Coltivare con la tecnologia

L’agricoltura di precisione a Jolanda di Savoia, nel ferrarese, è fatta anche di stazioni meteo, elaborazione dei dati, conoscenza del terreno

di Riccardo Congiu e Claudio Caprara

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A Jolanda di Savoia, un paesino di circa 2.600 abitanti in provincia di Ferrara, abbiamo conosciuto Riccardo Mastroserio, 30 anni, tecnico agronomo. Lavora a IBF Servizi, la prima società italiana a occuparsi di agricoltura di precisione (lo fa dal 2017). La prima definizione di agricoltura di precisione è: una tecnica di gestione delle aziende agricole che sfrutta tecnologie avanzate per acquisire dati e, analizzandoli, orientare le decisioni da prendere sulle coltivazioni. In realtà è molto di più.

La sede della società è in un grande complesso anche residenziale dell’azienda Bonifiche Ferraresi, dove arrivano studenti di agraria dalle università di tutta Italia, si incontrano operatori del settore, si fanno le convention aziendali. Ci sono accoglienti stanze dove dormire, una grande sala conferenze e un’area che definirla mensa sarebbe sminuente.

La sede di Bonifiche Ferraresi (Tommaso Merighi/Il Post)

La mattina, al bar dell’azienda, mentre facevamo colazione ci ha raggiunto Claudio Pennucci, il direttore agro-industriale di BF Spa. Non era bel tempo. Le nuvole parevano pesanti e le prospettive, guardando il cielo, indicavano brutto tempo. Mastroserio ha osservato: «Ciao Claudio, mi sa che oggi viene a piovere». E Pennucci: «Qui? No! Oggi dovrebbe piovere solo laggiù, nella zona all’incrocio fra quei campi a un chilometro». Ecco cosa significa avere a che fare con agronomi di precisione.

Il modo migliore per coltivare un campo
Fin dall’antichità i primi agricoltori si resero conto che insistendo per diverse stagioni consecutive con la stessa coltivazione su uno stesso terreno, quello si rovinava e diventava meno produttivo, così dopo una serie di raccolti si andava a cercare un altro campo “vergine” da coltivare.

Già in epoca romana si compresero i vantaggi di usare la tecnica detta “rotazione biennale”: l’appezzamento di terra veniva diviso in due parti, delle quali una veniva coltivata e l’altra lasciata a riposo perché recuperasse fertilità, scambiandosi i ruoli di anno in anno.

In epoca medievale, più o meno intorno all’ottavo secolo, in diverse zone d’Europa si passò invece alla “rotazione triennale”, con i campi divisi in tre parti: in una si coltivava grano, in una legumi e una terza veniva lasciata a maggese, cioè a riposo (dal nome del mese in cui il terreno veniva preparato alla coltura).

Più tardi anche il campo a maggese fu sostituito con coltivazioni di foraggio per gli animali, che mantenevano la funzione di riposo del terreno ma permettevano alle aziende agricole di aumentare le risorse e i capi di bestiame.

L’agricoltura di precisione ha fondamentalmente gli stessi obiettivi che sono stati perseguiti per secoli da chi coltiva la terra: ottimizzare processi e risorse, ridurre gli sprechi e ottenere prodotti della maggiore qualità possibile. Lo fa ancora partendo da dati empirici ed esperienziali, che però oggi sono molto più precisi grazie ai nuovi strumenti a disposizione.

L’ambiente naturale in cui si sviluppa una pianta è il risultato di diversi fattori, come le caratteristiche del terreno, le temperature e la luce, l’acqua, il vento, gli animali che vivono nella zona: l’agricoltura di precisione tiene conto di tutti questi fattori e ne calcola l’incidenza sulle colture.

Il sistema Rainger per l’irrigazione, formato da una tubazione rigida e da tralicci che si muovono bagnando aree rettangolari (Tommaso Merighi/Il Post)

Qualsiasi agricoltore sa da sempre che se piove poco, deve reperire l’acqua, o preferire coltivazioni che ne hanno meno bisogno: oggi si possono consultare i dati su quanto abbia piovuto in una certa zona negli ultimi decenni, si possono conoscere molto a fondo le caratteristiche dei terreni di quella zona e a partire da queste informazioni stabilire in modo oggettivo a quali coltivazioni siano più adatti.

Si può prevedere con ragionevole certezza se una stagione sarà più calda o più fredda della media e agire di conseguenza, magari anticipando o posticipando la semina. Si può sapere quanta pioggia è caduta nell’ultimo mese e, in base a quella, quanto azoto è stato perso dal terreno e quanto ne andrà reintegrato.

IBF Servizi, dove lavora Mastroserio, si occupa proprio di queste cose: offre strumenti e consulenze a piccole e grandi aziende agricole che vogliono fare meglio quello che hanno sempre fatto, e gestisce con i suoi metodi innovativi gli 11mila ettari di terreni di Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, da cui è nata la stessa IBF Servizi (entrambe fanno parte di un grande gruppo che si chiama BF Spa, che comprende anche altre società).

