Il silenzio dall’Afghanistan
«Dopo una quindicina di viaggi da inviato, il ricordo delle persone ha finito per diventare più solido. Con gli afghani ho parlato in una lingua fatta in parti uguali di parole inglesi e gesti italiani, ho riso, mangiato i ravioli di montone e bevuto innumerevoli tè. Ma non riesco a immaginare una strada per riprendere i contatti con chi è rimasto»