizioni internazionali, non di quella originale americana.
Quella del nuovo numero – anticipata il mese scorso – era stata persino criticata da Trump stesso, malgrado Time volesse celebrare i suoi successi: ma a Trump non era piaciuto come era venuto nella foto. Per rimediare, Time ha sostituito la foto, con una assai più trionfale.
L’editore di Time ha dichiarato in più di un’occasione la sua ammirazione per il presidente.
domenica 2 Novembre 2025
Una delle cose più apprezzate della gestione del Washington Post da parte di Jeff Bezos – che aveva comprato il giornale nel 2013 – era stata la visibile autonomia lasciata alla redazione anche per quello che riguardava la copertura di aziende e interessi dello stesso Bezos: il giornale aveva criticato in più di un’occasione pratiche di Amazon o le aveva raccontate senza indulgenze.
Da un anno le cose sono molto cambiate, e l’editore ha deciso di intervenire su tutti gli approcci del Washington Post, soprattutto su quelli critici nei confronti dell’amministrazione Trump e delle sue limitazioni nei confronti della democrazia, all’interno di interessate simpatie e collaborazioni di Bezos stesso con il presidente Trump.
Adesso questa perdita di indipendenza si sta manifestando anche negli articoli della sezione degli editoriali che riguardano gli interessi di Bezos: questa settimana diversi commenti hanno notato come il conflitto di interessi non sia stato indicato ai lettori in più di un’occasione, come invece era tradizione fare (visto dall’Italia non sembra strano, abituati come siamo alla continua promozione delle aziende degli editori, senza nessuna indicazione: ma sulle testate americane autorevoli è prassi di ricordarlo ai lettori, le rare volte che capita).
In particolare è stato molto commentato un editoriale del Washington Post in difesa della criticata demolizione da parte di Trump della “East Wing” della Casa Bianca: in cui si trascurava di ricordare che Bezos è uno dei finanziatori dell’intervento. In quel caso una nota è stata aggiunta successivamente.
domenica 2 Novembre 2025
Un articolo del Wall Street Journal ha raccontato le nuove strategie di ricavo del grande gruppo editoriale internazionale Condé Nast (che possiede testate come Vogue, New Yorker, Vanity Fair, GQ, Wired, e le loro declinazioni internazionali, anche in Italia). La lettura delle mutate condizioni apre l’articolo:
“Un tempo le riviste di Condé Nast dettavano l’agenda culturale: come vestirsi, cosa cucinare, cosa guardare. Ma l’intelligenza artificiale sta trasformando il modo in cui le persone cercano e consumano l’informazione, danneggiando il traffico online di alcuni editori, e le piattaforme social come TikTok hanno sequestrato l’attenzione del pubblico.
Le riviste non possono più permettersi di fondare il proprio business sulla pubblicità tradizionale sulla carta e sul web. Condé Nast si sta dedicando a eventi spettacolari, paywall e altre fonti di ricavo, cercando di costruire un modello nuovo. “Non ci aspettiamo che la pubblicità sia un motore di crescita per questo business”, ha detto in un’intervista il CEO Roger Lynch” .
domenica 2 Novembre 2025
Sul Corriere della Sera di mercoledì Goffredo Buccini – esperto giornalista da quasi quarant’anni al Corriere – ha ragionevolmente commentato una delle molte volatili polemiche politiche che vanno e vengono ogni settimana, quella sul giudizio del “garante per la privacy” (che è un istituto collegiale, non una persona, come ingannevolmente hanno suggerito molti titoli) nei confronti del programma televisivo Report. «Una baruffa forse inutile come tutte quelle in cui ciascuna fazione resta sulla sua sponda», l’ha definita Buccini. Che però ha fatto una cosa in più, che in quei giorni non ha fatto quasi nessuno (Luigi Manconi, su Repubblica): ha affrontato il merito della questione, ovvero la contestazione contenuta in quel giudizio, valutandola fondata e considerando che Report fosse in torto.
