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  • Lunedì 16 ottobre 2023

Breve storia della “Nakba”

Molti palestinesi temono che l'ordine di evacuazione del nord della Striscia di Gaza sia una ripetizione dell'evento considerato l'inizio di tutte le loro sofferenze

Palestinesi in fuga verso il Libano nel 1948 (ANSA-EPA/ELDAN DAVID)
Palestinesi in fuga verso il Libano nel 1948 (ANSA-EPA/ELDAN DAVID)

L’ordine di evacuazione dato venerdì da Israele alla popolazione del nord della Striscia di Gaza ha provocato reazioni molto forti tra i palestinesi, e non solo per l’impossibilità per molti di lasciare le proprie case in un momento in cui nella Striscia ci sono condizioni umanitarie catastrofiche. L’ordine ha anche ricordato quello che viene considerato l’evento più traumatico per i palestinesi: cioè la “Nakba”, “catastrofe” in arabo. Con questo termine ci si riferisce a quello che successe prima e durante la guerra che Israele combatté nel 1948 con diversi paesi arabi, quando circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case. La guerra fu poi vinta da Israele.

Nonostante sia avvenuta nell’arco di mesi, la “Nakba” è ricordata dai palestinesi ogni anno il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello stato di Israele, avvenuta il 14 maggio del 1948.

Negli anni prima di quel giorno sempre più ebrei si erano trasferiti in Palestina, dove allora vivevano per lo più popolazioni arabe. Lo avevano fatto soprattutto per le persecuzioni subite in Europa, che avevano anticipato lo sterminio messo in pratica dalla Germania nazista prima e durante la Seconda guerra mondiale. Con la fine della guerra, l’ONU fece un piano di partizione secondo cui il 56 per cento del territorio doveva essere concesso agli ebrei e il resto ai palestinesi, tenendo conto delle rispettive aree di influenza già esistenti. Gerusalemme doveva essere governata direttamente dall’ONU e rimanere territorio neutrale.

– Leggi anche: La cronologia del conflitto israelo-palestinese

La leadership ebraica accettò la proposta dell’ONU, e il 14 maggio 1948 David Ben Gurion, il presidente dell’Organizzazione sionista mondiale che poi sarebbe diventato il primo primo ministro israeliano, dichiarò la fondazione dello stato di Israele. Entrambe le grandi potenze del tempo, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, riconobbero il nuovo stato. I palestinesi invece rifiutarono la risoluzione e il piano di partizione dell’ONU. Ampie parti della società non accettavano l’idea che quello che fino a un secolo prima era stato territorio quasi interamente abitato da popolazioni arabe dovesse accogliere lo stato di Israele.

Nei giorni successivi alla dichiarazione di indipendenza israeliana una coalizione di stati arabi solidali con la causa palestinese – l’Egitto, l’Iraq, la Giordania (che allora si chiamava Transgiordania) e la Siria – attaccarono lo stato di Israele appena nato da tutti i fronti. Diversi leader politici e militari di questi paesi ritenevano che sarebbe stato piuttosto semplice sconfiggere le forze militari di uno stato appena nato. L’esercito israeliano, che a quel tempo era formato soprattutto da varie milizie nazionaliste, era però più preparato del previsto. Respinse l’attacco e anzi contrattaccò, conquistando enormi porzioni di territorio che l’ONU aveva attribuito ai palestinesi.

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A sinistra, la partizione proposta dall’ONU nel 1947; a destra, Israele dopo la guerra del 1948-49

In seguito alla vittoria di Israele, centinaia di villaggi palestinesi vennero distrutti e circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case e diventare profughi di guerra. Praticamente ogni sopravvissuto alla Nakba ha una storia o un aneddoto legato a quei giorni, e in genere si fa risalire a quella data l’origine dei problemi del popolo palestinese.

Diversi profughi palestinesi scappati dalle loro case fra il 1948 e il 1949 conservano ancora la chiave della loro vecchia abitazione, e se la passano di padre in figlio. Nel 2008 la scultura di un’enorme chiave è stata posta sopra l’arco di ingresso del campo profughi di Aida, vicino a Betlemme. Ma chiavi in varie forme e dimensioni si notano sempre durante le manifestazioni in ricordo della Nakba.

Una celebrazione della Nakba del 15 maggio 2012, a Gaza (AP Photo/Hatem Moussa)

Nel 1949 Israele firmò armistizi con i principali stati alleati dei palestinesi, su tutti Egitto, Siria e Iraq. E gli israeliani si ritrovarono così a controllare un territorio molto più ampio di quanto prevedesse il piano proposto dall’ONU: avevano guadagnato la regione di Acre vicino al confine col Libano, il deserto del Negev nel sud del paese e una fascia più ampia di territorio fra Tel Aviv e Gerusalemme. Al contrario dei territori conquistati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, le conquiste del 1948-49 nel tempo sono state riconosciute dall’ONU, e perciò oggi sono considerate a tutti gli effetti territorio israeliano.

Il guaio è che molti dei territori che dopo il 1949 finirono sotto il controllo di Israele erano abitati da migliaia di arabi palestinesi. Molti di loro erano già fuggiti durante la guerra per paura di finire coinvolti nei combattimenti o negli attentati terroristici delle brigate para-militari israeliane, altri vennero direttamente espulsi dall’esercito israeliano.

Da Giaffa, uno dei più importanti porti del Medio Oriente e storica città araba, in quegli anni fuggirono circa 120mila palestinesi, sia costretti dagli israeliani sia di propria volontà. Oggi Giaffa è un quartiere di Tel Aviv, la città israeliana fondata poco più in là nel 1909. Ad Haifa, un’altra città portuale araba dove si combatté una delle battaglie più importanti della guerra, nel 1949 era rimasta solo una piccola parte dell’originaria popolazione araba: alcuni se n’erano andati prima della battaglia, altri furono costretti ad abbandonare le proprie case dopo la vittoria israeliana. Decine di villaggi palestinesi furono distrutti e ripopolati da insediamenti israeliani.

Una delle più famigerate azioni militari dell’esercito israeliano si tenne a Lidda. L’esercito aveva già conquistato la città con un’azione militare quando in risposta a residui attacchi isolati ordinò di sparare indiscriminatamente su un gruppo di civili rimasti in città: ne furono uccisi fra i 150 e i 200. Il giorno successivo l’esercito israeliano ordinò agli abitanti rimasti di raccogliere i propri averi e abbandonare la città, per raggiungere i reggimenti arabi distanti alcuni chilometri. In molti morirono di disidratazione e fatica lungo la strada.

Nonostante l’ONU alla fine del 1948 avesse emesso una risoluzione che garantisce ai palestinesi il “diritto al ritorno” alle proprie case, Israele non accettò la decisione. Anche prima della guerra, diversi ebrei arrivati in Israele ritenevano che per i palestinesi fosse più semplice trasferirsi in uno stato arabo limitrofo, piuttosto che resistere all’inevitabile stabilirsi di comunità ebraiche in Palestina. In ogni caso per i palestinesi tornare alle proprie case è impossibile, visto che nel frattempo sono state demolite e sostituite da altre abitazioni, oppure mai ricostruite. Nel 2023 anche l’ONU ha commemorato ufficialmente la Nakba, per la prima volta nella sua storia.