Il governo non vuole più costruire un unico deposito di scorie nucleari

Dopo oltre 20 anni di discussioni e una lunga selezione per creare una mappa di posti idonei, che non si sa che fine farà

La ex centrale nucleare di Trino Vercellese, dove c'è uno dei depositi temporanei di scorie nucleari
La ex centrale nucleare di Trino Vercellese, dove c'è uno dei depositi temporanei di scorie nucleari (Sogin)
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Durante un incontro organizzato dalla Stampa il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha detto che il governo ha ormai scartato l’idea di costruire un unico grande deposito nazionale di scorie nucleari. Ha spiegato che è «illogico a livello di efficienza» perché con un solo deposito bisognerebbe far viaggiare ogni giorno rifiuti nucleari sulle strade italiane. Ha quindi concluso che sarebbe meglio costruire più depositi o utilizzare i 22 temporanei che già ci sono, una tesi che sconfessa un lunghissimo e discusso processo tecnico e politico che va avanti da più di 20 anni.

Già dopo il referendum del 1987 che portò alla chiusura delle centrali nucleari italiane si iniziò a discutere di dove mettere le scorie nucleari prodotte negli anni dagli impianti e di tutte quelle che vengono prodotte ogni anno da attività come l’industria o la medicina nucleare,  in cui sono utilizzate sostanze radioattive a scopo diagnostico, terapeutico e di ricerca. Nel 2003 il governo di Silvio Berlusconi indicò Scanzano Jonico, in Basilicata, come posto adatto a costruire un unico grande deposito di scorie adeguando così l’Italia alle indicazioni europee, poi fissate in una direttiva puntuale approvata nel 2011.

La popolazione si oppose: vennero organizzate proteste e manifestazioni, e alla fine il governo ritirò il decreto. Da quell’esperienza politica fallimentare iniziò un lungo processo di partecipazione per scegliere il posto più adatto alla costruzione del deposito nazionale. La gestione fu affidata a Sogin, la società pubblica che ha il compito di smantellare gli impianti nucleari e gestire i rifiuti radioattivi. Iniziò una vasta ricognizione tecnica portata avanti per esclusione: dall’intero territorio nazionale furono esclusi posti dove avrebbero potuto esserci rischi legati all’alta densità abitativa, al rischio di terremoti e frane, ma anche alla presenza di siti Unesco e aree protette.

La protesta organizzata a Roma contro la costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari a Scanzano Jonico

La protesta organizzata a Roma contro la costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari a Scanzano Jonico (ALESSIA PARADISI/ANSA)

Nel 2015 si arrivò alla definizione di una mappa di aree potenzialmente idonee, che tuttavia i governi mantennero segreta fino al gennaio del 2021, quando fu pubblicata per la prima volta. In totale erano state individuate 67 aree potenzialmente idonee. A partire da quella lista fu organizzata una lunga consultazione pubblica con gli enti locali, le associazioni, i comitati e gli abitanti, al termine della quale fu disegnata la mappa delle 51 aree idonee alla costruzione del deposito nazionale.

– Leggi anche: Questo posto potrebbe custodire tutte le nostre scorie nucleari

Il governo promise una serie di compensazioni economiche – tra cui un fondo da 15 milioni di euro – per incentivare i comuni ad autocandidarsi, ma nessuno tra gli amministratori dei 51 comuni si fece avanti. Anzi, in molti casi associazioni e abitanti organizzarono manifestazioni contro il deposito nazionale.

L’unica autocandidatura fu presentata nel 2023 da Trino Vercellese, in provincia di Vercelli, che peraltro non rientrava nei luoghi idonei alla costruzione del deposito perché troppo vicino al fiume Po. Il sindaco si rese disponibile perché dagli anni Sessanta a Trino Vercellese vengono stoccate scorie nucleari nei depositi della vecchia centrale nucleare “Enrico Fermi”, ancora in fase di dismissione. All’autocandidatura si opposero prima diverse associazioni ambientaliste, poi alcune istituzioni come i comuni vicini, la provincia di Alessandria e di Vercelli. Il sindaco decise quindi di ritirare l’autocandidatura quattro mesi dopo averla approvata.

Da quando Giorgia Meloni è diventata presidente del Consiglio la selezione del posto adatto a costruire il deposito nazionale è andata avanti molto lentamente. Il ministero ha chiesto più volte informazioni a Sogin per capire come gestire la carta delle aree idonee, ora sottoposta alla valutazione ambientale strategica (VAS). Nel frattempo l’obiettivo iniziale di costruire il deposito entro il 2025 è ovviamente sfumato.

Già lo scorso settembre Pichetto Fratin disse che sarebbe stato meglio costruire tre depositi e non più uno: uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud. Lunedì ha invece detto che si potrebbero usare quelli esistenti. In Italia i depositi temporanei che custodiscono rifiuti radioattivi sono ex centrali nucleari (4 centrali e 4 impianti del ciclo del combustibile), centri di ricerca nucleare e centri di gestione di rifiuti industriali. Le ex centrali nucleari, attive fino alla fine degli anni Ottanta, sono a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Sessa Aurunca (Caserta).

Ci sono poi un impianto di “Fabbricazioni Nucleari” a Bosco Marengo (Alessandria) e tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile a Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera).

La mappa dei depositi temporanei di rifiuti radioattivi

La mappa dei depositi temporanei di rifiuti radioattivi (depositonazionale.it)

La costruzione di un unico deposito nazionale era stata proposta anche per ridurre i costi sostenuti dallo Stato per custodire le scorie nei depositi temporanei o smaltirle all’estero, in Francia e nel Regno Unito. Si stima che ogni anno lo Stato spenda circa 60 milioni di euro per stoccare parte dei rifiuti nucleari all’estero. Il deposito nazionale sarebbe essenziale anche nell’ambito del piano per tornare a produrre energia nucleare in Italia, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso febbraio sotto forma di legge delega e che finora non è andato oltre gli annunci.