Una ragione per cui queste “baruffe” sono inutili e volatili è che rimuovono strumentalmente i fatti: passano immediatamente sul piano delle partigianerie e dello schierarsi non con le ragioni di una o dell’altra parte ma con l’una o con l’altra parte con cui ci si schiera sempre. E sono sempre di più i giornalisti e i giornali che aderiscono a questo approccio, disarmante ma comprensibile per chi fa propaganda politica e per chi litiga al bar o sui social. Per chi dovrebbe informare, invece, solo disarmante. Negli stessi giorni c’è stata un’altra polemica, tra un parlamentare ungherese con un incarico nel governo e il quotidiano Repubblica. Il parlamentare ha sostenuto che alcuni virgolettati attribuiti da Repubblica al suo omonimo primo ministro Orbán fossero falsi. Repubblica ha ribattuto indignata di “non accettare lezioni”, e ha citato la nota inclinazione alla repressione della libertà di espressione da parte del governo ungherese. Nelle ore successive esponenti dell’opposizione italiana – avversari da tempo e con buone ragioni delle scelte repressive e antidemocratiche di Orbán – hanno protestato per l’attacco nei confronti di Repubblica, chiaramente senza aver neanche valutato le ragioni della critica. Ognuno può giudicare se il virgolettato attribuito a Orbán nel titolo dell’intervista sia coerente con quanto detto nell’intervista stessa, ma il punto qui non è chi abbia ragione o torto in questo caso (Repubblica non ha risposto “in effetti quelle paroleOrbán non le ha dette”, né ha risposto “invece sì che le ha dette”: ha parlato d’altro; Sigfrido Ranucci non ha risposto “abbiamo sbagliato a violare la privacy della persona in questione”, né ha risposto “abbiamo fatto bene a violare la privacy della persona in questione”: ha attaccato le relazioni di un membro del garante). Il punto è che le ragioni e i torti, le difese e gli attacchi, gli schieramenti e le posizioni, non dipendono più dalla verifica dei fatti, nemmeno sui giornali: con rare eccezioni. E dare ragioni di polemica e critica ai peggiori malintenzionati – che siano liberticidi ungheresi, membri interessati del garante, e via discorrendo – è il modo più fallimentare per sconfiggerli e per limitare la credibilità del buon giornalismo, come stiamo vedendo.
Fine di questo prologo.
domenica 26 Ottobre 2025
Il prossimo weekend – 1° e 2 novembre – il Post sarà a Napoli col suo evento pubblico, “Talk”, al teatro Bellini. Si parlerà di giornali e giornalismo nelle due rassegne stampa mattutine con Francesco Costa e Luca Sofri, e nella conversazione di Daniele Raineri con Arianna Cavallo sulla newsletter “Outpost”.
domenica 26 Ottobre 2025
La newsletter americana A Media Operator ha intervistato il direttore editoriale del Post sui risultati degli abbonamenti e della sostenibilità economica del giornale.
“He went on to hire a team of six twenty-somethings and launched Il Post in April 2010 with three clear goals: “One, we wanted to be accurate and build strong trust with our readers. The second was that we wanted to explain things. The third thing was to cover what was changing in Italy – contemporary things – and the future of things,” Sofri said”.
domenica 26 Ottobre 2025
L’inserzionista maggiore su Repubblica di giovedì era l’azienda di abbigliamento e accessori Herno, che aveva comprato diversi spazi in prima pagina e una pagina intera all’interno per promuovere l’apertura di un nuovo negozio a Roma. L’indomani Repubblica ha dedicato un articolo all’apertura del nuovo negozio Herno a Roma.
Il Corriere della Sera ha invece sempre più una sorta di giornale nel giornale costituito da un cospicuo numero di pagine dedicate alla raccolta pubblicitaria. Sabato un’intervista sull’intera pagina 33 promuoveva un profumo di Tom Ford (illustrata esplicitamente dal prodotto in questione), mentre le pagine 56 e 57 ospitavano una serie di articoli sulle sponsorizzazioni teatrali dell’azienda A2A. Delle 64 pagine complessive, altre tre erano occupate da articoli su prodotti, una dai successi dell’azienda ENI – maggiore inserzionista su quasi tutti i quotidiani –, sei dalla più trasparente promozione di iniziative del Corriere o di cui il Corriere è partner, una ai necrologi a pagamento, undici a inserzioni pubblicitarie vere e proprie. Portando a trentanove le pagine di contenuti giornalistici (a loro volta parzialmente occupate da altre pubblicità) e creando così una robusta fonte di sostenibilità pubblicitaria del quotidiano.
domenica 26 Ottobre 2025
Il Manifesto pubblicherà da gennaio una rivista a fumetti in vendita con il quotidiano, che si chiamerà La fine del mondo. Un numero zero viene presentato in questi giorni alla fiera Lucca Comics e sarà già in vendita a dicembre. Sabato il Manifesto ha intervistato il suo creatore, il fumettista che si firma Maicol & Mirco.
“La trovate col numero zero in anteprima assoluta a Lucca Comics & Games 2025, dal 29 ottobre al 2 novembre, Abbiamo uno stand al Padiglione Napoleone (STAND NAP109), dove avremo in dedica Bruno Bozzetto, Dottor Pira, Gipi, Maicol & Mirco, Zerocalcare, Zuzu e addirittura Shintaro Kago (anche lui autore fisso della rivista). Ci sarà anche un panel all’Auditorium San Romano il 31 ottobre alle 9:30 di mattina, dove racconteremo la rivista a tutti.
Poi La fine del mondo scomparirà per tornare in edicola a dicembre sempre con lo zero, per trasformarsi in un mensile col numero 1 a gennaio 2026.
