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  • Venerdì 10 marzo 2017

Se risolvi questa, risolvi un pezzo di guerra in Siria

"Questa" è l'inimicizia tra Turchia e curdi siriani, che sta incasinando il nord della Siria e sta rallentando l'attacco contro l'ISIS a Raqqa

Uomini delle Forze democratiche siriane a ovest di Raqqa (DELIL SOULEIMAN/AFP/Getty Images)
Uomini delle Forze democratiche siriane a ovest di Raqqa (DELIL SOULEIMAN/AFP/Getty Images)

Alcuni funzionari statunitensi hanno detto al Wall Street Journal che le operazioni militari per riconquistare Raqqa, la città considerata la capitale siriana dello Stato Islamico, potrebbero subire nelle prossime settimane grandi lentezze. Il problema non è solo la difficoltà di mettere in piedi un attacco complicato e ambizioso, verso il quale lo Stato Islamico ha avuto tempo e modo di prepararsi; è soprattutto legato alle rivalità e inimicizie presenti tra le forze che negli ultimi mesi hanno combattuto lo Stato Islamico nel nord della Siria e che in un modo o nell’altro sono coinvolte anche nella riconquista di Raqqa. I protagonisti principali di questa storia – che non riguarda solo il nord della Siria, ma anche un pezzo del futuro del paese – sono tre: la Turchia, i curdi siriani e gli Stati Uniti.

Chi c’è nel nord della Siria
Come si vede dalla mappa qui sotto, il nord della Siria è ancora molto diviso. Raqqa, cerchiata in rosso, è la più importante città siriana ancora sotto il controllo dello Stato Islamico (in grigio). Lo scorso novembre gli Stati Uniti hanno annunciato l’inizio di una grande offensiva militare per la riconquista di Raqqa: stando ai piani iniziali, le operazioni di terra avrebbero dovuto essere compiute principalmente dalle Forze democratiche siriane (in giallo), una coalizione la cui componente principale sono i curdi siriani, con l’appoggio aereo degli Stati Uniti. Il problema è che non tutti si sono mostrati contenti di una possibile espansione territoriale dei curdi siriani fino a Raqqa. Il paese che ha protestato di più è stato la Turchia, che oltre a essere un membro della NATO ha anche concesso agli americani l’uso della base aerea di Incirlik, molto importante per compiere attacchi contro lo Stato Islamico in Siria.

1La situazione della Siria oggi: lo Stato Islamico è segnato in grigio, il regime di Assad in rosso, le Forze democratiche siriane in giallo, i ribelli in verde chiaro, la Turchia e i suoi alleati in verde scuro. La città cerchiata in rosso è Raqqa, considerata la capitale dello Stato Islamico in Siria (Liveumap)

Il governo turco considera i curdi siriani un’organizzazione terroristica, perché ritiene – secondo molti con qualche ragione – che non siano altro che un’estensione del PKK in territorio siriano. Il PKK è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, in Turchia è illegale e da decenni combatte contro il governo turco per ottenere la creazione di uno stato curdo. Per frenare un’eccessiva espansione dei curdi siriani, la scorsa estate la Turchia ha deciso di intervenire in Siria: si è alleata con alcuni gruppi ribelli siriani con cui aveva già legami, visto che per lungo tempo il governo turco è stato uno dei più decisi oppositori del presidente siriano Bashar al Assad. Poi ha conquistato un pezzo di territorio nel nord della Siria (verde scuro, sopra Aleppo) di modo da prevenire un’eventuale continuità dei territori controllati dai curdi siriani proprio al confine meridionale con la Turchia (come si vede dalla mappa sopra, il giallo è interrotto a un certo punto da una macchia verde scuro). Nelle ultime settimane la situazione nel nord della Siria non è migliorata, anzi; e ora la nuova amministrazione statunitense sta valutando se prendersi del tempo per capire che fare, sia nel nord della Siria che a Raqqa.

Cosa sta succedendo a Manbij e al Bab
Alla fine di febbraio i soldati turchi e i ribelli siriani alleati della Turchia, tra cui l’Esercito libero siriano, hanno cacciato lo Stato Islamico dalla città di al Bab, 40 chilometri a nord-est di Aleppo, con l’aiuto degli aerei da guerra sia russi che statunitensi. Non è stato il primo attacco della Turchia contro lo Stato Islamico: tutta l’operazione militare per conquistare quel pezzo nel nord della Siria (in verde scuro) è stata fatta per lo più contro lo Stato Islamico, ma allo scopo di anticipare le mosse dei curdi siriani ed evitare che quei territori venissero conquistati da loro. Ora in molti temono che la Turchia possa muovere le sue truppe verso Manbij, una città a una cinquantina di chilometri a est di al Bab, riconquistata dalle Forze democratiche siriane lo scorso agosto dopo avere sconfitto lo Stato Islamico. Per proteggersi e anticipare le mosse turche e dei loro alleati, il Consiglio militare di Manbij ha cercato l’appoggio della Russia e del regime di Assad: in pratica i curdi hanno consegnato al regime siriano una ventina di cittadine a ovest di Manbij, creando una zona che funge da specie di “cuscinetto” per distanziarsi dalle truppe turche (questa zona è mostrata in arancione nella mappa qui sotto). In cambio il governo siriano ha garantito la consegna di aiuti umanitari alla popolazione di Manbij, scortati da mezzi corazzati russi.

