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  • Giovedì 30 dicembre 2021

Non c’è più democrazia a Hong Kong

Nell'ultimo anno e mezzo l'applicazione della controversa legge cinese sulla sicurezza nazionale ha eroso libertà e diritti politici della popolazione locale, cambiando tutto

Copie dell'Apple Daily, il giornale di Hong Kong chiuso a causa della repressione cinese, con Jimmy Lai, il proprietario del giornale, in prima pagina (AP Photo/Kin Cheung, File)
Copie dell'Apple Daily, il giornale di Hong Kong chiuso a causa della repressione cinese, con Jimmy Lai, il proprietario del giornale, in prima pagina (AP Photo/Kin Cheung, File)

Mercoledì, a Hong Kong, la polizia ha arrestato sette persone che lavoravano o avevano lavorato per il sito indipendente d’informazione Stand News, accusandole di fare attività sovversiva. Poche ore dopo il sito ha comunicato la cessazione delle proprie attività. La notizia è stata ripresa da tutta la stampa internazionale perché Stand News, che esiste dal 2014, era la più importante pubblicazione pro-democrazia rimasta a Hong Kong dopo la recente chiusura del quotidiano di opposizione Apple Daily, a causa della repressione del governo cinese.

La repressione si era inasprita moltissimo nell’ultimo anno e mezzo, cioè da quando la Cina aveva approvato la controversa legge sulla sicurezza nazionale che le aveva permesso di avere un maggiore controllo sul territorio di Hong Kong, dopo le enormi e partecipate proteste a favore della democrazia che andavano avanti da circa un anno: fino a quel momento, Hong Kong, ex colonia britannica e dal 1997 regione amministrativa speciale cinese, aveva goduto di un certo margine di autonomia su varie questioni interne ed era considerata come una specie di “frontiera della democrazia”.

La legge prevede che la polizia locale possa arrestare chiunque sia accusato di compiere «attività terroristiche» e atti di «sedizione, sovversione e secessione», e dà alle forze di sicurezza poteri amplissimi.

Come si temeva, le conseguenze sono state durissime: il governo cinese ha annullato gran parte dei diritti politici della popolazione di Hong Kong, ha represso l’opposizione, arrestato o costretto alla fuga centinaia di persone e cambiato la legge elettorale per controllare il parlamento locale.

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Lo smantellamento della democrazia è stato progressivo, ma costante.

A luglio 2020, quando la polizia aveva già arrestato diversi attivisti, il governo locale aveva deciso di escludere dalle elezioni legislative 12 candidati dell’opposizione che chiedevano maggiore democrazia e minori interferenze della Cina nella politica locale. Nei mesi successivi erano stati arrestati diversi politici e parlamentari che avevano partecipato alle manifestazioni per chiedere più democrazia. Nello stesso periodo, gli Stati Uniti avevano imposto alcune sanzioni contro la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, e contro altre 10 persone per il loro ruolo nell’attuazione «delle politiche di soppressione della libertà e dei processi democratici» volute dal governo centrale cinese.

La repressione però non si era fermata lì. Era stata approvata per esempio una norma che, senza passare per il sistema giudiziario, permetteva al governo di Hong Kong (compiacente con quello centrale cinese) di rimuovere dal loro incarico i parlamentari che sostenevano l’indipendenza del territorio semi-autonomo. Usando questa legge, il governo locale aveva espulso quattro parlamentari pro-democrazia, accusandoli di aver messo in pericolo la sicurezza nazionale. La decisione aveva avuto poi altre conseguenze: in solidarietà con gli espulsi e per protesta contro il governo, tutti i parlamentari dell’opposizione avevano annunciato in seguito le proprie dimissioni.

A marzo di quest’anno la Cina aveva anche approvato una riforma radicale del sistema politico di Hong Kong, per poter controllare meglio le elezioni e il parlamento.

La riforma, in sostanza, aveva reso quasi impossibile la partecipazione dell’opposizione al voto. A Hong Kong, infatti, alcuni membri del parlamento sono eletti a scrutinio universale, altri da comitati e collegi che di fatto sono controllati dalla leadership cinese. Prima della riforma, su 70 seggi totali 35 erano eletti a suffragio universale; dopo la riforma il numero totale dei seggi era stato alzato a 90, e solo 20 erano rimasti a suffragio universale. La legge prevedeva anche che potessero candidarsi alle elezioni esclusivamente i “patrioti”, definizione generica e che lasciava alle autorità un’ampia autonomia di scegliersi i candidati.

