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  • Lunedì 8 luglio 2019

In Grecia ha vinto il centrodestra

Il partito Nuova Democrazia ha ottenuto quasi il 40 per cento e governerà da solo: il suo leader Kyriakos Mitsotakis sostituirà Alexis Tsipras

(Milos Bicanski/Getty Images)
(Milos Bicanski/Getty Images)

Il partito Nuova Democrazia, di centrodestra, ha vinto le elezioni politiche che si sono tenute domenica in Grecia. A spoglio quasi concluso Nuova Democrazia ha ottenuto il 39,7 per cento dei voti, superando di circa 8 punti il partito di sinistra radicale Syriza, che esprimeva il governo e il primo ministro uscente, Alexis Tsipras. La vittoria di Nuova Democrazia e del suo leader Kyriakos Mitsotakis era stata da tempo prevista da sondaggi e osservatori e in qualche modo anticipata dalle elezioni europee, vinte dal partito di centrodestra con un distacco simile. La cerimonia del passaggio di consegne fra Tsipras e Mitsotakis avverrà già oggi, lunedì 8 luglio.

Il risultato di ieri consentirà a Nuova Democrazia di governare da sola. La legge elettorale greca assegna infatti un bonus di 50 seggi al partito vincitore, cosa che di fatto garantisce la maggioranza a chi ottiene una percentuale intorno al 40 per cento dei voti. Al momento si stima che nella prossima legislatura il partito di Mitsotakis controllerà 158 seggi sui 300 della camera unica del Parlamento greco, la Boulè.

L’opposizione sarà formata quasi solo da partiti di sinistra: oltre a Syriza ci saranno KINAL – una coalizione di centrosinistra che comprende il vecchio PASOK, arrivata terza con l’8,1 per cento dei voti – i comunisti del KKE e il piccolo partito dell’ex ministro dell’Economia Yanis Varoufakis, MeRA25. È entrato in Parlamento anche Soluzione Greca, un nuovo partito di destra nazionalista. Non ha superato la soglia di sbarramento Alba Dorata, il partito neofascista che alle ultime quattro elezioni aveva sempre ottenuto percentuali intorno al 7 per cento.

Mitsotakis ha 51 anni ed è figlio di una delle famiglie più ricche e potenti della Grecia. I Mitsotakis-Venizelos sono infatti una dinastia di armatori greci che ha già espresso tre primi ministri, numerosi ministri, parlamentari e governatori regionali. Dopo la laurea in relazioni internazionali ottenuta a Stanford, Mitsotakis lavorò come consulente per alcune banche e altre società finanziarie internazionali, tra cui la discussa società di consulenza McKinsey. Nei primi anni Duemila abbandonò il settore privato per entrare in politica. Nel 2013 fu nominato ministro della Riforma della pubblica amministrazione nel governo Samaras, quello che aveva il difficile compito di implementare le più dure misure di austerità richieste dai creditori e che fu sconfitto da Syriza alle scorse elezioni politiche, tenute nel 2015.

Nel corso della campagna elettorale Mitsotakis ha puntato sui temi classici del centrodestra: ha proposto come sua principale misura per il futuro un massiccio taglio di tasse alle imprese e agli investitori. Si è poi opposto allo storico accordo stretto dal governo di Tsipras col paese un tempo conosciuto come Repubblica Jugoslava di Macedonia. In seguito all’accordo, che ha risolto una disputa diplomatica e culturale che andava avanti da decenni, la Macedonia ha preso il nome di Macedonia Settentrionale e la Grecia ha rimosso il veto che aveva posto fino ad allora al suo ingresso nella NATO. Secondo diversi osservatori uno degli errori di Tsipras è stato proprio quello di sottovalutare l’ostilità dei greci all’accordo con la Macedonia Settentrionale, condivisa più o meno da due terzi dell’elettorato.

Ma Mitsotakis ha anche cercato di guardare al centro: in campagna elettorale aveva promesso una nuova spinta alla crescita economica, e nel suo primo discorso dopo il voto si è rivolto ai moltissimi giovani greci – fra i 350mila e i 400mila, secondo alcune stime – che si sono trasferiti all’estero negli anni della crisi. «Non vi chiederò di tornare», ha detto Mitsotakis, «ma di rivolgere lo sguardo e il cuore alla Grecia. Da oggi lavoreremo per cambiare il paese che siete stati costretti a lasciare».

Le ultime elezioni politiche in Grecia si erano tenute nel 2015, e Syriza le aveva vinte con il 36 per cento dei voti. Tsipras aveva promesso ai greci la fine delle misure di austerità e la rinegoziazione delle durissime condizioni imposte al paese dai suoi creditori, dopo una durissima crisi economica e un enorme buco di bilancio creato dai governi precedenti. Il suo linguaggio radicale e la presenza di numerosi esponenti della sinistra estrema nel partito fecero temere a molti che il governo stesse preparando il paese all’uscita dall’euro.

Durante il suo mandato però Tsipras aveva mostrato un certo pragmatismo cedendo alle pressioni dei creditori e finendo con l’accettare un prestito internazionale a condizioni dure quasi quanto le precedenti. In seguito Tsipras aveva allontanato dal suo governo gli elementi più radicali, come l’allora ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, e adottato quasi del tutto i nuovi tagli di spesa e gli aumenti di tasse richiesti dai creditori.

Nell’ultimo periodo il governo Tsipras aveva anche superato gli obiettivi dei creditori, promettendo di raggiungere un surplus primario – cioè incassare più di quanto spende al di là degli interessi sul debito – pari al 3,5 per cento, un livello altissimo e praticamente senza precedenti nella storia del mondo industrializzato, con cui aveva avviato alcune misure di redistribuzione (tardivamente, secondo alcuni). Il tasso di disoccupazione era comunque rimasto al 18 per cento, di gran lunga il più alto in Europa.

«Usciamo a testa alta: la Grecia che consegniamo non ricorda più quella di cui ci facemmo carico quattro anni fa», ha detto Tsipras dopo la sconfitta: «oggi lasciamo in eredità un paese che è tornato libero».