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  • Martedì 14 luglio 2020

Lo scandalo Wirecard si allarga

Il Financial Times ha scoperto che il direttore della società tedesca di pagamenti online aveva contatti con l'intelligence russa e voleva organizzare una milizia in Libia

(Lennart Preiss/Getty Images)
(Lennart Preiss/Getty Images)

Lo scandalo finanziario attorno a Wirecard, la società tedesca di pagamenti online che a fine giugno aveva presentato istanza di fallimento a Monaco di Baviera, si è allargato dopo una nuova inchiesta del Financial Times sul direttore operativo Jan Marsalek, che avrebbe condiviso rapporti e interessi con l’intelligence militare russa e avrebbe cercato di organizzare un milizia per controllare l’immigrazione dalla Libia. Il Financial Times (FT) ha lavorato sull’inchiesta per sei mesi: ha parlato con decine di persone – che hanno chiesto di restare anonime – che in passato avevano collaborato con Marsalek su progetti in Nord Africa, e ha controllato documenti e email sui suoi interessi nella zona e sul suo ruolo a Wirecard. Il giornale ha chiesto agli avvocati di Marsalek un eventuale commento, ma non hanno avuto risposta.

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Il FT si occupa di Wirecard dal 2015, poi nel marzo 2019 aveva ipotizzato alcune irregolarità contabili nella divisione di Singapore. Lo scandalo però è venuto fuori quest’anno: a inizio giugno la sede dell’azienda era stata perquisita, poi il 17 giugno la società di consulenza Ernst&Young non era riuscita a chiuderne il bilancio del 2019 per mancanza di informazioni sui saldi di cassa di due conti asiatici. Si scoprì così un ammanco di 1,9 miliardi di euro che si pensava fossero depositati come fondi fiduciari in due banche filippine, ma che in realtà non erano mai esistiti.

Due giorni dopo Markus Braun, amministratore delegato da 18 anni, ha dato le dimissioni, e tre giorni dopo è stato arrestato con l’accusa di falso in bilancio e manipolazione del mercato e infine liberato su cauzione di 5 milioni di euro. Nel frattempo il direttore operativo, Jan Marsalek, è stato licenziato e ha fatto perdere le sue tracce. È stato emesso un mandato d’arresto internazionale contro di lui che, secondo alcuni giornali, potrebbe essere scappato nelle Filippine e da lì in Cina, anche se non ci sono prove.

Marsalek è nato a Vienna, ha 40 anni e ha iniziato a lavorare subito dopo il liceo, fondando una sua società di software. Arrivò a Wirecard nel 2000 e divenne direttore generale nel 2010. Prima dello scandalo viveva a Monaco in una villa davanti alla sede del consolato russo, arredata in modo spartano, con stanze spoglie e opere d’arte contemporanea alle pareti bianche: il FT la definisce qualcosa «a metà tra un negozio di Apple e lo studio di un avvocato estremamente costoso». È un gusto che ritorna nel suo modo di vestire: un completo di taglio sartoriale con camicia bianca dal colletto sbottonato.

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Negli ultimi anni, racconta il FT, Marsalek ha intessuto una rete di interessi, relazioni e scambi di favore poco trasparenti: dal Partito della libertà Austriaco (FPÖ), populista e di estrema destra, al Gru, la famosa e temuta intelligence militare russa. Il Gru è, tra le altre cose, accusato di aver organizzato, nel 2018, il tentato omicidio del suo ex membro Sergei Skripal in Regno Unito, di aver affiancato i ribelli filo-russi nella guerra in Ucraina e di aver cercato di manipolare le elezioni presidenziali americane nel 2016. Non è chiaro perché abbia fatto tutto questo: forse per «avere influenza e costruire relazioni», ha detto una fonte al FT, mentre un’altra ha raccontato che «l’unica cosa che sembrava piacergli più di essere coinvolto in tutte questi affari loschi, era fartelo sapere».

