I principali tribunali internazionali, spiegati
Le Corti possono essere internazionali o europee, possono occuparsi degli stati o delle persone, possono suggerire o obbligare: una breve guida
di Ginevra Falciani
Negli ultimi mesi per via dell’invasione di Israele nella Striscia di Gaza si è parlato spesso della Corte internazionale di giustizia (CIG o ICJ in inglese), il più importante tribunale delle Nazioni Unite, e della Corte penale internazionale (CPI o ICC in inglese), dato che entrambe si stanno occupando di valutare se Israele o i suoi leader stiano violando il diritto internazionale. Sono due tribunali importantissimi e che svolgono funzioni diverse, ma che spesso vengono confusi per via del nome simile, per il fatto che entrambi si occupano di diritto internazionale e perché si trovano entrambi all’Aia, nei Paesi Bassi.
Fare confusione fra i tribunali internazionali è abbastanza comune: lo stesso succede con la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che dipendono da due organizzazioni separate, rispettivamente il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea. Nonostante questi tribunali abbiano parecchi problemi, anche di efficacia, sono comunque una parte fondamentale della struttura che garantisce il rispetto del diritto internazionale e che dà qualche garanzia che non sia sempre il più forte e più potente a imporsi, a qualsiasi costo.
A fine dicembre 2023, circa tre mesi dopo l’inizio dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza, lo stato del Sudafrica aveva intentato davanti alla Corte internazionale di giustizia una causa contro Israele, accusandolo di genocidio. I giudici della Corte internazionale di giustizia potrebbero impiegare anni per raggiungere una decisione in merito, ma negli scorsi mesi hanno emesso diverse cosiddette “misure provvisorie”, chiedendo a Israele di interrompere immediatamente la sua offensiva a Gaza e sostenendo che l’accusa di genocidio sia «plausibile».
A maggio il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, era stato invece molto criticato da alcuni leader internazionali, ma molto applaudito da altri, per aver chiesto alla Corte di emettere un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, insieme a quello per tre leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Secondo Khan c’erano ragioni per credere che i cinque fossero responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi a partire dal 7 ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas in Israele.
Questa è un’importante differenza fra le due corti da tenere a mente: la prima si occupa di risolvere controversie fra stati, mentre la seconda si occupa di stabilire la responsabilità individuale di singole persone, spesso leader politici o militari, e ha il potere di chiedere il loro arresto (che poi si riesca effettivamente ad arrestare un leader è un altro discorso). La Corte penale internazionale ha poi un raggio di azione più specifico, dato che si occupa solo di quattro categorie di crimini internazionali considerate particolarmente gravi: genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e aggressione.
Le differenze non finiscono qui.
La Corte internazionale di giustizia (ICJ) è il principale organo giudiziario dell’ONU: fu istituita nel 1945 dalla Carta delle Nazioni Unite. Ha giurisdizione su qualsiasi questione di diritto internazionale, dalle dispute territoriali, alla protezione dell’ambiente, al rispetto dei diritti umani. Per esprimersi si riferisce a tutte le norme del diritto internazionale in vigore, fra cui convenzioni e trattati internazionali (come ad esempio, per il caso del Sudafrica contro Israele, la Convenzione sul genocidio).
Due stati possono presentare insieme una questione alla Corte internazionale di giustizia, come hanno fatto il Benin e il Niger nel 2002 per risolvere una disputa territoriale; oppure uno stato può essere portato davanti alla Corte da un altro stato, come nel caso del Sudafrica con Israele.
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La Corte penale internazionale (ICC) è invece un organo indipendente istituito nel 2001 attraverso un trattato chiamato Statuto di Roma di cui fanno parte 124 paesi, con dei notevoli assenti: fra questi non ci sono per esempio Russia, Cina, Israele e Stati Uniti. Come già detto, la Corte penale internazionale si occupa di processare persone accusate di aver commesso uno o più dei quattro più gravi crimini internazionali, che in quanto persone, appunto, non potrebbero essere processate davanti alla Corte internazionale di giustizia. Per essere perseguiti, questi crimini devono essere stati commessi a partire dal 1° luglio 2002, data di entrata in vigore dello Statuto.
