Negli ultimi giorni la stampa di tutto il mondo si è occupata della conclusione dell’accordo sul nucleare tra Iran e paesi del cosiddetto gruppo “5+1” – formato dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Francia, Cina, Regno Unito, Stati Uniti e Russia) più la Germania – che tra le altre cose prevede alcune limitazioni per l’Iran nel processo di arricchimento dell’uranio in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche e commerciali. L’accordo è stato celebrato come una grande conquista dalla maggior parte della comunità internazionale (a eccezione di Arabia Saudita e Israele), nonostante sia provvisorio e non abbia meccanismi vincolanti che ne garantiscano il rispetto. Il punto è che nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da questi colloqui e un risultato tutto sommato modesto si è trasformato in qualcosa da festeggiare: meglio di nessun risultato.
L’Iran è un paese molto complicato da capire. Ha una storia recente incredibile e unica, per la rapidità e la profondità dei cambiamenti che ha passato. Dal 1979 è una Repubblica Islamica e ce ne sono solo quattro nel mondo. Quella iraniana è l’unica governata dagli sciiti e anche questa è una cosa notevole, per diverse ragioni, ma ci arriviamo. Prima di quella data l’Iran era una monarchia con a capo lo scià ed era il più grande alleato degli Stati Uniti in Medioriente. La rivoluzione ha cambiato tutto e da allora l’Iran è un paese diverso da quello che era prima, finito al centro delle attenzioni di politica estera di molti paesi del mondo. Ecco, in ordine, alcune cose da sapere sull’Iran, per chiarirsi le idee, per quanto possibile.
Com’è che l’Iran diventa amico degli Stati Uniti
Prima del 1979 a governare l’Iran c’era lo scià: si chiamava così il re di Persia, di fatto si trattava di una monarchia. Dal 1941 al 1979 lo scià fu Reza Pahlevi, che ereditò la carica dal padre, Reza I, costretto ad abdicare nel 1941 durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine della guerra il Regno Unito, che era stato la potenza dominante in Medioriente fino a quel momento, decise di disimpegnarsi: il nuovo governo laburista britannico preferì usare le risorse per la ricostruzione nazionale e il welfare state, piuttosto che per la politica estera. Gli Stati Uniti avevano bisogno di un alleato che la sostituisse e che svolgesse funzioni da “poliziotto” nell’area: scelsero l’Iran dello scià, considerato sufficientemente affidabile, che accettò il ruolo, anche se inizialmente con qualche reticenza.
L’alleanza con gli Stati Uniti divenne totale nel 1953, quando lo scià riprese il controllo del paese con un colpo di stato contro il nazionalista Mohammed Mossadegh, a cui parteciparono anche i servizi segreti statunitensi e britannici (la storia del colpo di stato è spiegata qui). Intanto l’Iran si affermò come stato produttore ed esportatore di petrolio: i soldi guadagnati dalla vendita del greggio gli permisero di comprare molte armi, principalmente dagli Stati Uniti, e di trasformare l’esercito iraniano nell’esercito più forte di tutto il Medioriente. Quello era l’Iran che piaceva agli americani; quello che l’ex segretario di stato Henry Kissinger sintetizzò efficacemente così:
«Non c’era alcuna possibilità di inviare forze americane nell’Oceano Indiano, nel pieno della guerra del Vietnam e mentre gli Stati Uniti ne vivevano il trauma […]. Il vuoto lasciato dal ritiro britannico, ora minacciato dall’intrusione sovietica così come dalla radicalizzazione, sarebbe dovuto essere colmato da una potenza locale a noi favorevole. L’Iraq sarebbe stato così scoraggiato dal compiere gesti avventurosi contro gli Emirati del Golfo, la Giordania o l’Arabia Saudita. Un Iran più forte avrebbe spento le tentazioni indiane di completare la conquista di tutto il Pakistan. E tutto ciò poteva essere compiuto senza impegnare risorse americane, poiché lo scià era disposto a pagare gli armamenti con i proventi della vendita del petrolio»
La rivoluzione islamica di Khomeini, nel 1979
Nel 1979 in Iran ci fu la rivoluzione più incredibile della storia recente del Medioriente, e anche la più importante e significativa dal punto di vista della politica internazionale. Gli anni che precedettero la rivoluzione furono un crescere progressivo di malcontenti e proteste in tutto il paese. Le ragioni furono diverse, sintetizzabili – semplificando – in tre punti.
Per prima cosa, dal 1963 al 1979 in Iran ci fu la cosiddetta “rivoluzione bianca”: un programma molto ampio di riforme attuate dallo scià e suggerite dall’amministrazione statunitense di John F. Kennedy, per “anticipare” in qualche modo le spinte di cambiamento che avrebbero potuto far guadagnare consensi all’opposizione comunista. La modernizzazione fu però troppo veloce e fu presto accusata di essere una “occidentalizzazione”, soprattutto dai religiosi. Le aspettative degli iraniani aumentarono senza però che di pari passo crescessero l’economia del paese e la lotta contro la corruzione del regime e della monarchia. Nel 1976 iniziò la crisi – da qualche anno la situazione delicata tra Israele, Egitto e Siria aveva rallentato la produzione del petrolio – con alti livelli di disoccupazione e inflazione: dal maggio del 1977 iniziarono le proteste degli intellettuali a cui si aggiunsero poi quelle dei religiosi, anche moderati.