I politici italiani che stavano simpatici a papa Francesco

E quelli che invece proprio no: spesso per lui contavano più le sintonie umane di quelle ideologiche

Giorgia Meloni e papa Francesco insieme per gli Stati generali della natalità, a Roma, l'11 maggio 2023 (GIUSEPPE LAMI/ANSA)
Giorgia Meloni e papa Francesco insieme per gli Stati generali della natalità, a Roma, l'11 maggio 2023 (GIUSEPPE LAMI/ANSA)
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Nei suoi dodici anni di pontificato papa Francesco ha avuto a che fare con sei presidenti del Consiglio, e anche nei rapporti con loro i suoi modi hanno in parte stravolto abitudini consolidate. Papa Francesco è stato spesso estremamente confidenziale e ha gestito queste relazioni senza delegare granché alle alte gerarchie vaticane, come accadeva in passato. Inoltre, più che le effettive affinità ideologiche, in tanti casi per papa Francesco sembravano contare le sintonie umane e caratteriali: soprattutto nella fase finale del suo pontificato, il papa era interessato a capire se con il leader di turno andava d’accordo oppure no, al di là del condividerne o biasimarne il programma politico.

Questo spiega anche alcune evidenti contraddizioni politiche. Con Paolo Gentiloni, per esempio, ebbe un rapporto di grande intesa, nonostante la pessima considerazione che aveva per la politica migratoria del suo ministro degli Interni, Marco Minniti. Sempre su questo tema, colpisce per esempio la diversità di trattamento riservata a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni: pur mostrando un analogo disappunto nei confronti del loro approccio sui migranti, papa Francesco ha sempre rifiutato qualsiasi incontro con il segretario della Lega mentre ha apprezzato molto le doti umane della presidente del Consiglio.

Tutto ciò fa emergere anche un altro apparente controsenso: e cioè che un papa con un orientamento considerato molto progressista (perlomeno per gli standard della Chiesa) abbia voluto costruire un ottimo rapporto con il governo più di destra della storia italiana repubblicana, nonostante le dure critiche rivolte alle riforme di Meloni dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

È prassi che il presidente del Consiglio in carica accompagni il papa in aeroporto quando parte per viaggi pastorali all’estero. Qui, la celebre immagine di Enrico Letta e papa Francesco con la ventiquattrore nera in mano, senza collaboratori addetti a portargli la borsa (ANSA)

Il primo presidente del Consiglio con cui papa Francesco ebbe rapporti istituzionali fu Enrico Letta, che sulle prime visse con un certo disorientamento i modi del tutto nuovi di papa Francesco. Il 22 luglio del 2013, come da prassi, Letta andò ad accompagnare il papa sulla pista di Fiumicino mentre si imbarcava per il Brasile per la Giornata mondiale della gioventù. Fu proprio in quell’occasione che, per la prima volta, Francesco si presentò con in mano la sua ventiquattrore, in un’immagine che divenne subito paradigmatica.

Matteo Renzi dovette vincere perplessità del papa verso alcune iniziative del suo governo. La spending review, la cosiddetta “Buona scuola”, e soprattutto l’introduzione delle unioni civili, furono tutte riforme che attirarono al leader del PD le critiche dell’allora presidente della CEI, Angelo Bagnasco. Lo stesso annuncio del Giubileo straordinario, fatto da Francesco nel marzo del 2015, colse di sorpresa Renzi che era in missione in Egitto: la notizia fu data al governo con un preavviso di poche ore, e generò grosse preoccupazioni per l’allestimento di un evento così imponente.

Sempre in quei mesi, tra i renziani si diffusero dei sospetti a proposito della «simpatia antropologica», come l’aveva definita un importante vescovo, tra Francesco e Andrea Orlando, che collaborò col Vaticano per l’organizzazione del Giubileo dei detenuti in quanto ministro della Giustizia, ma che era anche uno dei dirigenti del PD più critici verso Renzi. Quest’ultimo, ironizzando un po’ su questa faccenda, a volte lo chiamava «sua eminenza» durante i Consigli dei ministri (cioè l’appellativo riservato ai cardinali).

Matteo Renzi in Vaticano per la sua prima udienza ufficiale da presidente del Consiglio con papa Francesco, il 13 dicembre 2014 (LaPresse)

Renzi seppe però costruire nel tempo con papa Francesco un intenso rapporto personale, riuscendo ad aggirare anche alcuni vescovi e cardinali che alimentavano questa tensione tra il pontefice e il capo del governo. Ne nacque una relazione fatta di simpatia umana, durata fino ai tempi più recenti, e consolidata anche grazie a incontri riservati nei locali di Santa Marta, dove Renzi andava uscendo da Palazzo Chigi con delle dimesse utilitarie, così da non dare nell’occhio e depistare i cronisti.