La Corte penale internazionale funziona abbastanza come un tribunale penale nazionale, per certi aspetti: ha un procuratore che conduce delle indagini e può chiedere l’arresto dei presunti colpevoli di uno o più crimini, prima di iniziare un processo nei loro confronti. Le indagini possono partire dall’iniziativa autonoma del procuratore o, più spesso, dalla richiesta di uno o più stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma. Può chiedere che sia aperta un’indagine anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo più influente dell’ONU in cui siedono anche i cinque membri permanenti con potere di veto.
È importante ricordare però una cosa: la Corte dovrebbe intervenire solo nel caso in cui venga stabilito che lo stato che avrebbe giurisdizione sul caso «non vuole o non ha i mezzi» per svolgere l’indagine e mettere in piedi un processo.
Sia le sentenze della Corte internazionale di giustizia che quelle della Corte penale internazionale sono vincolanti, ma la loro attuazione ha da sempre diversi problemi.
Nel caso della prima, le sue sentenze stabiliscono se norme del diritto internazionale sono state violate e possono anche decidere dei risarcimenti finanziari e la richiesta di impegno affinché il crimine non venga ripetuto. Queste decisioni sono molto importanti a livello politico e legale e vengono genericamente rispettate, ma nel pratico la Corte non ha i mezzi per assicurarne l’attuazione e ci sono casi in cui gli stati continuano a ignorarle. Nella causa per genocidio, per esempio, Israele ha finora ignorato tutte le misure provvisorie ordinate dalla Corte, che sarebbero vincolanti al pari delle sentenze.
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Non avendo una forza di polizia che può eseguire i mandati d’arresto, anche la Corte penale internazionale ha problemi in questo campo e si affida alla collaborazione degli stati membri dello Statuto di Roma, che si impegnano ad arrestare qualsiasi persona su cui penda un mandato di arresto qualora entri nel loro paese. Nel pratico questo però non sempre accade: per esempio, quando nel 2023 la Corte emise un mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro della Slovacchia Robert Fico disse che lui non l’avrebbe mai eseguito, nonostante la Slovacchia abbia ratificato lo Statuto. Queste scelte, di natura politica, possono essere criticate, ma non esistono meccanismi che possano impedirle.
Le critiche nei confronti della Corte penale internazionale non riguardano solo la sua inefficacia, ma anche la sua faziosità e la presenza di un “doppio standard”.
Nei suoi vent’anni di attività la Corte è riuscita a condannare e anche a far arrestare diversi leader e capi militari responsabili di gravi crimini in diverse guerre, fra cui quella in Darfur, nella Repubblica Democratica del Congo, e in Uganda, ma è stata anche profondamente criticata per essersi concentrata quasi esclusivamente su paesi africani. Diversi stati l’hanno accusata di non volere o non riuscire a imporsi sugli stati occidentali, procedendo molto lentamente con le indagini o considerando le richieste in proposito non ammissibili: per esempio, la Corte aprì e chiuse per due volte, l’ultima nel 2020, le indagini riguardo a possibili crimini di guerra commessi dall’esercito britannico durante la guerra in Iraq, decretando che il Regno Unito avesse le capacità per perseguirli a livello nazionale.
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In risposta a queste critiche, negli ultimi anni la Corte si è concentrata anche su casi riguardanti paesi occidentali, con varie difficoltà. Quando nel 2020 aprì ufficialmente un’indagine sui crimini commessi durante la guerra in Afghanistan sia dai talebani sia dall’esercito statunitense e dalla CIA, il governo statunitense guidato da Donald Trump rispose a modo suo: bloccò i conti americani della procuratrice e del suo vice, oltre a imporre a loro e a diversi funzionari della Corte restrizioni di viaggio negli Stati Uniti.
Un cambio è avvenuto però con l’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio del 2022. Poco dopo la Corte penale internazionale chiese l’arresto del presidente russo Vladimir Putin, della ministra dell’Istruzione Maria Lvova-Belova e di quattro capi dell’esercito russo per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La Corte non è riconosciuta dalla Russia, ma ha potuto indagare perché l’Ucraina, pur non avendo ratificato lo Statuto di Roma, ha accettato la giurisdizione della Corte su tutti i crimini commessi sul suo territorio, anche quelli commessi dagli stessi ucraini.
