Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 16 Novembre 2025

Offerte culturali e ambientali

Negli scambi promozionali che i due maggiori quotidiani offrono agli inserzionisti – di cui Charlie cita spesso degli esempi – si sta diffondendo un format peculiare che riguarda i brand di moda e del lusso: che acquistano pagine pubblicitarie e ottengono articoli a proposito non dei loro prodotti ma di iniziative che sostengono, e in particolare mostre d’arte. Tra venerdì e sabato sia il Corriere della Sera che Repubblica hanno ospitato in ultima pagina una pubblicità di una mostra romana su Cartier e all’interno degli estesi articoli sulla suddetta mostra. Ma sabato Repubblica dedicava articoli anche a una mostra sostenuta da Van Cleef & Arpels (frequente inserzionista), e a un museo che ospita una mostra sostenuta da Bottega Veneta.

Giovedì sul Corriere della Sera c’era una pagina di pubblicità del brand Diego M, dopo che il giornale aveva intervistato il suo fondatore la settimana precedente. Sabato un’intervista alla “deputy ceo” di Bulgari ha preceduto una pagina pubblicitaria di Bulgari, pubblicata oggi.
Nel frattempo l’azienda di combustibili fossili ENI resta un inserzionista quasi quotidiano sui maggiori giornali, ricevendone in cambio coperture benevolenti quasi quotidiane sulle proprie attività, e anche avallo alle proprie insofferenze sugli obiettivi ambientali.

«Le grandi testate non possono essere credibili nella loro copertura della crisi climatica se vengono sovvenzionate dalle società responsabili della crisi climatica», ha detto in un altro incontro pubblico al Web Summit di Lisbona il giornalista del sito The Intercept Andrew Fishman.


domenica 16 Novembre 2025

Malori collettivi

Un insignificante strano episodio alla Casa Bianca questa settimana è diventato un nuovo esempio di precipitosa pubblicazione di informazioni sbagliate, capaci di generare illazioni e dietrologie del tutto infondate. Una persona è svenuta nell’Ufficio ovale durante una comunicazione del presidente Trump sulla riduzione dei prezzi dei farmaci contro l’obesità. Ricostruzioni sbrigative hanno individuato quella persona nel dirigente di un’azienda farmaceutica di nome Gordon Findlay. Anche alcune testate italiane hanno ripreso quell’identificazione senza particolari controlli (persino indicandolo come il presidente dell’azienda): sui social network sono circolate considerazioni sospettose sul malore di un responsabile della produzione dei farmaci in questione e sullo stress che subiscono i dirigenti di quel business. In realtà la persona che è crollata a terra era un paziente invitato alla presentazione.


domenica 16 Novembre 2025

Iervolino e Casalino

Questa settimana si è parlato su alcuni quotidiani del progetto per un nuovo giornale finanziato dal produttore cinematografico 37enne Andrea Iervolino e diretto da Rocco Casalino, ex portavoce del partito M5S e noto soprattutto per la sua partecipazione alla prima edizione del programma televisivo Grande fratello. Nei mesi scorsi i due avevano sondato delle possibili acquisizioni di testate esistenti senza risultati. Sabato Repubblica ha intervistato Iervolino.


domenica 16 Novembre 2025

“American Canto”

Il 2 dicembre esce negli Stati Uniti il libro di Olivia Nuzzi: il New York Times è il primo a scriverne. Nuzzi è la giornalista che era stata protagonista di una storia di gossip, politica ed etica giornalistica un anno fa, quando si era saputo di una sua relazione con l’attuale ministro della Salute statunitense Robert F. Kennedy Jr.


domenica 16 Novembre 2025

Follow up questions

La direzione del Corriere della Sera ha risposto a tono – con un articolo sull’edizione di venerdì – al ministero degli Esteri russo che aveva accusato il giornale di censura nei confronti di un’intervista al ministro Lavrov. Il Corriere ha spiegato che le risposte scritte di Lavrov avevano aspetti di falsificazione e propaganda che richiedevano maggiori spiegazioni e confronti, che Lavrov non ha voluto concedere.
La questione di permettere quelle che in inglese si chiamano “follow-up questions” – domande che affrontino ciò che l’intervistato risponde – si sta ponendo sempre più spesso in tempi in cui diversi governi del mondo hanno comportamenti poco tolleranti del diritto all’informazione, e si sono abituati a comunicare direttamente e senza discussione attraverso i social network. Due mesi fa un’intervista a sole risposte scritte pubblicata anche su Repubblica era stata protagonista di polemiche europee.

“«Il ministero degli Esteri russo ha risposto alle domande inviate preliminarmente dal Corriere della Sera con un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche. Alla nostra richiesta di poter svolgere una vera intervista con un contraddittorio e con la contestazione dei punti che ritenevamo andassero approfonditi il ministero ha opposto un rifiuto categorico. Evidentemente pensava di applicare ad un giornale italiano gli stessi criteri di un Paese come la Russia dove la libertà d’informazione è stata cancellata. Quando il ministro Lavrov vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili»” .


domenica 16 Novembre 2025

I quotidiani a settembre

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di settembre 2025. I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 152.598 (-8%)
Repubblica 75.376 (-14%)
Stampa 52.892 (-14%)
Sole 24 Ore 47.298 (-8%)
Resto del Carlino 42.583 (-11%)
Messaggero 38.940 (-10%)
Gazzettino 29.643 (-8%)
Nazione 27.389 (-14%)
Dolomiten 24.846 (-8%)
Fatto 23.438 (-12%)
Giornale 23.364 (-11%)
Messaggero Veneto 22.119 (-4%)
Unione Sarda 19.600 (-10%)
Verità 17.779 (-15%)
Eco di Bergamo 17.629 (-11%)
Secolo XIX 17.168 (-11%)

Altri giornali nazionali:
Libero 16.386 (-10%)
Manifesto 14.565 (+10%)
Avvenire 13.493 (-6%)
ItaliaOggi 5.398 (-4%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

La media dei cali percentuali anno su anno delle prime quindici testate a settembre è del 10,4%, lo stesso dato di agosto. Rispetto a questo continuano quindi ad andare meglio il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore, ma il primo ha il suo calo più alto degli ultimi tre anni. Mentre Repubblica è tornata da cinque mesi a perdite assai maggiori della media, ma è di nuovo di poco sopra la metà delle copie del rivale Corriere: nel gruppo GEDI continua ad andare male anche la Stampa: simili dati nel gruppo Monrif per la Nazione il Giornomentre il Resto del Carlino è quasi nella media. Intanto il Manifesto continua a fare eccezione e raggiunge il numero più alto da quando Charlie li riferisce, con una crescita del 16% rispetto a due anni fa. Da due mesi ha superato Avvenire e comincia ad avvicinarsi a Libero. Tra i giornali locali continua a perdere di più il Tirreno di Livorno (-13%), ma questo mese fa peggio la Gazzetta di Parma (-14%).

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che come diciamo sempre dovrebbero essere “la direzione del futuro” – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 40mila, il Sole 24 Ore più di 32mila, il Fatto più di 29mila, Repubblica quasi 17mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa, e quelle tra parentesi sono invece le variazioni degli abbonamenti superscontati di cui abbiamo detto.

Corriere della Sera 47.418, +4,7% (-14,2 %)
Sole 24 Ore 21.431, -3,2% (-2,7 %)
Repubblica 17.263, -20,2% (+8,4 %)
Manifesto 8.111, +12,3% (non offre abbonamenti superscontati)
Stampa 6.576, -2,6% (-4,7 %)
Fatto 6.060, -3,5% (+9,2 %)
Gazzettino 5.545, -0,7% (+2,8 %)
Messaggero 5.292, -0,7% (+5,8 %)

I dati sono piuttosto discontinui, ma ancora piuttosto deludenti rispetto alle necessità e opportunità di crescita di questa fonte di ricavo: che è invece la più promettente tra le testate internazionali negli ultimi anni. Pur nell’ambito di crescite piccole e lontane dal compensare le perdite di copie cartacee, anche qui va meglio il Corriere della Sera che sta un po’ attenuando la sproporzione tra abbonamenti pagati e abbonamenti superscontati. Mentre vale il contrario per Repubblica, che questo mese perde un numero davvero cospicuo di abbonati. C’è poi anche qui il caso unico e ammirevole del Manifesto, che rispetto a un anno fa aumenta gli abbonamenti digitali di una misura che rassicurerebbe qualunque testata. Le perdite annuali degli abbonamenti digitali sono compensate in alcuni casi dalle crescite degli abbonamenti molto scontati: il cui valore è impossibile da sintetizzare, data la varietà delle promozioni e degli sconti: ci sono in questo dato abbonamenti pagati anche 150 euro come altri in offerte a pochi euro.

