La diplomazia del caffè

La Nuova Simonelli vende macchine per il caffè in 125 paesi e i tecnici del gruppo insegnano agli operatori come si fa il vero espresso italiano

di Claudio Caprara

Il primo caffè espresso della storia pare sia stato fatto a Milano.

A dare dignità e fascino alla bevanda è stata Napoli.

A Cessapalombo, in provincia di Macerata, un artigiano di nome Orlando Simonelli realizzò nel laboratorio sotto casa, nel 1936, la macchina per il caffè a pompa elettrica. Qui si dice che sia la prima nel suo genere. La storia non è mai lineare: le interpretazioni dei fatti riguardo alle invenzioni e le stesse date a volte sono incerte e tendono a generare infinite discussioni e dispute di campanile.

Dodici anni dopo, passata la guerra, Simonelli decise di investire tutto sulla sua invenzione, assunse personale e aprì una la sede a Tolentino, una metropoli rispetto al suo paese di origine. Le cose andavano abbastanza bene e nel 1960 la vecchia Simonelli dovette allargarsi ancora.

In quegli anni venne assunto Nando Ottavi.

«Sono stato assunto come apprendista nel 1963. La nostra era una piccola impresa artigiana nata da un’idea di Orlando Simonelli che voleva aggiungere ai piccoli locali, alle cantine, alle osterie della zona anche una macchina in grado di fare velocemente un buon caffè. Fin dall’inizio l’attenzione di Simonelli era rivolta all’innovazione: in quel periodo quasi tutte le macchine erano a leva, lui mise sul mercato una macchina a erogazione continua».

Ottavi, da neo diplomato delle scuole professionali, si impegnò come factotum al fianco del vecchio Simonelli.

All’inizio degli anni ‘70, diventato troppo anziano e malandato, Orlando Simonelli dovette ritirarsi.

I lavoratori si trovarono ad un bivio: cercare un altro lavoro o provare a prendere in mano l’azienda.

«Nel 1971 – un po’ per problemi di salute, un po’ perché non aveva nessuno che potesse sostituirlo alla guida dell’azienda – Orlando decise di cedere l’azienda. Io e un gruppo di altri dipendenti decidemmo di provare a fare da soli: decidemmo di passare da dipendenti a imprenditori di noi stessi».

Nacque così la Nuova Simonelli.

L’azienda non stava vivendo un periodo particolarmente felice. Era troppo piccola per concorrere con i giganti dell’epoca: si producevano un centinaio di macchine all’anno e il gruppo originario di lavoratori era di una decina di persone.

Nando Ottavi (Valentina Lovato/Il Post)

Il mercato straniero

«In ogni momento della nostra storia, anche quando eravamo in difficoltà, abbiamo sempre fatto attenzione alla qualità e all’innovazione. Posso dire che questa tensione è stata un elemento distintivo della cultura aziendale».

Nel 1974 si verificò un evento “epocale”: per la prima volta una macchina del caffè prodotta nelle Marche venne venduta negli Stati Uniti.

«Guardare all’estero fu una scelta obbligata. Il mercato delle macchine del caffè in Italia era presidiato da marchi importanti e molto più forti di noi. Mettersi contro di loro in quel momento non aveva senso».

Ogni paese ha una sua cultura del caffè e più si approfondisce lo studio più si scoprono cose nuove. Ad esempio si scopre che gli olandesi sono il popolo che beve più caffè al mondo: 260 litri all’anno a persona, in media. Del caffè c’è bisogno, l’espresso ha una sua identità e la presenza degli italiani è diffusa ovunque.

«Le comunità degli emigrati italiani sono state delle vere e proprie ambasciate dell’espresso italiano. All’inizio non è stato facile. Noi abbiamo sempre pensato che gli Stati Uniti potessero rappresentare una finestra sul mondo. Se l’espresso avesse conquistato un suo spazio commerciale lì, allora poteva diffondersi anche nel resto del mondo. Asia e Giappone sono molto influenzati dall’economia americana e questa interdipendenza poteva riguardare anche la cultura del consumo del caffè».

La scoperta dell’America

Un collaboratore della rivista dell’ICE (l’Istituto del Commercio Estero) ci propose di mettere la foto di una nostra macchina sul giornale. La rivista finì nelle mani di Tommaso Bresciani, un operatore italoamericano che si mise in contatto con l’azienda. Voleva fare l’importatore di macchine del caffè.