A metodi analoghi ricorse anche Paolo Gentiloni, quando divenne presidente del Consiglio (lo fu tra il 2016 e il 2018). Già allora uno dei promotori del loro dialogo fu il giornalista Paolo Ruffini, amico fraterno di Gentiloni e che papa Francesco avrebbe scelto nel 2018 come prefetto del dicastero per la Comunicazione (cioè una specie di ministro nelle gerarchie ecclesiastiche). Ebbero un ruolo anche la comune sensibilità ambientalista e una condivisa insofferenza nei confronti delle politiche di rigore finanziario imposte all’Unione Europea dalla Germania di Angela Merkel.

Il periodo politico successivo fu caratterizzato per lo più dalla crescente sintonia di papa Francesco, e di alcuni suoi importanti collaboratori, con Giuseppe Conte. Arrivato alla guida del governo da avvocato semisconosciuto, Conte costruì col tempo rapporti in realtà piuttosto consolidati dentro il Vaticano, soprattutto grazie alla protezione di Achille Silvestrini, uno dei più influenti cardinali nella Curia romana negli anni Settanta e Ottanta. In quella che molti considerarono una coincidenza emblematica, Conte nel 2019 ottenne da Sergio Mattarella l’incarico a formare il suo secondo governo consecutivo proprio il giorno dei funerali di Silvestrini: e a margine della cerimonia funebre, il pontefice e il presidente del Consiglio incaricato si appartarono per un breve colloquio.

Ma ci fu ben altro che una semplice coincidenza. Nei mesi precedenti il papa aveva sempre sdegnosamente rifiutato qualsiasi ipotesi di incontro con Salvini – nonostante in suo favore si spendesse in modo esplicito l’ex presidente conservatore della CEI Camillo Ruini – e questo aveva di riflesso rafforzato Conte. Non solo. Nell’estate del 2019, quando Nicola Zingaretti provò a far fallire le trattative tra M5S e PD per la formazione del nuovo governo, andando così al voto anticipato, proprio da papa Francesco e dai suoi collaboratori arrivarono messaggi di sostegno nei confronti di Conte che influenzarono non poco l’orientamento degli altri dirigenti del PD.

Con Mario Draghi i rapporti furono ambivalenti. C’era una grande stima e un notevole rispetto istituzionale, e la sintonia culturale tra i due era assicurata dalla comune formazione gesuita: Draghi, non a caso, godette del grande sostegno della Civiltà Cattolica, la rivista della Compagnia di Gesù (cioè l’ordine dei gesuiti, lo stesso a cui apparteneva papa Francesco).

Nel luglio del 2020, quando le indiscrezioni su un possibile imminente impegno in politica di Mario Draghi si andavano diffondendo, papa Francesco lo nominò membro della Pontificia accademia delle Scienze sociali, e la cosa contribuì ad alimentare quelle voci. Qui lo omaggia durante una riunione coi membri dell’accademia il 29 aprile 2022 (Vatican Media/LaPresse)

Durante il suo mandato da presidente del Consiglio, però, Draghi dovette fare i conti con la crescente contrarietà di papa Francesco alla linea fermamente filoucraina del governo: fedele alla sua cultura antiamericana e antiatlantista, il papa cercò fin dall’inizio una posizione equidistante tra Ucraina e Russia, finendo talvolta per usare frasi critiche verso la NATO e che lo fecero apparire ambiguo nelle condanne verso l’invasione russa dell’Ucraina (poi ci mise anche qualche pezza).

Tra Meloni e papa Francesco invece la sintonia si è consolidata dopo una fase iniziale di reciproche cautele. Credente ma non praticante, Meloni ha un orientamento conservatore che la rende più vicina alla fazione della Curia che rimpiange l’epoca di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, soprattutto sui temi etici; papa Francesco ha sempre condannato le politiche della destra contro i migranti. Col tempo, però, tra i due è nata una grande sintonia umana: Francesco ha elogiato, in occasioni neppure troppo riservate, i modi cordiali e spicci di Meloni, la sua romanità verace, il suo attaccamento al popolo.

Notevole, in questo senso, è stato il fatto che il papa abbia accettato l’invito della presidente del Consiglio a partecipare al G7 di Borgo Egnazia, in Puglia, nel giugno del 2024, tenendo un discorso sull’intelligenza artificiale: è stata la prima volta di un pontefice a un G7, e un importante successo diplomatico per Meloni.