Questa rete di relazioni iniziava in Austria, come ha scritto il quotidiano austriaco Die Presse. Marsalek forniva infatti al FPÖ informazioni ottenute illegalmente dal ministero degli Interni e dai servizi segreti austriaci. Per farlo si serviva di un contatto nella Società di amicizia russo-austriaca (ORFG), una associazione finanziata dal governo russo che cura i rapporti tra i due paesi e organizza incontri e collaborazioni tra loro.

Secondo il FT, i rapporti tra Marsalek e i servizi segreti russi risalgono almeno al 2017. Una fonte ha raccontato al FT che nel giugno di quell’anno, durante un pranzo nel lussuoso ristorante Käfer-Schänke di Monaco, Marsalek si era vantato di un viaggio fatto nel sito archeologico di Palmira, in Siria, come ospite dei militari russi, che l’avevano appena riconquistata – insieme alle truppe siriane – dallo Stato Islamico (ISIS).  Il ministro della Difesa russo non ha risposto alla richiesta di commento del FT.

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Un’altra possibile prova dei contatti tra Marsalek e i servizi segreti russi risale al 2018. Marsalek si era presentato a un incontro di affari di Wirecard a Londra con quattro rapporti segreti dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC). Contenevano analisi dettagliate sul tentativo dell’intelligence militare russa di uccidere l’ex spia Sergei Skripal a Salisbury, in Regno Unito, nel marzo 2018. Un rapporto conteneva anche la formula esatta per produrre il novichok, un’arma chimica messa a punto dai sovietici durante la guerra fredda. Non è chiaro come avesse ottenuto i documenti, visto che l’Opac è considerata una delle organizzazioni sovranazionali più sicure e non ci sono mai stati documenti trafugati. Mesi prima però l’Opac era stata al centro di alcuni attacchi informatici condotti dal Gru e scoperti dai servizi segreti olandesi nel 2018.

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L’interesse di Marsalek verso la Libia, invece, risale almeno al 2015. Qui la guerra civile andava avanti dal 2011, cioè dalla deposizione e uccisione dell’allora presidente Muammar Gheddafi; il conflitto aveva allontanato molti uomini d’affari ma aveva messo il paese al centro di un grande scontro di interessi, in cui aveva cercato di infilarsi anche Marsalek. Il coinvolgimento della Russia in Libia si era intensificato nel 2017, con il sostegno da parte del governo russo del maresciallo Khalifa Haftar, capo del governo di Tobruk che controlla la parte orientale della Libia in contrapposizione al governo del primo ministro Fayez al Serraj, quello riconosciuto dall’ONU come legittimo, che ha sede a Tripoli.

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Nel febbraio del 2018 Marsalek ospitò un incontro nella sua casa a Monaco  per discutere, ufficialmente, della ricostruzione della Libia dopo la guerra civile. Mesi prima, avvalendosi di contati della Società di amicizia, Marsalek aveva messo insieme un gruppo di austriaci esperti di sicurezza e di sviluppo internazionale, che si sarebbe occupato del progetto. In cambio di 200mila dollari dovevano preparare un rapporto che servisse agli interessi di Marsalek, che ottenne, attraverso contatti con la Società di amicizia, la promessa altri 120mila euro dal governo austriaco.

Nel tempo divenne chiaro che il suo interesse non era né umanitario né di ricostruzione economica. Marsalek, hanno raccontato suoi tre collaboratori al FT, era interessato soprattutto a come controllare i flussi migratori al confine meridionale della Libia usando delle milizie. In alcuni verbali dell’incontro letti dal FT c’è scritto che «la priorità di JM è “chiudere il confine” preferibilmente con una forza di polizia di 15mila membri” che comprenderebbero anche ex miliziani”; e “chiudere il confine può essere venduto all’Unione Europea come un modo per “risolvere la crisi migratoria”». La rotta migratoria che dall’Africa centrale arriva in Libia è la più importante e frequentata per cercare di arrivare in Europa via mare.

