• Mondo
  • Martedì 4 febbraio 2025

L’esercito israeliano ha distrutto 120 edifici nel campo profughi di Jenin

In Cisgiordania: l’offensiva in quella che le Nazioni Unite hanno definito «una città fantasma» va avanti da due settimane

Il fumo provocato da un'esplosione nel campo profughi di Jenin, 2 febbraio 2025 (AP Photo/Majdi Mohammed)
Il fumo provocato da un'esplosione nel campo profughi di Jenin, 2 febbraio 2025 (AP Photo/Majdi Mohammed)
Caricamento player

Israele sta proseguendo la sua offensiva militare nella città e nel vicino campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, iniziata circa due settimane fa. La scorsa domenica l’esercito israeliano ha fatto esplodere 23 edifici nel campo profughi sostenendo che nascondessero depositi di armi e basi di alcuni gruppi radicali palestinesi, una tesi usata spesso da Israele per giustificare attacchi contro edifici civili.

Diverse parti del campo rimangono occupate dall’esercito israeliano. Il sindaco della città e del campo profughi, Mohammad Jarrar, ha detto a CNN che nelle scorse due settimane l’esercito israeliano ha distrutto 120 edifici e reso sfollate circa 15mila persone. L’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi, ha paragonato Jenin a «una città fantasma» e spiegato che per via delle violenze le scuole sono state chiuse.

L’offensiva militare di Israele nel campo profughi di Jenin è cominciata lunedì 20 gennaio, due giorni dopo l’inizio del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi, ma che da decenni Israele occupa illegalmente tramite la costruzione di colonie. L’offensiva sembra in linea con le richieste della parte più estremista del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che da tempo promuove l’annessione della Cisgiordania su basi etnico-religiose.

Il campo profughi di Jenin fu creato all’inizio degli anni Cinquanta per ospitare le migliaia di persone palestinesi cacciate dalle proprie case dopo la fondazione dello stato di Israele, nel 1948. Come quasi tutti i campi profughi palestinesi, negli anni è diventato una città con strade ed edifici in muratura, benché estremamente precarie: ci vivono circa 10mila persone, mentre nella vicina città sono circa 50mila. Nel campo è molto presente il cosiddetto “Battaglione Jenin”, una coalizione di milizie dei principali gruppi radicali palestinesi tra cui il Jihad Islamico e Hamas.

Alcuni ragazzi palestinesi fotografati in una strada del campo profughi di Jenin (Maja Hitij/Getty Images)

È soprattutto contro il Battaglione Jenin che Israele sta portando avanti la sua offensiva. «Il campo profughi di Jenin non tornerà quello di prima», ha detto il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, durante una visita al campo la scorsa settimana. Fin dall’inizio dell’offensiva Netanyahu ha detto che il suo obiettivo sarebbe stato «sradicare il terrorismo»: è una motivazione con cui il governo israeliano giustifica ormai ogni ampia operazione in Cisgiordania, nelle quali vengono spesso ferite o uccise decine di persone civili.

Dall’inizio dell’offensiva a Jenin sono stati uccise in tutta la Cisgiordania almeno 40 persone palestinesi, e altre decine sono state ferite, ha fatto sapere il ministero della Salute palestinese (che è controllato dall’Autorità Nazionale Palestinese, l’ente paragovernativo che amministra parte della Cisgiordania).

La pratica di sigillare o demolire le case dei palestinesi responsabili o anche solo sospettati di atti di violenza è piuttosto consolidata in Israele, ma non ha precedenti o paragoni con quello che avviene in altri paesi. Diversi esperti di diritto internazionale la ritengono una forma di «punizione collettiva», cioè un crimine di guerra, ed esistono vari pareri, anche interni all’esercito israeliano, che la considerano crudele e inefficace nel prevenire ulteriori violenze.

– Leggi anche: Perché Israele demolisce le case degli attentatori palestinesi