Com’è messa la sinistra in Europa

Meno peggio di quanto ci si potrebbe aspettare, soprattutto grazie alle vittorie in Portogallo, Spagna e in Scandinavia (e anche in alcuni dei posti in cui ha perso, le cose non vanno così male)

(AP Photo/Yorgos Karahalis)
(AP Photo/Yorgos Karahalis)

La storica sconfitta del Partito Laburista britannico la scorsa settimana non è un caso isolato: nel racconto della stampa e nella percezione di molti, dalla crisi economica del 2008 in Europa la sinistra non sembra subire che sconfitte. Il Regno Unito è andato così ad aggiungersi alla lista dei paesi in cui negli ultimi anni i partiti della sinistra hanno ottenuto i loro peggiori risultati di sempre, di cui fanno già parte Germania, Francia e Italia. A guardare bene, però, il 2019 è stato un anno in controtendenza. È presto per dire se sia l’inizio di un nuovo fenomeno oppure soltanto una parentesi, ma la sinistra quest’anno ha ottenuto diverse importanti vittorie.

In questo grafico dell’Economist si vede il calo nel voto raccolto dai principali partiti socialdemocratici europei fino al 2015

Francia, Germania ed Europa dell’Est
Partiamo con quei paesi dove la crisi della sinistra sembra ancora nel suo pieno, e non si vedono grandi cambiamenti all’orizzonte. In Polonia, per esempio, le elezioni parlamentari di ottobre sono state contese tra la destra radicale del partito Legge e Giustizia e il centrodestra europeista di Piattaforma Civica (stravinte dai primi). Queste due formazioni raccolgono quasi l’80 per cento degli elettori, mentre la sinistra deve accontentarsi di poco più del 10 per cento. Nel resto dell’Europa orientale e centrale la situazione non è molto diversa.

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In Germania la situazione è solo leggermente migliore. La SPD, il più antico e blasonato partito socialdemocratico d’Europa, si trova in una profondissima crisi e alle ultime elezioni europee ha ottenuto il suo peggiore risultato di sempre: 15 per cento. Nel frattempo continua a perdere elezioni locali e si trova in una complessa fase di ricambio della sua leadership. A fronte di queste difficoltà, le cose non vanno bene nemmeno per la sinistra radicale di Die Linke, che continua a restare sotto al 10 per cento. Il quadro è reso leggermente meno fosco dal successo dei Verdi, che alle europee hanno ottenuto uno storico risultato raccogliendo il 20 per cento dei voti e diventando il secondo partito del paese.

La Francia è il grande paese europeo dove il centrosinistra sembra messo peggio. Le ultime elezioni europee sono state vinte dal Rassemblement National di Marine Le Pen, un partito di estrema destra, seguito dalla coalizione centrista del presidente Emmanuel Macron. Se a loro aggiungiamo il centrodestra dei Repubblicani, il risultato è che circa il 70 per cento dei francesi ha votato per partiti di destra o di centro. Il centrosinistra ha dovuto invece accontentarsi del buon risultato dei Verdi (che hanno preso il 13 per cento), mentre la sinistra della France Insoumise e il Partito Socialista – che ha espresso lo scorso presidente, François Hollande – hanno raccolto appena il 6 per cento ciascuno (entrambi i partiti sono talmente nei guai che negli ultimi anni hanno dovuto vendere le loro storiche sedi).

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Complessivamente le elezioni europee non sono state un grosso peggioramento rispetto al primo turno delle presidenziali del 2017 (i Verdi hanno recuperato quanto perso dagli altri due partiti), ma hanno dimostrato che la Francia rimane uno dei paesi dove la sinistra si trova nelle maggiori difficoltà.

I due nuovi leader della SPD, Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken, che hanno promesso di cercare di dare nuove energie al partito ridiscutendo la coalizione che li lega al governo di Angela Merkel (Kay Nietfeld/picture-alliance/dpa/AP Images)

Regno Unito e Grecia
Ci sono poi paesi europei dove il centrosinistra perde, ma riesce in qualche modo a non crollare del tutto. L’esempio principale è la Grecia, dove si è votato a luglio. La coalizione di sinistra Syriza, guidata da Alexis Tsipras, è stata sconfitta, ma ha comunque mantenuto il 31,5 per cento e 1,7 milioni di voti (rispetto al 36 per cento e ai due milioni di voti delle elezioni 2015). È probabile che Syriza rimanga la principale forza di opposizione del paese, mentre sembra aver scongiurato per il momento di fare una fine come quella dei Socialisti francesi. Presa complessivamente, inoltre, l’area della sinistra greca, per quanto sia difficile da riunire in un’unica coalizione, non è messa così male. Il Partito Comunista Greco rimane a un rispettabile 6 per cento, mentre i moderati di KINAL (di cui fa parte il vecchio partito socialdemocratico PASOK, divenuto il simbolo della disfatta della sinistra dopo la crisi economica) stando agli ultimi sondaggi ha superato l’8 per cento.