Non è l’unica società a lavorare in questo settore, che negli ultimi anni è in forte espansione. Nell’ultimo anno e mezzo, per esempio, per effetto di alcuni incentivi statali dedicati all’agricoltura molti contadini hanno comprato trattori di nuova generazione, che forniscono una grande mole di dati molto utili, ma analizzabili per lo più da specialisti: così è cresciuto anche il mercato delle aziende che offrono consulenze e software per le analisi.

Uno dei trattori utilizzati da Bonifiche Ferraresi (per gentile concessione di Bonifiche Ferraresi)

L’importanza delle immagini dal satellite
Per farci vedere come lavora, Mastroserio ci ha portato nella “control room” della sede di IBF Servizi: è una stanza in cui si possono consultare contemporaneamente tutti i dati acquisiti su un certo appezzamento di terreno.

Sulla parete ci sono 13 schermi: «Quando portiamo qui un agricoltore, solitamente si stupisce», racconta Mastroserio. «Naturalmente per lavorare non ci servono sempre tutti gli schermi, ma può capitare: ognuno mostra una diversa piattaforma che si occupa di un aspetto specifico della coltivazione. Il nostro programma le mette tutte insieme».

La prima piattaforma che ci mostra sugli schermi è anche quella con cui lui e i suoi colleghi iniziano sempre a lavorare quando prendono in gestione un terreno: la piattaforma per le immagini satellitari.

Ogni azienda agricola ha solitamente più coltivazioni al suo interno, e la prima cosa da fare è «digitalizzare i confini aziendali e tracciare il perimetro dei vari appezzamenti», dice Mastroserio. In questo modo si possono ricavare una serie di mappe esatte della zona, ognuna delle quali mostra informazioni diverse.

Le immagini eseguite dal satellite non sono solo fotografie del luogo, ma elaborazioni digitali che acquisiscono informazioni invisibili all’occhio umano: tra quelle che servono a un tecnico agronomo, ci sono per esempio l’indice di sviluppo vegetativo, l’indice che calcola la clorofilla della coltura, l’indice per la mappatura del corpo idrico e altri ancora. «A seconda della finalità, estrapolo l’indice che mi interessa», dice Mastroserio.

Una volta “digitalizzati” i campi, può iniziare a studiarli: «Andiamo dal cliente e chiediamo qual è il piano colturale, cioè lo storico delle colture che sono passate da un terreno. Se oggi fa mais e prima faceva pomodori e grano è una cosa, se invece prima faceva soia e fagiolino è un’altra». In gergo, questo “storico” delle coltivazioni si chiama “precessione colturale”: «È uno dei tanti fattori di cui tiene conto il nostro piano di concimazione», spiega Mastroserio.

Prima ancora di decidere la concimazione però bisogna stabilire a quali coltivazioni sia più adatto il terreno, in base alle sue caratteristiche e ai fattori esterni che lo influenzano: è quella che si chiama “vocazionalità” del terreno.

Un concetto che Mastroserio tiene a precisare è che a stabilire la vocazionalità di un terreno non può essere un computer o un algoritmo: alla fine, si tratta sempre di un parere dell’agronomo, che parte da osservazioni come quelle che i contadini hanno fatto per secoli, anche se molto più precise e basate su dati più oggettivi. Questo permette anche di risparmiare soldi e fatica.

Un esempio che fa Mastroserio è quello del “georesistivimetro”, un sensore che viene passato sul terreno (generalmente dal trattore) per verificare la variabilità del suolo. È un modo per capire immediatamente quali porzioni di terreno hanno caratteristiche simili e potranno essere usate per una stessa coltivazione.

Normalmente gli agricoltori devono analizzare numerosi campioni di terreno per poterlo suddividere in zone e decidere poi quali piante mettere in ognuna: questo strumento non toglie importanza al campionamento, ma permette subito di capire dove campionare, invece di procedere per tentativi.

La stessa operazione può essere fatta anche con un altro strumento, le cosiddette “immagini a suolo nudo”, cioè immagini satellitari del campo quando non c’è nessuna coltura (si può risalire fino a quelle di 10 o 15 anni fa): «Osservandole, un agronomo di precisione può rendersi conto se ci sia una zona più sabbiosa o una più argillosa», spiega Mastroserio, «o più semplicemente può vedere le differenze di colore nel terreno e capire che il suolo è differente da qua a là. Invece di campionare ogni tre ettari con una grande spesa economica e di tempo, noi andiamo a campionare dove abbiamo notato la differenza».

Il risultato delle valutazioni sulla vocazionalità dei terreni è una suddivisione che Mastroserio ci mostra in una mappa con diversi colori, ognuno dei quali rappresenta un campo con una coltura diversa.

«Sono i 4.100 ettari delle nostre coltivazioni a Jolanda di Savoia – dice – la fascia centrale è una zona molto torbosa, con presenza di sostanza organica, e quindi va a riso: qui cresce molto meglio che in qualsiasi altro nostro campo, è garantito». Si stabilisce anche quale tipo di riso: «Su questi campi mettiamo il carnaroli e non lo concimiamo neanche», dice indicando un’area della mappa, «perché abbiamo visto che c’è già molta presenza organica e non è necessario. Sarebbe uno spreco e rovinerebbe il terreno».

