• Italia
  • Venerdì 30 dicembre 2022

Quest’anno sciare è ancora più costoso

Soprattutto per l'aumento dei prezzi degli skipass: c'entrano il sempre maggiore costo dell'energia e spese strutturali elevate per le stazioni sciistiche

I gatti delle nevi utilizzati per battere le piste (Dpa/ANSA)
I gatti delle nevi utilizzati per battere le piste (Dpa/ANSA)
Caricamento player

Il periodo delle vacanze di Natale è quello in cui gli impianti sciistici sono più affollati: è considerata “altissima stagione”, i prezzi e l’affluenza sono al loro massimo. Per i gestori degli impianti le fortune economiche di un’annata dipendono da vari fattori, molti legati alla tenuta della neve e delle temperature per un periodo il più possibile lungo, ma una buona fetta di incassi arriva proprio nelle due settimane delle feste. Molti sciatori in questo periodo si trovano a fare i conti con tariffe per gli skipass cresciute con costanza negli ultimi anni: una giornata o un weekend sulla neve sono diventati assai dispendiosi.

La stagione 2022-23 non farà eccezione. I siti specializzati hanno valutato che l’aumento medio per un biglietto giornaliero sulle piste sia stimabile intorno al 9 per cento rispetto allo scorso anno. Per esempio: per un giornaliero a Bardonecchia, in Piemonte, servono 44 euro; a Bormio, in Lombardia, 52; a Cervinia, Valle d’Aosta, 57; nel comprensorio delle Dolomiti 74. Di fronte alle ricorrenti polemiche, i gestori fanno notare come, soprattutto in questa occasione, si tratti di aumenti inevitabili, in linea con l’inflazione e inferiori, in proporzione, all’aumento dei costi, legati principalmente ai forti rincari delle tariffe energetiche.

Nonostante i prezzi considerati spesso alti dagli utenti e nonostante l’affollamento sulle piste di questi giorni, molte delle stazioni sciistiche faticano a far quadrare i conti e non solo per il “caro-energia” dell’ultimo anno.

Negli ultimi decenni i costi di gestione sono fortemente aumentati, soprattutto per la necessità di rinnovare impianti e strutture e di ricorrere con sempre maggiore frequenza all’innevamento artificiale. Le chiusure per il Covid del 2020 avevano provocato forti perdite, non totalmente coperte dai fondi stanziati dal governo con i decretiRistori” (i piani straordinari approvati per aiutare lavoratori e imprese colpiti dalle restrizioni). L’elevata crescita dei prezzi dell’energia, iniziata nel secondo semestre del 2021 e diventata poi più decisa dopo l’invasione russa dell’Ucraina, rischia di compromettere i conti di questa stagione.

Già ad agosto Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari aveva sottolineato problemi di sostenibilità economica per molte delle imprese del settore, chiedendo che fossero inserite nella categoria delle “aziende energivore” e quindi aiutate da fondi statali.

Demis Zendra, amministratore delegato di Borno Ski Area, una stazione sciistica da quattro impianti e 14 chilometri di piste in valle Camonica, in provincia di Brescia, dice: «Produrre un metro cubo di neve fino all’anno scorso aveva un costo che stimavamo in 1,2 euro. Quest’anno sarà molto più vicino ai 2. Noi, che siamo una stazione piccola, l’anno scorso abbiamo prodotto 110.000 metri cubi di neve artificiale. Solo per questa specifica spesa, l’impatto dei rincari è chiaro e pesante».

Per una stazione sciistica come Borno i giorni di innevamento artificiale a stagione sono circa 20-25: i cannoni vanno attivati nelle “finestre di freddo”, ossia quei giorni in cui le temperature sono più basse e la neve può essere sparata, poi di solito la neve artificiale regge meglio (si scioglie a temperature più alte) rispetto a quella naturale.

Per stazioni sciistiche più grandi, con più piste e più impianti, ovviamente i costi sono di un altro ordine di grandezza. Madonna di Campiglio, in provincia di Trento, sulle Dolomiti del Brenta, ha 19 impianti e 60 chilometri di piste. Fa parte del comprensorio Skiarea Campiglio Dolomiti di Brenta, dove i chilometri di piste diventano 150 e gli impianti 57. I comprensori riuniscono diverse località, le cui piste sono collegate: dividono spese di marketing e pubblicità e permettono agli sciatori giri più ampi con uno stesso skipass, ma le aziende di gestione delle singole località hanno poi bilanci separati e indipendenti.

Bruno Felicetti, direttore generale Funivie di Madonna di Campiglio, dice: «Noi abbiamo valutato che i costi dell’energia, che un anno fa pesavano per 2,5 milioni di euro, quest’anno saliranno a 5. Circa la metà dell’energia è utilizzata per l’innevamento artificiale».