«Ci venne a trovare, in una serata del 1974 e concludemmo l’affare: un ordine di 25 macchine».

Anni dopo aprì la prima filiale della Nuova Simonelli a Ferndale, una città degli Stati Uniti d’America, situata nello Stato di Washington, tra Seattle e Vancouver.

«Negli anni ’90 fu lo stesso Bresciani che ci propose di fare una società insieme e così aprimmo una filiale della Nuova Simonelli. Realizzammo un capannone nella strada che porta a Seattle. Anche perché Seattle è la città del caffè in America. È lì che Starbucks aprì il suo primo negozio nel 1971».

L’azienda controllata dalla Nuova Simonelli ha raggiunto i 20 milioni di dollari di fatturato con una buona redditività, ma il più grande merito di quell’iniziativa è stata la conferma che si poteva investire nel mondo e trovare un mercato ricettivo.

«La scelta si è rivelata molto felice, perché eravamo più vicini ai nostri clienti – che nel frattempo si erano moltiplicati – e ha rafforzato la capacità commerciale. Oggi ci sono più di venti addetti».

La qualità come mantra

«Abbiamo sempre pensato che per andare all’estero dovevamo portare qualcosa di nuovo. Per questo l’innovazione del prodotto è una nostra ossessione. Non si può esportare se non si fa qualità».

La Simonelli è leader nella vendita di macchine per il caffè espresso nel territorio americano.

Oggi la Nuova Simonelli esporta in oltre 125 paesi.

«Io credo che il caffè abbia ancora un grande futuro – dice Ottavi – cresce in paesi enormi dell’Asia dove si sta affiancando al tradizionale consumo del the».

Una delle principali attività delle filiali della Nuova Simonelli nel mondo è l’organizzazione di corsi di formazione per tecnici e baristi.

«Fin dagli anni ’80 abbiamo capito che era importante dare qualcosa in più ai nostri clienti – dice Ottavi – La semplice commercializzazione dei prodotti non bastava più. L’hardware lo potevano fornire in tanti. Offrire dei servizi in più non è scontato e su questo abbiamo investito».

Gli investimenti hanno portato all’apertura di una vera e propria scuola per operatori dell’estrazione del caffè.

«Gruppi come Starbucks e McDonald’s erano orientati ad entrare nel mercato dell’espresso all’italiana, ma non avevano un personale addestrato o tecnici in grado di fare manutenzione e assistenza alle macchine. Allora ci siamo organizzati per offrire loro servizi che potessero accompagnarne il percorso».


Il capitale umano

Il quartier generale della Nuova Simonelli col tempo si è spostato negli stabilimenti di Belforte del Chienti.

Oggi il 93% delle macchine prodotte raggiunge il mercato straniero.
«Un mercato tanto ampio – spiega Ottavi – è una sorta di assicurazione sul fatturato del futuro. Quando si ha un arco di clienti tanto vasto si compensano eventuali difficoltà di una zona, perché ce ne sarà certamente un’altra che andrà meglio».

Il principale competitor è il gruppo Cimbali (che comprende i marchi Cimbali e Faema). Quando la Nuova Simonelli è partita il suo fatturato era una frazione di ciascuna di queste aziende. Oggi le proporzioni sono assai diverse.

Le persone che lavorano nello stabilimento di Belforte sono 150, quasi tutte provenienti dalla zona.

Poi c’è un sistema di piccole aziende fornitrici che impiega altrettanti addetti. In alcuni casi è stata la stessa Simonelli che ha sostenuto i giovani imprenditori e li ha aiutati a far nascere piccole imprese funzionali alla produzione della “casa madre”.

«Noi teniamo ai nostri dipendenti come alla nostra famiglia. Le persone che lavorano con noi sono la nostra più grande risorsa», ripete spesso Ottavi.

Nando Ottavi è stato più coraggioso o fortunato?

«Sono stato fortunato. Lo dico sempre ai miei figli e ai nostri dipendenti. Però la fortuna non viene per caso. Ci siamo impegnati a lavorare soprattutto quando le cose non andavano bene. Negli anni ’70 e ’80 eravamo sconosciuti e avevamo molte difficoltà».