Con la riforma, in altre parole, il parlamento di Hong Kong è diventato quasi completamente controllato dalla Cina, e fare opposizione è assai complicato e rischioso. Il risultato di tutto questo si è visto con le elezioni di un paio di settimane fa: a Hong Kong, paese in cui l’opposizione democratica era fortissima, hanno stravinto i candidati vicini al regime cinese.

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La repressione ha colpito duramente anche il diritto di protesta e la libertà di manifestare.

Il primo arrestato dopo l’approvazione della legge era stato un uomo accusato di essere in possesso di una bandiera a favore dell’indipendenza di Hong Kong, gesto considerato dalla legge sulla sicurezza nazionale pericoloso e sovversivo, così come l’esposizione di striscioni. Nei mesi successivi, gli arresti nell’ambito di manifestazioni e marce pro-democrazia erano stati centinaia, spesso seguiti da condanne.

L’editore di Hong Kong Jimmy Lai, in manette con un libro in mano, scortato dalla polizia (AP Photo/Kin Cheung)

Alcuni arresti sono avvenuti nell’ambito di pubbliche commemorazioni della strage di Piazza Tienanmen, una delle questioni più divisive tra Cina e Hong Kong.

La strage fu compiuta a Pechino dal regime comunista tra il 3 e il 4 giugno del 1989, contro centinaia di studenti, intellettuali e operai che chiedevano maggiori libertà politiche, libertà di stampa, riforme economiche e la fine della corruzione nel paese. Ancora oggi il governo cinese censura sistematicamente ogni riferimento alla strage, e la legge sulla sicurezza nazionale gli ha dato gli strumenti per farlo anche a Hong Kong, dove fino al 2020 le commemorazioni erano consentite.

Per impedirle, quest’anno la polizia di Hong Kong ha mobilitato circa 7mila agenti. Alcuni manifestanti sono stati arrestati e il gruppo di attivisti che per 32 anni aveva organizzato a Hong Kong una delle veglie ha annunciato il proprio scioglimento. Le autorità hanno ordinato anche la rimozione di due statue che commemoravano la strage in due università.

La repressione del governo cinese ha riguardato media e giornali.

A dicembre dell’anno scorso la polizia di Hong Kong aveva arrestato Jimmy Lai, editore di Apple Daily, pubblicazione apertamente critica nei confronti del governo della città e del regime cinese, considerata fino alla sua chiusura il principale quotidiano d’opposizione a Hong Kong. Lai, che era già stato arrestato, è stato poi giudicato colpevole per aver partecipato a una veglia per commemorare la strage di Piazza Tienanmen. Le autorità avevano anche arrestato uno dei principali editorialisti del giornale, Tseung Kwan O, che scriveva con lo pseudonimo di Li Ping. Il giornale poi aveva poi chiuso, seguito sei mesi dopo da Stand News.

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Le libertà sono state ridotte anche su internet: la legge sulla sicurezza nazionale, infatti, ha dato alla polizia il potere di rimuovere qualsiasi contenuto considerato pericoloso e di accedere a qualsiasi dato che dovesse servire a indagini che riguardano la sicurezza nazionale. Di nuovo, sono seguiti arresti.

Quest’estate il governo di Hong Kong ha approvato anche nuove linee guida che per la prima volta consentiranno la censura di opere cinematografiche per motivi politici. A poter essere censurati saranno i film che potrebbero «costituire un pericolo per la sicurezza nazionale»: le linee guida dicono che il censore non dovrà limitarsi al contenuto, ma dovrà valutare anche i «probabili effetti» che l’opera cinematografica potrebbe avere sulle «persone che potrebbero guardarla». Sono regole che si applicano sia ai film cinesi sia a quelli provenienti dall’estero.

La repressione del governo cinese ha infine indebolito l’economia di Hong Kong, territorio che per anni era stato considerato uno dei principali centri mondiali per il commercio e la finanza. Il suo sistema finanziario era paragonabile a quello di una città occidentale, e il territorio godeva di un ampio margine di libertà anche nella gestione dell’economia. Negli ultimi tempi, però, decine di società internazionali hanno trasferito le proprie sedi altrove, perché non considerano più Hong Kong un territorio libero e sicuro in cui fare affari.

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