È quindi migliore di quel che sembra il dato del Fatto, che da mesi sta facendo crescere i suoi abbonamenti scontati: che non raggiungono i prezzi quasi inesistenti di altri giornali, e un ricavo più sensibile lo generano.
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente ancora più economici – ai contenuti dei loro siti web.

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)

*Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore più grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.


domenica 16 Novembre 2025

Da manuale

Questa settimana si è tenuto a Lisbona uno dei più grossi eventi mondiali sull’innovazione digitale, Web Summit, e oltre a una giornata separata dedicata al giornalismo – di cui scriviamo nel prologo – ci sono stati alcuni incontri pubblici con importanti dirigenti del mondo dei media giornalistici. In uno di questi la CEO del network americano NPR Katherine Maher ha intervistato l’editore del New York Times A.G. Sulzberger, che è tornato sugli allarmi a proposito della libertà di stampa di cui aveva parlato in un paio di occasioni nell’ultimo anno. E ha elencato i cinque approcci “da manuale” dei regimi autoritari che secondo lui stanno venendo applicati anche negli Stati Uniti.

1. Diffondere sfiducia nei confronti delle organizzazioni giornalistiche indipendenti e legittimare le intimidazioni contro i giornalisti.
2. Usare i tribunali civili per mettere i giornali sotto pressione economica.
3. Usare come armi contro i giornali le istituzioni legali e regolatorie: le protezioni dei consumatori, le leggi sui diritti civili, le norme sulle telecomunicazioni.
4. Incentivare gli alleati ricchi e potenti ad attaccare a loro volta i giornali.
5. Usare il potere non solo per perseguitare i giornalisti indipendenti ma anche per premiare i media partigiani disponibili a sostenere la narrazione ufficiale.


domenica 16 Novembre 2025

I sostegni pubblici al Tirreno

La redazione del Tirreno, quotidiano livornese, è tornata a contestare la proprietà attraverso un comunicato. L’occasione stavolta è stata la pubblicazione di una pagina a pagamento su diversi quotidiani da parte della federazione degli editori, per chiedere maggiori sostegni economici al governo. I giornalisti e le giornaliste del Tirreno ritengono che il proprio editore – il gruppo SAE – non sia coerente con quello che si sostiene in quella richiesta.

“Un appello sottoscritto e promulgato anche da un’impresa editoriale, Sae Toscana e Gruppo Sae, che ha fatto dei tagli la sua principale politica aziendale. Ricordiamo che Il Tirreno è – con grande sacrificio dei suoi lavoratori – in regime di cassa integrazione da ormai quasi cinque anni, accede sistematicamente a stati di crisi.
Negli scorsi mesi ha ottenuto circa 900mila euro come contributo per le copie vendute (carta e web) riferiti al 2023, oltre a sgravi di varia natura (a partire da quelli per l’acquisto della carta). L’apporto di sostegni pubblici, quindi, non è mai mancato a fronte, però, di mancati investimenti e di veri piani di rilancio. Appare inoltre incredibile un appello dalle pagine del nostro giornale per “un’informazione radicata nei territori” a fronte di un continuo – paventato o attuato – arretramento dai territori (anche da quelli “storici”)”.


domenica 16 Novembre 2025

Più pubblicità per chi si abbona

Da qualche tempo i due maggiori quotidiani italiani, titolari di due delle tre maggiori quote di abbonamenti alle proprie versioni digitali, hanno cominciato ad aggiungere ulteriori contenuti pubblicitari a quelle versioni, che si sommano a quelli ospitati nelle edizioni cartacee. Il Corriere ha in particolare introdotto una sorta di spot “interstitial” che appaiono ogni tanto passando da una pagina all’altra del quotidiano digitale; mentre Repubblica aggiunge direttamente pagine ulteriori alla “foliazione”, che accolgono promozioni esterne o di prodotti dell’azienda.
L’idea è da una parte un proficuo arricchimento delle entrate pubblicitarie, dall’altra un peggioramento dell’offerta per gli abbonati alle edizioni digitali (vero è che le pagano meno del giornale cartaceo). E in più conferma ulteriormente come la priorità di ricavo maggiore nelle testate tradizionali italiane sia tuttora la pubblicità piuttosto che il valore degli abbonamenti pagati.


domenica 16 Novembre 2025

La fine della Taz di carta

Il 17 ottobre scorso il quotidiano tedesco Die Tageszeitung, conosciuto soprattutto come Taz, ha smesso di stampare l’edizione cartacea feriale. Dal lunedì al venerdì esiste solo in digitale tramite sito, app e e-paper (la versione digitale del cartaceo, quella che mantiene layout, articoli, foto e pubblicità in pagine da sfogliare). La Taz continuerà a pubblicare in formato cartaceo solo un’edizione del weekend che esce il sabato, la WochentazNonostante la quasi totale transizione digitale la Taz mantiene un sito web non protetto da paywall: gli articoli sono accessibili gratuitamente e il sostegno economico è volontario (a partire da 5 euro al mese). Mentre sono in abbonamento le edizioni digitali quotidiane e quella cartacea e digitale del weekend. La Taz è nata nel 1978 a Berlino ed è diventata il quotidiano “storico” della sinistra ambientalista tedesca: la proprietà è di una cooperativa di dipendenti e sostenitori.


domenica 16 Novembre 2025

Sempre peggio in Ungheria

A cinque mesi dalle elezioni parlamentari in Ungheria, il gruppo mediatico ungherese Indamedia ha acquisito il ramo locale della società editoriale svizzera Ringier, che possiede il tabloid Blikk, uno dei giornali più letti del paese, sia online che su carta. Blikk è un tabloid sensazionalistico e ricco di gossip, ma si è occupato anche di inchieste giornalistiche, sul modello di alcuni tabloid britannici. La notizia della cessione ha generato molte proteste e tensioni, perché uno dei due proprietari di Indamedia è Miklós Vaszily, manager e imprenditore vicino al governo del primo ministro Orbán, notoriamente repressivo nei confronti della libertà di informazione e delle opposizioni.
Il Post ha raccontato meglio la storia:

“Sulla Columbia Journalism Review l’ex direttore Zsolt Nagy l’ ha spiegata con una vecchia battuta ungherese, secondo cui gli operai di una fabbrica sovietica di lavatrici finiscono sempre per produrre anche mitra Kalashnikov: «Con la stessa logica, i giornali ungheresi comprati dai compari d’affari di Orbán finiscono sempre per riecheggiare la propaganda del governo».
Zsolt Nagy spiega al Post che le ultime acquisizioni sono particolarmente strategiche per l’impero mediatico filogovernativo. «Non saranno la spina dorsale della propaganda, ma ne faranno una più soft, e quindi più efficace». Fa l’esempio di un’intervista data in esclusiva da Orbán a Blikk dopo l’acquisizione, sul significato di alcuni disegni che aveva fatto durante una trasmissione tv e che erano diventati motivo di curiosità. «È un modo per stare nella testa delle persone senza parlare dei problemi del paese»”.


domenica 16 Novembre 2025

Mentre fuori c’è tempesta, dentro c’è tempesta

Si sono di nuovo complicate le trattative tra la federazione degli editori di giornali italiani e il sindacato dei giornalisti, a proposito del rinnovo del contratto giornalistico. Non una condizione ideale per affrontare in modo solidale i pericoli e i problemi correnti per le aziende giornalistiche. Il contratto è scaduto da ben nove anni, e tutto quello che è successo nel frattempo ha generato approcci e richieste conflittuali tra le parti, come avevamo spiegato già qualche mese fa:

Il sindacato sostiene che l’aumento dell’inflazione richieda una revisione degli aspetti economici del contratto, e che gli utili prodotti dalle aziende giornalistiche italiane (da alcune di loro, nei fatti) grazie ai contributi pubblici e alle riduzioni dei costi debbano essere in parte ridistribuiti verso i giornalisti e verso investimenti su nuove assunzioni e sulla riduzione del precariato. Gli editori, invece, sostengono che tutto sia cambiato – sia in termini di disponibilità di risorse che di funzionamento del lavoro e del sistema dell’informazione – e sia necessario attenuare alcune norme che loro ritengono rigidità eredi di periodi più floridi e assai diversi. In più, c’è un singolare dissenso sulla regolamentazione dell’uso delle “intelligenze artificiali”, regolamentazione che gli editori temono di vedere presto superata e che limiti delle opportunità”.

