La neve artificiale ha i suoi problemi

È essenziale per quasi tutti gli sport invernali, ma per crearla servono enormi quantità di acqua

Macchinari per la produzione di neve artificiale su una pista del comprensorio sciistico di Zhangjiakou, nella provincia di Hebei, una delle tre sedi delle Olimpiadi invernali di Pechino (AP Photo/ Mark Schiefelbein)
Macchinari per la produzione di neve artificiale su una pista del comprensorio sciistico di Zhangjiakou, nella provincia di Hebei, una delle tre sedi delle Olimpiadi invernali di Pechino (AP Photo/ Mark Schiefelbein)

Negli ultimi decenni l’aumento globale delle temperature e una serie di altri fattori hanno portato i comprensori sciistici di tutto il mondo a impiegare sempre più di frequente la neve artificiale. Per dare l’idea, la gran parte della neve su cui si sono disputate le gare di tutte le Olimpiadi invernali a partire da quelle di Lake Placid (Stati Uniti) nel 1980 era artificiale. Moltissime strutture sciistiche, che spesso realizzano buona parte dei propri incassi in pochissime settimane all’anno, rischierebbero perdite enormi se dovessero basare la propria apertura solo sulla neve naturale.

Produrre neve artificiale comporta però l’impiego di enormi quantità di acqua, spesso con grosse conseguenze sulle risorse a disposizione della popolazione. È un problema che hanno dovuto affrontare anche gli organizzatori dei Giochi di Pechino e che da qualche anno si sta cercando di risolvere con metodi alternativi.

Le Olimpiadi invernali degli ultimi anni si sono tenute in posti sempre più caldi, in parte per via dell’aumento globale delle temperature, e in parte perché i Giochi sono diventati un evento molto più complesso da organizzare, che non tutti i paesi possono o vogliono sostenere. Quelle del 2014 per esempio furono organizzate a Sochi, in Russia, sul Mar Nero, dove le temperature medie nel periodo furono di poco inferiori ai 10℃ e in alcuni casi sfiorarono i 20℃; quelle che sono appena cominciate si stanno tenendo in tre sedi tra Pechino, Yanqing e Zhangjiakou, che si trovano nel giro di 200 chilometri dalla città in una zona fredda, spoglia e arida, dove non nevica quasi mai: condizioni in cui è indispensabile fare affidamento sulla neve artificiale.

Come ha detto all’Economist Robert Steiger, professore dell’università di Innsbruck che si occupa dell’industria degli sport invernali, «ogni comprensorio sciistico sta cercando di rendersi indipendente dalla natura»: se nel 2009 circa un quinto della neve sulle piste delle Alpi francesi era prodotto artificialmente, adesso si supera il 50 per cento. Negli Stati Uniti, secondo la National Ski Areas Association, i comprensori che utilizzano neve artificiale sono il 91 per cento di quelli attivi.

Al di là della possibilità di averla anche quando e dove non nevica, la neve artificiale ha altri vantaggi per gli sport invernali: è molto più compatta della neve normale, e in confronto si scioglie molto meno velocemente, perché dura fino a cinque settimane in più in condizioni meteorologiche identiche. Il problema è che produrre neve artificiale è un processo molto poco efficiente e richiede condizioni particolari.

– Leggi anche: Guida alle Olimpiadi invernali di Pechino

Per fare la neve artificiale si usano appositi macchinari o cannoni sparaneve che imitano il processo che avviene in natura ad alta quota, dove le particelle d’acqua in sospensione nelle nuvole si congelano e cadono poi verso terra. La cristallizzazione dell’acqua è favorita dalle particelle di polvere e dalle altre impurità che si trovano nell’aria: intorno a queste condensano le minuscole gocce d’acqua che raffreddandosi portano poi alla formazione di quello che chiamiamo fiocco di neve.

In ogni caso, per semplificare molto, la produzione della neve artificiale dipende strettamente dalla temperatura e dall’umidità, e questo vuol dire che quando le condizioni non sono ideali non si può garantire una grande quantità di neve come quella richiesta per organizzare grandi eventi. In condizioni non ideali, inoltre, c’è spesso il rischio di sprecare enormi quantità di energia.

Per fare un esempio, durante le Olimpiadi di Vancouver, nel 2010, le temperature registrate nel comprensorio di Cypress Mountain furono così alte da rendere impossibile la produzione di neve artificiale: per consentire lo svolgimento delle gare di sci e snowboard si dovettero disporre decine di tonnellate di paglia per fare da base sulle piste e trasportare centinaia di tonnellate di neve raccolta a quote più alte.

Una pista di neve artificiale realizzata a Yanqing, una delle tre “bolle” dei Giochi di Pechino, dove si terranno le gare di sci alpino e di scivolamento (AP Photo/ Robert F. Bukaty)

Negli ultimi anni sono stati messi a punto nuovi macchinari che consentono di produrre neve artificiale in qualsiasi condizione meteorologica utilizzando tecniche più sofisticate, per esempio miscelando acqua e aria con l’azoto liquido: spesso però lo fanno in tempi più lunghi o comunque consumando ancora più energia rispetto ai macchinari tradizionali, spiega l’Economist.