Ah. Abbiamo iniziato col numero 0 perché è un numero che fa fico, ma sarà un vero numero completo, non un albetto striminzito. Quindi abbuffatevi da subito!”
domenica 26 Ottobre 2025
Anche questa settimana i quattro maggiori quotidiani nazionali hanno trovato occasioni e pagine per promuovere e dare spazio alle persone dei propri editori: Repubblica e Stampa celebrando John Elkann e un suo viaggio americano, il Corriere della Sera ospitando il compiacimento di Urbano Cairo per la rara e speciale vittoria della squadra di calcio di cui è presidente. Il Sole 24 Ore prosegue nella sua consuetudine di dare spazio con frequenza alle dichiarazioni del presidente di Confindustria, proprietaria del giornale, affidandole a una giornalista dedicata.
domenica 26 Ottobre 2025
Prosegue la critica del giornalista di Repubblica Francesco Merlo al trattamento della “cronaca nera” da parte dei mezzi di informazione. Nella sua rubrica di risposte alle lettere di lettori e lettrici, Merlo ne ha pubblicata una che riferiva di un servizio televisivo molto invadente e insensibile, rispondendo che “è odiosa la deriva selvaggia della cronaca nera”.
domenica 26 Ottobre 2025
Secondo un articolo della Columbia Journalism Review, le regole restrittive introdotte da Meta in Europa per limitare la diffusione sulle sue piattaforme di contenuti politici ed elettorali – scelta che riflette la tendenza dell’azienda a tenersi lontana dai guai – sarebbero così grossolane e prive di una valutazione umana da escludere anche una grossa quota di contenuti giornalistici e informativi. Limitando così sia la completezza dell’informazione online su temi di attualità, sia l’accesso dei lettori alle testate giornalistiche, già severamente ridotto da una serie di scelte delle grandi piattaforme digitali in questi anni. E confermando i rischi, per i giornali, di legare le loro sostenibilità agli algoritmi di altri soggetti.
domenica 26 Ottobre 2025
Concludendo la sua rubrica settimanale sul Fatto , il giornalista Giovanni Valentini – che ha 77 anni e nel secolo scorso è stato a lungo direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore di Repubblica, con cui ora è spesso polemico – ha sostenuto sabato che “il giornale che state leggendo continua a essere l’unico quotidiano con il segno più davanti nelle classifiche mensili sulla diffusione dei quotidiani (ADS, agosto 2025)”. Se i lettori dei dati di diffusione che Charlie riassume ogni mese li trovassero contraddittori con questa dichiarazione, è perché il dato di agosto a cui si riferisce Valentini è – si immagina – il totale della diffusione cartacea e digitale comprese le copie omaggio e quelle a prezzi scontati di oltre il 70%; mentre il dato principale pubblicato da Charlie non le conteggia, e vede il Fatto perdere il 10% delle copie su un anno prima. Ciascuno dei criteri ha pro e contro nella definizione dei risultati di un giornale (il maggior numero di lettori è favorito dal minor prezzo, i maggiori ricavi sono favoriti da un maggior prezzo).
(vale la pena citare anche la solenne conclusione dello stesso articolo di Valentini – “la condizione essenziale, a garanzia della propria indipendenza e credibilità, resta quella di non avere padroni al di fuori dei lettori” – non solo perché anche il Fatto ha ovviamente dei “padroni”, ovvero dei soci che ne possiedono le azioni e ne condizionano le scelte, ma perché la formulazione è un antico inganno retorico che trascura che i lettori siano dei “padroni” pericolosamente influenti sull’indipendenza e le scelte di un giornale che li consideri tali).
domenica 26 Ottobre 2025
Si fonderanno in un’unica cosa – dai contorni non ancora esattamente definiti – due storiche riviste musicali americane, Rolling Stone e Vibe. L’annuncio circolato finora parla di “unire le forze”.
Rolling Stone è una delle testate americane più leggendarie di sempre, identificata soprattutto per il suo rapporto con la musica e con i suoi più vivaci anni Settanta e Ottanta, ma che ha ospitato a lungo anche reportage e giornalismo di attualità e politica. Nacque nel 1967 e negli ultimi decenni ha subito le crisi di quasi tutte le riviste, sia di ruolo che economiche: il suo fondatore Jann Wenner ne ha ceduto la proprietà negli ultimi anni e oggi è posseduto dal grande gruppo editoriale Penske Media (che tra le altre cose pubblica anche Variety e lo Hollywood Reporter). Dopo essere stato per molto tempo un quindicinale, oggi è un mensile.