Adesso c’è stato un nuovo scambio di accuse, soprattutto sulle richieste economiche. Il sindacato dei giornalisti ha proclamato uno sciopero per il 28 novembre, la federazione degli editori ha risposto indignata sostenendo di avere concesso molto.

“Nell’ultimo decennio gli editori, nonostante il dimezzamento dei ricavi che in tutto il mondo ha colpito la carta stampata, hanno significantemente [sic] investito nelle aziende per garantire una informazione di qualità e per salvaguardare l’occupazione.
In tale contesto, il contratto di lavoro dei giornalisti è fermo a modelli organizzativi superati dall’evoluzione tecnologica: la rigidità economica e normativa, nonché l’onerosità ed anche la presenza di situazioni paradossali – come il pagamento delle ex festività abrogate da una legge del 1977 – impongono modifiche significative.
In questi anni, comunque, il costoso sistema degli scatti in percentuale previsto dal contratto – oramai un unicum – ha sostanzialmente garantito il potere d’acquisto dei giornalisti.
Nonostante l’assenza di disponibilità da parte sindacale a innovare in alcun modo le norme contrattuali, le aziende editoriali hanno formulato un’offerta economica importante.
Gli editori ritengono, pertanto, poco costruttiva la posizione della FNSI di respingere la proposta e proclamare uno sciopero in un contesto difficile come quello attuale e, facendo appello al senso di responsabilità dei giornalisti, confidano in un più realistico confronto sulle sfide che investono oggi il mondo dell’editoria e la professione giornalistica”
.


domenica 16 Novembre 2025

Il guaio BBC con Trump

Nel frattempo, dal punto di vista giornalistico, il Telegraph è stato all’origine della vicenda più clamorosa della settimana, per il business giornalistico internazionale: le dimissioni del direttore generale e di un’altra dirigente di BBC, la grande azienda pubblica di media e informazione britannica. È stato un articolo del Telegraph a rivelare le forzature in un servizio di BBC su Donald Trump, rivelazioni che hanno fatto precipitare le cose. Il Post ha raccontato tutta la questione:

“La BBC sta vivendo una delle peggiori crisi della sua storia recente. Le dimissioni di due dei suoi più importanti dirigenti, il direttore generale Tim Davie e la responsabile della divisione news Deborah Turness, sono il risultato dell’ultimo caso, quello legato al montaggio fuorviante di un discorso del presidente statunitense Donald Trump. Ma negli ultimi anni scandali e polemiche intorno all’emittente pubblica britannica sono stati frequenti, così come le accuse, provenienti soprattutto dalla destra britannica, di essere strutturalmente di parte e di proporre una visione del mondo troppo progressista e di sinistra”.

Giovedì BBC ha chiesto scusa a Trump per il montaggio ingannevole delle sue frasi il giorno dell’assalto al Campidoglio, ma ha insistito che le ipotesi di una richiesta di danni da parte dello stesso Trump non abbiano alcun fondamento. Venerdì Trump ha detto ad alcuni giornalisti che presenterà una denuncia chiedendo un risarcimento “tra un miliardo e cinque miliardi di dollari”. Nel frattempo il Telegraph ha raccontato che un simile montaggio scorretto era stato trasmesso anche in un altro programma di BBC.


domenica 16 Novembre 2025

Daccapo al Telegraph

Sono tornate al punto di partenza le prospettive del quotidiano inglese Daily Telegraph: era stato messo forzatamente in vendita due anni fa per affrontare gli enormi debiti della società che lo possedeva. Data la sua importanza nel contesto dell’informazione britannica e il suo ruolo nel rappresentare buona parte dell’elettorato e della politica conservatrice, gli interessi all’acquisto erano stati molti. La prospettiva più concreta però aveva agitato il giornale e la politica, perché uno dei fondi coinvolti nell’acquisto aveva forti legami con il governo degli Emirati arabi: e si era arrivati ad approvare una legge che impedisce il possesso di media nazionali a società in diretta relazione con governi stranieri. L’offerta era stata riconfezionata ridimensionando il ruolo del fondo in questione all’interno di un gruppo di investitori: ma nelle scorse settimane sono stati messi in discussione i legami con la Cina di un altro fondo coinvolto, e la redazione e la direzione erano tornati a contestare l’accordo previsto. Fino a che venerdì il fondo RedBird ha annunciato il proprio ritiro dall’accordo per l’acquisto.
Tutta la storia era stata riassunta nella sua newsletter dall’ex direttore del Financial Times Lionel Barber, che aveva trovato delle ipocrisie nella vicenda.


domenica 16 Novembre 2025

Prologo, il mondo e Città di Castello

A margine di uno dei più grandi eventi mondiali dedicati all’innovazione digitale, il Web Summit di Lisbona, si è tenuta lunedì scorso una giornata di incontri dedicati al giornalismo, un convegno a cui hanno partecipato circa 150 persone, compresi i direttori, direttrici, CEO e massimi dirigenti di alcune delle maggiori aziende giornalistiche mondiali: tra gli altri Guardian, Atlantic, Le Monde, Time, NPR, Süddeutsche Zeitung, Al Jazeera, Sky News, Economist, Axios, Independent, Kyiv Post, Axios.
Sei di questi tredici sono donne. Il programma si è aperto con un “panel” i cui partecipanti hanno rispettivamente 32, 23 e 40 anni. Non c’era nessuno di un giornale italiano, a parte l’inviato di questa newsletter.

Negli stessi giorni degli incontri di Lisbona in Italia è stato promosso un convegno sul giornalismo dal titolo “Editoria e informazione: carta, digitale, e poi?”. Il convegno era organizzato dal quotidiano Corriere dell’Umbria del gruppo Polimedia della famiglia Polidori, la quale deve le sue fortune alla formazione professionale (CEPU) e che ha comprato la testata nel 2022 dalla famiglia Angelucci (che possiede tuttora i quotidiani Libero, Giornale e Tempo). Il convegno si è tenuto giovedì a Città di Castello, nella sede dell’università privata posseduta dei proprietari del quotidiano, e ha ospitato diversi direttori di giornali e amministratori delegati di aziende giornalistiche. Nel manifesto promozionale comparivano 52 nomi: 45 uomini e 7 donne. Solo tre di loro avevano meno di 50 anni: il frate Giulio Cesareo (47), la conduttrice radiofonica Ema Stokholma (41) e l’amministratore delegato del sito di news Lettera43 Marco Feriolì (32). L’età media complessiva dei partecipanti era di 61 anni. Accanto agli ospiti giornalisti e dirigenti di aziende giornalistiche erano elencati un sottosegretario, un senatore, un prefetto, due presidenti di regione, tre rettori, due presidenti del Corecom, un presidente dell’Agcom. Il panel “La sfida di raccontare il futuro” era affidato a sei giornalisti maschi (Maurizio Belpietro della Verità, Tommaso Cerno del Tempo, Pietro Senaldi di Libero, Luca Telese del Centro, Claudio Rinaldi della Gazzetta di Parma, Massimo Martinelli del Messaggero) tutti sopra i cinquant’anni.