Ma Felicetti spiega anche che saranno le stazioni sciistiche più piccole ad avere gli impatti maggiori, perché hanno meno possibilità di assorbire gli aumenti dei costi su bilanci di dimensioni più ampie. Solo per restare ai due esempi già fatti, Borno ha registrato nel 2021-22 ricavi annuali di circa 1,5 milioni di euro, Madonna di Campiglio di oltre 40: il peso degli aumenti proporzionalmente incide più sulla prima.

Ma i costi per l’innevamento artificiale e per l’energia in generale, che serve anche per muovere seggiovie, cabinovie e skilift, sono solo una parte, nemmeno la più consistente, delle uscite delle stazioni sciistiche: pesava mediamente intorno al 10 per cento, potrebbe salire al 20 per cento. Le altre spese consistenti sono quelle legate alle materie prime, dal gasolio per i gatti delle nevi, all’acqua, al gas per il riscaldamento; eventuali affitti e canoni; investimenti per il rinnovamento degli impianti e costi di manutenzione.

Prima di ogni stagione tutti gli impianti devono superare alcune prove fisse di sicurezza e efficienza: esami magneto-induttivi delle funi, test di funzionamento e frenata (prima effettuati senza carico, poi con carico), verifiche del motore di riserva, dei perni, delle rulliere, degli impianti idraulici.

Ogni cinque anni vanno sostenuti esami più approfonditi, che prevedono quasi sempre che i macchinari vengano interamente smontati e rimontati. Ogni anno pezzi non perfetti vanno sostituiti, gli interventi di routine sono numerosi, la vita di un impianto è mediamente di 20-30 anni. Quando è necessario sostituirli, o si vuole farlo per migliorare l’offerta agli utenti o la capacità di carico, gli investimenti necessari sono consistenti, nell’ordine dei 10-20 milioni di euro.

Qui entrano in gioco le differenze fra piccole e grandi stazioni: quelle considerate “grandi industrie” per le normative europee non possono accedere ad aiuti di stato e quindi procedono agli investimenti con fondi solo privati. Quelle più piccole possono partecipare a bandi e sovvenzioni per specifiche opere di rinnovamento, finanziati da enti locali e regioni. È il caso di Borno, che entro la fine del 2024 sostituirà una delle attuali seggiovie con una cabinovia a otto posti e che rinnoverà il rifugio in quota: i 17 milioni di euro necessari per i lavori arriveranno da fondi della Regione Lombardia, del Comune e della Comunità Montana di Valle Camonica.

Per tutti i tipi di strutture comunque la voce più ampia delle spese è costituita dal costo del personale. Si va dai 40-50 dipendenti delle stazioni più piccole ai 200 di quelle più grandi, ai 500 dei comprensori. Nella maggior parte dei casi i dipendenti fissi sono circa un terzo del totale, gli altri sono stagionali: possono lavorare per 5 mesi l’anno (un altro terzo, di solito), o per 8-10 coprendo anche i mesi estivi. Il bilancio 2021 di Funivie Madonna di Campiglio indicava in quasi 10 milioni le spese annuali per il personale.

La gran parte dei dipendenti, stagionali e non, sono spesso residenti dei comuni della zona in cui sorgono le stazioni sciistiche e ciò costituisce una prima componente dell’indotto sul territorio dell’industria sciistica. Il resto è l’ampio effetto-traino per tutto il settore turistico: maestri di sci, ristoranti, affittacamere, hotel, professionisti impegnati nella manutenzione.

Felicetti dice: «Secondo studi di settore per ogni milione di euro incassato dall’azienda ce ne sono altri otto di ricavi sul territorio. Il nostro comprensorio ha un indotto da 650 milioni l’anno». Le proporzioni, di 7-10 volte, sono valide anche per gli impianti di altre regioni e altre dimensioni e il turismo invernale legato all’attività sciistica è spesso la principale risorsa di molte zone montane.

Da tempo, comunque, molte associazioni ambientaliste hanno avviato un più ampio dibattito sul futuro e la sostenibilità delle stazioni sciistiche: il settore richiede continui e notevoli investimenti per sopravvivere e un utilizzo sempre maggiore della neve artificiale, con un significativo impatto ambientale.

Nel frattempo le località interessate da un turismo sciistico stanno provando a portare avanti progetti di destagionalizzazione. Attirare turisti anche d’estate, mantenendo aperti tutti o alcuni degli impianti di risalita, è fondamentale per rendere più sostenibili i conti economici: si promuovono quindi percorsi per il trekking e per le mountain bike e si organizzano eventi e iniziative, anche in quota. L’attività estiva ha oltretutto costi di gestione molto più bassi, che negli anni scorsi hanno inciso mediamente per il 10-15 per cento del totale: risulta quindi più facilmente remunerativa.

– Leggi anche: Cosa c’è dietro una pista da sci