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  • Giovedì 11 gennaio 2024

La causa del Sudafrica contro Israele per genocidio, spiegata

Iniziano oggi le udienze alla Corte internazionale di giustizia, con Israele deciso a difendersi: molto probabilmente il processo sarà lungo e complicato

Donne palestinesi a Khan Yunis piangono un parente ucciso in un bombardamento israeliano
Donne palestinesi a Khan Yunis piangono un parente ucciso in un bombardamento israeliano (AP Photo/Mohammed Dahman)

Giovedì la Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite, comincia le udienze su un caso presentato dal Sudafrica, secondo cui la guerra nella Striscia di Gaza portata avanti da Israele costituirebbe un atto di genocidio contro il popolo palestinese. Israele nega fermamente questa accusa e ha nominato un gruppo di giuristi e avvocati per difendersi.

Cause come quella intentate dal Sudafrica contro Israele possono durare anche anni, sia per il valore politico del processo sia per la sua complessità. Nel diritto internazionale il crimine di genocidio ha caratteristiche specifiche e stringenti: indipendentemente dal merito del caso, è molto difficile provare in un tribunale internazionale che una guerra come quella di Israele a Gaza costituisca anche un crimine di genocidio. La Corte internazionale di giustizia, fino a oggi, non ha mai condannato per genocidio nessuno stato.

Nelle prime udienze non si discuterà tuttavia di genocidio, ma dell’applicazione di una “misura provvisoria” con cui il Sudafrica ha chiesto alla Corte di ordinare rapidamente l’interruzione delle operazioni militari di Israele. Le decisioni della Corte internazionale di giustizia sono in teoria vincolanti, ma la Corte non ha davvero mezzi per farle rispettare. Per questo, anche se la Corte accettasse la richiesta del Sudafrica e approvasse una “misura provvisoria” per fermare la guerra a Gaza, non ci sarebbero grossi effetti sul campo. Lo stesso accadrebbe se Israele, alla fine di un eventuale processo, fosse condannato per genocidio.

La causa del Sudafrica ha un grande impatto sull’identità nazionale di Israele, un paese fondato nel 1948 dopo la Shoah, il genocidio di circa 6 milioni di ebrei nel corso della Seconda guerra mondiale. Ma ha anche un impatto sull’identità del Sudafrica, uno stato la cui leadership politica sostiene da decenni la causa palestinese e che ha sempre visto grosse somiglianze tra l’apartheid, la segregazione razziale dei neri messa in atto in Sudafrica fino al 1991, e la situazione dei palestinesi. Nelson Mandela, lo storico leader sudafricano che pose fine all’apartheid, nel 1997 disse: «Sappiamo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi».

La Corte internazionale di giustizia ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi, ed è un tribunale dell’ONU nato per dirimere le controversie tra gli stati. Non deve essere confusa con la Corte penale internazionale, un tribunale che ha sempre sede all’Aia ma che non ha legami con l’ONU e il cui compito è di giudicare gli individui (quindi non gli stati) ritenuti colpevoli di crimini internazionali.

Il palazzo dove ha sede la Corte internazionale di giustizia, all'Aia

Il palazzo dove ha sede la Corte internazionale di giustizia, all’Aia (AP Photo/Peter Dejong, File)

Il caso per genocidio contro Israele è stato presentato dal Sudafrica a fine dicembre ed è stato sostenuto anche da vari altri paesi, soprattutto arabi. Secondo l’accusa del Sudafrica, le operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza violano la cosiddetta Convenzione sul genocidio, un trattato internazionale approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1948 e ratificato tra gli altri da Israele e dal Sudafrica stesso.

Per circostanziare la sua accusa, il Sudafrica ha presentato un documento di 84 pagine in cui sostiene che le azioni compiute da Israele a Gaza siano «di carattere genocidiario perché hanno l’obiettivo di perpetrare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico dei palestinesi». Queste azioni, secondo l’accusa, «comprendono l’uccisione dei palestinesi a Gaza, aver provocato loro gravi danni fisici e mentali e infliggere loro condizioni di vita che portano alla loro distruzione fisica».

Israele ha smentito categoricamente queste accuse e il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, ha detto: «Quelli massacrati siamo noi». Il riferimento è all’attacco di Hamas contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023.

I casi di genocidio sono eccezionalmente complicati da portare avanti. Benché molti esperti di diritto internazionale siano piuttosto concordi sul fatto che Israele abbia commesso crimini di guerra nella Striscia di Gaza (non ci sono però accuse formalizzate, anche quelle richiedono tempo), la questione del genocidio è molto più complessa, proprio per la definizione assai stringente di questo crimine. Secondo la Convenzione sul genocidio del 1948, si definiscono genocidio atti «commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

Il punto fondamentale della definizione è l’intenzione. In pratica bisogna provare non soltanto che sia avvenuto il massacro di un popolo o di parte di esso, ma che chi l’ha commesso volesse distruggere quel popolo in quanto tale.

La strategia del Sudafrica per provare le intenzioni genocidiarie di Israele nei confronti dei palestinesi si basa soprattutto su alcune dichiarazioni molto aggressive fatte da leader politici e personaggi in vista in Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Il presidente di Israele, Isaac Herzog, aveva detto che «là fuori [nella Striscia di Gaza] c’è un’intera nazione che è responsabile», riferendosi a tutti i palestinesi, che avrebbero responsabilità nell’attacco di Hamas. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva detto che «stiamo combattendo con animali umani, e agiamo di conseguenza». Il Sudafrica ha raccolto anche citazioni di persone ben poco influenti a livello militare, come il cantante pop Eyal Golan, che dopo l’attacco di Hamas aveva detto che Israele avrebbe dovuto «radere al suolo» la Striscia di Gaza.

Benché queste dichiarazioni siano molto violente, alcuni esperti di diritto internazionale sono scettici sul fatto che siano sufficienti per sostanziare un’accusa di genocidio.

Per difendersi dalle accuse del Sudafrica, Israele ha nominato un team di avvocati e giuristi molto consistente, e ha indicato tra i giudici Aharon Barak, l’ex presidente della Corte suprema israeliana e un giurista rispettato a livello internazionale. Barak è un sopravvissuto alla Shoah (la sua famiglia fuggì dalla Lituania occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, quando lui era un bambino) ed è un critico del governo di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu, cosa che ha provocato polemiche tra alcuni esponenti estremisti della sua maggioranza. Nella giuria, composta da 15 membri, Israele e Sudafrica hanno diritto di indicare un membro a testa.

Nel team dell’accusa, invece, uno dei personaggi più noti è Jeremy Corbyn, l’ex segretario del Partito Laburista del Regno Unito e un noto sostenitore della causa palestinese.

Il fatto che Israele abbia deciso di inviare alla Corte internazionale un team di difesa di alto profilo è piuttosto notevole: molto spesso nel passato il governo israeliano ha criticato e sminuito le procedure dell’ONU e della giustizia internazionale, ma è probabile che in questo caso il governo ritenga necessario scagionarsi dall’accusa, anche per preservare i propri rapporti con il resto del mondo, che sarebbero resi più complicati in caso di condanna.