Fine di questo prologo.


domenica 9 Novembre 2025

The Ban

Il sito del New Yorker ha pubblicato un breve documentario sull’eccezionale storia di quando il governo britannico guidato da Margaret Thatcher decise di vietare ai mezzi di informazione di trasmettere le voci dei dirigenti e dei militanti dell’organizzazione nordirlandese IRA, che cercava di ottenere l’indipendenza dell’Irlanda del Nord attraverso la lotta armata, e del partito Sinn Fein che difendeva quella scelta. La tesi del governo era che non dovesse essere data occasione di difendere o legittimare le azioni violente dell’IRA, senza arrivare a una censura vera e propria nei confronti dell’informazione.
La conseguenza persino comica fu che le televisioni iniziarono ad assoldare degli attori per doppiare le dichiarazioni – creando un prezioso indotto nel settore della recitazione – e la cui resa ebbe una tale qualità da diventare controproducente rispetto alle intenzioni del divieto: le persone del Sinn Fein sembravano troppo affascinanti e parlavano troppo bene, quindi fu chiesto ai doppiatori di peggiorare un po’ il loro lavoro.
Il divieto fu annullato dopo sei anni, nel 1994, quando l’IRA dichiarò un cessate il fuoco, da cui proseguì un lungo e ancora accidentato percorso verso gli accordi di pace del 1998 e il disarmo dell’IRA nel 2005.


domenica 9 Novembre 2025

Urbano Cairo riceve il Papa in Vaticano

Un anno e mezzo fa la stessa redazione del Corriere della Sera si disse imbarazzata dell’insistenza con cui il giornale trovava spazi di promozione del proprio editore, spesso esibendone fotografie nei contesti più vari. La richiesta di maggiore moderazione, per evitare “che tale frequente presenza possa nuocere all’immagine del giornale ed esporlo a critiche gratuite”, continua a non essere ascoltata: questa settimana immagini e dichiarazioni di Urbano Cairo sono state pubblicate dal Corriere della Sera martedì, giovedì e ancora giovedì. Sabato poi una delegazione dell’azienda editrice RCS è stata accolta in Vaticano, e questo ha suggerito al Corriere di pubblicare altre tre foto di Cairo, una delle quali in prima pagina.


domenica 9 Novembre 2025

Repubblica e Meloni

C’è stata una piccola e puntuale polemica tra la presidente del Consiglio e il quotidiano Repubblica, valevole di menzione – rispetto alle altre più generiche polemiche tra un governo e un giornale antigovernativo – perché la sua concretezza permette più facilmente di farsi un’idea sull’accuratezza delle ricostruzioni dell’una e dell’altra parte, e sulle ragioni e i torti. Repubblica ha riferito di alcuni operai al lavoro su un ponteggio senza il rispetto delle norme di sicurezza richieste: l’edificio su cui lavoravano ospita degli uffici del governo. “A parere dell’ex direttore dell’Ispettorato nazionale, «basterebbe vigilare per scoprire che la regola è non essere in regola. Ma a far mettere un casco basta poco, se si vuole». Per il governo, ieri pomeriggio nessuno vigilava”, concludeva l’articolo. Giorgia Meloni ha risposto che l’edificio non è di proprietà del governo, che è estraneo ai lavori in corso, e che “dispiace constatare, ancora una volta, la decisione di alcuni organi di informazione di pubblicare notizie senza fondamento e che accusano il Governo di gravi violazioni di legge”. Repubblica ha quindi controrisposto che “Abbiamo denunciato la violazione – peraltro senza mai attribuirla all’inquilino di palazzo Chigi – di norme sulla prevenzione degli infortuni”.


domenica 9 Novembre 2025

Tutto molto da capire

Un articolo del New York Times ha indagato e descritto alcuni dei modi con cui le redazioni americane stanno usando i software di “intelligenza artificiale”. Quello che emerge dall’articolo è l’attuale difficoltà di trovare un equilibrio tra opportunità di ottimizzazione delle risorse ed efficienza da una parte, e conservazione delle qualità del lavoro umano (ma anche di conservazione dei posti di lavoro) e diffidenze degli utenti dall’altra.


domenica 9 Novembre 2025

Pacchetti

La società automobilistica BYD ha comprato pagine pubblicitarie su alcuni quotidiani, nei giorni scorsi: tra questi il Corriere della Sera, che due giorni dopo ha pubblicato un’intervista alla vicepresidente di BYD. Sempre il Corriere della Sera ha ospitato martedì un’intervista di una pagina all’amministratore delegato della società petrolifera ENI, a poche pagine di distanza da un’inserzione pubblicitaria di ENI (che è forse il maggiore inserzionista pubblicitario sui principali quotidiani nazionali, e ne riceve ininterrotte e acritiche disponibilità).


domenica 9 Novembre 2025

Il Fatto e Scorza

Nelle scorse settimane tutti i mezzi di informazione hanno molto raccontato (ne ha parlato lateralmente anche lo scorso Charlie) il polemico e agguerrito confronto tra la trasmissione televisiva Report – con la assidua alleanza del quotidiano Il Fatto – e il Garante per la protezione dei dati personali, con la assidua alleanza della maggioranza di governo. Un aspetto della storia di questi ultimi giorni, che riguarda il giornalismo, è l’accusa di conflitto di interessi che il Fatto ha rivolto sabato a uno dei componenti del collegio del Garante, Guido Scorza: accusa effettivamente sfuggente, molto vivace nella titolazione e più cauta e confusa nell’articolo (che a un certo punto arriva a riassumere la storia raccontata con la frase “Sicuramente è tutto regolare e trasparente”). Scorza (che ebbe un blog sul Fatto) ha ribattuto nel suo podcast nel merito, contestando molto gli approcci dell’articolo e chiedendo scuse al giornale.


domenica 9 Novembre 2025

Ascoltare

La ex responsabile della sezione delle lettere del Washington Post – Alyssa Rosenberg – ha scritto un lungo e affascinante consuntivo della sua esperienza, per il sito di news Notus, creato due anni fa da Robert Allbritton, fondatore del sito Politico (che nel 2021 ha venduto alla multinazionale editoriale tedesca Axel Springer). Rosenberg inizia il suo racconto dalla quota numerosissima di reazioni che il Washington Post ricevette quando il suo editore Jeff Bezos decise di non pubblicare un articolo di endorsement per la candidata alle elezioni presidenziali Kamala Harris, un anno fa: ma poi spiega molto altro, e soprattutto l’impressione che “gli americani soffrano la sensazione di non essere ascoltati”.


domenica 9 Novembre 2025

Ask the oste how is the wine

Abbiamo raccontato altre volte su Charlie del saldarsi di due consuetudini, quando i media stranieri parlano dell’Italia, entrambe poco utili all’accuratezza giornalistica e a un buon servizio di informazione. La prima è una quota variabile di superficialità e luoghi comuni: che troviamo ugualmente in una parte della copertura sugli esteri nei giornali italiani, e che solo in parte è legittimata da un lavoro di divulgazione presso un pubblico inevitabilmente più ignorante di quello italiano, sulle cose italiane. La seconda è un compiacimento provinciale dei soggetti citati dalla stampa internazionale, quando gli articoli sono di apprezzamento: compiacimento che a volte è appunto mal riposto, perché la competenza e il giudizio dei giornali stranieri possono essere obiettivi e lucidi come sbrigativi e incompetenti.

Quando poi gli elogi sono diretti a soggetti politici si muove tutta una macchina di propaganda interna che andrà promuovendo con esibito orgoglio gli elogi stessi e la loro presunta autorevolezza. Ma c’è poi anche una terza questione, a volte, a rendere ulteriormente strumentale e fragile questo meccanismo: ovvero il fatto che gli articoli in questione sono spesso degli articoli molto personali di autori esterni o di opinionisti, e indipendenti dalle più accurate analisi del giornale o dalla sua “linea”. È quello che è successo giovedì con un articolo ospitato sul quotidiano britannico Financial Times , e intitolato “L’Europa dovrebbe imparare dall’Italia”: l’articolo parla di politiche economiche ed è illustrato da una foto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ed è firmato dal professor Stefano Caselli, che accanto alle sue indiscutibili competenze è membro di un comitato del ministero delle Finanze del presente governo dedicato esattamente ai temi di cui scrive nel suo articolo, e corresponsabile – lo scrive – della progettazione di una legge sui mercati finanziari promossa nell’articolo stesso. C’è insomma una sensibile quota di conflitto di interessi nelle sue opinioni.
E prevedibilmente, dopo poche ore, i giornali vicini al governo (ma anche l’agenzia di stampa Agi, di proprietà della società ENI) hanno ripreso e celebrato l’articolo nei termini di un giudizio “del Financial Times“: “L’Italia che non ce l’avrebbe mai fatta, secondo le opposizioni nostrane, oggi viene indicata dal Financial Times, uno dei quotidiani economici più autorevoli al mondo, come modello per tutta l’Europa”.


domenica 9 Novembre 2025

Tecnicamente

L’agenzia di stampa Nova ha interrotto la collaborazione di un giornalista contestandogli di avere rivolto una domanda su Israele “tecnicamente sbagliata” alla portavoce della Commissione europea.