Trattori che si guidano da soli, o quasi
«È sbagliato dare il concime nelle zone in cui mi rendo conto dal campionamento del suolo che ho moltissima quantità di fosforo o azoto, che sono tra i macroelementi fondamentali del concime», spiega Mastroserio (l’altro macroelemento del concime è il potassio).

Spesso i coltivatori sono abituati a dare al terreno più concime del dovuto, perché temono che venga “lavato” dalla pioggia (che si porta via soprattutto l’azoto): «Noi vediamo quanto ha piovuto nei mesi precedenti e compariamo i dati con gli anni passati per fare delle stime. Alla fine i nostri clienti risparmiano e producono di più».

Nei campi gestiti da IBF ci sono stazioni meteo che archiviano dati sulle temperature; hanno un anemometro per misurare il vento e un pluviometro per la pioggia. Sono collegate a sensori di temperatura e umidità, delle specie di tubi porosi che vengono inseriti a diverse profondità nel terreno a seconda della necessità del tipo di coltivazione. I dati vengono poi comunicati alla piattaforma che compare in uno dei 13 schermi della control room.

Tenuto conto di tutte queste variabili, quando si è deciso quanto concime spargere, e dove, si producono quelle che vengono chiamate “mappe di prescrizione, cioè mappe che prescrivono la concimazione: si possono caricare in maniera telematica direttamente sul trattore di ultima generazione, che a quel punto fa da solo.

Questi trattori possono muoversi con una guida automatica in base a informazioni satellitari, seguendo linee già tracciate che rimangono sempre uguali per quel campo, perché è stato calcolato che sia più funzionale fare quel percorso.

Non hanno l’ambizione di sostituire il trattorista, ma di rendere meno dispendioso il suo lavoro (anche in termini di carburante), e più sicuro: è un settore in cui ogni anno ci sono molti incidenti sul lavoro, con la guida automatica e i nuovi sistemi di sicurezza possono essere evitati.

Il trattore infatti raccoglie dati non solo sulla semina, sulla profondità del terreno, sul combustibile consumato, sul distributore idraulico e altre informazioni sulla coltivazione, ma anche sullo slittamento delle ruote, sul motore, eccetera.

Lo stesso concime che viene distribuito sui campi non è prodotto in modo casuale: Bonifiche Ferraresi ha dieci stalle, ognuna con 450 bovini da ingrasso, tutti maschi, che arrivano lì intorno ai 12 mesi di vita e 450 chili di peso allo scopo di produrre letame.

Vengono nutriti per 6 mesi con una dieta molto variegata di fieno, paglia, mix energetici, mix proteici, farina d’estrazione. Ingrassano di circa 1 chilo e mezzo al giorno: «Anche questa è agricoltura di precisione – dice Mastroserio – il letame dei bovini da ingrasso ha macroelementi diversi da quelli dei bovini da latte». Vengono poi macellati da altre aziende quando arrivano intorno ai 750 chili.

In futuro
In un’epoca caratterizzata dal cambiamento climatico e dall’innalzamento delle temperature, gli strumenti dell’agricoltura di precisione sono destinati ad acquisire un’importanza sempre maggiore.

«Facciamo di continuo studi sull’aumento temperature», dice Mastroserio, affermando che presto alcune coltivazioni potrebbero cambiare il loro periodo ideale: «Tutte le colture hanno uno zero termico, un valore di temperatura al di sotto del quale non riescono a emergere dal terreno. Se la temperatura cambia di uno o due gradi, cambia la semina: ma se io so con precisione quanto fa più caldo, magari so quanto anticiparla».

Il cambiamento climatico renderà necessario anche studiare l’evoluzione delle sementi e delle varietà: «L’agricoltura di precisione fa anche questo. Un altro rischio ad esempio è quello della siccità: in questi tre mesi e mezzo ha piovuto la quantità d’acqua che a volte piove in un giorno, pochissimo. Avere dei dati a disposizione è fondamentale, non ci si può più basare solo sull’esperienza», spiega.

«Noi non stiamo cercando di modificare la natura a nostro piacimento, ma di aiutarla: è proprio per non sfinire il suolo che usiamo queste tecniche», dice Mastroserio.

La logica dell’agricoltura di precisione, almeno fino a oggi, non è legata solo a massimizzare le produzioni, ma a rendere il massimo in un modo che sia sostenibile: «Vogliamo dare al suolo quello di cui ha bisogno, fare il trattamento quando serve, tracciare il prodotto per dare sicurezza al consumatore».

Bonifiche Ferraresi (Tommaso Merighi/Il Post)

In futuro l’agricoltura di precisione potrebbe essere applicata per controllare che tutti gli addetti ai lavori si comportino correttamente: «Sono strumenti che hanno tracciabilità su tutto, si potrebbe avere uno storico delle agropratiche», dice Mastroserio, magari per controllare che tutti rispettino eventuali limiti nelle coltivazioni imposti per legge, in funzione della sostenibilità e per evitare lo sfruttamento intensivo dei terreni.

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