Che cosa succede ora?

Eletti i presidenti di Camera e Senato si passa alla formazione del governo, tra grandi incognite e il pensiero di nuove elezioni

Con l’insediamento del nuovo Parlamento e l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, sono stati compiuti i primi passi della nuova legislatura. Questa settimana inizierà la fase di formazione del governo, resa più complicata del solito dall’equilibratissimo risultato elettorale, dalle forti tensioni tra i partiti e dalla sovrapposizione con la fine del mandato di Giorgio Napolitano.

Le consultazioni
Mercoledì 20 marzo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano inizierà le consultazioni: riceverà al Quirinale le delegazioni dei partiti politici italiani, i presidenti delle camere e forse anche gli ex presidenti della Repubblica. Non c’è un elenco preciso, ma solo prassi: deciderà Napolitano chi vedere e in che ordine. Di solito le consultazioni richiedono al massimo un paio di giorni.

L’incarico
Al termine delle consultazioni, Napolitano deciderà a chi affidare l’incarico di formare un nuovo governo: è molto probabile che questa persona sia Pier Luigi Bersani, capo della coalizione di maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato, ma non è certo. Napolitano, infatti, potrebbe dare l’incarico a qualsiasi persona – proposta o no dai partiti – che secondo lui abbia maggiori possibilità di ottenere la fiducia delle camere. Il nodo è il Senato, dove nessuna coalizione ha la maggioranza assoluta. E non si può fare come per l’elezione di Grasso, che era un ballottaggio: serve che la maggioranza assoluta dei senatori voti sì.

La persona incaricata da Napolitano farà le sue consultazioni, poi tornerà al Quirinale e deciderà come sciogliere la riserva: se presentare al presidente della Repubblica un governo oppure no. Se no, si ricomincia da capo: Napolitano fa nuove consultazioni e assegna l’incarico a qualcuno altro. Se sì, il presidente incaricato compone il governo, che presta giuramento e si presenta entro 10 giorni alle camere per chiedere la fiducia.

Un bivio
Se il governo otterrà la fiducia delle camere, inizierà a governare. Tutto liscio.
Se invece il presidente incaricato dovesse rinunciare, o il suo governo non ottenesse la fiducia del Parlamento, si tornerebbe al punto di partenza. Napolitano però non può fare altro che cercare una maggioranza in questo Parlamento, sperando che le posizioni dei partiti si ammorbidiscano: trovandosi alla fine del suo mandato, nel cosiddetto “semestre bianco”, non può sciogliere le camere.

E se una maggioranza non c’è?
Bisognerebbe guardare il calendario, innanzitutto. Per sciogliere le camere e tornare al voto, infatti, serve un nuovo presidente della Repubblica. Il mandato di Napolitano scade il 15 maggio 2013: la prima convocazione del Parlamento e dei delegati regionali allo scopo di eleggere il suo successore è stata fissata lunedì 15 aprile. Tra varie consultazioni e voti parlamentari potremmo essere arrivati a pochi giorni da questa data (che potrebbe essere anticipata da Napolitano se decidesse di dimettersi, altra ipotesi circolata in questi giorni).

Il numero di giorni necessario a eleggere un nuovo presidente della Repubblica può variare molto. Napolitano fu eletto in un tempo relativamente breve, tre giorni e quattro scrutini. Altre volte ne sono serviti molti di più. Il centrosinistra e i montiani hanno i numeri, se vogliono, per eleggere il nuovo presidente della Repubblica dal quarto scrutinio in poi. Diciamo che, salvo grandi sorprese, entro sabato 20 aprile l’Italia dovrebbe avere un nuovo presidente della Repubblica. Se ancora non avessimo un governo, questo farebbe nuove consultazioni e poi scioglierebbe le camere. Si tornerebbe a votare.

Quando si potrebbe votare?
La legge dice che si può votare non prima di 45 giorni dopo lo scioglimento delle camere e non oltre 70 giorni. Se quindi i passaggi di cui sopra dovessero essere svelti, si potrebbe andare a votare tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio. Con l’attuale contestatissima legge elettorale.

E se si vuole cambiare legge elettorale?
Per far quello serve un governo, per quanto provvisorio. Gli “affari correnti” per cui è rimasto in carica il governo Monti non comprendono una serie di attività che sono fondamentali ai lavori del Parlamento e alla loro calendarizzazione. Senza contare che, in caso di mancata fiducia al governo Bersani, l’Italia potrebbe trovarsi in carica per gli “affari correnti” un governo che non ha mai avuto la fiducia delle camere. Per cambiare la legge elettorale serve del tempo, per avere tempo serve un governo.

E le primarie?
La grandissima parte dei dirigenti e parlamentari del centrosinistra dice che in caso di nuove elezioni dovrebbero tenersi nuove primarie. Nel 2012 le regole delle primarie furono definite nella prima metà di ottobre e si andò a votare alla fine di novembre, con ballottaggio all’inizio di dicembre: servirono due mesi circa, precedenti alla campagna elettorale vera e propria. Se si dovesse votare a giugno, questo processo dovrebbe essere enormemente accelerato oppure rimosso del tutto: non c’è abbastanza tempo. Se si votasse in autunno, invece, le cose potrebbero farsi con più calma.

E il congresso del PD?
Già, in tutto questo nel 2013 il Partito Democratico deve anche tenere un congresso per rinnovare i suoi organi dirigenti, a cominciare dalla segreteria. Il congresso del PD richiede parecchio tempo: l’ultimo, nel 2009, iniziò a luglio con l’ufficializzazione delle candidature e si concluse con le primarie per il segretario del 25 ottobre. Quattro mesi. Per questo, a meno che l’assemblea nazionale del PD non cambi le regole, il congresso del PD si terrà probabilmente a crisi politica risolta. Dopo le primarie per scegliere il candidato alla presidenza del Consiglio, dopo le nuove elezioni, quindi con la possibilità di una “fase transitoria” in cui Bersani rimane segretario – dimissionario o no – senza essere candidato alla presidenza del Consiglio (a meno che non si ricandidi alle primarie, e le vinca). Bersani ha già detto più volte di non volersi ricandidare a segretario del PD.

foto: Riccardo Squillantini / la Presse