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  • Sabato 5 ottobre 2019

Al Qaida è di nuovo una minaccia per l’Occidente?

Non ci sono ancora stati attentati sventati o minacce imminenti, ma ci sono ragioni per cominciare a preoccuparsi

Idlib, Siria (Anas Alkharboutli/picture-alliance/dpa/AP Images)
Idlib, Siria (Anas Alkharboutli/picture-alliance/dpa/AP Images)

Diciott’anni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, una guerra in Afghanistan non ancora terminata e migliaia di attacchi mirati contro obiettivi sospetti, l’Occidente non è ancora riuscito a sconfiggere al Qaida, l’organizzazione terroristica che per molti anni fu guidata da Osama bin Laden. Nel corso degli ultimi due decenni al Qaida ha subìto perdite importanti ma è riuscita a riorganizzarsi e a sopravvivere, sfruttando tra le altre cose le maggiori attenzioni dell’antiterrorismo mondiale riservate allo Stato Islamico (o ISIS). Da qualche tempo però analisti ed esperti si stanno chiedendo se al Qaida non sia tornata a essere una minaccia per l’Occidente: in particolare preoccupa la sezione di al Qaida in Siria, che ha una storia molto particolare e che potrebbe diventare un futuro un grosso problema per molti.

Il gruppo che si guarda con più preoccupazione oggi si chiama Hurras al Din, ed è nato all’inizio del 2018 sfruttando il caos della guerra siriana. È considerato il successore del gruppo Khorasan, di cui si era parlato parecchio alla fine del 2014 a seguito di una serie di attacchi statunitensi nel nordovest della Siria. Nelle ultime settimane Hurras al Din è stato al centro di diversi articoli e analisi, tra cui quelli di Eric Schmitt sul New York Times e Colin Clarke e Charles Lister su Foreign Policy.

Come al Qaida è arrivata in Siria
Al Qaida cominciò a spostare armi e uomini in Siria nel 2013. La sua prima presenza significativa fu tramite Jabhat al Nusra, gruppo che però non aveva tra i suoi obiettivi fare attentati in Occidente.

Jabhat al Nusra era infatti il prodotto di un cambiamento strategico profondo che era avvenuto all’interno di al Qaida dopo l’uccisione di bin Laden e l’inizio delle cosiddette primavere arabe, movimenti di protesta cominciati nel 2011 che portarono al rovesciamento di regimi autoritari in diversi paesi del Nord Africa e Medio Oriente. Al Qaida aveva abbandonato almeno temporaneamente l’idea di agire solo a livello globale e di compiere grandi attentati in Occidente, e aveva adottato una strategia più limitata, basata sulle azioni di gruppi estremisti locali. Bruce Hoffman, analista esperto di antiterrorismo e sicurezza nazionale per il Council on Foreign Relations, scrisse che l’organizzazione terroristica responsabile tra le altre cose degli attacchi dell’11 settembre 2001 sembrava si stesse «ricostruendo in maniera discreta e paziente».

In alcuni paesi, come Mali e Yemen, la strategia “localista” di al Qaida non diede grandi risultati, ma in Siria fu diverso. Jabhat al Nusra si mostrò fin da subito interessato a fare alleanze con altri gruppi islamisti di ribelli che combattevano contro il regime siriano di Bashar al Assad. Dimostrò anche di essere la fazione più forte ed efficace dal punto di vista militare, almeno fino all’ascesa dello Stato Islamico. Col tempo Jabhat al Nusra cominciò a prendere le distanze dalla leadership centrale di al Qaida, sia per questioni pratiche (aspettare ordini che arrivavano da lontano poteva significare perdere tempo prezioso per la battaglia) sia per motivi politici (l’associazione diretta con al Qaida spaventava diversi gruppi islamisti più moderati).

Tra il 2016 e il 2017 Jabhat al Nusra cambiò nome due volte, in modo da allontanare la propria immagine da quella di al Qaida: prima divenne Jabhat Fateh al Sham, e poi Hayat Tahrir al Sham. Raggiunse il suo obiettivo, ma pagò un prezzo piuttosto alto: l’ultimo cambio di nome avvenne infatti tra scontri con altri gruppi islamisti, violenze che per la prima volta resero la divisione siriana di al Qaida molto impopolare tra l’ampio schieramento di ribelli anti-Assad.

