La ricerca di un test più rapido per il coronavirus

I tamponi sono troppo laboriosi, quelli sierologici troppo imprecisi: da mesi si cerca qualcosa a metà, ma è complicato

Un laboratorio per l'analisi dei test del coronavirus a New York. (Misha Friedman/Getty Images)
Un laboratorio per l'analisi dei test del coronavirus a New York. (Misha Friedman/Getty Images)

L’importanza di un’estesa capacità di fare test per scoprire tempestivamente le persone contagiate dal coronavirus è stata ampiamente spiegata in questi primi mesi di epidemia, così come i limiti e i problemi dei due tipi di test attualmente utilizzati: quello sul materiale genetico del virus, che si fa con il tampone, e quello sierologico, che si fa tramite un prelievo di sangue e rileva gli anticorpi. Mentre ricercatori e case farmaceutiche di mezzo mondo sono alla ricerca di un vaccino, sono in corso diverse sperimentazioni, specialmente negli Stati Uniti, per trovare un test migliore. Migliore, in questo caso, significa accurato ma principalmente più veloce: fino a dare un risultato affidabile in meno di un’ora, e senza bisogno di personale e macchinari specializzati.

I limiti dei tamponi e dei test sierologici
I test che ci siamo abituati a chiamare “tamponi”, che in realtà sono detti più propriamente test molecolari, hanno una procedura piuttosto complessa. La raccolta di un campione di muco o saliva dai pazienti è semplice, e si pratica con un lungo cotton fioc infilato quasi sempre nella cavità nasale. Il tampone passa poi ai laboratori, dove il campione attraversa due fasi: l’estrazione, con cui viene appunto prelevato dal cotton fioc il campione, e l’amplificazione, durante la quale il materiale genetico (RNA) viene replicato con un processo chiamato reazione a catena della polimerasi (PCR), in modo che l’eventuale presenza del coronavirus sia più facile da rilevare.

Questo processo richiede macchinari costosi e sofisticati, materie prime che talvolta scarseggiano (i “reagenti”, sostanze chimiche necessarie per l’estrazione e l’amplificazione) e personale specializzato. Un singolo laboratorio spesso può elaborare soltanto qualche decina di tamponi ogni giorno. In tutto il mondo, i sovraccarichi del sistema e intoppi vari hanno reso comune, soprattutto nelle fasi iniziali dell’epidemia, che i risultati dei tamponi impiegassero giorni e giorni prima di essere disponibili. E questo è un problema, perché ostacola l’isolamento e la cura tempestiva dei casi positivi.

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I test sierologici, com’è noto, hanno poi altri problemi: il principale è che non rilevano la presenza del coronavirus in un determinato momento, ma l’esposizione del paziente in passato. Sono utili per certe cose, specialmente le indagini epidemiologiche, e per selezionare le persone a cui dedicare corsie preferenziali per il tampone (quelle che hanno nel sangue gli anticorpi che segnalano un’infezione recente, le IgM). Ma non possono sostituire i test genetici.

Cosa si sta sperimentando
Dal momento che tutte le previsioni dicono che il coronavirus continuerà a circolare ed essere un pericolo e un problema almeno per molti mesi, la ricerca di test più efficienti è prioritaria. Se ne stanno sviluppando diversi, con l’idea di utilizzarli per esempio per gli ingressi nei pronto soccorso o per gli studenti delle scuole, per gli operai delle fabbriche o gli impiegati dei grandi uffici. Addirittura c’è chi sta progettando test che permettano di usarli autonomamente e a casa, come con un semplice test di gravidanza: ma siamo ancora alle fasi iniziali, e ci vorranno mesi, come ha spiegato di recente il New York Times.

Una strategia teoricamente più semplice per accorciare i tempi di un test molecolare per il coronavirus è snellire le diverse fasi che passano dalla raccolta del campione al risultato. Si è provato e si sta provando per esempio a prelevare il campione di muco dalla bocca, invece che dal naso, un’operazione più semplice che però fornisce campioni meno affidabili.

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Un’altra strada promettente è l’utilizzo della tecnologia CRISPR, che è stata perfezionata negli ultimi dieci anni e che consente – semplificando molto – di usare un enzima particolare per tagliare specifici segmenti di DNA. Nel caso del test per il coronavirus, sviluppato da Feng Zhang del Broad Institute del MIT e da Harvard, entrambi in Massachusetts, l’utilizzo della tecnologia CRISPR è un po’ diverso. Il principio più importante è che grazie a questa tecnologia si può individuare una sequenza di RNA del virus SARS-CoV-2 sul campione di saliva con un processo di amplificazione più semplice e veloce di quello della PCR. La reazione avviene all’interno di piccole provette di plastica, che diventano fluorescenti in caso di risultato positivo.

Secondo i ricercatori, ogni singolo test avrebbe un costo di circa 6 dollari – 5 euro, contro le decine di euro di ogni analisi di un tampone – e richiederebbe meno di un’ora, garantendo un alto tasso di affidabilità. A inizio maggio, questo test è stato approvato dalla Food and Drug Administration, l’agenzia federale statunitense che si occupa della sicurezza dei farmaci e dei dispositivi medici.

Altri test in via di sperimentazione raccolgono invece un campione di saliva in una provetta con altri reagenti chimici, che dopo un’incubazione di mezz’ora a circa 60 °C si colora di giallo o rosso, a seconda della presenza o meno del coronavirus. Lo sta sviluppando un gruppo di ricercatori della Columbia University, secondo i quali dà risultati sbagliati in meno del 5 per cento dei casi: è attualmente in attesa dell’autorizzazione della FDA.

Un’ulteriore possibilità su cui sono in corso diverse sperimentazioni è quella dei test antigenici, che hanno un funzionamento analogo ai test di gravidanza: facendo reagire gli anticorpi per il coronavirus con un campione di saliva del paziente, verificano se questi si legano a una particolare proteina presente sulla superficie del coronavirus. Se succede, vuol dire che il campione contiene, per l’appunto, tracce del coronavirus. Sono test che vengono attualmente usati per l’influenza, e possono fornire risultati nel giro di mezz’ora e a costi molto bassi: ma hanno il problema che sono spesso poco affidabili, sbagliando fino al 50 per cento delle volte per certi virus.

Per migliorare quelli per la COVID-19 è necessario imparare più cose sul coronavirus, ha spiegato su Le Scienze Simonetta Pagliani, per capire quali proteine (gli antigeni) sia meglio ricercare. C’è poi un altro problema: spesso il coronavirus non è presente in grandi quantità nelle vie aeree più alte, come naso e bocca: il campione di saliva quindi ne contiene poco. Questo problema viene normalmente aggirato amplificando il materiale genetico raccolto, con la PCR: ma i test antigenici non la prevedono, e rischiano così di non essere abbastanza sensibili.

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Con un grado di affidabilità simile, i test antigenici sarebbero secondo molti esperti inutili. Ma c’è anche chi la pensa diversamente, e sostiene che rendendoli molto disponibili ed economici si potrebbe compensare la loro scarsa accuratezza facendoli in grande numero e integrandoli con gli altri test più precisi. «Se ti sfugge qualcuno il lunedì, magari lo intercetti un giorno o due dopo» ha detto al New York Times Anne Wyllie, epidemiologa alla Yale’s School of Public Health. Due diverse società, Quidel e Becton Dickinson & Company, hanno ricevuto l’autorizzazione dalla FDA per i loro test antigenici negli Stati Uniti.