cominciamo a parlare la stessa lingua:quella della vita

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La transumanza degli insegnanti del sud

«Il primo giorno di scuola ero disorientato dall’insistenza con cui gli studenti mi chiedevano di andare in bagno. Però che sollievo quando, nella prima ora buca della mia vita, ho messo piede in una ciarliera aula docenti. Colleghe sorridenti, tutto un gran da fare tra computer e stampanti prima del suono della campanella. E, soprattutto, l'eterogeneità di accenti: in un attimo rispolveravo i vecchi seminari di dialettologia che avevo seguito alla Federico II: le consonanti occlusive aspirate della bidella calabrese, le semiconsonanti del collega di Salerno, per non parlare delle vocali platealmente aperte della dirigente catanese che rimbombavano nel refettorio. A volte, nell’atrio della scuola, magari nel tepore di un raggio di sole, mi pareva di essere tornato a casa solo perché i due bidelli gridavano in un napoletano sguaiato contro l’autista della Milano ristorazione che non riusciva a fare manovra»

La transumanza degli insegnanti del sud

Di che cosa parliamo quando parliamo di morte

«Le persone che frequentano un Death Café spesso non si conoscono e pensano che parlare di morte serva a vivere più intensamente la propria vita. Si mangia e si beve anche per questo: sei in un momento conviviale, non in un luogo in cui chiedere aiuto. Quando l'incontro riesce bene si ride, si parla degli spazi in cui la vita esiste nonostante la morte, si racconta per esempio che "nella clinica di cure palliative in cui lavoro si celebrano un sacco di matrimoni". È sconsigliata la partecipazione a chi abbia appena subìto un lutto, abbia una malattia terminale, o magari pensieri di suicidio»

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