“Un paio di settimane dopo, il 27 ottobre, Nunziati ha ricevuto una lettera con cui Agenzia Nova interrompeva il rapporto di collaborazione. Intervistato da Fanpage, Nunziati ha detto che nei giorni successivi alla domanda aveva ricevuto diverse telefonate dai suoi capi, con toni che ha definito «abbastanza tesi». Il video della domanda nel frattempo aveva infatti iniziato a circolare molto online, ricondiviso da chi riteneva che mostrasse in maniera molto efficace la disparità tra come le due questioni – la guerra a Gaza e quella in Ucraina – vengono trattate dall’Unione Europea”.


domenica 9 Novembre 2025

Non si litiga nei corridoi

Le tensioni che ribollono in diverse aziende giornalistiche internazionali intorno alle riduzioni di costi e di personale hanno avuto uno showdown piuttosto drastico nella sede newyorkese di Condé Nast, la grande multinazionale editoriale che pubblica molte famose riviste americane e le loro edizioni nazionali in altri paesi, Italia compresa. Un gruppo di dipendenti ha affrontato il responsabile delle risorse umane Stan Duncan davanti al suo ufficio per chiedergli spiegazioni sui licenziamenti in corso a Teen Vogue: Duncan si è rifiutato di parlarne, sostenendo di avere altri impegni e chiedendo che i suoi contestatori tornassero al loro lavoro. Il confronto si è chiuso così, piuttosto teso, ma l’azienda ha licenziato quattro dei partecipanti per “condotta impropria”: un fact checker del New Yorker, un giornalista di Wired, un’impiegata al digitale di Bon Appétit e uno della sezione video Condé Nast Entertainment. Le associazioni sindacali dei giornalisti hanno contestato la decisione, definendola illegale e sostenendo che sia diritto dei lavoratori chiedere spiegazioni su decisioni aziendali di quel rilievo, e lo scontro sta proseguendo.


domenica 9 Novembre 2025

When numbers get serious

Questa settimana il New York Times ha annunciato un altro invidiabile risultato di crescita: 460mila nuovi abbonamenti nell’ultimo trimestre, per un totale di oltre dodici milioni, e un obiettivo di raggiungere i quindici nel 2027. Questi annunci si susseguono da tempo, da quando l’azienda ha dedicato il suo impegno alla “transizione digitale” soprattutto sulla propria sostenibilità economica (la transizione digitale viene a volte ancora citata – nei giornali italiani – come una transizione di contenuti: ma oggi è soprattutto una transizione di modello di business, dai ricavi pubblicitari della carta a quelli degli abbonamenti alle edizioni digitali e ai servizi online). E, forte della ricchezza e qualità uniche della sua offerta (che comprende attrattive sezioni non esattamente giornalistiche, come i giochi e la cucina), il New York Times continua a esibire crescite uniche e ad arricchire la propria azienda.
In quest’occasione, però, l’annuncio ha mostrato un elemento interessante su un aspetto spesso trascurato che riguarda le comunicazioni del numero degli abbonati alle edizioni digitali di un giornale. La newsletter americana che si chiama Breaker ha notato che nel comunicato stampa esteso del New York Times è spiegato molto marginalmente che gli abbonamenti “familiari” al giornale (accessibili a più persone in un’offerta di prezzo dedicata) sono stati contati come due abbonamenti. E secondo i numeri indicati si dovrebbe trattare di circa 240mila “abbonamenti” (una piccola quota dei quali era stata aggiunta già nel trimestre precedente) che sarebbero in effetti la metà.

L’indicazione è interessante perché fa notare che il New York Times – che è una società quotata – si ritiene costretto, per quanto molto in piccolo, a dare indicazioni precise sui criteri dei suoi conteggi. La stessa cosa non vale per molte delle aziende editoriali che offrono cicliche comunicazioni del numero dei propri abbonati, senza che quei numeri abbiano nessuna certificazione o spiegazione: non viene mai detto come siano distribuiti gli abbonamenti in termini di offerte e prezzi diversi, di durata, o anche semplicemente quanti di quegli abbonamenti contemplino il rinnovo automatico oppure andranno a scadenza in un futuro prossimo. E questo rende fragili le valutazioni sul valore reale dei numeri comunicati e gli eventuali paragoni tra i risultati di una testata e l’altra.


domenica 9 Novembre 2025

Charlie, cosa dice una notizia

Lunedì una persona è stata ferita gravemente con un coltello in una piazza centrale e affollata di Milano. Lo spazio dato a questa storia dai giornali è un buono spunto per considerare i fattori che fanno considerare un fatto “una notizia”. Bisogna innanzitutto premettere che nessuna regola è mai universale ed esauriente: per un lavoro che si occupa di restituire la realtà e la sua complessità non si possono stabilire schemi; è un lavoro di eccezioni continue e di variabili decisive, di apparenti incoerenze, di pesi e misure diverse, per definizione. Detto questo, il grosso delle “notizie” è inseribile in due diverse tipologie di fatti: quelli che – eccezionali o normali – raccontano una storia più grande, fanno capire un fenomeno, una tendenza, una realtà; e quelli che non raccontano che se stessi, senza “significare” altro, ma la cui straordinarietà li rende una storia di per sé.

Il primo caso è quello che a volte smentisce il superficiale modo di dire del giornalismo per cui “cane morde uomo non è una notizia, uomo morde cane è una notizia”: molti fatti sono infatti una notizia proprio perché ripetuti, prevedibili, consueti, e in questa consuetudine c’è una descrizione di realtà più estese. Se poi a illustrare una realtà poco nota è un fatto inatteso e spiazzante, l’attenzione è ancora maggiore. Tra gli esempi degli scorsi giorni ci sono le indagini sulle attività e sulle chat delle sedicenti “femministe”: un’indagine singolare, con commenti e conversazioni impressionanti di per sé, che a loro volta sono dentro le questioni della “cancel culture”, della violenza sui social, persino delle derive di alcuni “femminismi”.

Ci sono poi singole storie che, invece, raccontano e mostrano soprattutto la loro eccezionalità. L’uccisione di una donna in cui un fattore decisivo è la cultura possessiva e violenta degli uomini ha per questo implicazioni diverse rispetto a molti omicidi per ragioni singolari e che non sono esemplari di niente, che pure ottengono attenzioni perché un omicidio è comunque un fatto eccezionale. Il furto del Louvre racconta ai francesi anche dei limiti di sicurezza al Louvre, ma per i lettori italiani non ha niente da spiegare sulla contemporaneità e sul mondo. Però è una storia.

Molti giornali cercano continuamente di configurare fatti di questo secondo genere in un contesto che li faccia diventare del primo: cercano di dire a chi legge “guardate che questa cosa è importante! Non è un fatto raro e singolare, deve mettervi in allarme, preoccuparvi, o stupirvi, perché mostra mondi e fenomeni che non conoscevate!”. Per molti giornali una parte del lavoro è creare attenzione, aumentarla, attirarla: individuare – a volte con ragioni, altre no – responsabilità, percorsi, problemi, evidenziati dalla singola storia.
L’aggressione a Milano è stata immediatamente incasellata nel “problema della sicurezza a Milano”, narrazione usata a scopo di propaganda da alcune parti politiche e a scopo di raccolta di attenzione da alcuni approcci giornalistici (non è importante qui il suo reale fondamento).
Quello che però è risultato quasi subito è che quella peculiare storia non racconta niente della sicurezza a Milano: può avvenire (e avviene, purtroppo) in qualunque altra città italiana che una persona con problemi di salute mentale sia violenta e pericolosa con estranei senza ragioni personali. Sarebbe stato corretto reindirizzare altrettanto allarme e spiegazioni verso i problemi di salute mentale e verso la loro cura, capire se l’eccezionalità del fatto possa essere ricondotta a comprendere meglio quegli ambiti. Qualcuno l’ha fatto, qualcuno molto poco, perché questo è un problema che purtroppo allarma meno, e non sembra riguardare tutti come la sicurezza pubblica: nel frattempo però era stato dato un contributo a una descrizione di realtà con cui quel fatto non ha niente a che fare.
Succede spesso, nella fretta di dare notizie e attrarre maggiori attenzioni, che ricostruzioni del loro percorso e contesto siano offerte a lettori e lettrici – interviste al sociologo, accuse contro determinate mancanze, analisi affrettate – prima di saperne abbastanza. Poi la notizia diventa un’altra cosa, ma quel racconto della realtà è stato assorbito.

Fine di questo prologo.


domenica 2 Novembre 2025

Una sorta di Charlie live

La rassegna stampa del Post, “I giornali spiegati bene” sarà il prossimo sabato al Circolo dei lettori di Torino con Luca Sofri e Luca Misculin.


domenica 2 Novembre 2025

La seconda fine di Metro

Il quotidiano gratuito Metro aveva chiuso – nella sua edizione italiana – un anno fa, dopo 25 anni: vittima delle difficoltà delle testate il cui modello di ricavo è basato solo sui ricavi pubblicitari e che faticano a convertirsi in prodotti a pagamento.
Da un anno era in corso una trattativa economica con la redazione, che si è conclusa drasticamente questa settimana, come spiega un comunicato della redazione stessa.