Vibe fu creato nel 1993 come mensile di musica e spettacolo – con attenzioni prevalenti verso la musica nera contemporanea – dal produttore musicale Quincy Jones, in collaborazione con l’azienda editoriale del newsmagazine Time. Ha avuto successivi passaggi di proprietà negli ultimi vent’anni, chiusure e rinascite, e oggi che è diventato a sua volta di Penske Media esiste solo online.
domenica 26 Ottobre 2025
Qui invece tutto il contrario: l’azienda ha rifiutato l’incontro con le preoccupate redazioni di Repubblica, Stampa, HuffPost, con la motivazione di una sua consuetudine a non commentare notizie di stampa. L’incontro era stato richiesto dopo la pubblicazione di molte ipotesi sulla vendita delle testate in questione: le redazioni hanno pubblicato un comunicato seccato e deluso dal mancato confronto.
“Questa chiusura incrina il rapporto di fiducia necessario per un confronto plurale, aperto e democratico tanto più indispensabile in un momento delicato per il destino del nostro gruppo: la mancanza di dialogo con le redazioni non fa che alimentare tensione. Nessuna sfida è possibile senza il coinvolgimento di chi ogni giorno garantisce l’uscita del giornale e dell’online con professionalità, rigore e senso di responsabilità”.
Nel frattempo un articolo del Foglio ha riferito venerdì di allarmi nel Partito Democratico rispetto alle direzioni che potrebbe prendere in una nuova proprietà Repubblica, tuttora quotidiano principale di una quota dei propri elettori. Evocando progetti di coinvolgimenti di imprenditori italiani nell’acquisto del giornale (o nella creazione di uno nuovo): progetti poco credibili, considerato che il “ci vorrebbe un nuovo quotidiano progressista” ricompare ciclicamente nelle chiacchiere degli ambienti culturali progressisti. Ciò nonostante il direttore del quotidiano Libero ha riferito sabato in prima pagina sul suo quotidiano una ancora più inconsistente conversazione sugli stessi temi con una sua fonte anonima.
domenica 26 Ottobre 2025
Dopo gli scioperi di una settimana fa contro l’assegnazione a una collaboratrice esterna di un’intervista alla presidente del Consiglio, la redazione del Sole 24 Ore ha ricevuto assicurazioni dal direttore Fabio Tamburini che non succederà più. Il verbale della riunione tra il direttore e il Comitato di redazione dice che:
“- Il Direttore si fa garante della valorizzazione delle risorse giornalistiche interne alla redazione rispetto all’utilizzo di collaboratori esterni e invita a segnalare casi in cui il principio non venga rispettato e s’impegna a intervenire tempestivamente; In particolare si impegna a farlo nelle interviste.
– Il Direttore si impegna a coprire la carica di segretario di redazione, a rinforzare la caporedazione centrale e a riorganizzare la governance della redazione online entro venerdì 24 ottobre;
– Il Direttore assicura che le prossime tre assunzioni, a valere sul piano di prepensionamenti 2025, saranno destinate alle redazioni più in difficoltà. Una assunzione sarà destinata alla redazione romana, che in questi anni ha visto solo uscite per prepensionamenti ed esodi e nessun nuovo ingresso”.
Nel frattempo la redazione ha votato contro la fiducia ai tre vicedirettori, che avevano scelto di pubblicare il quotidiano sabato della settimana scorsa malgrado lo sciopero (“sfiduciare” direttori o vicedirettori è una pratica di valore simbolico, per esprimere un dissenso: al Sole 24 Ore era già successo al direttore).
domenica 26 Ottobre 2025
L’ Internet Archive è una istituzione antica del web e di valore davvero inestimabile: è un enorme archivio online di storia trentennale, gestito da una non profit, che tra le altre cose registra e salva quantità enormi di pagine pubblicate su internet, comprese quelle dei giornali e siti di news. La sua utilità è quotidiana ed estesissima per la ricerca e l’uso di pagine – o di versioni passate di pagine – che vengono cancellate o modificate nelle loro versioni online sui siti relativi. Secondo un articolo del sito americano Nieman Lab, i costi di gestione di un impegno simile sono stati di oltre 32 milioni di dollari nel 2023, con 134 persone impiegate.
La cosa impressionante, ricorda l’articolo, è che un lavoro tanto indispensabile sia affidato a una non profit privata, con tutte le precarietà del caso. E adesso, secondo un’indagine di Nieman Lab, è successo che il numero di pagine archiviate abbia avuto negli ultimi mesi un calo enorme, confermato dai responsabili dell’Internet Archive senza spiegazioni sulle ragioni. Confermando gli allarmi sulla necessità che un simile servizio sia garantito.
domenica 26 Ottobre 2025
Proteggere Sigfrido Ranucci è una priorità e un’intenzione ovvia e condivisa. Ritirare le denunce per diffamazione che lo riguardano è una scelta che in questo momento esprimerebbe solidarietà nei suoi confronti e aiuterebbe una persona che è vittima di un attacco infame. Mentre far diventare quello che è successo un precipitoso stravolgimento delle regole sulla diffamazione sarebbe l’ennesimo caso di reazione superficiale ed emotiva a un fatto di cronaca. Non succederà, naturalmente, e tutto il dibattito in corso serve solo ad alimentare le polemiche partigiane quotidiane e le demagogie di una parte della politica e dei giornali. Inoltre, per quello che sembra finora, l’attentato a Ranucci confermerebbe che le minacce reali alla libertà di informazione in Italia vengono dalla criminalità comune o organizzata, piuttosto che dalla politica: ma ogni giorno si litiga sulla seconda e ci si occupa poco della prima, che non offre sufficienti occasioni di litigio.