Oggi Hayat Tahrir al Sham ha tra i 12 e i 15mila miliziani, ed è il gruppo predominante nella provincia siriana di Idlib, l’unica ancora sotto il controllo dei ribelli: è considerato estremamente radicale ma non interessato a fare attentati in Occidente.

E quindi, chi vuole fare gli attentati in Occidente?
Nonostante il generale cambio di strategia adottato da al Qaida dopo il 2011, i vertici dell’organizzazione non rinunciarono del tutto all’obiettivo del jihad globale tramite attacchi diretti contro l’Occidente. Un anno dopo l’arrivo in Siria di Jabhat al Nusra, il leader di al Qaida, il medico egiziano Ayman al Zawahiri, inviò in territorio siriano il cosiddetto gruppo Khorasan, formato da pochi uomini incaricati di organizzare attentati in Occidente. Dell’esistenza di questo gruppo si venne a sapere solo nel settembre 2014, quando alcune sue postazioni in Siria furono colpite da attacchi aerei ordinati dall’allora amministrazione statunitense di Barack Obama.

I bombardamenti mirati indebolirono presto Khorasan, ma le ambizioni di al Qaida di avere un gruppo in Siria che organizzasse attentati in Occidente non scomparvero. Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 nacque Hurras al Din, che riprendeva in parte gli obiettivi di Khorasan e al tempo stesso riuniva quei miliziani che non si riconoscevano più nelle molte trasformazioni che aveva subito Jabhat al Nusra nel corso degli anni. Il nuovo gruppo, formato da 1.500-2mila miliziani, per lo più stranieri, ricominciò ad avere uno stretto legame con la leadership di al Qaida, in particolare con il suo leader, Zawahiri, e si insediò nel nordovest della Siria.

Hurras al Din è davvero una minaccia per l’Occidente?
Hurras al Din, ha scritto Eric Schmitt sul New York Times, è riuscito a crescere e diventare più grande di Khorasan sfruttando anche una sorta di “protezione” inavvertitamente fornita dalla Russia, che protegge da sorveglianza e attacchi stranieri le zone della Siria che si trovano sotto il controllo di Assad o che sono obiettivi militari diretti del regime, come la provincia di Idlib.

Il dipartimento della Difesa statunitense considera Hurras al Din così pericoloso da avere usato almeno una volta uno speciale canale di comunicazione con i comandanti russi in Siria chiedendo di poter compiere attacchi aerei contro i leader di al Qaida nelle province di Aleppo e Idlib. Gli attacchi, compiuti a giugno e ad agosto, sono stati un evento raro, perché avvenuti a ovest del fiume Eufrate, cioè al di là di quella linea non ufficiale che divide i territori “di competenza” della Russia e del regime di Assad da quelli controllati dagli alleati degli Stati Uniti.

Oggi Hurras al Din non si deve guardare però solo dagli attacchi statunitensi, ma anche dalla forte rivalità iniziata con Hayat Tahrir al Sham, cioè il gruppo prodotto dalle diverse ristrutturazioni di Jabhat al Nusra ma oggi poco legato ad al Qaida. Edmund Fitton-Brown, funzionario dell’ONU che si occupa di antiterrorismo, ha detto in una recente intervista pubblicata sul sito del Combating Terrorism Center, istituto dell’Accademia militare dell’esercito statunitense: «Certamente a livello individuale ci sono persone in Hurras al Din che hanno ambizioni internazionali. Ma poi si deve tenere conto delle cose che devono affrontare. Quanto riescono davvero a tenere testa a Hayat Tahrir al Sham? Perché Hayat Tahrir al Sham è molto più grande. […] Mi chiedo se davvero Zawahiri vede [la Siria] come il posto più promettente in cui avere un gruppo terroristico dedicato alle operazioni internazionali».

Per il momento non è chiaro quanto Hurras al Din si possa considerare una minaccia per l’Occidente. Diversi funzionari governativi statunitensi sentiti dal New York Times hanno detto di non essere a conoscenza di alcun piano terroristico sviluppato dai membri del gruppo. Allo stesso tempo, però, l’amministrazione Trump ha intensificato i suoi sforzi nella raccolta di informazioni e ha inserito Hurras al Din nella lista delle organizzazioni terroristiche.