La Simonelli è una realtà che fa gola. In giro per il mondo ci sono diversi investitori che vedrebbero bene un’acquisizione.

«Io mi auguro che questa realtà possa dare serenità anche in futuro a tante famiglie del territorio. C’è tanta liquidità in giro per il mondo e naturalmente ci sono soggetti che vorrebbero investire su un’azienda come la nostra che è in grado di dare utili. Fino ad oggi non abbiamo ceduto a queste pressioni, anche se qualche volta ci sono state offerte che ci hanno fatto traballare. Noi siamo fortemente convinti che questa società debba crescere, il più possibile, in stretto rapporto con il territorio».

«Le aziende per vivere devono guadagnare: se non lo fanno muoiono. L’essenziale è che i margini che l’azienda realizza siano investiti per crescere».

In media, negli ultimi vent’anni, il 30 per cento degli utili ha remunerato gli azionisti e il 70 per cento è stato reinvestito. Nei dieci anni precedenti quasi tutti gli utili furono reinvestiti.

«Ricerca e innovazione sono gli elementi distintivi della nostra attività. Lavoriamo con le università di Camerino e Macerata e con il Politecnico di Ancona. Da soli non possiamo migliorare».

Questa collaborazione è anche di un modo per selezionare il personale, tanto che una parte delle persone che lavorano ai progetti di ricerca poi viene assunta in azienda.

Il campionato del mondo baristi

Alla fine del 2001 la Nuova Simonelli acquisì il marchio storico Victoria Arduino, una delle prime macchine per caffè espresso, progettata da Pier Teresio Arduino nel 1905. L’idea che ispirò quella macchina, secondo il racconto di Arduino, fu l’osservazione del funzionamento del treno a vapore e la necessità di preparare un caffè velocemente.

La Victoria, prima macchina di Pier Teresio Arduino

Alla domanda sul perché le macchine Simonelli sarebbero migliori delle altre Ottavi fa un esempio: «Dal 2009 c’è il campionato mondiale dei baristi – spiega Ottavi – ogni anno in un paese diverso, e vengono sempre utilizzate le nostre macchine. Anzi la nostra Victoria Arduino. Questo non è un dato acquisito una volta per tutte. Gli organizzatori per scegliere le attrezzature per questa gara fanno delle valutazioni tecniche sulla base di criteri precisi. Siamo arrivati a fornire macchine che tra un caffè e l’altro, anche a distanza di tempo, hanno ottime prestazioni con minimi cambiamenti di temperatura. Questo è molto importante per sfruttare al massimo le caratteristiche delle miscele di caffè».

Nel 1905 Pier Teresio Arduino realizzò la prima macchina per il caffè espresso, ispirato dal funzionamento delle caldaie dei treni a vapore su cui aveva lavorato durante il servizio militare. Il nome espresso, la necessità di un prodotto veloce, il parallelo col treno derivano dall’epoca in cui sono stati concepiti e dal clima culturale ed economico che viveva l’Italia dell’inizio del XX secolo. La macchina si chiamò Victoria perché per Arduino fu il raggiungimento del suo obiettivo. Dal 2001 il marchio Victoria Arduino fa parte del gruppo Simonelli.

Le macchine Simonelli vengono “personalizzate”. Ogni paese ha consumatori con gusti ed esigenze diverse.

«Sì, anche se partiamo sempre da una macchina base – dice Ottavi – poi, anche per il rapporto che abbiamo con i nostri clienti, o con le società di torrefazione locale, possiamo regolare le macchine nel modo più adatto: possiamo regolare le temperature, le pressioni, i tempi. Con le catene il discorso è diverso perché vogliono uniformare il proprio prodotto in tutto il mondo, così una volta definiti gli standard dopo tutte le macchine possono lavorare nello stesso modo, producendo la stessa qualità di prodotto».

Nella ricerca e nella sperimentazione la strada che si segue è anche quella di realizzare macchine in grado di produrre caffè di tipo diverso. Ad esempio caffè espresso e caffè americano con lo stesso blocco macchina.

La legge delle 4 M

Anche se c’è chi pensa che tutto dipenda da una formula matematica, per fare bene il vero espresso la combinazione dei diversi elementi deve essere equilibrata.