Quindi si potrebbe provare a rendere un po’ più sensato e lucido il dibattito.
Ci ha provato sul Corriere della Sera, martedì, Caterina Malavenda, illustre avvocata che è spesso ospitata su quel giornale per via della sua esperienza da difenditrice dei suoi giornalisti in cause di diffamazione (quest’anno ci ha scritto un libro). Malavenda accantona la proposta ad personam che riguarda Ranucci (per ragioni di efficacia più che di correttezza) e ne fa un’altra, che sintetizza così: “Ed allora ecco una proposta semplice e risolutiva: limitare la diffamazione penalmente rilevante e i conseguenti danni risarcibili alla sola diffusione volontaria di fatti falsi, punendola severamente”.
Una prima perplessità è generata dall’espressione “fatti falsi”: la diffamazione infatti non implica la falsità di quello che è diffamante, né che si tratti di “fatti”. Si può infatti diffamare anche pubblicando fatti veri e soprattutto pubblicando opinioni, e questa definizione di Malavenda esime da responsabilità chi scriva giudizi infamanti anche molto pesanti e inaccettabili contro qualcuno. La condanna contro la prima pagina di Libero che definì “Patata bollente” Virginia Raggi non sarebbe possibile; idem per la condanna di chi chiamò Antonio Scurati “uomo di M”: difficile chiamare “fatti” – veri o falsi – quelle espressioni. Può darsi che questa sia un’intenzione di Malavenda, ma la protezione fino a questi punti della libertà d’espressione meriterebbe una discussione maggiore. Se invece quello che propone è di sottrarre a giudizi “penali” questo genere di cause, destinandole solo ai tribunali civili, la proposta ha una sua ragionevolezza: a patto che dopo non arrivi un nuovo allarme per l’uso delle richieste di risarcimenti esagerati nelle cause civili. Qualche strumento di difesa i diffamati devono conservarlo.
Perché può darsi che Malavenda abbia voluto esporre l’idea nella sbrigativa sintesi di un articolo e che ne abbia pensieri in realtà più articolati (tra l’altro, a suo onore, la sua idea le farebbe probabilmente perdere un sacco di lavoro): però la sua proposta è fin troppo “semplice e risolutiva”. E non sembra tenere conto di almeno due cose. La prima è la difficoltà del riconoscimento di cosa sia una “diffusione volontaria di fatti falsi”: che si immagina significhi la consapevolezza della loro falsità (tutte le diffusioni di fatti sono volontarie, sui giornali). Consapevolezza che sarebbe piuttosto difficile verificare e dimostrare in tribunale.
E qui c’entra anche la seconda cosa: ed è che un fattore rilevantissimo dei contenuti potenzialmente o realmente diffamanti pubblicati dai giornali italiani, o di quelli falsi (le due cose sono distinte, come abbiamo detto, ma con estese sovrapposizioni), è quella che si chiama “negligenza”. Che è un limite peculiare della cultura giornalistica nazionale, rispetto agli altri paesi (compresi gli Stati Uniti che Malavenda cita a esempio nel suo articolo, e che la negligenza la contemplano e perseguono): sono negligenza la trascuratezza nel pubblicare, la limitatezza delle verifiche, la scarsa prudenza, le scelte impulsive per ottenere attenzioni e click. C’è una frequente “irresponsabilità” nel lavoro giornalistico italiano, che deriva dalla sua storia e dalla scarsa sedimentazione di rigori presenti in altri paesi. E le regole sulla diffamazione sono anche un argine – modesto – alle conseguenze di questa irresponsabilità: che vengano usate spesso a scopo intimidatorio – soprattutto da politici, grandi aziende e magistrati: “potenti” di vario genere – è un problema da affrontare, ma limitarne la disponibilità per i realmente diffamati, e il beneficio per i lettori con aspettative di correttezza e accuratezza, non sarebbe una gran soluzione.
Fine di questo lungo prologo.
domenica 19 Ottobre 2025
Domenica scorsa abbiamo imperdonabilmente confuso degli yuan con degli yen, come ci avete fatto notare in molti. Dovremmo piantarla coi titoli che vogliono fare gli spiritosi.
domenica 19 Ottobre 2025
Il Post ha annunciato nei giorni scorsi l’uscita di due nuovi libri – di argomento molto distante tra loro – nel suo progetto editoriale di informazione giornalistica “Altrecose”, in collaborazione con l’editore Iperborea. Il reportage da Gaza dello storico francese Jean-Pierre Filiu e la ricca selezione di consigli musicali di Luca Sofri, peraltro direttore editoriale del Post.