2La zona “cuscinetto” è segnata in arancione: come si vede divide i curdi siriani, in giallo, dai turchi e alleati, in verde scuro, ed è contigua ai territori controllati dal regime di Assad, in rosso. Le città cerchiate in rosso sono, da sinistra a destra, al Bab, Manbij e Raqqa (Liveumap)

Tutta questa situazione ha messo gli Stati Uniti in una posizione molto difficile. I curdi siriani sono i principali alleati degli americani nella guerra contro lo Stato Islamico in Siria, ma allo stesso tempo la Turchia è un membro NATO e alleato degli Stati Uniti in molte questioni. Finora il governo americano non ha adottato una posizione univoca e ha cercato di trovare di volta in volta soluzioni diverse ai problemi che sono emersi a causa dell’inimicizia tra curdi siriani e Turchia. Per esempio quando la Turchia e i suoi alleati hanno cominciato la loro operazione militare nel nord della Siria allo scopo di contenere l’espansione dei curdi siriani, gli americani hanno fatto dichiarazioni di appoggio ai turchi e hanno contribuito all’operazione con la copertura aerea. Pochi giorni fa, però, diversi uomini e mezzi militari statunitensi sono arrivati a Manbij, in difesa dei curdi siriani con l’obiettivo dichiarato di dissuadere le forze alleate alla Turchia ad attaccare l’area. In questa zona oggi la situazione è molto tesa: ci sono già stati degli scontri tra curdi siriani e turchi, e un funzionario americano ha descritto al New York Times quello che sta succedendo a Manbij come una potenziale “polveriera”.

E quindi, cosa si fa?
Le tensioni nel nord della Siria stanno rallentando le operazioni verso Raqqa. La Turchia non vuole che i curdi siriani siano troppo coinvolti nella riconquista di Raqqa, perché un successo di questo tipo metterebbe i curdi in una posizione di forza in vista di successivi negoziati. Diversi funzionari americani sostengono che sia necessario fornire ai curdi siriani che combatteranno a Raqqa dei mezzi corazzati, delle mitragliatrici pesanti e dei missili anti-carro, ma la Turchia si oppone. Ad oggi per gli Stati Uniti non sembra esserci una via di uscita chiara e sembra praticamente impossibile pensare che il governo americano sacrifichi una di queste due alleanze: senza i curdi siriani, infatti, non potrebbe più contare sulla forza di terra che finora si è mostrata la più efficace nel combattere lo Stato Islamico; senza la Turchia dovrebbe fare a meno delle basi militari da cui partono i suoi aerei e anche dell’appoggio del governo che ha più legami con l’opposizione siriana (senza considerare tutte le conseguenze provocate da una clamorosa spaccatura all’interno dello schieramento NATO).

Il dibattito su cosa fare con i curdi siriani e la Turchia è importante perché non riguarda solo le sorti di qualche città del nord della Siria o la riconquista di Raqqa: riguarda il futuro stesso della Siria, o per lo meno di quella parte del paese che non è sotto il controllo del regime di Assad. La domanda che si fanno giornalisti, analisti e politici da mesi è: cosa fare di questi territori dopo che sarà stato sconfitto lo Stato Islamico? Non si è ancora trovata una soluzione definitiva, ma per lo meno ci si è posti il problema. Nella pianificazione dell’attacco a Raqqa, gli Stati Uniti volevano evitare che i curdi siriani venissero visti dalla popolazione locale della città – a maggioranza musulmana sunnita – come degli invasori, invece che liberatori. Per questa ragione negli ultimi mesi hanno tentato di rafforzare la componente araba delle Forze democratiche siriane, cioè la stessa coalizione di cui fanno parte i curdi siriani, che potrebbe essere accolta molto meglio dagli abitanti di Raqqa. Liberare-Raqqa per liberare-Raqqa e basta, senza un piano per far convivere le forze che poi rimarranno sul territorio una volta che gli Stati Uniti se ne saranno andati, potrebbe portare solo enormi complicazioni: non risolverebbe i conflitti in Siria e lascerebbe uno spazio per l’emergere, di nuovo, di gruppi estremisti come lo Stato Islamico.

Per tutte queste ragioni la posizione del governo americano non è affatto semplice. Il Wall Street Journal ha scritto che l’amministrazione Trump è molto divisa al suo interno e non c’è una strategia condivisa su come cacciare lo Stato Islamico da Raqqa senza alienarsi l’appoggio della Turchia. Sempre secondo il Wall Street Journal, il governo americano potrebbe aspettare a fare un piano definitivo per Raqqa almeno fino al 16 aprile, giorno in cui in Turchia si terrà un referendum per decidere se trasformare il paese in senso presidenziale. Il referendum è stato fortemente voluto dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che punta a rafforzare in maniera significativa i suoi poteri. Non è chiaro cosa potrebbe cambiare dopo il voto in Turchia, probabilmente si potrebbe sfruttare una minore pressione su Erdoğan per spingere il governo turco a prendere posizioni più morbide sulla Siria. In generale sembra che il governo americano stia cercando di prendere tempo per sbrogliare il problema della rivalità tra Turchia e curdi siriani e per impedire che sfoci in guerra aperta, ma per ora non sembrano esserci soluzioni praticabili in vista.