Il caffè buono dipende da come è rispettata la “Legge delle 4 M”: manualità, miscela, macchina e macinatura.

«Questi quattro elementi hanno un peso equivalente: il 25% ciascuno – spiega Ottavi – Il professionista del caffè deve conoscere alla perfezione queste cose».

Solo per dare un valore alle cose che qui descriviamo, diciamo che una buona macchina del caffè costa da seimila euro in su.

«Coesione è competizione»

Nando Ottavi ha più di cinquant’anni di esperienza. Oltre all’imprenditore e all’attività nella sua associazione di categoria (è stato presidente di Confindustria regionale) ha fatto anche l’amministratore locale: il sindaco del suo paese, Cessapalombo (il comune ha oggi poco meno di 500 abitanti e qui fu realizzata nel 1936, da Orlando Simonelli, la prima macchina del caffè prodotta nelle Marche). Poi ha fatto il presidente della Comunità montana della zona e il presidente del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che nella sua area comprende la strepitosa vallata di Castelluccio di Norcia.

Questa esperienza l’ha convinto che la formula da utilizzare per fare crescere la sua azienda e far progredire la comunità locale sia: «coesione è competizione».

Alla domanda: è più difficile fare politica o fare impresa? Ottavi risponde facendo ricorso alla sua esperienza di politico: «Io ho avuto un’esperienza politica di dieci anni alla fine degli anni ’90. Non l’ho fatto a cuor leggero, ci ho pensato tanto. Ma alla fine ho utilizzato anche in politica la mia esperienza da imprenditore. Stare insieme, lavorare insieme e cercare di risolvere i problemi insieme è un elemento di forza di una comunità».

Ambasciatori dell’espresso italiano

Alla Nuova Simonelli sono convinti di fare un lavoro che va oltre la tecnologia, ma ha anche una funzione “diplomatica“.

«Le persone che insegnano a fare il caffè e che addestrano chi dovrà fare il caffè in giro per il mondo e utilizzerà le nostre macchine sono dei veri e propri ambasciatori del caffè italiano nel mondo».

La Nuova Simonelli detiene oggi il 10 per cento del mercato mondiale delle macchine del caffè.

Oltre alla sede americana ha aperto in Francia, in Cina, a Singapore, in Indonesia.

Si sta strutturando con una holding e un sistema di aziende diffuse sia in Italia che all’estero, per essere in grado di resistere, anche finanziariamente, all’assalto dei gruppi che la vedono come un ottimo investimento.

Il fatturato del gruppo è attorno ai 130 milioni di euro l’anno.

Specialty Coffee

Marco Feliziani è il vice presidente di Simonelli Group. È giovane e ambizioso. Ha cominciato facendo esperienza da venditore negli Stati Uniti per poi crescere e diventare direttore commerciale.

Il mercato americano del caffè sta anticipando le tendenze del mercato globale. Ma la regola è che comunque le cose cambiano continuamente e si deve rimanere sempre aggiornati.

A partire dagli anni ’70 negli Stati Uniti si cominciò a parlare di specialty coffee per indicare un caffè “prodotto in speciali condizioni climatiche e ambientali, che gli conferiscono un particolare profilo di gusto e aroma”.

A definire nel dettaglio gli elementi che rendono specialty un caffè è un protocollo redatto della SCA (Specialty Coffee Association) che identifica le varietà botaniche, le aree di origine, le caratteristiche da crudo, gli standard di tostatura e di estrazione. Un caffè può essere definito specialty se ha ottenuto un punteggio di almeno 80 punti (il massimo è 100) nella scheda di valutazione.

Un po’ come succede per la definizione dei vini DOCG in Italia.

Le capsule del caffè hanno portato ad un’enorme diffusione della “bevanda caffè” nelle famiglie a livello globale.

«La diffusione delle macchine del caffè e l’uso delle cialde – spiega Feliziani – hanno avuto un impatto enorme e hanno cambiato le abitudini di vita di tante persone nel mondo: è chiaro che un fenomeno come questo ha avuto un forte impatto anche sul nostro modo di presentarci e di vendere macchine per i coffee shop, per i ristoranti e per i bar».