Intanto il settimanale Internazionale – che ha già una lunga tradizione di esperimenti di prodotti cartacei collaterali – ha presentato una collana di libri destinati a pubblicare reportage giornalistici “troppo lunghi” per essere pubblicati sul giornale: chiamandoli per questo “Extra Large”, con ironica allusione alla dimensione invece ridotta per essere dei libri.
domenica 19 Ottobre 2025
Il giornalista di cronaca nera Salvatore Garzillo ha raccontato – e disegnato – sul Post il lavoro suo e dei suoi colleghi nel seguire un’indagine di grandi attenzioni da parte dei media come quella sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco.
“I giornalisti “da riporto” sono quelli che non hanno una notizia esclusiva, in mancanza di una fonte valida, e che quindi seguono il collega che ha la dritta, che ha “la carta” (l’ordinanza, per esempio), che è amico di quel generale o di quel pm.
Sono come gli stormi di storni nei cieli di Roma: sono spettacolari per i loro movimenti repentini e compatti, tuttavia sai che produrranno molta cacca, quindi meglio stargli lontano o trovare un riparo per non sporcarsi.
Spesso non c’è dolo in questa incapacità, è il frutto della frenesia della fabbrica delle notizie che impedisce a tanti di formarsi su un tema, studiare una vicenda, specializzarsi in un settore. Oggi segui l’omicidio di un boss del narcotraffico e domani la signora salvata dal suo gatto mentre la casa andava a fuoco, il giorno dopo la scritta antisemita sul muro dell’università e quello successivo i trend della fashion week”.
domenica 19 Ottobre 2025
Come ormai avviene con frequenza, alcuni degli inserzionisti pubblicitari sui due maggiori quotidiani italiani ottengono – acquistando pagine pubblicitarie – anche articoli redazionali dedicati alle campagne pubblicitarie stesse. Questa settimana è capitato sul Corriere della Sera per dare ulteriore visibilità – a distanza di due giorni – a una pubblicità dell’azienda Moncler.
domenica 19 Ottobre 2025
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (abitualmente chiamata antitrust) ha aperto un’istruttoria che ipotizza delle violazioni da parte delle comunicazioni pubblicitarie dell’azienda Philip Morris sui propri prodotti alternativi alle sigarette del brand Iqos. La notizia è stata ripresa da molti giornali e siti di news, e ha generato in molti casi lo stesso tipo di anomala reazione che aveva riguardato la settimana precedente l’inchiesta nei confronti dell’azienda Tod’s: ovvero un inconsueto spazio dedicato alle ragioni degli accusati rispetto agli argomenti dell’indagine.
Scelta rispettabile, ma che si nota essere presa soprattutto quando gli indagati sono importanti inserzionisti pubblicitari (o persino soci di un quotidiano): Philip Morris ha acquistato spesso pagine pubblicitarie, nei mesi passati, per sovvenzionare molti quotidiani (soprattutto quelli vicini alla maggioranza di governo). L’azienda non può infatti pubblicizzare i propri prodotti, per legge, e le sue pubblicità sui giornali sono dedicate a campagne di buon comportamento (venerdì, all’indomani della notizia, su Repubblica). Il testo che il quotidiano Il Giornale ha dedicato alla reazione dell’azienda è tra quelli che più permettono di notare questa accoglienza.
“Philip Morris non è rimasta muta davanti alle accuse e, immediatamente, ha risposto spiegando che, “con riferimento al provvedimento avviato da parte dell’Autorità garante in merito all’utilizzo dell’espressione senza fumo in comunicazioni legate alla nostra visione aziendale e ai nostri prodotti privi di combustione, Philip Morris Italia ritiene di aver agito sempre nel rispetto della disciplina vigente ed è convinta che la propria comunicazione sia fattuale, veritiera e pienamente coerente con la normativa italiana ed europea che associano l’assenza di fumo all’assenza di combustione”.
Effettivamente, guardando alle norme italiane, nello specifico al decreto legislativo 6/2016 che ha recepito la direttiva europea 2014/40/UE, all’articolo 2, comma 5 il prodotto del tabacco non da fumo (smokeless tobacco product nella versione in lingua inglese della Direttiva), è descritto come un prodotto del tabacco che non comporta un processo di combustione, proprio come nelle Iqos.