“Si concretizza come un incubo nella notte di Halloween e si chiude nel modo peggiore – con il licenziamento collettivo dal primo novembre di tutte e tutti i giornalisti per “cessata attività” – la vertenza del quotidiano Metro. Le pubblicazioni erano state sospese a dicembre 2024, poi è seguita la liquidazione giudiziale della società editrice New Media Enterprise da parte del Tribunale di Roma e ora si sono esauriti gli ammortizzatori sociali. Da domani saremo in disoccupazione”.


domenica 2 Novembre 2025

Le domande e risposte di Chotiner

La Columbia Journalism Review ha intervistato Isaac Chotiner, soprannominato nel titolo “l’intervistatore assassino” per la sua capacità di mettere in difficoltà gli intervistati e ottenere che dicano cose che a volte si ritorcono loro contro. Lo fa da sette anni al New Yorker, e da intervistato racconta qui diverse cose del suo lavoro da intervistatore. E tra l’altro si parla del formato “Q&A” (questions and answers) come una scelta peculiare, mostrando a noi lettori italiani come quello che conosciamo come praticamente l’unico modo di condurre le interviste (successione di domande e risposte) sia invece per il giornalismo americano il modo non prevalente di riportare le conversazioni, che di solito sono inserite dentro articoli più contestualizzati ed estesi.


domenica 2 Novembre 2025

Piatto ricco

Martedì l’edizione quotidiana del Corriere della Sera aveva una foliazione straordinariamente numerosa – 80 pagine – perché ben 42 erano occupate da un’inserzione a pagamento della società Terna dedicata alla comunicazione per legge degli interventi su un elettrodotto sardo e delle proprietà interessate da questi interventi. Il Corriere della Sera ha quindi rimandato al giorno successivo la pubblicazione di tutta la sezione settimanale chiamata “Buone notizie”.


domenica 2 Novembre 2025

Polemica evitata

Un nuovo annuncio a pagamento di un’iniziativa della “Associazione Setteottobre” è stato pubblicato sui quotidiani Libero e Giornale questa settimana, ma non è stato proposto alle testate che avevano pubblicato il precedente e le cui redazioni avevano protestato.
Setteottobre – il cui nome si riferisce alle stragi di cittadini israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre 2023 – si occupa di combattere l’antisemitismo in Italia e in occasioni passate il suo presidente Stefano Parisi aveva accusato una parte dei giornali di complicità nella sua diffusione. Un’allusione in questo senso era presente anche in una pagina a pagamento pubblicata su diversi quotidiani, che aveva generato irritate prese di distanza da parte delle redazioni dei quotidiani Stampa e Repubblica.


domenica 2 Novembre 2025

Ex sindaci che non lo erano

Il quotidiano londinese Times è stato vittima di un incidente di omonimia che nei giorni scorsi ha divertito buona parte delle redazioni statunitensi. Un giornalista del Times ha avuto la curiosità di conoscere un parere dell’ex sindaco di New York Bill de Blasio sui progetti del probabile prossimo sindaco di New York Zohran Mamdani: e ha così scritto una mail a un indirizzo contenente il suo nome (non si sa se indovinandolo o trovando quello sbagliato da qualche parte). La mail è stata però ricevuta da un commerciante di vini di Long Island che si chiama Bill DeBlasio: il quale ha intuito l’equivoco ma si è divertito a rispondere lo stesso, esprimendo i suoi dubbi sulla solidità dei piani economici di Mamdani. Il Times ha pubblicato l’articolo online, e le opinioni citate hanno avuto a New York reazioni – l’ex sindaco è un sostenitore della candidatura di Mamdani – che hanno fatto scoprire al giornale lo sbaglio, e rimuovere l’articolo stesso.
La cancellazione è stata notata, e indagata da altri giornali, che hanno dapprima raccolto la versione del Times per cui il proprio giornalista era stato “ingannato” da qualcuno che si era finto l’ex sindaco de Blasio, o che ne era un imitatore; poi è stato il sito di news Semafor a parlare con l’intervistato DeBlasio, il quale ha negato di avere mai detto di essere il sindaco e ha sostenuto di avere semplicemente risposto alle domande ricevute.
Giovedì un programma di CNN ha avuto allegramente ospiti in onda entrambi gli omonimi: tutti hanno commentato increduli che il Times non avesse fatto maggiori verifiche sull’autenticità delle risposte.

(Qualche anno fa uno sbaglio simile capitò al Fatto, in Italia).


domenica 2 Novembre 2025

Collaborazioni

Da diversi mesi il quotidiano milanese ItaliaOggi – che si occupa soprattutto di economia, finanza, imprese: sul modello del Sole 24 Ore – ospita praticamente ogni giorno alcuni articoli prodotti da due altre testate giornalistiche, Open e il Riformista. Open è un sito di news fondato dal direttore del Tg La7 Enrico Mentana e diretto da Franco Bechis, mentre il Riformista è un piccolo quotidiano che si occupa soprattutto di politica ed è tornato a esistere nel 2019, diretto da Claudio Velardi. La peculiare scelta di riprodurre alcuni articoli originariamente pubblicati dalle due diverse testate – quasi sempre firmati dai due direttori Bechis e Velardi – è stata spiegata a Charlie dal direttore di ItaliaOggi Pierluigi Magnaschi come “una collaborazione a titolo gratuito basata su rapporti personali tra direttori”.


domenica 2 Novembre 2025

Anche Time in scia di Trump

Charlie ha raccontato in passato la crisi di ruolo e di vendite dell’ex settimanale Time (oggi quindicinale), un tempo “il più importante newsmagazine del mondo”. E di come la sua occasione maggiore di fare notizia sia ancora il numero di fine anno sulla “Persona dell’anno”: ultimamente però le sue copertine sono tornate ad avere qualche attenzione, soprattutto grazie allo sfruttamento dell'”effetto Trump”, che crea eccitazioni intorno a ogni cosa che riguarda il presidente degli Stati Uniti. Alcune indovinate copertine sono state citate da altri giornali americani e internazionali, malgrado a volte si tratti di immagini create solo per la promozione online e non effettivamente stampate: e, a diluire ulteriormente il loro valore, altre volte si tratta delle copertine delle edizioni internazionali, non di quella originale americana.
Quella del nuovo numero – anticipata il mese scorso – era stata persino criticata da Trump stesso, malgrado Time volesse celebrare i suoi successi: ma a Trump non era piaciuto come era venuto nella foto. Per rimediare, Time ha sostituito la foto, con una assai più trionfale.
L’editore di Time ha dichiarato in più di un’occasione la sua ammirazione per il presidente.


domenica 2 Novembre 2025

Bezos si fa editore italiano

Una delle cose più apprezzate della gestione del Washington Post da parte di Jeff Bezos – che aveva comprato il giornale nel 2013 – era stata la visibile autonomia lasciata alla redazione anche per quello che riguardava la copertura di aziende e interessi dello stesso Bezos: il giornale aveva criticato in più di un’occasione pratiche di Amazon o le aveva raccontate senza indulgenze.
Da un anno le cose sono molto cambiate, e l’editore ha deciso di intervenire su tutti gli approcci del Washington Post, soprattutto su quelli critici nei confronti dell’amministrazione Trump e delle sue limitazioni nei confronti della democrazia, all’interno di interessate simpatie e collaborazioni di Bezos stesso con il presidente Trump.
Adesso questa perdita di indipendenza si sta manifestando anche negli articoli della sezione degli editoriali che riguardano gli interessi di Bezos: questa settimana diversi commenti hanno notato come il conflitto di interessi non sia stato indicato ai lettori in più di un’occasione, come invece era tradizione fare (visto dall’Italia non sembra strano, abituati come siamo alla continua promozione delle aziende degli editori, senza nessuna indicazione: ma sulle testate americane autorevoli è prassi di ricordarlo ai lettori, le rare volte che capita).

