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  • Domenica 4 settembre 2022

La dipendenza italiana dal gas russo si è molto ridotta

Lo dicono i dati del ministero della Transizione ecologica, ma raggiungere la completa indipendenza non sarà semplice

Il gasdotto che collega l'Azerbaijan all'Italia (Donato Fasano/LaPresse)
Il gasdotto che collega l'Azerbaijan all'Italia (Donato Fasano/LaPresse)
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Negli ultimi mesi la dipendenza italiana dal gas importato dalla Russia è diminuita in modo significativo grazie agli accordi fatti dal governo italiano con altri paesi fornitori, in particolare con l’Algeria e con i paesi del Nord Europa. I risultati sono piuttosto evidenti: nei primi sette mesi dell’anno è stato importato il 38 per cento in meno di gas russo rispetto allo stesso periodo del 2021 e la dipendenza dalla fornitura russa, cioè la quantità di gas russo sul totale delle importazioni, è passata dal 40 per cento del dicembre scorso al 18 per cento osservato a luglio.

L’Italia usa moltissimo il gas per la produzione di energia, importandolo quasi tutto (il 95 per cento nel 2021) perché la produzione nazionale è molto limitata. Oltre alla Russia, fino al 2021 il maggior fornitore, gli altri paesi da cui l’Italia aveva acquistato più gas negli ultimi anni sono l’Algeria (31 per cento delle importazioni nel 2021), il Qatar (9 per cento), l’Azerbaigian (10 per cento) e la Libia (4 per cento).

Il sorpasso dell’Algeria sulla Russia era già stato segnalato nei primi due mesi dell’anno dai dati pubblicati dal ministero della Transizione ecologica. A marzo la quantità di gas importata dalla Russia era improvvisamente aumentata per poi scendere notevolmente da aprile.

Complessivamente, nei primi sette mesi del 2022 l’Italia ha importato 10 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia contro i 17 miliardi dell’anno precedente, mentre la quantità di gas importata dall’Algeria è passata da 12,8 miliardi di metri cubi a 13,2 con un aumento di poco superiore al 3 per cento.

L’Algeria si è impegnata ad aumentare le forniture di gas con un accordo fatto in aprile con Eni, la più grande società energetica italiana, e con il governo italiano. L’accordo è stato firmato dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e dal presidente della società algerina Sonatrach, Toufik Hakkar.

Inizialmente il governo italiano aveva provato a ottenere maggiori forniture in tempi più rapidi: il piano iniziale prevedeva un aumento considerevole già quest’anno e un’entrata a regime delle forniture nel 2023, ma alla fine si è trovato un accordo con tempi più dilatati. Tre miliardi di metri cubi di gas in più saranno forniti entro quest’anno, mentre nel 2023 l’aumento della fornitura sarà di 6 miliardi di metri cubi. Infine a partire dal 2024 si entrerà a pieno regime con almeno 9 miliardi di metri cubi di gas in più. Per il trasporto del gas algerino sarà impiegato Transmed, il gasdotto che mette in collegamento l’Algeria e l’Italia passando per la Tunisia.

Negli ultimi mesi c’è stato anche un aumento del gas importato attraverso il gasdotto del passo Gries, in Piemonte, da cui arriva il gas proveniente dal Nord Europa, in particolare dai Paesi Bassi e dalla Norvegia.

La diminuzione della dipendenza dal gas russo è un buon segnale per il governo, anche se l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe non è così semplice: trovare fonti alternative è sempre più complicato.

Giovedì il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha presentato al Consiglio dei ministri alcune ipotesi per ridurre i consumi di gas nei mesi invernali: nel piano c’è la riduzione delle temperature del riscaldamento da 20 a 19 gradi centigradi negli uffici e nelle case, da incentivare attraverso una campagna di comunicazione a partire da ottobre.

La riduzione dei consumi fa parte dell’accordo tra i paesi europei trovato lo scorso luglio per ridurre del 15 per cento il consumo di gas naturale fino al marzo del 2023. L’obiettivo è soprattutto evitare di arrivare al prossimo inverno in una situazione di emergenza, con le scorte di gas al limite per fornire energia e riscaldamento, anche se è un accordo che lascia ampi spazi di manovra ai singoli paesi.

La dipendenza dal gas russo non è un problema soltanto italiano. Anche molti altri paesi europei importano la maggior parte del gas dalla Russia. Nel 2020, rispetto al totale del gas importato in tutta l’Unione Europea, il 38,1 per cento proveniva dalla Russia. Il secondo paese fornitore di gas è la Norvegia, che però conta solo per il 16 per cento, e poi in percentuali minori ci sono Algeria, Regno Unito e Qatar. Il paese che in proporzione importa più gas di tutti dalla Russia è la Germania, il 65,2 per cento del totale nel 2019, quando l’Italia ne importò il 43,3 per cento.

Alcuni paesi, come Spagna e Italia, si sono prefissati di ridurre il consumo di gas del 7 per cento entro marzo 2023, quindi meno della metà di quanto previsto dall’accordo di luglio.

Un altro obiettivo del governo italiano è accelerare le procedure per l’installazione di due nuovi rigassificatori, a Piombino e Ravenna, di cui si discute molto anche nella campagna elettorale. Grazie ai rigassificatori è possibile importare gas naturale liquefatto (GNL) dai paesi non collegati all’Italia attraverso i gasdotti.

– Leggi anche: Ci sono anche altri progetti di rigassificatori

In Italia attualmente ci sono tre rigassificatori funzionanti. Il più vecchio è una struttura onshore (su terraferma) e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. Fu realizzato negli anni Settanta, ha una produzione massima annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e appartiene a Snam, la società che gestisce la rete di gasdotti italiana.

Il più grande dei tre rigassificatori è invece il Terminale GNL Adriatico, un impianto offshore: è un’isola artificiale e si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo. Ha una produzione massima annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas, è attivo dal 2009 e la società che lo gestisce è un’associazione di imprese (joint venture) composta dalla grande compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil (al 70 per cento), dall’azienda petrolifera statale qatariota Qatar Petroleum (23 per cento) e da Snam (7 per cento).

Infine c’è il rigassificatore galleggiante (FSRU, Floating Storage and Regasification Units) che si trova nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa. Sostanzialmente è una nave rigassificatrice, che immette gas in rete dal 2013 e ha una produzione massima annuale di 3,75 miliardi di metri cubi. Appartiene a Snam per il 49,07 per cento, alla società di investimento First Sentier Investors per il 48,24 per cento e alla società di noleggio e gestione di navi metaniere Golar LNG per la parte restante.

Secondo Cingolani, l’installazione di due nuovi rigassificatori in tempi brevi potrebbe far diminuire ulteriormente la dipendenza dal gas russo fino al 10 per cento. Durante il suo intervento al Meeting di Rimini, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha spiegato che l’indipendenza potrà essere raggiunta nell’autunno del 2024, se verranno installati i due nuovi rigassificatori. «È un obiettivo fondamentale per la sicurezza nazionale, perché la Russia non ha esitato a usare il gas come arma geopolitica contro l’Ucraina e i suoi alleati europei», ha detto Draghi.