Alcune fonti hanno raccontato al FT che Marsalek avrebbe parlato di “equipaggiamento” mandato in Libia mentre guardava il filmato molto violento di un assalto di uomini armati nel paese. Durante l’incontro aveva anche proposto al gruppo di lavorare con Andrey Chuprygin, un arabista russo che insegna alla Scuola superiore di economia di Mosca e che aveva prestato a lungo servizio nell’esercito russo in Medio Oriente; era anche molto vicino a un ex dirigente del Gru.

L’interesse di Marsalek in Libia si è incontrato con quello della Russia, che negli ultimi anni è intervenuta sempre di più nelle vicende del paese per aumentare la sua influenza nel Mediterraneo orientale e indebolire quella della NATO, per coltivare potenziali clienti per le armi russe, per garantirsi un tavolo alle trattative della diplomazia internazionale e per avere un certo peso e potere in uno dei problemi più condivisi e delicati per tutti i paesi dell’Unione Europea: l’immigrazione.

Il governo russo ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento militare in Libia, limitandosi a sostenere politicamente Haftar. Dal 2019, però, in Libia combattono centinaia – secondo le Nazioni Unite ora sarebbero almeno 1.200 – mercenari russi della compagnia di sicurezza privata Wagner, una società privata legata al governo russo probabilmente attraverso il Gru. Negli ultimi anni ha guidato l’intervento militare russo in Siria e ci sono sospetti che sia stata attiva anche in altri paesi, come il Venezuela e la Repubblica Centrafricana.

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Il governo russo non ha mai ammesso la presenza di suoi mercenari in Africa e Medio Oriente, per quanto questa sia stata più volte dimostrata. Il loro arrivo segue sempre lo stesso schema: vengono assunti per lavori commerciali, devono essere pagati dalle fonti locali, così che il Cremlino possa negare facilmente il suo coinvolgimento, ma anche per evitare al governo di pagarli direttamente, così che il loro intervento sia economicamente sostenibile.

La prima presenza russa in Libia si stabilì nel 2016 in una struttura industriale che Marsalek ha detto più volte di possedere insieme ad altri investitori. È la Compagnia del cemento libica (LCC), che si trova nella parte orientale del paese, quella controllata da Haftar. Qui vennero ingaggiati alcuni soldati russi del Gruppo RSB in un’operazione di sminamento. Un portavoce del gruppo RSB ha detto al FT di non conoscere Marsalek. Secondo fonti locali, i soldati si allontanavano spesso dalla fabbrica di LCC.

LCC è di proprietà di Libya Holdings Group (LHG), una holding con sede a Londra che aiuta investitori terzi in cerca di affari in Libia. LHG comprò LCC nel 2015 dal conglomerato austriaco Asamer. Ahmed Ben Halim, il direttore esecutivo di LHG, ha detto al FT che la società non ha collegamenti con Marsalek e che LCC è sostenuta da 15 investitori dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Nonostante questo, 5 diverse fonti hanno detto al FT che Marsalek sostiene di essere tra i proprietari di LCC; alcuni documenti mostrano che nel 2017 Marsalek aveva un debito di 20 milioni di euro verso LLC su cui garantiva lo stato austriaco, che venne poi pagato da Marsalek.

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Le fonti del FT hanno raccontato che Marsalek assicurava spesso che non avrebbe avuto problemi a controllare il confine libico grazie ai contatti con «specialisti della sicurezza» russi, che lo avevano già aiutato nei suoi precedenti affari in Libia, tra cui nelle fabbriche di cemento. Per ora, le ambizioni di Marsalek in Libia non si sono concretizzate: il lavoro di LCC è parzialmente sospeso, il paese è diviso, negli ultimi mesi i mercenari russi hanno condotto operazioni non vittoriose, tutto questo mentre Wirecard si disintegrava.

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