In particolare è stato molto commentato un editoriale del Washington Post in difesa della criticata demolizione da parte di Trump della “East Wing” della Casa Bianca: in cui si trascurava di ricordare che Bezos è uno dei finanziatori dell’intervento. In quel caso una nota è stata aggiunta successivamente.


domenica 2 Novembre 2025

Aggiungere altro

Un articolo del Wall Street Journal ha raccontato le nuove strategie di ricavo del grande gruppo editoriale internazionale Condé Nast (che possiede testate come Vogue, New Yorker, Vanity Fair, GQ, Wired, e le loro declinazioni internazionali, anche in Italia). La lettura delle mutate condizioni apre l’articolo:

“Un tempo le riviste di Condé Nast dettavano l’agenda culturale: come vestirsi, cosa cucinare, cosa guardare. Ma l’intelligenza artificiale sta trasformando il modo in cui le persone cercano e consumano l’informazione, danneggiando il traffico online di alcuni editori, e le piattaforme social come TikTok hanno sequestrato l’attenzione del pubblico.
Le riviste non possono più permettersi di fondare il proprio business sulla pubblicità tradizionale sulla carta e sul web. Condé Nast si sta dedicando a eventi spettacolari, paywall e altre fonti di ricavo, cercando di costruire un modello nuovo. “Non ci aspettiamo che la pubblicità sia un motore di crescita per questo business”, ha detto in un’intervista il CEO Roger Lynch”
.


domenica 2 Novembre 2025

Charlie, la scomparsa dei fatti

Sul Corriere della Sera di mercoledì Goffredo Buccini – esperto giornalista da quasi quarant’anni al Corriere – ha ragionevolmente commentato una delle molte volatili polemiche politiche che vanno e vengono ogni settimana, quella sul giudizio del “garante per la privacy” (che è un istituto collegiale, non una persona, come ingannevolmente hanno suggerito molti titoli) nei confronti del programma televisivo Report. «Una baruffa forse inutile come tutte quelle in cui ciascuna fazione resta sulla sua sponda», l’ha definita Buccini. Che però ha fatto una cosa in più, che in quei giorni non ha fatto quasi nessuno (Luigi Manconi, su Repubblica): ha affrontato il merito della questione, ovvero la contestazione contenuta in quel giudizio, valutandola fondata e considerando che Report fosse in torto.
Una ragione per cui queste “baruffe” sono inutili e volatili è che rimuovono strumentalmente i fatti: passano immediatamente sul piano delle partigianerie e dello schierarsi non con le ragioni di una o dell’altra parte ma con l’una o con l’altra parte con cui ci si schiera sempre. E sono sempre di più i giornalisti e i giornali che aderiscono a questo approccio, disarmante ma comprensibile per chi fa propaganda politica e per chi litiga al bar o sui social. Per chi dovrebbe informare, invece, solo disarmante. Negli stessi giorni c’è stata un’altra polemica, tra un parlamentare ungherese con un incarico nel governo e il quotidiano
Repubblica. Il parlamentare ha sostenuto che alcuni virgolettati attribuiti da Repubblica al suo omonimo primo ministro Orbán fossero falsi. Repubblica ha ribattuto indignata di “non accettare lezioni”, e ha citato la nota inclinazione alla repressione della libertà di espressione da parte del governo ungherese. Nelle ore successive esponenti dell’opposizione italiana – avversari da tempo e con buone ragioni delle scelte repressive e antidemocratiche di Orbán – hanno protestato per l’attacco nei confronti di Repubblica, chiaramente senza aver neanche valutato le ragioni della critica. Ognuno può giudicare se il virgolettato attribuito a Orbán nel titolo dell’intervista sia coerente con quanto detto nell’intervista stessa, ma il punto qui non è chi abbia ragione o torto in questo caso (Repubblica non ha risposto “in effetti quelle paroleOrbán non le ha dette”, né ha risposto “invece sì che le ha dette”: ha parlato d’altro; Sigfrido Ranucci non ha risposto “abbiamo sbagliato a violare la privacy della persona in questione”, né ha risposto “abbiamo fatto bene a violare la privacy della persona in questione”: ha attaccato le relazioni di un membro del garante). Il punto è che le ragioni e i torti, le difese e gli attacchi, gli schieramenti e le posizioni, non dipendono più dalla verifica dei fatti, nemmeno sui giornali: con rare eccezioni. E dare ragioni di polemica e critica ai peggiori malintenzionati – che siano liberticidi ungheresi, membri interessati del garante, e via discorrendo – è il modo più fallimentare per sconfiggerli e per limitare la credibilità del buon giornalismo, come stiamo vedendo.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Ottobre 2025

Bellini

Il prossimo weekend – 1° e 2 novembre – il Post sarà a Napoli col suo evento pubblico, “Talk”, al teatro Bellini. Si parlerà di giornali e giornalismo nelle due rassegne stampa mattutine con Francesco Costa e Luca Sofri, e nella conversazione di Daniele Raineri con Arianna Cavallo sulla newsletter “Outpost”.


domenica 26 Ottobre 2025

“People Will Pay for News Even if They Can Get it for Free”

La newsletter americana A Media Operator ha intervistato il direttore editoriale del Post sui risultati degli abbonamenti e della sostenibilità economica del giornale.

“He went on to hire a team of six twenty-somethings and launched Il Post in April 2010 with three clear goals: “One, we wanted to be accurate and build strong trust with our readers. The second was that we wanted to explain things. The third thing was to cover what was changing in Italy – contemporary things – and the future of things,” Sofri said”.


domenica 26 Ottobre 2025

Ibridi

L’inserzionista maggiore su Repubblica di giovedì era l’azienda di abbigliamento e accessori Herno, che aveva comprato diversi spazi in prima pagina e una pagina intera all’interno per promuovere l’apertura di un nuovo negozio a Roma. L’indomani Repubblica ha dedicato un articolo  all’apertura del nuovo negozio Herno a Roma.

Il Corriere della Sera ha invece sempre più una sorta di giornale nel giornale costituito da un cospicuo numero di pagine dedicate alla raccolta pubblicitaria. Sabato un’intervista sull’intera pagina 33 promuoveva un profumo di Tom Ford (illustrata esplicitamente dal prodotto in questione), mentre le pagine 56 e 57 ospitavano una serie di articoli sulle sponsorizzazioni teatrali dell’azienda A2A. Delle 64 pagine complessive, altre tre erano occupate da articoli su prodotti, una dai successi dell’azienda ENI – maggiore inserzionista su quasi tutti i quotidiani –, sei dalla più trasparente promozione di iniziative del Corriere o di cui il Corriere è partner, una ai necrologi a pagamento, undici a inserzioni pubblicitarie vere e proprie. Portando a trentanove le pagine di contenuti giornalistici (a loro volta parzialmente occupate da altre pubblicità) e creando così una robusta fonte di sostenibilità pubblicitaria del quotidiano.


domenica 26 Ottobre 2025

A che ora?

Il Manifesto pubblicherà da gennaio una rivista a fumetti in vendita con il quotidiano, che si chiamerà La fine del mondo. Un numero zero viene presentato in questi giorni alla fiera Lucca Comics e sarà già in vendita a dicembre. Sabato il Manifesto ha intervistato il suo creatore, il fumettista che si firma Maicol & Mirco.

“La trovate col numero zero in anteprima assoluta a Lucca Comics & Games 2025, dal 29 ottobre al 2 novembre, Abbiamo uno stand al Padiglione Napoleone (STAND NAP109), dove avremo in dedica Bruno Bozzetto, Dottor Pira, Gipi, Maicol & Mirco, Zerocalcare, Zuzu e addirittura Shintaro Kago (anche lui autore fisso della rivista). Ci sarà anche un panel all’Auditorium San Romano il 31 ottobre alle 9:30 di mattina, dove racconteremo la rivista a tutti.
Poi La fine del mondo scomparirà per tornare in edicola a dicembre sempre con lo zero, per trasformarsi in un mensile col numero 1 a gennaio 2026.
Ah. Abbiamo iniziato col numero 0 perché è un numero che fa fico, ma sarà un vero numero completo, non un albetto striminzito. Quindi abbuffatevi da subito!”


domenica 26 Ottobre 2025

Lo spazio dell’editore

Anche questa settimana i quattro maggiori quotidiani nazionali hanno trovato occasioni e pagine per promuovere e dare spazio alle persone dei propri editori: Repubblica e Stampa celebrando John Elkann e un suo viaggio americano, il Corriere della Sera ospitando il compiacimento di Urbano Cairo per la rara e speciale vittoria della squadra di calcio di cui è presidente. Il Sole 24 Ore prosegue nella sua consuetudine di dare spazio con frequenza alle dichiarazioni del presidente di Confindustria, proprietaria del giornale, affidandole a una giornalista dedicata.


domenica 26 Ottobre 2025

“Rigetto totale”