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Il Regno Unito, dove il Partito Laburista guidato da Jeremy Corbyn ha ottenuto una settimana fa il numero minore di seggi dal dopoguerra, sembra invece un caso più simile a quello francese. Ma anche se la disfatta è stata di grosse dimensioni, la situazione dei laburisti non sembra così grigia. Il partito è riuscito comunque a conquistare il 32 per cento dei voti, una quota maggiore di quanto fece nel 2015 e nel 2010 e, in termini assoluti, più voti che alle elezioni vinte nel 2005 da Tony Blair (quando però andarono a votare molte meno persone). Soprattutto, a differenza della sinistra francese (e italiana), il Labour ha le casse piene, un’organizzazione capillare di attivisti e ha raddoppiato i suoi iscritti in pochi anni, diventando il più grande partito d’Europa, con un numero di membri ritornato al livello raggiunto l’ultima volta 40 anni fa.

Il leader laburista Jeremy Corbyn, poco prima di pronunciare il discorso con cui ha riconosciuto la sconfitta alle elezioni del 12 dicembre. Corbyn si è preso la responsabilità della sconfitta e ha indicato una campagna elettorale focalizzata su Brexit per il cattivo risultato del partito (AP Photo/Alberto Pezzali)

Portogallo, Spagna e Italia
In Portogallo si è votato lo scorso ottobre dopo quattro anni di governo di una coalizione di centrosinistra che non solo ha rivinto le elezioni, ma è riuscita anche ad allargare la sua maggioranza: il Partito Socialista del primo ministro Antonio Costa è passato da 86 a 108 seggi, con un aumento dei voti pari al 4 per cento. La ricetta del governo Costa è stata invertire gli aspetti più dannosi dell’austerità imposta al paese dai creditori europei, tenendo però i conti sotto controllo (al prezzo di sacrificare gli investimenti: le infrastrutture del paese, infatti, stanno cadendo a pezzi). Per ora queste scelte hanno pagato: Costa è il politico più popolare del paese, il centrodestra continua a spostarsi al centro, mentre la destra radicale non esiste (e Costa può dire senza difficoltà che il Portogallo ha bisogno di più immigrati e che nel paese non c’è posto per alcuna retorica xenofoba).

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Nella vicina Spagna la situazione per la sinistra è più tormentata, ma è comunque migliore di qualche anno fa. Alle elezioni dello scorso aprile il Partito Socialista guidato da Pedro Sanchez ha ottenuto un’importante vittoria, crescendo di oltre sei punti percentuali e tornando a essere, per la prima volta dalla crisi economica, il primo partito del paese. L’altra principale forza di sinistra, Unidos Podemos di Pablo Iglesias, ha perso tanti voti quanti ne hanno guadagnati i Socialisti, ma la sinistra è comunque riuscita a guadagnare qualcosa grazie al buon risultato ottenuto dai partiti indipendentisti catalani. Il tentativo di formare una coalizione dopo il voto di aprile però è fallito, e così a novembre si sono tenute nuove elezioni. Tutte le forze di sinistra hanno perso qualcosa, ma complessivamente i rapporti di forza nel Parlamento sono cambiati poco (qui abbiamo spiegato un po’ meglio vincitori e sconfitti di quest’ultimo voto) e dopo lunghe trattative i socialisti, UP e i catalani sono riusciti ad accordarsi per formare un nuovo governo.

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Anche in Italia la situazione non sembra così disperata come un anno fa, anche se rimangono molti dubbi. Nel 2018 il PD aveva toccato il minimo storico dei suoi consensi, raccogliendo alle elezioni politiche appena il 18 per cento dei voti, ed era finito all’opposizione di un governo tra Lega e Movimento 5 Stelle. Nel giro di un anno, però, il PD è riuscito a recuperare qualche punto percentuale (arrivando leggermente sopra il 20 per cento alle elezioni europee) e, in seguito alla caduta del governo Lega-Movimento 5 Stelle, è tornato in maggioranza, appoggiando il secondo governo Conte insieme al Movimento 5 Stelle. Il centrodestra e la Lega sono molto forti, secondo i sondaggi, ma per il momento l’Italia è tornata a essere governata da una coalizione di centrosinistra.