Il caffè è anche passione. Basta vedere come ne parlano qui a Belforte e non stupisce che siano anche d’accordo con Andrea Illy che ha detto: “Il consumo dell’espresso è un’esperienza estetica, come assaggiare un vino d’annata o ammirare un quadro. È una ricerca del bello e del buono per migliorare la qualità della nostra vita”.

Ma dove fanno le macchine per l’espresso sono più concreti.

«Ci sono baristi attentissimi ai particolari, precisi nella macinatura, meticolosi nella regolazione della macchina. Persone preoccupate che la bevanda che viene estratta dai chicchi tostati abbia il minore impatto possibile sul frutto per preservare il sapore e fare uscire dalla miscela il massimo possibile di qualità. Gestire male le temperature vuole dire rovinare il prodotto finale, ma anche rendere vano tutto il lavoro che c’è stato prima da parte di tutte quelle persone che hanno lavorato per portare in tazza quel caffè. La passione mi è venuta – dice Feliziani – perché è un mondo che non è fatto solo da prodotti tecnologici, non solo di caffè, ma anche di una moltitudine di persone. Nella tazza c’è l’insieme di queste passioni».

Per Feliziani è chiaro che nel mondo la tendenza dei consumatori è nel bere dei caffè “estratti”, a cominciare da quelli per i quali viene utilizzato un filtro.

Un altro elemento, a cui fanno attenzione i grandi gruppi, è offrire un caffè estratto a freddo: in alcuni casi sembra quasi una birra.

«Sono tipi di caffè, come ad esempio il Cold Brew Coffee, che si stanno sempre di più imponendo e nel prossimo futuro li troveremo con sempre maggiore frequenza».

Poi le tendenze cambiano nel consumo della bevanda e devono cambiare anche nel mercato delle macchine.

Gli operatori del settore, i baristi, hanno esigenze nuove. «C’è una richiesta di macchine più semplici da gestire – spiega Feliziani – più “sostenibili”, più ergonomiche, più digitalmente connesse per rendere più facile la loro gestione e ridurre gli sprechi quanto più possibile».

L’aumento dell’automazione delle macchine risponde prima di tutto al problema che hanno i grandi gruppi e la loro necessità di rendere gli operatori in grado di fare un caffè senza perdere troppo tempo per l’addestramento, visto che c’è una turnazione consistente di baristi in catene come McDonald’s e Starbucks, che hanno migliaia di punti vendita.

L’analisi dei dati

La digitalizzazione delle macchine del caffè è una frontiera dell’innovazione.

Da un anno tutte le macchine Simonelli (da quelle base a quelle più evolute) si possono connettere al web e generano un report di dati utili per i gestori per capire come stanno funzionando.

I dati che si possono analizzare riguardano le attività della macchina in funzione e si stanno sperimentando elementi che possano prevedere il comportamento delle macchine.

Nel primo caso, quando la macchina opera, possono essere valutati i dati acquisiti con la telemetria per capire se sta lavorando bene, se il settaggio di tutti gli elementi è corretto e si può verificare se i parametri sono giustamente regolati. Eventuali disfunzioni sono segnalate ad un tecnico che, anche da remoto, può intervenire per modificare gli elementi non conformi all’estrazione di un prodotto di qualità. Si può poi misurare in ogni momento la quantità e la qualità del caffè erogato.

Per quello che riguarda le potenzialità predittive delle macchine del caffè Feliziani spiega: «Abbiamo installato dei sensori in alcune macchine che attraverso la registrazione di rumori e suoni, la misurazione dell’umidità, riescono a prevenire i danni alle macchine. In questi casi il tecnico non interviene quando c’è un allarme e la macchina è ferma, ma prima che il guasto abbia provocato danni e l’attività del locale si sia fermata».

Il prossimo passaggio sarà quello di prevedere che cosa il cliente che entra nel locale potrà chiedere?

«Esperimenti sono già diffusi nella grande distribuzione. Noi non stiamo sviluppando tecnologie di questo tipo, perché puntiamo sulle qualità umane del barista. Noi facciamo macchine sempre più semplici da usare che non richiedono il massimo di concentrazione sulla produzione del caffè, così chi sta dietro al banco possa parlare con la clientela, magari dando informazioni che possano far crescere la cultura del caffè anche in chi lo beve».

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