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Diversi esperti hanno sostenuto che la guerra in Ucraina abbia avuto anche un ruolo nell’accelerare le indagini sui crimini commessi nella Striscia di Gaza e sull’emanazione dei mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant. La Corte penale internazionale era infatti stata accusata di assegnare meno risorse e personale alle indagini sulla situazione a Gaza e in Cisgiordania, penalizzando il popolo palestinese rispetto a quello ucraino. Anche in questo caso Israele non ha firmato lo Statuto di Roma ma la Palestina accetta la giurisdizione della Corte dal 2014.
Un’ultima differenza fra Corte internazionale di giustizia e Corte penale internazionale è che la prima può anche esprimere dei pareri consultivi, chiamati advisory opinions, su richiesta di cinque organi e 16 agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Queste richieste arrivano spesso dall’Assemblea Generale dell’ONU e i pareri non sono vincolanti, ma sono comunque molto importanti. Nel 2008 la Corte internazionale di giustizia si espresse proprio con un parere non vincolante sul tema dell’indipendenza del Kosovo, e a metà luglio l’ha fatto di nuovo riguardo allo status delle colonie israeliane in Cisgiordania, definendole illegali. Al momento si sta anche occupando, come molti altri tribunali internazionali, di stabilire quali siano gli obblighi degli stati in materia di cambiamento climatico.
Oltre a questi due tribunali (e altri più specializzati e meno conosciuti, come per esempio il Tribunale internazionale del diritto del mare) l’Italia ha accettato la giurisdizione di altre due corti: la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE).
Fondata nel 1959, la Corte europea dei diritti dell’uomo è il tribunale collegato al Consiglio d’Europa, un’organizzazione con 46 paesi membri che non c’entra con l’Unione Europea e che ha diversi obiettivi, tra cui promuovere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto in Europa. La Corte, che si trova a Strasburgo, in Francia, viene interpellata per verificare che venga rispettata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; vi si possono rivolgere individui, aziende, organizzazioni non governative e stati, ma solo una volta esauriti tutti i ricorsi a livello nazionale (quindi tendenzialmente solo quando si è concluso l’ultimo grado di giudizio).
In Italia è più conosciuta rispetto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per alcune sue famose sentenze.
La CEDU è per esempio il tribunale che nel 2015 condannò l’Italia per tortura in merito ai fatti avvenuti nella scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, e per il mancato inserimento di questo reato nel suo ordinamento interno. È quella che ha più volte condannato l’Italia per le condizioni dei centri di accoglienza e quelli di permanenza e rimpatrio per migranti e che ha fermato diversi rimpatri per il rischio che alcune persone migranti venissero sottoposte a trattamenti inumani o degradanti nei loro paesi d’origine. Ed è anche quella che ha giudicato illegittimi alcuni aspetti del regime carcerario di 41-bis. Si è inoltre più volte espressa in merito alla violazione dei diritti dei detenuti per via del cronico sovraffollamento delle carceri italiane e l’Italia è lo stato con più sentenze CEDU per irragionevole durata dei processi.
Il fatto che in Italia persistano alcune delle criticità e delle leggi appena elencate indica come la CEDU abbia un po’ gli stessi problemi degli altri tribunali internazionali, ossia che le sue sentenze, nonostante siano vincolanti, non sono sempre rispettate: nel 2023 per esempio la Commissione europea aveva rilevato come circa il 40 per cento delle principali sentenze della CEDU relative agli Stati membri dell’Unione nei precedenti dieci anni non fosse stata attuato. Recentemente si è poi parlato molto di come il parlamento svizzero abbia respinto una sentenza storica della Corte che ad aprile 2024 aveva stabilito che la Svizzera avesse violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo per non aver fatto abbastanza per contrastare il cambiamento climatico.