In questo quadro, Philip Morris è aperta a continuare a collaborare con l’Autorità nel corso del procedimento per fare emergere la piena legittimità del proprio operato. Ma non accetta giudi [sic] a priori sul fatto”.
domenica 19 Ottobre 2025
È stato molto ripreso e citato l’intervento del direttore della Stampa, Andrea Malaguti, che ha appassionatamente dissentito da una serie di oratori che lo avevano preceduto durante un convegno organizzato a Roma dall’Unione delle comunità ebraiche, in un dibattito su “La guerra raccontata dai media”. Prima di Malaguti avevano parlato altri giornalisti con posizioni, abitualmente esibite, vicine alla maggioranza di destra, e avevano accusato parte del lavoro giornalistico italiano su Gaza di indulgenze nei confronti di Hamas.
domenica 19 Ottobre 2025
Ha annunciato la “sospensione” delle pubblicazioni il fondatore e direttore del settimanale satirico livornese Il Vernacoliere, che ebbe originalità e popolarità locali soprattutto alla fine del secolo scorso ma è tuttora conosciuto anche oltre i confini toscani per le locandine di rivendicata volgarità esposte dalle edicole in molte città. Oltre alle motivazioni comunicate, non si può non notare che molti dei linguaggi polemici e offensivi che diedero attenzioni e popolarità al Vernacoliere sono stati col tempo fatti propri da diversi quotidiani nazionali: l’editoriale di prima pagina del Fatto, venerdì, era titolato “E una fettina di culo”; il titolo maggiore di Libero parlava di “bordello” ed esibiva una vignetta satirica (qualche giorno fa sempre Libero aveva preso in giro in prima pagina l’aspetto di una persona e la sua parrucchiera); il Tempo aveva un’immagine volgare simile, e un editoriale del direttore sull'”Ave Marijuana”.
domenica 19 Ottobre 2025
Sono continuate le tensioni tra la redazione e l’azienda al Tirreno di Livorno, questa settimana: la redazione ha scioperato per un secondo giorno anche lunedì, come aveva minacciato in assenza di risposte soddisfacenti da parte dell’editore. Nel frattempo il consiglio comunale di Pisa si è ufficialmente detto solidale con la redazione (il Tirreno è il maggiore quotidiano cartaceo di tutta la Toscana costiera, con redazioni in diverse città).
domenica 19 Ottobre 2025
I più fedeli lettori di Charlie ricorderanno la cinematografica storia della relazione tra la giornalista Olivia Nuzzi e l’attuale ministro della salute statunitense Robert F. Kennedy: un film non è ancora in programma ma un libro sì, e lo ha scritto lei. Nelle redazioni americane ci sono già curiosità e timori.
domenica 19 Ottobre 2025
Da oltre una settimana il quotidiano Repubblica sta approfittando della già buona intuizione – ne scrivemmo nella scorsa newsletter – di riproporre ai suoi lettori un testo che lo scrittore Alessandro Baricco aveva pubblicato sulla piattaforma Substack. Repubblica sta chiedendo quotidianamente ad autori e autrici più o meno noti di rispondere alle riflessioni di Baricco, creando così una sorta di “dibattito” che, a prescindere dalle variabili qualità degli interventi, dà una continuità all’argomento e diventa un contenuto originale del giornale a partire da uno spunto esterno.
domenica 19 Ottobre 2025
C’è stata un’improvvisa agitazione nella redazione del Sole 24 Ore , venerdì, dovuta all’annuncio della pubblicazione di una lunga intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, condotta da Maria Latella, giornalista di discreta notorietà televisiva e collaboratrice esterna del giornale. La redazione sostiene che l’intervistatrice sia stata scelta dall’intervistata, e che i propri giornalisti siano stati esautorati dal loro ruolo, e ha deciso di scioperare immediatamente, sospendendo l’aggiornamento del sito: ma la direzione ha comunque pubblicato il quotidiano del sabato con un ridotto numero di pagine. La protesta è stata spiegata in un primo comunicato sabato.
“Le giornaliste e i giornalisti del Sole 24 Ore sono in sciopero e denunciano la grave azione anti-sindacale compiuta dalla direzione che il 18 ottobre ha comunque fatto uscire in edicola il quotidiano, seppure in forma ridotta, in opposizione a quanto deliberato all’unanimità dall’assemblea.
Sabato 18 ottobre il sito web non sarà aggiornato e per le 16 è convocata una nuova assemblea. L’agitazione interviene a tutela delle professionalità della redazione. Venerdì 17 ottobre, giorno di approvazione della legge di bilancio in consiglio dei ministri, infatti è improvvisamente comparsa sulle pagine del giornale un’intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni scritta da una collaboratrice esterna. Vicenda che si era già verificata in passato e che avevamo stigmatizzato con uno sciopero delle firme.
Episodi analoghi, in altri campi, accadono anche con altri interlocutori. In questo modo si approda a una deriva distopica nella quale gli intervistati si scelgono gli intervistatori con il beneplacito del direttore”.
Sabato, poi, la redazione ha deciso di proseguire lo sciopero e oggi il quotidiano non è stato pubblicato.
