• Mondo
  • Mercoledì 5 febbraio 2025

Perché il piano di Trump sulla Striscia di Gaza è enormemente problematico

Violerebbe il diritto internazionale e causerebbe sofferenze a milioni di persone, oltre a essere molto costoso e impraticabile dal punto di vista logistico

Una famiglia di sfollati palestinesi torna nella propria casa nel nord della Striscia di Gaza dopo il cessate il fuoco fra Israele e Hamas, 29 gennaio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Una famiglia di sfollati palestinesi torna nella propria casa nel nord della Striscia di Gaza dopo il cessate il fuoco fra Israele e Hamas, 29 gennaio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Caricamento player

La proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di prendere il controllo della Striscia di Gaza, espellendo i circa 2 milioni di persone palestinesi che ci vivono, è problematica su vari livelli, quasi sicuramente irrealizzabile e certamente illegale per il diritto internazionale. L’idea è stata ritenuta sorprendente persino per Trump, che nelle ultime settimane ha fatto una serie di annunci a dir poco inusuali in moltissimi ambiti, dal commercio internazionale agli aiuti umanitari (e non solo). Il Guardian per esempio l’ha definita «scioccante, persino per una presidenza che ci ha abituato alla rottura delle consuetudini».

Trump ha presentato la proposta durante una conferenza stampa organizzata a Washington con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Non ha dato molti dettagli, ma per come ne ha parlato sembra che l’idea sia quella di espellere con la forza gli abitanti della Striscia, «prenderne il controllo» e sviluppare un enorme progetto edilizio che la trasformi nella «riviera del Medio Oriente». Trump ha poi esplicitamente detto che a quel punto la Striscia di Gaza non verrebbe riconsegnata ai palestinesi, ma gestita da altri, non è chiaro chi.

Espellere le persone dal posto in cui vivono è una pratica esplicitamente vietata da vari trattati internazionali: su tutti la quarta convenzione di Ginevra sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra, firmata nel 1949. All’articolo 49 della convenzione si legge che «i trasferimenti forzati, in massa o individuali […] fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo». Negli scorsi decenni diversi tribunali internazionali si sono occupati di espulsioni e trasferimenti forzati di massa, arrivando in diversi casi a condanne, per esempio nel caso delle guerre nella ex Jugoslavia degli anni Novanta.

Al di là delle evidenti contraddizioni con il diritto internazionale, l’espulsione di massa dei palestinesi dalla Striscia di Gaza causerebbe enormi sofferenze a due milioni di persone, già provate da oltre un anno di continui e intensi bombardamenti israeliani sulla Striscia nei quali sono state uccise almeno 60mila persone, mentre decine di migliaia sono state ferite.

Per i palestinesi sarebbe un nuovo trauma collettivo, dopo le espulsioni di massa subìte prima, durante e subito dopo la guerra che Israele combatté nel 1948 con diversi paesi arabi, quando circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case. La guerra fu poi vinta da Israele. I palestinesi definiscono questo avvenimento come la Nakba, “la catastrofe” in arabo, e la ricordano ogni anno il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello stato di Israele, avvenuta il 14 maggio del 1948.

Un gruppo di profughi palestinesi lascia le proprie case dopo la fine della guerra, 4 novembre 1948 (AP Photo/Jim Pringle, File)

Gli abitanti attuali della Striscia, peraltro, non avrebbero alcun posto dove andare. Trump ha suggerito che vengano accolti dall’Egitto e dalla Giordania, due paesi che ospitano già diversi discendenti di profughi palestinesi – in Giordania sono più di due milioni – e ora non hanno le risorse materiali né la volontà politica di accogliere gli abitanti della Striscia di Gaza.

Espellere i palestinesi dalla Striscia di Gaza sarebbe poi un’operazione proibitiva dal punto di vista logistico, che probabilmente richiederebbe di trasferire in maniera permanente nella Striscia decine di migliaia di soldati statunitensi. In passato Trump aveva spesso promosso un graduale disimpegno degli Stati Uniti in Medio Oriente: questa proposta va nella direzione opposta.

È ancora più surreale la proposta di trasformare la Striscia di Gaza in una sorta di enorme complesso turistico in riva al mare. «Sembra uno dei progetti edilizi di cui si occupava da imprenditore», ha scritto il capo dei corrispondenti della Casa Bianca del New York Times, Peter Baker. L’analista Andrew Miller, che in passato ha collaborato con le amministrazioni Democratiche di Joe Biden e Barack Obama, ha detto sempre al New York Times che un progetto di sviluppo edilizio del genere costerebbe parecchi soldi, molti di più dei 40 miliardi di dollari all’anno che oggi gli Stati Uniti spendono per la cooperazione internazionale e che lo stesso Trump ha definito eccessivi.

«È letteralmente la proposta più incomprensibile che abbia mai sentito da un presidente statunitense», ha detto Miller al New York Times.

Qualche giorno fa, dopo che Trump aveva ipotizzato di espellere i palestinesi dalla Striscia senza fornire molti altri dettagli, una serie di paesi a maggioranza araba fra cui Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, oltre all’Autorità Palestinese – l’ente paragovernativo che amministra parte della Cisgiordania – aveva respinto con forza questa ipotesi, spiegando in un comunicato che avrebbe «messo in pericolo la stabilità della regione, rischiato di espandere il conflitto, e compromesso le prospettive di pace e coesistenza fra i popoli». L’idea è stata invece accolta positivamente da Netanyahu, che ha detto: «Questo è il modo di pensare che darà nuova forma al Medio Oriente e porterà la pace».