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La CEDU è comunque riconosciuta come una delle corti internazionali più efficaci. Per esempio capita che gli stati impieghino anni per allinearsi con una sentenza della CEDU, ma alla fine lo facciano: è un caso quello del reato di tortura in Italia, approvato nel 2017. La CEDU ha inoltre dimostrato di poter agire molto velocemente ed efficacemente in alcune particolari situazioni: nel 2022 per esempio bloccò un volo a un’ora e mezzo dalla partenza che avrebbe dovuto portare in Ruanda persone migranti arrivate nel Regno Unito, come previsto da una criticata politica migratoria adottata dall’allora governo conservatore britannico (mesi dopo il governo di Rishi Sunak approvò definitivamente la legge, andando contro la sentenza della CEDU, ma non riuscì mai a far partire un altro volo).
La Corte di giustizia dell’Unione Europea è invece, come suggerisce il nome, un organo dell’Unione Europea che si trova a Lussemburgo, la capitale del Lussemburgo: interpreta il diritto dell’Unione, vigila che sia applicato correttamente in tutti i paesi membri e risolve le controversie legali tra i governi nazionali e le istituzioni europee. In alcuni casi vi possono ricorrere anche individui, aziende e organizzazioni, spesso nell’ambito del diritto alla concorrenza, dell’agricoltura e del commercio. Fu istituita nel 1952 con il trattato di Parigi, che creò la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, come un tribunale che risolvesse le controversie fra gli stati, allora solo sei, che ne facevano parte. Oggi è composta a sua volta da due organi: il Tribunale, che emette le sentenze di primo grado, e la Corte di giustizia, che funziona da secondo grado di appello.
Nonostante non sia molto conosciuta è in realtà un organo fondamentale al funzionamento dell’Unione Europea, a cui i tribunali nazionali si rivolgono spesso per chiedere pareri su come interpretare il diritto europeo e che controlla non solo gli stati ma anche le istituzioni europee: ha infatti il potere di chiedere l’annullamento di una decisione presa da uno degli organi, se ritiene che questa violi le norme europee, e può sollecitarli all’azione nel caso in cui giudichi che non stiano adempiendo ai loro doveri.
Una delle cose più conosciute di cui si occupa la Corte di giustizia dell’Unione Europea sono le procedure di infrazione contro gli stati membri, di cui spesso si parla anche in Italia: sono quei procedimenti solitamente aperti dalla Commissione Europea quando sospetta che uno stato membro sia venuto meno agli obblighi previsti dai trattati europei. Una prima fase coinvolge solo la Commissione e lo stato membro: il 60 per cento delle procedure di infrazione attualmente aperte si trova a questo stadio e molte vengono archiviate perché lo stato sistema la situazione in merito. Nel caso in cui però questo non accada, la Corte viene coinvolta: un paese condannato dalla Corte due volte per la stessa procedura può incorrere in sanzioni finanziarie, singole o periodiche.
Al momento circa il 10 per cento delle procedure di infrazione si trova davanti alla Corte. L’Italia è all’ottavo posto fra gli stati membri per procedure di infrazione attualmente aperte, tra cui la più recente per deficit eccessivo, insieme ad altri sei paesi. Recentemente la Corte si è anche espressa sulle concessioni balneari e sul reddito di cittadinanza, giudicato discriminatorio nei confronti delle persone straniere.
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Un caso italiano che verrà presto discusso davanti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea è quello di Giorgio Fidenato, un agricoltore che dal 2010 cerca di coltivare mais OGM, un’attività approvata dall’Unione Europea e che avviene già in Spagna, ma che è vietata in Italia. Fidenato contesta una direttiva europea del 2015 che permette agli stati membri di vietare la coltivazione di OGM, sostenendo che violi i diritti dei cittadini europei e discrimini quelli che vivono nei paesi dove la coltivazione degli OGM è vietata rispetto a quelli in cui è permessa. Se la Corte dovesse dare ragione a Fidenato potrebbero esserci conseguenze rilevanti per le regole europee sugli OGM, che sono basate non tanto sugli studi scientifici sul tema ma su una ampia e trasversale opposizione politica in diversi paesi europei.
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