Prosegue la critica del giornalista di Repubblica Francesco Merlo al trattamento della “cronaca nera” da parte dei mezzi di informazione. Nella sua rubrica di risposte alle lettere di lettori e lettrici, Merlo ne ha pubblicata una che riferiva di un servizio televisivo molto invadente e insensibile, rispondendo che “è odiosa la deriva selvaggia della cronaca nera”.


domenica 26 Ottobre 2025

Bambini e acqua sporca

Secondo un articolo della Columbia Journalism Review, le regole restrittive introdotte da Meta in Europa per limitare la diffusione sulle sue piattaforme di contenuti politici ed elettorali – scelta che riflette la tendenza dell’azienda a tenersi lontana dai guai – sarebbero così grossolane e prive di una valutazione umana da escludere anche una grossa quota di contenuti giornalistici e informativi. Limitando così sia la completezza dell’informazione online su temi di attualità, sia l’accesso dei lettori alle testate giornalistiche, già severamente ridotto da una serie di scelte delle grandi piattaforme digitali in questi anni. E confermando i rischi, per i giornali, di legare le loro sostenibilità agli algoritmi di altri soggetti.


domenica 26 Ottobre 2025

Dipende da dove guardi

Concludendo la sua rubrica settimanale sul Fatto , il giornalista Giovanni Valentini – che ha 77 anni e nel secolo scorso è stato a lungo direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore di Repubblica, con cui ora è spesso polemico – ha sostenuto sabato che “il giornale che state leggendo continua a essere l’unico quotidiano con il segno più davanti nelle classifiche mensili sulla diffusione dei quotidiani (ADS, agosto 2025)”. Se i lettori dei dati di diffusione che Charlie riassume ogni mese li trovassero contraddittori con questa dichiarazione, è perché il dato di agosto a cui si riferisce Valentini è – si immagina – il totale della diffusione cartacea e digitale comprese le copie omaggio e quelle a prezzi scontati di oltre il 70%; mentre il dato principale pubblicato da Charlie non le conteggia, e vede il Fatto perdere il 10% delle copie su un anno prima. Ciascuno dei criteri ha pro e contro nella definizione dei risultati di un giornale (il maggior numero di lettori è favorito dal minor prezzo, i maggiori ricavi sono favoriti da un maggior prezzo).

(vale la pena citare anche la solenne conclusione dello stesso articolo di Valentini – “la condizione essenziale, a garanzia della propria indipendenza e credibilità, resta quella di non avere padroni al di fuori dei lettori” – non solo perché anche il Fatto ha ovviamente dei “padroni”, ovvero dei soci che ne possiedono le azioni e ne condizionano le scelte, ma perché la formulazione è un antico inganno retorico che trascura che i lettori siano dei “padroni” pericolosamente influenti sull’indipendenza e le scelte di un giornale che li consideri tali).


domenica 26 Ottobre 2025

Il mashup di Rolling Stone e Vibe

Si fonderanno in un’unica cosa – dai contorni non ancora esattamente definiti – due storiche riviste musicali americane, Rolling Stone e Vibe. L’annuncio circolato finora parla di “unire le forze”.
Rolling Stone è una delle testate americane più leggendarie di sempre, identificata soprattutto per il suo rapporto con la musica e con i suoi più vivaci anni Settanta e Ottanta, ma che ha ospitato a lungo anche reportage e giornalismo di attualità e politica. Nacque nel 1967 e negli ultimi decenni ha subito le crisi di quasi tutte le riviste, sia di ruolo che economiche: il suo fondatore Jann Wenner ne ha ceduto la proprietà negli ultimi anni e oggi è posseduto dal grande gruppo editoriale Penske Media (che tra le altre cose pubblica anche Variety e lo Hollywood Reporter). Dopo essere stato per molto tempo un quindicinale, oggi è un mensile.
Vibe fu creato nel 1993 come mensile di musica e spettacolo – con attenzioni prevalenti verso la musica nera contemporanea – dal produttore musicale Quincy Jones, in collaborazione con l’azienda editoriale del newsmagazine Time. Ha avuto successivi passaggi di proprietà negli ultimi vent’anni, chiusure e rinascite, e oggi che è diventato a sua volta di Penske Media esiste solo online.


domenica 26 Ottobre 2025

Sviluppi delle agitazioni alle testate GEDI

Qui invece tutto il contrario: l’azienda ha rifiutato l’incontro con le preoccupate redazioni di Repubblica, Stampa, HuffPost, con la motivazione di una sua consuetudine a non commentare notizie di stampa. L’incontro era stato richiesto dopo la pubblicazione di molte ipotesi sulla vendita delle testate in questione: le redazioni hanno pubblicato un comunicato seccato e deluso dal mancato confronto.

“Questa chiusura incrina il rapporto di fiducia necessario per un confronto plurale, aperto e democratico tanto più indispensabile in un momento delicato per il destino del nostro gruppo: la mancanza di dialogo con le redazioni non fa che alimentare tensione. Nessuna sfida è possibile senza il coinvolgimento di chi ogni giorno garantisce l’uscita del giornale e dell’online con professionalità, rigore e senso di responsabilità”.

Nel frattempo un articolo del Foglio ha riferito venerdì di allarmi nel Partito Democratico rispetto alle direzioni che potrebbe prendere in una nuova proprietà Repubblica, tuttora quotidiano principale di una quota dei propri elettori. Evocando progetti di coinvolgimenti di imprenditori italiani nell’acquisto del giornale (o nella creazione di uno nuovo): progetti poco credibili, considerato che il “ci vorrebbe un nuovo quotidiano progressista” ricompare ciclicamente nelle chiacchiere degli ambienti culturali progressisti. Ciò nonostante il direttore del quotidiano Libero ha riferito sabato in prima pagina sul suo quotidiano una ancora più inconsistente conversazione sugli stessi temi con una sua fonte anonima.


domenica 26 Ottobre 2025

Sviluppi delle agitazioni al Sole 24 Ore

Dopo gli scioperi di una settimana fa contro l’assegnazione a una collaboratrice esterna di un’intervista alla presidente del Consiglio, la redazione del Sole 24 Ore ha ricevuto assicurazioni dal direttore Fabio Tamburini che non succederà più. Il verbale della riunione tra il direttore e il Comitato di redazione dice che:

“- Il Direttore si fa garante della valorizzazione delle risorse giornalistiche interne alla redazione rispetto all’utilizzo di collaboratori esterni e invita a segnalare casi in cui il principio non venga rispettato e s’impegna a intervenire tempestivamente; In particolare si impegna a farlo nelle interviste.
– Il Direttore si impegna a coprire la carica di segretario di redazione, a rinforzare la caporedazione centrale e a riorganizzare la governance della redazione online entro venerdì 24 ottobre;
– Il Direttore assicura che le prossime tre assunzioni, a valere sul piano di prepensionamenti 2025, saranno destinate alle redazioni più in difficoltà. Una assunzione sarà destinata alla redazione romana, che in questi anni ha visto solo uscite per prepensionamenti ed esodi e nessun nuovo ingresso”.

Nel frattempo la redazione ha votato contro la fiducia ai tre vicedirettori, che avevano scelto di pubblicare il quotidiano sabato della settimana scorsa malgrado lo sciopero (“sfiduciare” direttori o vicedirettori è una pratica di valore simbolico, per esprimere un dissenso: al Sole 24 Ore era già successo al direttore).


domenica 26 Ottobre 2025

Il diritto al non oblio

L’ Internet Archive è una istituzione antica del web e di valore davvero inestimabile: è un enorme archivio online di storia trentennale, gestito da una non profit, che tra le altre cose registra e salva quantità enormi di pagine pubblicate su internet, comprese quelle dei giornali e siti di news. La sua utilità è quotidiana ed estesissima per la ricerca e l’uso di pagine – o di versioni passate di pagine – che vengono cancellate o modificate nelle loro versioni online sui siti relativi. Secondo un articolo del sito americano Nieman Lab, i costi di gestione di un impegno simile sono stati di oltre 32 milioni di dollari nel 2023, con 134 persone impiegate.
La cosa impressionante, ricorda l’articolo, è che un lavoro tanto indispensabile sia affidato a una non profit privata, con tutte le precarietà del caso. E adesso, secondo un’indagine di Nieman Lab, è successo che il numero di pagine archiviate abbia avuto negli ultimi mesi un calo enorme, confermato dai responsabili dell’Internet Archive senza spiegazioni sulle ragioni. Confermando gli allarmi sulla necessità che un simile servizio sia garantito.