“Domenica 19 ottobre il Sole 24 Ore non sarà in edicola e il suo sito web non sarà aggiornato. L’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti è tornata a riunirsi per affidare al Cdr un pacchetto di sei giorni di sciopero e un più ampio piano di agitazione che sarà declinato a partire dalla prossima settimana.
Tutto questo per protestare contro la grave condotta anti-sindacale della direzione che ha inteso far uscire comunque il numero di sabato 18 ottobre, nonostante lo sciopero proclamato all’unanimità il giorno precedente. Un fatto senza precedenti nei 160 anni di storia del Sole 24 Ore, oggi più volte e incongruamente celebrati. Un numero che conteneva l’intervista fiume alla premier Giorgia Meloni scritta ancora una volta dalla collaboratrice esterna Maria Latella, circostanza che si verifica per la seconda volta in due anni, a danno delle professionalità interne della redazione, ancora una volta mortificate”.
Nelle edizioni di domenica dei rispettivi quotidiani, le redazioni di Domani e di Repubblica si sono battaglieramente dette solidali con i loro colleghi del Sole 24 Ore.
domenica 19 Ottobre 2025
La copertura delle manifestazioni politiche di grande partecipazione è un frequente oggetto di conversazioni tra la redazione del Post e alcuni suoi lettori e lettrici. Spesso questi ultimi considerano la citazione delle suddette manifestazioni non come un servizio di informazione e comprensione della realtà, ma come una dovuta sanzione della loro presunta importanza: una sorta di ulteriore accessorio alla dimostrazione del loro successo, anche in assenza di fatti o sviluppi relativi. Mentre i criteri che il Post cerca di applicare in questi casi sono ancora giornalistici, riferendo quello che costituisce una notizia e che aggiunge informazioni alla conoscenza della realtà o genera reali o potenziali conseguenze al di fuori di una prevista e conclusa manifestazione di piazza. Un aspetto che è poi peculiare di ogni copertura giornalistica di simili manifestazioni sono i dati sulla partecipazione, oggetto da tempo persino di rituali battute, e di scetticismi sulla loro validità e credibilità.
Questioni diffuse non solo in Italia, e in occasione delle manifestazioni di sabato contro Donald Trump il New York Times ha riportato in homepage una spiegazione di come le ritenga poco significative, e di come si voglia dedicare piuttosto alla descrizione di quello che le manifestazioni sono nei fatti.
“Estimating the size of a gathering is an inexact science. There are techniques and best attempts that may approach accuracy, but determining how many people are attending an open event is difficult. And, typically that is not the focus of our reporting”.
domenica 19 Ottobre 2025
ItalyPost è una società che attraverso diversi suoi brand e aziende pubblica alcuni siti di news soprattutto veneti, si occupa dell’organizzazione di eventi pubblici e convegni, di servizi alle imprese, e ha di recente acquistato una storica rivista di libri ed editoria, L’indice dei libri del mese. La società ha dichiarato un fatturato di 3 milioni e 300mila euro nel 2024 e un utile lordo “che supera il milione”: la sua maggioranza è di proprietà del fondatore Filiberto Zovico. La maggioranza del ramo che si occupa di eventi e festival, Post Eventi, è invece stata acquisita un anno fa dal gruppo editoriale NEM, lo stesso di cui si parla abbondantemente qui sopra (la vendita ha contribuito cospicuamente all’utile).
Tre settimane fa ItalyPost ha annunciato l’intenzione di creare un nuovo quotidiano, con lo stesso nome, di cui Zovico sarà direttore. Il primo numero dovrebbe uscire il 14 gennaio 2026.
“Il 14 gennaio 2026 debutterà ItalyPost, il nuovo quotidiano nazionale che si propone come voce autorevole per raccontare l’economia reale e i territori italiani. La testata sarà disponibile in versione digitale, PDF sfogliabile e cartacea da 32 pagine, con l’obiettivo di offrire ogni giorno – dal lunedì alla domenica – analisi approfondite, inchieste e prospettive capaci di aiutare imprenditori, manager, professionisti, accademici e giovani leader a interpretare i grandi cambiamenti in corso.
Il quotidiano avrà una distribuzione nelle principali edicole di tutto il Centro-Nord del Paese con una tiratura di 12.000 copie e punta a 4.000 abbonamenti annuali, di cui 2.000 già garantiti dalla rete di imprenditori che ItalyPost ha costruito in questi anni […] L’abbonamento annuale sarà proposto a 399,99 euro, con un obiettivo iniziale di 2.000 sottoscrittori. L’edizione cartacea punta a una diffusione in edicola di almeno 1.000 copie al giorno; sul fronte pubblicitario si punterà a circa 50 inserzionisti, con un investimento medio di 20.000 euro, per un totale di circa un milione di euro annui“.
p.s. malgrado la scelta di un nome simile, le attività di ItalyPost non hanno niente a che fare col giornale online i l Post, responsabile tra le altre cose di questa newsletter.