In ogni caso, il problema principale sembra essere quello del consumo di acqua, soprattutto nelle aree povere di risorse idriche.

La grande quantità di acqua necessaria per produrre neve artificiale è una questione che interessa le strutture sciistiche in tutto il mondo, ed è un argomento così controverso che secondo l’economista norvegese Martin Falk spinge molte attività del settore a non dire pubblicamente quanta ne impieghino, a meno che non siano costrette a farlo. Nei paesi ricchi di risorse idriche trovare l’acqua per produrre neve artificiale può non essere un problema enorme, ma in certe zone rischia di avere conseguenze su quella a disposizione della popolazione, specialmente nei momenti di prolungata siccità e in un periodo in cui le temperature sono in aumento un po’ ovunque per via del cambiamento climatico.

Per dare l’idea, visto che le Olimpiadi di Pechino si stanno svolgendo in aree particolarmente aride, quasi tutte le piste costruite appositamente per i Giochi sono state dotate di capienti bacini per la raccolta d’acqua, che poi è stata usata per creare neve artificiale. Come ha spiegato al Japan Times Carmen de Jong, esperta di idrologia all’università di Strasburgo, questi bacini però sono in grado di raccogliere solo alcune centinaia di migliaia di metri cubi di acqua: secondo una sua stima, per produrre abbastanza neve per i Giochi alla Cina ne servono fino a 2 milioni di metri cubi, l’equivalente dell’acqua contenuta in 800 piscine olimpiche.

Per questo motivo, per produrre abbastanza neve per le Olimpiadi a Zhangjiakou si userà anche il 10 per cento dell’acqua usata dalla popolazione della vicina Chongli, ha detto un portavoce dell’organizzazione dei Giochi di Pechino.

È già successo che l’acqua usata per la neve artificiale andasse a intaccare le riserve idriche destinate alla popolazione locale: alla fine del 2018, durante un periodo di grande siccità, ai residenti di diverse zone delle Alpi francesi era stato raccomandato di limitare l’uso domestico dell’acqua proprio perché ce ne fosse a sufficienza per alimentare i cannoni sparaneve.

Il comprensorio di Zhangjiakou nel dicembre 2021 (Kevin Frayer/ Getty Images)

Tendenzialmente i sostenitori della neve artificiale ritengono che circa l’80 per cento dell’acqua impiegata per produrla poi finisca con l’essere immessa di nuovo nei bacini idrici da cui proviene. I critici tuttavia osservano che il suo impiego abbia un impatto ambientale notevole, anche perché nella gran parte dei casi per far spazio alle piste da sci viene distrutta la vegetazione esistente.

Uno dei professionisti che stanno cercando soluzioni alternative alla produzione di neve artificiale è il finlandese Mikko Martikainen, il più importante consulente di neve per impianti sciistici al mondo. Negli ultimi decenni Martikainen ha lavorato per diversi comprensori sciistici, ha progettato una pista da sci indoor per un emiro degli Emirati Arabi Uniti, ed è stato il primo a sperimentare lo snowfarming alle Olimpiadi di Sochi.

Lo snowfarming è una tecnica piuttosto semplice, che sostanzialmente consiste nel conservare la neve artificiale nel periodo in cui non viene utilizzata per poterla riciclare durante la stagione successiva, risparmiando quindi le grandi quantità di acqua ed energia necessarie per produrla. Verso la fine dell’inverno, solitamente attorno a marzo, si realizzano degli enormi cumuli di neve che vengono poi ricoperti con uno strato isolante, che protegge la neve ed evita che si sciolga. Quando torna l’inverno la neve viene trasportata sulle piste, viene battuta ed è pronta per essere utilizzata in tempo per l’inizio della stagione sciistica. Poi, può essere nuovamente conservata e riutilizzata.

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Martikainen, intervistato sempre dall’Economist, ha raccontato che prima dell’inizio delle Olimpiadi di Sochi aveva fatto accumulare in alcune strutture nel Caucaso circa 1 milione di metri cubi di neve, che comunque era stata utilizzata assieme a neve artificiale prodotta al momento. Date le alte temperature anche ad altitudini elevate, la neve dovette essere trattata col sale per impedire che si sciogliesse troppo; a ogni modo, secondo le sue stime con questa tecnica si risparmiò circa la metà dell’acqua che sarebbe stata usata se tutte le piste fossero state realizzate con neve artificiale fresca.

Nel 2017 Martikainen era stato contattato anche dagli organizzatori delle Olimpiadi di Pechino per preparare un piano che prevedesse l’utilizzo dello snowfarming, e durante l’inverno aveva fatto una prova nella zona di Yanqing, conservando con successo 12mila metri cubi di neve fino al settembre successivo. La Cina comunque scelse di fare affidamento sulla neve artificiale fresca, prodotta utilizzando circa 400 macchinari. «Forse l’idea di avere neve [prodotta in maniera] ecologica non era la loro priorità», ha commentato Martikainen. Sostenendo che l’atteggiamento degli organizzatori dei Giochi di Pechino verso la nuova tecnica sia stato molto conservatore, ha detto che «ne avranno comunque bisogno, perché l’acqua è estremamente importante».