Il primo ministro portghese Antonio Costa (a sinistra) con il suo omologo spagnolo, Pedro Sanchez. I due leader sono riusciti a riportare la sinistra al governo nei rispettivi paesi (Borja Puig de la Bellacasa/Pool Photo via AP)

La Scandinavia
Insieme alla penisola iberica, i risultati del centrosinistra in Scandinavia sono la ragione principale per cui si può parlare di un 2019 non così tragico per i progressisti. Le elezioni in Danimarca dello scorso giugno, per esempio, sono state vinte dalla coalizione di centrosinistra che oggi sostiene un governo monocolore del Partito Socialdemocratico Danese. Quello danese è un voto di cui si è molto discusso, soprattutto perché i socialdemocratici sono uno dei partiti di sinistra più a destra sulle questioni identitarie, culturali e migratorie (ma sono anche molto a sinistra sui temi economici). Il successo della coalizione però non è stato tanto dovuto ai socialdemocratici (che hanno perso qualche voto rispetto alle elezioni precedenti e sono attualmente molto vicini al loro minimo storico), quanto alla crescita del resto del centrosinistra, formato dalla sinistra radicale e da quella più centrista e pro-Europa. Nel frattempo il centrodestra moderato (che per i nostri standard non è proprio moderato) è cresciuto ma non abbastanza, mentre la destra radicale – al governo fino all’anno scorso – ha avuto un tracollo.

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La situazione è simile in Finlandia, dove si era votato ad aprile. La coalizione di centrodestra, al governo fino a quel momento, ha subìto una dura sconfitta, con il Partito di Centro che ha perso quasi 20 seggi, mentre la destra radicale del Partito dei Finlandesi è rimasta sostanzialmente stabile. La sinistra, invece, è cresciuta di 5 punti percentuali e 15 seggi, divisi tra i Socialdemocratici, tornati a essere il più grande partito del paese, i Verdi e la Sinistra radicale. Oggi al governo c’è un’ampia coalizione di centrosinistra che, dopo alcuni sommovimenti interni, ha finito con l’essere guidata da Sanna Marin, che a 34 anni è la più giovane capo di governo al mondo.

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Le cape delegazioni del nuovo governo finlandese. Da sinistra a destra: la ministra dell’Educazione Li Andersson (Alleanza di Sinistra), la ministra delle Finanze Katri Kulmuni (Partito di Centro), la prima ministra Sanna Marin (Partito Socialdemocratico), la ministra dell’Interno Maria Ohisalo (Verdi) (Heikki Saukkomaa/Lehtikuva via AP)

Belgio e Paesi Bassi
In Belgio si è votato a maggio e il risultato delle elezioni non è stato così disastroso per il centrosinistra come ci si poteva aspettare (ma a sette mesi dal voto non c’è ancora un governo, quindi tutto può ancora accadere). Il Partito Socialista francofono ha continuato a perdere voti (ha perso il 2,2 per cento rispetto alle elezioni del 2014) ma i voti persi sono stati compensati dall’ottimo risultato del Partito dei Lavoratori Belgi, un partito di sinistra radicale che ha più che raddoppiato i suoi voti arrivando vicino ai socialisti; e da quello dei due partiti verdi, uno francofono e l’altro fiammingo (se sommati, sarebbero il secondo partito del paese). I veri sconfitti sono stati i conservatori centristi della Nuova Alleanza Fiamminga. Anche l’estrema destra di Interesse Fiammingo (Vlaams Belagan) ha ottenuto un risultato eccezionale, cosa che potrebbe spingere i conservatori a rompere il tradizionale “cordone sanitario” che fino a oggi ha tenuto la destra radicale fuori dal governo.

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Nei Paesi Bassi non ci sono state elezioni politiche quest’anno, ma le europee di maggio hanno portato comunque buone notizie alla sinistra. Alle ultime elezioni politiche, nel 2017, il Partito Laburista aveva perso tre quarti dei voti, passando in appena cinque anni dall’essere il secondo partito del paese a essere il settimo. Il partito sembrava a un passo dalla sparizione, come stava capitando ai socialisti francesi. Nei due anni successivi però i suoi leader hanno inviato delegazioni in Portogallo e Regno Unito, hanno studiato l’organizzazione del Labour e hanno rinnovato il loro gruppo dirigente. Alle elezioni europee i Laburisti hanno raddoppiato i loro voti rispetto al 2017, diventando il primo partito del paese (oggi i sondaggi gli danno il secondo posto, a poca distanza dal principale partito conservatore).

Peter Martens, leader del Partito dei Lavoratori Belgi, uno degli unici partiti comunisti europei ad aver ottenuto buoni risultati elettorali nell’ultimo decennio (Dieter Boone/Flickr)